ha pronunciato la seguente
                                SENTENZA
 nel  giudizio  di  legittimita'  costituzionale  dell'art. 2, secondo
 comma,  della  legge  11  novembre  1971,  n.  1046   (Modifiche   ed
 integrazioni   alla   legge   4   marzo  1958,  n.  179,  concernente
 l'istituzione e l'ordinamento della Cassa nazionale di previdenza  ed
 assistenza per gli ingegneri ed architetti ed abrogazione della legge
 6 ottobre 1964, n. 983, recante modificazioni alla predetta legge  n.
 179)  promosso  con  ordinanza  emessa l'8 giugno 1988 dal Pretore di
 Vercelli nel procedimento civile vertente  tra  Zanotti  Dante  e  la
 Cassa Nazionale di Previdenza e Assistenza per ingegneri e architetti
 ed altro, iscritta al n. 558 del registro ordinanze 1988 e pubblicata
 nella   Gazzetta  Ufficiale  della  Repubblica  n.  43,  prima  serie
 speciale, dell'anno 1988;
    Visto  l'atto  di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio dei
 ministri;
    Udito  nella  camera  di  consiglio del 9 febbraio 1989 il Giudice
 relatore Luigi Mengoni;
                            Ritenuto in fatto
    1.  -  Nel  corso  di  un giudizio civile promosso dall'ing. Dante
 Zanotti contro la Cassa nazionale previdenza ed assistenza  ingegneri
 e  architetti  per ottenere il ripristino della pensione di vecchiaia
 revocata dalla Cassa in  applicazione  dell'art.  2,  secondo  comma,
 della  legge  11  novembre 1971, n. 1046, il Pretore di Vercelli, con
 ordinanza dell'8 giugno 1988, ha sollevato, in riferimento agli artt.
 3  e  38 della Costituzione, questione di legittimita' costituzionale
 della  norma  citata  nella  parte  in   cui   prevede   l'esclusione
 dall'iscrizione  alla  Cassa  predetta  degli  ingegneri e architetti
 iscritti  ad  altre  istituzioni  di   previdenza   obbligatoria   in
 dipendenza  dell'esercizio contemporaneo di altra attivita' di lavoro
 autonomo.
    Ad  avviso  del giudice remittente, la disposizione impugnata crea
 una ingiustificata disparita' di trattamento rispetto alle  categorie
 professionali  per  le  quali  i rispettivi ordinamenti previdenziali
 stabiliscono la regola opposta del cumulo delle forme di  previdenza.
    Oltre  alla  violazione del principio di eguaglianza e' denunciata
 anche la violazione dell'art. 38, secondo comma, della  Costituzione,
 considerato  che  il ricorrente, pur avendo "per il periodo della sua
 attivita'  professionale  ininterrottamente  versato   i   contributi
 necessari  e sufficienti ad ottenere la pensione di vecchiaia", viene
 privato di tale diritto costituzionalmente garantito a cagione di  un
 breve periodo (tre anni) d'iscrizione all'albo degli artigiani.
    2.  - Nel giudizio davanti alla Corte e' intervenuto il Presidente
 del Consiglio dei Ministri chiedendo che la questione sia  dichiarata
 infondata:  sotto  il  profilo  dell'art.  3, perche' l'autonomia dei
 sistemi di tutela previdenziale delle varie  categorie  professionali
 esclude  che  essi  possano  essere  messi  a  confronto  per  trarne
 argomento  a  sostegno  di  pretese  violazioni  del   principio   di
 uguaglianza;  sotto  il  profilo  dell'art.  38, perche' con esso non
 contrasta "una norma la quale escluda la possibilita' di maturare  il
 diritto a un doppio trattamento previdenziale".
                         Considerato in diritto
    1.   -   Il   Pretore   di   Vercelli  dubita  della  legittimita'
 costituzionale, in riferimento agli artt. 3 e 38 della  Costituzione,
 dell'art. 2, secondo comma, della legge n. 1046 del 1971, concernente
 la Cassa di previdenza per gli ingegneri e architetti, nella parte in
 cui  esclude  dall'iscrizione  alla  Cassa gli ingegneri e architetti
 iscritti  a  forme   di   previdenza   obbligatorie   in   dipendenza
 dell'esercizio di un'altra attivita' di lavoro autonomo.
    La  violazione  del principio di eguaglianza e' denunciata in base
 al confronto col trattamento di altre categorie professionali,  e  in
 particolare  di  quella  forense,  la  cui  disciplina  previdenziale
 assoggetta all'obbligo di iscrizione alla Cassa  anche  gli  avvocati
 che  svolgano contemporaneamente una attivita' comportante iscrizione
 obbligatoria a una diversa forma di previdenza. Ma, come  piu'  volte
 ha  osservato  questa  Corte (sentenze nn. 91 del 1972, 133 del 1984,
 1008 del 1988), il confronto con altre  categorie  professionali  non
 conduce  a  una  constatazione  di disparita' di trattamento ai sensi
 dell'art. 3 della Costituzione. Fino  a  quando  il  legislatore  non
 provveda  al  riordinamento,  con criteri unitari, dei trattamenti di
 previdenza delle categorie  dei  liberi  professionisti,  secondo  la
 direttiva  enunciata  nell'art. 1 della legge n. 127 del 1980, i vari
 sistemi previdenziali nell'ambito delle libere professioni conservano
 una  propria  autonoma  individualita',  cosi' che la soluzione di un
 problema  accolta  da  uno  di  essi   non   puo'   essere   valutata
 paragonandola con la soluzione accolta da altri.
    Del   resto,  la  categoria  degli  ingegneri  e'  caratterizzata,
 rispetto a quella forense, da una diversita' di condizioni che spiega
 e  giustifica la differente disciplina del caso di cui si discute. La
 gamma di attivita', sia di lavoro autonomo sia di lavoro subordinato,
 compatibili con l'esercizio della professione di ingegnere e' di gran
 lunga piu' ampia di quella delle  attivita'  (comportanti  un  regime
 previdenziale     obbligatorio)     compatibili    con    l'esercizio
 dell'avvocatura. Anziche' assecondare il principio  di  solidarieta',
 che  nel sistema della previdenza forense e' sotteso all'affiliazione
 obbligatoria alla Cassa anche degli iscritti all'albo  gia'  tutelati
 da  una  forma  diversa  di previdenza obbligatoria, l'adozione della
 medesima disciplina per gli ingegneri avrebbe invece - come e'  stato
 osservato  durante  i  lavori  preparatori  della legge n. 6 del 1987
 (cfr. Senato della Repubblica, V legislatura, X  Commissione,  seduta
 del  14  luglio  1971,  pag. 597) - indotto la Cassa di previdenza di
 questa categoria  "in  una  condizione  di  squilibrio  finanziario".
 Invero, nella maggior parte dei casi gli ingegneri impegnati in altre
 forme  di  attivita',  a   causa   della   conseguente   marginalita'
 dell'esercizio professionale, ridurrebbero il loro apporto alla Cassa
 al contributo minimo.
    2.  -  La  questione  non  appare  fondata  nemmeno  alla  stregua
 dell'art. 38 della Costituzione. A chi  esercita  la  professione  di
 ingegnere  o  architetto contestualmente ad altra attivita' di lavoro
 l'art. 2, secondo comma, della legge n. 1046 del 1971  non  impedisce
 di  ottenere una tutela previdenziale adeguata per l'invalidita' o la
 vecchiaia, ma preclude  soltanto,  per  la  ragione  teste'  esposta,
 l'acquisizione  di  una  duplice  posizione  assicurativa nell'ambito
 della previdenza pubblica.
    Che  poi,  in  ragione  del breve periodo di iscrizione alla Cassa
 artigiani e della correlativa esclusione dall'iscrizione  alla  Cassa
 ingegneri,  il  ricorrente  non abbia maturato il diritto a pensione,
 cio' dipende da circostanze di fatto non chiarite  nell'ordinanza  di
 rimessione, ma comunque - come osserva giustamente l'Avvocatura dello
 Stato - non rilevanti ai fini della valutazione di legittimita' della
 norma  in  esame.  Nel  periodo  intercorrente  tra  il 1977, anno di
 cessazione dell'attivita' di artigiano e il 1980, anno di concessione
 della   pensione   poi   revocata,  il  ricorrente  poteva,  mediante
 tempestiva reiscrizione alla Cassa di previdenza per  gli  ingegneri,
 recuperare  il  triennio  di contribuzione perduto agli effetti della
 maturazione del diritto a pensione nei  confronti  di  questa  Cassa:
 tanto  piu' che a quell'epoca non vigeva la condizione dell'esercizio
 continuativo della professione, poi introdotta  dall'art.  21,  primo
 comma, della legge n. 6 del 1981.