ha pronunciato la seguente SENTENZA nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 10, terzo comma, della legge 20 settembre 1980, n. 576, dell'art. 10, quarto comma, della stessa legge, introdotto dalla legge 2 maggio 1983, n. 175 (Interpretazione autentica dell'art. 24 e integrazione e modifica della legge 20 settembre 1980, n. 576, concernente la riforma della previdenza forense) promosso con ordinanza emessa il 9 giugno 1988 dal Pretore di Roma nel procedimento civile vertente tra Amorosino Elia e Cassa Nazionale di Previdenza e Assistenza Avvocati e Procuratori, iscritta al n. 677 del registro ordinanze 1988 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 48, prima serie speciale, dell'anno 1988; Visti gli atti di costituzione della Cassa Nazionale di Previdenza ed Assistenza Avvocati e Procuratori e di Amorosino Elia nonche' l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri; Udito nell'udienza pubblica del 21 febbraio 1989 il Giudice relatore Luigi Mengoni; Uditi gli avv.ti Maurizio Cinelli per la Cassa Nazionale di Previdenza ed Assistenza Avvocati e Procuratori e Sandro Amorosino per Amorosino Elia e l'Avvocato dello Stato Luigi Siconolfi per il Presidente del Consiglio dei ministri; Ritenuto in fatto 1. - Nel corso di un giudizio promosso dall'avv. Elia Amorosino, titolare di pensione di invalidita' dal 1 febbraio 1981, contro la Cassa nazionale di previdenza e assistenza degli avvocati e procuratori legali, per ottenere una sentenza che la dichiara "tenuta a corrispondere alla Cassa il contributo in misura pari al 3% del reddito con esclusione del contributo soggettivo minimo previsto dal terzo comma dell'art. 10 della legge n. 576 del 1980" a decorrere dal compimento del quinquennio successivo alla data del pensionamento, il Pretore di Roma, con ordinanza del 9 giugno 1988, ha sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 38 della Costituzione, due questioni di legittimita' costituzionale dell'art. 10, terzo comma, della legge n. 576 del 1980, l'una concernente il primo periodo, l'altra il secondo periodo (erroneamente indicato nell'ordinanza come "quarto comma"), aggiunto dalla legge 2 maggio 1983, n. 175. Ad avviso del giudice remittente, la norma contenuta nel primo periodo del comma in esame violerebbe i richiamati principi costituzionali nella parte in cui assoggetta a contribuzione anche gli avvocati e i procuratori legali che continuano l'esercizio della professione dopo il pensionamento per invalidita', o comunque nella parte in cui li assoggetta all'obbligazione contributiva in misura non inferiore a quella prevista per i titolari di pensione di vecchiaia. In subordine il giudice a quo impugna la norma contenuta nel secondo periodo, la quale riduce al solo contributo di solidarieta' del 3% del reddito professionale l'obbligazione contributiva a carico dei titolari di pensione di vecchiaia che continuano l'attivita' professionale, quando sia trascorso un quinquennio dalla data del pensionamento. La mancata previsione di tale beneficio anche in favore dei titolari di pensioni di invalidita' e' ritenuta contraria sia al principio di uguaglianza, sia al precetto dell'art. 38, secondo comma, della Costituzione. 2. - Nel giudizio davanti alla Corte si sono costituite la ricorrente e la convenuta Cassa di previdenza, chiedendo l'una l'accoglimento, l'altra il rigetto delle questioni. La ricorrente - dopo avere aderito in via principale alle argomentazioni svolte nell'ordinanza di rimessione e avere sottolineato che la lamentata disparita' di trattamento delle due categorie di pensionati appare ancora piu' evidente dopo la sentenza n. 1008 del 1988 di questa Corte - prospetta in via subordinata (ma, in verita', l'ordine logico delle due istanze dovrebbe essere invertito) la possibilita' di una interpretazione adeguatrice, secondo cui la riduzione dell'onere contributivo previsto dalla norma in esame sarebbe applicabile anche ai pensionati per invalidita'. La Cassa eccepisce anzitutto l'inammissibilita' di entrambe le questioni: della prima perche' eccedente l'oggetto del petitum dedotto nel giudizio a quo; della seconda per difetto di interesse attuale della ricorrente, non essendo essa in possesso delle condizioni di eta' previste dalla norma di cui chiede l'applicazione in suo favore. In secondo luogo, ad avviso della resistente, la questione e' infondata. Il differenziato regime contributivo delle due categorie di pensionati e' giustificato dalla diversita' delle rispettive fattispecie, la quale si traduce in una articolata differenziazione di disciplina giuridica, di cui quella attinente all'obbligazione contributiva e' soltanto un aspetto. Per i titolari di pensione di vecchiaia ultrasettantenni vengono in considerazione peculiari criteri di valutazione sia in ordine alla riduzione della capacita' di lavoro, sia in ordine al proporzionamento dell'obbligo contributivo secondo il principio di corrispettivita'. 3. - E' intervenuto il Presidente del Consiglio dei Ministri, rappresentato dall'Avvocatura dello Stato, concludendo per l'infondatezza della questione, con argomenti analoghi a quelli svolti dalla Cassa. L'Avvocatura sottolinea soprattutto la giustificatezza del diverso regime contributivo delle due categorie di pensionati dal punto di vista del principio di corrispettivita'. Considerato in diritto 1. - In linea principale il Pretore di Roma dubita della legittimita', in riferimento agli artt. 3 e 38 della Costituzione, dell'art. 10, terzo comma, primo periodo, della legge n. 576 del 1980 sulla previdenza forense, in quanto assoggetta indiscriminatamente all'obbligo di contribuzione piena alla Cassa anche i titolari di pensione di invalidita' che continuano l'esercizio della professione, anziche' esonerarli o almeno ridurne il carico contributivo in misura superiore alla riduzione poi concessa, con la disposizione aggiunta dalla legge n. 175 del 1983, ai titolari di pensione di vecchiaia: e cio' perche' gli invalidi meriterebbero maggiore considerazione ai fini di un alleggerimento dell'obbligo di contribuzione, essendo "per definizione costretti a una produttivita' massima pari a meno di un terzo del normale". La questione e' irrilevante per la decisione del giudizio a quo, e pertanto inammissibile. La ricorrente non e' andata oltre la domanda di una riduzione della contribuzione alla Cassa pari a quella prevista nel secondo periodo del comma sotto esame in favore dei pensionati per vecchiaia. 2. - In linea subordinata l'art. 10, terzo comma, citato e' ritenuto censurabile dal giudice remittente almeno nel secondo periodo, in quanto non estende ai titolari di pensione di invalidita' l'agevolazione contributiva accordata ai pensionati per vecchiaia, i quali, dopo cinque anni di attivita' professionale dalla data del pensionamento, sono esonerati dal pagamento del contributo soggettivo di cui ai primi due comma dell'art. 10, restando obbligati a pagare solo un contributo di solidarieta' nella misura del 3% del reddito. Sarebbero violati il principio di eguaglianza e il principio di adeguatezza della tutela previdenziale alle esigenze di vita, atteso che la ratio della riduzione contributiva, individuata "nella ridotta capacita' produttiva e di reddito del pensionato", inerisce all'invalidita' non meno che all'eta' avanzata. 3. - Occorre preliminarmente esaminare due eccezioni opposte l'una dalla Cassa, l'altra dalla ricorrente. A giudizio della Cassa, pure la seconda questione sarebbe irrilevante, e quindi inammissibile, mancando un interesse attuale della ricorrente. Il regime contributivo privilegiato, di cui essa lamenta il rifiuto di applicazione in suo favore, e' riservato ai professionisti pensionati da piu' di cinque anni, che abbiano compiuto i settant'anni, mentre la ricorrente e' ancora lontana dal raggiungimento di tale eta'. L'eccezione non ha pregio. La sola condizione di ordine temporale, cui e' assoggettata la riduzione contributiva prevista dalla norma impugnata, e' il compimento di cinque anni di attivita' professionale dopo il conseguimento della pensione. Per i titolari di pensione di vecchiaia, con riguardo ai quali la disposizione e' stata introdotta, la detta condizione implica che essi devono avere compiuto il settantesimo anno di eta'; questa specifica condizione, essendo una conseguenza del requisito di eta' pensionabile fissato dall'art. 2, primo comma, della legge n. 576 del 1980, non potrebbe riproporsi, in caso di accoglimento della questione, per i titolari di pensione di invalidita'. A sua volta, la ricorrente obietta che la questione dovrebbe essere respinta sulla base di una interpretazione "adeguatrice" che, diversamente da quella accolta dal giudice a quo, riconosca l'applicabilita' della norma denunziata anche ai pensionati per invalidita'. Ma la lettera della legge segna un limite invalicabile delle possibilita' di interpretazione: l'interpretazione antiletterale e' ammissibile solo quando sia evidente, alla stregua dell'interpretazione storica e/o logico-sistematica, che il legislatore e' caduto in un errore di linguaggio o in una falsa demonstratio. Nella disposizione aggiunta dalla legge del 1983 all'art. 10, terzo comma, della legge sulla previdenza forense l'esplicito richiamo dell'art. 2, ottavo comma, limita il campo di applicazione ai titolari di pensione di vecchiaia. 3. - Due ragioni, peculiari a questa categoria di pensionati, spiegano la mancata previsione di analogo beneficio in favore dei titolari di pensione di invalidita', e al tempo stesso la giustificano alla stregua di entrambi i parametri costituzionali indicati dal giudice remittente, onde la questione da lui proposta deve essere dichiarata non fondata. La prima ragione deriva dal principio di corrispettivita', rivalutato dalla riforma del 1980, ma incoerentemente pretermesso nell'originario terzo comma dell'art. 10, in relazione all'ipotesi dell'art. 2, ottavo comma. Poiche' questa norma concede un solo supplemento di pensione di vecchiaia, rapportato al quinquennio di attivita' professionale successivo alla maturazione del diritto a pensione, la legge del 1983, appunto in applicazione del criterio di correlazione tra contribuzione e prestazione previdenziale, ha soppresso per gli avvocati ultrasettantenni, che abbiano ottenuto la liquidazione definitiva della pensione, l'obbligo del contributo soggettivo, da essi precedentemente versato a fondo perduto, e li ha assoggettati soltanto a un contributo di solidarieta' del 3% (cfr. Corte cost. n. 1008 del 1988). Questa ratio non ricorre per i titolari di pensione di invalidita'. La contribuzione piena alla Cassa, alla quale rimangono obbligati senza limiti di tempo qualora proseguano l'attivita' professionale, trova un corrispettivo nella progressiva maturazione del diritto alla pensione di vecchiaia (art. 5, quinto comma, della legge n. 576 del 1981), tenuto presente che, per ipotesi, essi sono iscritti alla Cassa da una data anteriore al compimento del quarantesimo anno di eta'. D'altra parte, non va trascurato il rilievo che, per il fatto stesso di essere beneficiari di una pensione di invalidita', essi godono, a loro volta, di una tutela previdenziale privilegiata, sia sotto il profilo del requisito di anzianita' contributiva (dieci o anche solo cinque anni, a fronte dell'anzianita' trentennale richiesta per la pensione di vecchiaia), sia sotto il profilo della durata media della pensione. 4. - L'altra ragione giustificativa della limitazione dei destinatari della norma impugnata ai pensionati per vecchiaia si coglie nel fatto del "naturale regresso della capacita' di lavoro produttivo per l'avanzare dell'eta'" (cfr. sent. n. 62 del 1977). Al contrario, la residua capacita' dell'invalido all'esercizio della professione (capacita' specifica) e' stabile, e anzi, negli anni immediatamente successivi al pensionamento, puo' incrementarsi grazie a cure appropriate o anche per spontanea ripresa di forze dell'organismo o per capacita' di adattamento; tant'e' che la legge prevede due revisioni triennali per accertare la persistenza dell'invalidita', prima di ammettere la concessione definitiva della pensione.