IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE
   Ha pronunciato la seguente ordinanza sul ricorso proposto dal dott.
 Angelo Milana, dal dott. prof. Giuseppe Cominetti, dall'avv.  Alberto
 Bongiorni  e  dal  dott.  proc. Alberto Chiesa, tutti rappresentati e
 difesi dal dott.  proc.  Alberto  Chiesa,  elettivamente  domiciliati
 presso lo studio dell'avv. Claudio Soresi Bordini in Parma, via Borgo
 Antini, 3, contro l'intendenza di finanza  in  Piacenza,  in  persona
 dell'intendente  pro-tempore,  rappresentato e difeso dall'avvocatura
 dello Stato e presso di essa legalmente domiciliato  in  Bologna  via
 Marsala,  19,  e  nei  confronti  dei  Ministeri  delle finanze e del
 tesoro, in persona dei rispettivi Ministri pro-tempore non costituiti
 in  giudizio,  per  l'annullamento del decreto intenditizio 19 maggio
 1982, n. 1982, nonche' degli ordinativi di pagamento  dell'intendenza
 di  finanza di Piacenza pervenuti ai ricorrenti in data 3 giugno 1982
 per L. 1.463.400 quanto al dott. Milana, per  L.  749.165  quanto  al
 dott.  Cominetti,  per  L. 622.965 quanto all'avv. Bongiorni e per L.
 204.620 quanto al dott. Chiesa, previa  remissione  degli  atti  alla
 Corte costituzionale perche' giudichi sulle questioni di legittimita'
 costituzionale esposte in ricorso,  nonche',  per  l'annullamento  in
 quanto  illegittimi,  degli stessi decreti ed ordinativi di pagamento
 emessi sulla base del  d.m.  5  settembre  1981,  n.  39765,  perche'
 contrastanti con l'art. 12, secondo comma, del d.P.R. n. 636/1972;
    Visto il ricorso ed i relativi allegati;
    Visto  l'atto  di  costituzione  in giudizio dell'avvocatura dello
 Stato per l'intendente intimato;
    Visti gli atti tutti della causa;
    Udita  la  relazione  del  presidente  non  comparsi alla pubblica
 udienza del 19 dicembre 1988 i difensori delle parti costituite;
    Ritenuto e considerato in fatto ed in diritto quanto segue:
                               F A T T O
    Il  dott. Angelo Milana e' presidente della commissione tributaria
 di primo grado di Piacenza della quale fanno parte,  altresi',  quali
 componenti   il   dott.  proc.  Giuseppe  Cominetti,  l'avv.  Alberto
 Bongiorni, il dott. proc. Alberto Chiesa.
    In  data  3  giugno  1982  essa  hanno  ricevuto l'avviso relativo
 all'emissione da parte dell'intendenza di finanza di  Piacenza  sullo
 stato di previsione del Ministero delle Finanze per l'anno 1981 degli
 ordinativi di pagamento per gli importi indicati in epigrafe a  saldo
 compenso ricorsi decisi dalla commissione tributaria.
    Gli  interessati  considerando come il decreto intendentizio e gli
 ordinativi di pagamento relativi siano stati emessi in base  all'art.
 12, primo, secondo e terzo comma, del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636,
 (oltre che del decreto del Ministro delle  finanze  di  concerto  col
 Ministro  del  tesoro  2  giugno 1981 e della circolare del Ministero
 delle finanze, direzione generale del  contenzioso  n.  39765  del  5
 settembre 1981), hanno proposto il ricorso in epigrafe per i seguenti
 motivi:
      1)  Illegittimita'  costituzionale  dell'art.  12  del d.P.R. n.
 636/1972 per contrasto con l'art. 77  della  Costituzione  in  quanto
 eccederebbe  la  delega  di  cui  all'art.  10,  n. 14, della legge 9
 ottobre  1971;  n.  825,  comportante   solo   la   revisione   della
 composizione  del  funzionamento e delle competenze delle commissione
 tributarie,  escluso  qualsiasi  riferimento  alla   disciplina   nei
 compensi per i loro componenti.
    Inoltre  esso eccederebbe ulteriormente la delega di cui al citato
 art. 10, che avrebbe  inteso  assicurare  autonomia  ed  indipendenza
 delle  commissioni  tributarie,  in  quanto sarebbe esclusivo di tali
 garanzie consentendo al Ministero delle finanze di  determinare  anno
 per  anno e con assoluta discrezionalita' i compensi per ogni ricorso
 deciso dalle commissioni di  primo  grado,  nonche'  -  con  criterio
 inspiegabilmente  diverso - i compensi fissi mensili per i componenti
 della commissione tributaria centrale;
      2)  ulteriore  illegittimita'  del  citato art. 12 del d.P.R. n.
 636/1972 per contrasto con l'art. 3  della  Costituzione  in  quanto,
 diversamente  da  ogni altra pubblica funzione retribuita, i compensi
 dovuti ai  componenti  delle  commissioni  tributarie  non  sarebbero
 predeterminati    per    legge    e   sarebbero   ingiustificatamente
 differenziati  (compenso  mensile  fisso  per  i   componenti   della
 commissione  centrale;  compenso  unitario  per  ogni singolo ricorso
 deciso per i membri delle commissioni di primo e secondo grado);  pur
 trattandosi    di    soggetti    svolgenti    sempre   una   funzione
 giurisdizionale,  senza  contare  che  molto  spesso   la   qualifica
 necessaria  (magistrati  di  Cassazione  ed equiparati) per far parte
 della commissione centrale sarebbe  posseduta  anche  dai  componenti
 delle  commissioni  di  primo  e secondo grado (come il dott. Milana,
 ricorrente, magistrato di Cassazione nominato alle funzioni direttive
 superiori);
      3)  ancora  illegittimita' costituzionale del citato art. 12 per
 contrasto con gli artt. 24 e  36  della  Costituzione  in  quanto  la
 mancata  previsione  legislativa dei compensi de quibus violerebbe il
 diritto ad una retribuzione proporzionale alla quantita'  e  qualita'
 del lavoro svolto;
      4)  illegittimita'  del  d.m. 2 giugno 1981 e della circolare n.
 39765  del  5  settembre  1981  per  difetto  di  motivazione  e  per
 violazione  dell'art.  12,  secondo comma, del d.P.R. n. 636/1972, in
 quanto i compensi uniformi non  sarebbero  idonei  a  valorizzare  il
 contributo   di   attivita'   di   ciascun   componente.   Del  tutto
 ingiustificata sarebbe poi la liquidazione  forfettaria  delle  spese
 sostenute  per l'intervento alle sedute ai membri residenti in comuni
 diversi da quello in cui ha sede la commissione.
    I  ricorrenti  hanno  quindi  concluso  come in epigrafe chiedendo
 altresi' il favore delle spese di giudizio.
    Per  contrastare  l'iniziativa giurisdizionale si e' costituita in
 giudizio l'avvocatura erariale per conto dell'intimata intendenza  di
 finanza,  chiedendo che il ricorso venisse dichiarato inammissibile e
 che comunque venisse respinto nel merito con vittoria nelle spese  di
 giustizia.
    Con  successiva memoria depositata il 5 novembre 1988 l'avvocatura
 dello Stato ha  poi  fatto  rilevare  che  il  ricorso  ha  contenuto
 identico  a  quello  contrassegnato  col  n. 203/1983 che, nonostante
 riguardasse un anno successivo rispetto  all'attuale  e'  stato  gia'
 deciso con sentenza di questa Sezione n. 39/1984.
    Ha  fatto  riferimento  alle  argomentazioni  contenute  in quella
 sentenza confermando le richieste del ricorso introduttivo.
                             D I R I T T O
    L'avvocatura  erariale  ha  ritenuto  sufficiente  per  opporsi al
 ricorso in epigrafe  richiamare  le  motivazioni  della  sentenza  di
 questa  sezione n. 39/1984 con la quale e' stata disattesa un'analoga
 impugnazione relativa all'anno 1983.
    Il  collegio non condivide in tutto le argomentazioni con le quali
 le censure proposte in quel ricorso sono state respinte e deve quindi
 pervenire ad un provvedimento diverso.
    Le   eccezioni  di  incostituzionalita',  sotto  diversi  aspetti,
 dell'art. 12 del d.P.R. n. 636/1972 per contrasto con l'art. 77 della
 Costituzione,  per  l'interdipendenza  delle  considerazioni  che  le
 sorreggono, possono essere esaminate in un unico contesto logico.
    Non pare fondata innanzi tutto le censura di eccesso di delega sul
 rilievo  che  la  disciplina  dei  compensi  non  rientrerebbe  nella
 previsione  dell'art.  10,  n.  14,  della  legge  di  delegazione n.
 825/1971.
    Con  tale  norma  e' stato affidato al Governo della Repubblica il
 compito di disciplinare, conformemente  ai  principi  costituzionali,
 l'organizzazione e la funzionalita' delle commissioni tributarie.
    Orbene,   la   disciplina   dei   compensi   ai   componenti,  non
 professionalmente chiamati a svolgere quella funzione, in senso  lato
 attengono  al  funzionamento  di tali organi e all'organizzazione nel
 suo complesso di quella funzione. Manifestamente infondato sotto tale
 aspetto  appare quindi il richiamo all'art. 77 della Costituzione che
 ha  come  presupposto,  appunto,  l'estraneita'  della  materia  alla
 delega.
    Esiste   tuttavia   l'esigenza   di   assicurare   l'autonomia   e
 l'indipendenza  delle  commissioni  tributarie  nella  loro  funzione
 giurisdizionale,  di preservare le loro prerogative costituzionali da
 ipotizzabili  interferenze  organizzativo-funzionali   dell'autorita'
 politico-amministrativa   riconducibili   anche  all'attribuzione  ai
 Ministri delle finanze e del tesoro del potere di  determinazione  ad
 libitum  dei  compensi  unitari globali per ogni ricorso deciso dalle
 commissioni di primo e  secondo  grado  e  dei  compensi  mensili  ai
 componenti della commissione tributaria centrale.
    Tale  esigenza  pero' si ravvisa in relazione, non all'art. 77, ma
 al primo comma dell'art. 108 della Costituzione il quale afferma  che
 le  norme  su  ogni magistratura non possono essere stabilite che per
 legge.
    L'organo  per  legge  delegato dal Parlamento a porre norme aventi
 valore di legge (Governo) non puo' a sua volta, per un principio  mai
 smentito  nel  nostro  ordinamento,  delegare ai suoi componenti, che
 operano in tal caso come soggetti da  esso  distinti,  di  provvedere
 mediamente  provvedimenti,  che non sono piu' norme di legge, ma atti
 amministrativi. Cio' pur rilevando, per quanto  concerne  l'ammontare
 dei  compensi,  che  non  e'  detto che il compenso fissato per legge
 debba necessariamente essere piu' favorevole, piu'  adeguato  e  piu'
 aggiornato, del compenso fissato dall'amministrazione.
    Sotto  la  prospettazione  innanzi  enunciata va dunque sollevata,
 d'ufficio disattendendosi quella di parte  in  quanto  manifestamente
 infondata,  l'eccezione  di  incostituzionalita' dell'art. 12, n. 14,
 del d.P.R. n. 636/1972.
    Manifestamente  infondata  appare,  altresi', come e' stata posta,
 l'ulteriore  eccezione  di  incostituzionalita',  per  contrasto  con
 l'art. 3 della Costituzione, dell'art. 12 del d.P.R. n. 636/1972.
    Parte     ricorrente     ha    considerato    ingiustificate    le
 differenziazioni,  sia   nell'importo,   sia   nelle   modalita'   di
 determinazione,   dei   compensi   ai  componenti  delle  commissioni
 tributarie sotto due diversi aspetti.
    Il  primo, di natura obiettiva, riguarda l'unicita' della funzione
 giurisdizionale, sia per le commissioni di primo e secondo grado, sia
 della  commissione  centrale,  il  secondo,  di carattere soggettivo,
 attiene ai requisiti per far parte sia delle prime sia della  seconda
 che alcuni componenti (alti magistrati) possiederebbero.
    Va  subito  osservato  come  il  principio  di  uguaglianza di cui
 all'art. 3 della Costituzione non possa  operare  che  nella  parita'
 delle situazioni.
    La diversita' della retribuzione, nell'ammontare e nelle modalita'
 di determinazione, e' stata posta dal legislatore delegato sulla base
 di un giudizio di sostanziale diversita' delle prestazioni.
    E'  vero  quanto  e' stato affermato nella sentenza n. 39/1984 che
 l'attivita' delle commissioni di primo e secondo  grado  e'  piu'  di
 quantita'  essendovi l'esigenza di liberare la funzione tributaria da
 una miriade di impugnazioni di scarso contenuto giuridico-finanziario
 spesso  proposte  per  rinviare  il  pagamento  dei  tributi;  mentre
 l'attivita' della commissione tributaria centrale  opera  molto  piu'
 tecnicamente  sui  principi  della  funzione  tributaria  e  richiede
 riflessione, senza assillanti intendimenti di realizzo  quantitativo.
    Il legislatore delegato ha tenuto conto di tali differenziazioni e
 proprio con l'art. 12 soltanto per i componenti delle commissioni  di
 primo  e  secondo  grado ha posto una discriminazione retributiva che
 vuole considerare nella funzione che ciascuno  concretamente  svolge,
 il   contributo  concreto  di  attivita'  singolarmente  portato  ed,
 insieme,  degli  oneri  che  la  partecipazione  all'attivita'  delle
 commissioni comporta.
    Per  di  piu'  i  componenti  di tali commissioni, a differenza di
 quelli della commissione centrale, possono continuare a  svolgere  le
 libera  professione  ed  e' apparso ragionevole compensare di piu' il
 maggior tempo ad essa sottratto, incentivare la  loro  attivita'  per
 finalita' pubbliche.
    Del  secondo aspetto relativo alla partecipazione alle Commissioni
 di primo e secondo grado di componenti che hanno requisiti anche  per
 far  parte  della  commissione centrale va rilevata l'irrilevanza del
 momento che la funzione e' volontaria  e  non  puo'  quindi  influire
 sulla determinazione dei compensi.
    Non  si ritiene, dunque, che nelle differenziazioni delle funzioni
 che i componenti delle diverse commissioni sono chiamati a  svolgere,
 una  questione di incostituzionalita' possa essere posta in relazione
 all'art. 3 della Costituzione.
    Ma  neppure  si  puo'  concordare, dopo quanto si e' in precedenza
 considerato circa la necessita' di assicurare ai giudici autonomia ed
 indipendenza,  con  la  richiamata sentenza n. 39/1984 che ha escluso
 l'applicabilita' dell'art. 108 della Costituzione ai componenti delle
 commissioni tributarie in quanto magistrati non "professionali".
    Tale   articolo   afferma   al   primo   comma   che   "le   norme
 sull'ordinamento giudiziario e su ogni  magistratura  sono  stabilite
 per legge".
    L'ampiezza dell'espressione "su ogni magistratura" lascia ritenere
 che la Costituzione abbia inteso riservare alla disciplina  di  legge
 qualsiasi aspetto della funzione giurisdizionale, comunque svolta.
    E  tale opinione trova conferma nel secondo comma per il quale "la
 legge  assicura  l'indipendenza  dei  giudici   delle   giurisdizioni
 speciali",  non  solo,  ma  anche  "degli  estranei  che  partecipano
 all'amministrazione della giustizia".
    Se  dunque  la legge si occupa anche di coloro che occasionalmente
 si trovavano a dare il loro contributo alla funzione  giurisdizionale
 non  puo'  lasciar  estranei alla sua previsione coloro che, anche se
 non a tempo pieno e non professionalmente, sono stabilmente  inseriti
 nell'attivita' giurisdizionale a tutti gli effetti.
    Forse  sulla loro indipendenza non ha in concreto grande incidenza
 l'ammontare pur modesto dei compensi.
    Ma  la  Costituzione pone dei principi che valgono per ogni tempo,
 per ogni persona, per qualsiasi situazione,  principi  che  anche  in
 questo caso non possono non essere rispettati.
    Per   le   considerazioni  teste'  svolte,  dunque,  il  collegio,
 disattendendo,  siccome  manifestamente  infondata,  l'eccezione   di
 parte,  ritiene di rilevare d'ufficio l'incostituzionalita' dell'art.
 12 del d.P.R. n. 636/1982 per  contrasto  con  l'art.  108,  primo  e
 secondo comma della costituzione.
    Manifestamente  infondata  va,  infine, considerata l'eccezione di
 violazione da parte dell'art. 12 del d.P.R. n. 636/1972  degli  artt.
 36 e 24 della Costituzione.
    Gia'  si  e'  detto  del  carattere  complementare dei compensi ai
 componenti delle commissioni tributarie rispetto  ai  proventi  della
 loro attivita' professionale, quale che essa sia.
    Non   sono   quei   compensi,   dunque,   che  possano  assicurare
 all'interessato ed alla sua famiglia un'esistenza libera e dignitosa.
    Pur con tali limiti, comunque, il legislatore delegato ha dato una
 soluzione che si e'  proposta  di  conferire  ai  compensi  medesimi,
 carattere  retributivo differenziato adeguato all'attivita' richiesta
 e corrispondente alla qualita' del lavoro in concreto svolto.
    Ma  in  ogni caso, come gia' si e' rilevato, non si puo' affermare
 che  la  determinazione  dei  compensi,  se  affidata   alla   legge,
 necessariamente  sia piu' favorevole, agli effetti dell'art. 36 della
 Costituzione.
    Quanto  al  preteso  contrasto  con l'art. 24, parte ricorrente ha
 potuto invocare la tutela giurisdizionale  nella  situazione  attuale
 che ha ritenuto pregiudizievole.
    Quale  che siano la fonte dispositiva dei compensi ed i criteri di
 determinazione del loro ammontare, quella tutela esiste,  non  verra'
 meno e restera' adeguata come posta dall'ordinamento.
    Le   due   questioni  di  legittimita'  costituzionale,  sollevate
 d'ufficio,  riguardanti  il  rilevato  contrasto,  dedotto  sotto  un
 duplice aspetto, dell'art. 12 del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636, con
 l'art. 108 della Costituzione appaiono rilevanti per  la  definizione
 del  giudizio  di merito in quanto se fondate travolgerebbero, con la
 norma del decreto delegato, anche le  istruzioni  ministeriali  ed  i
 provvedimenti  di determinazione ed erogazione dei compensi avverso i
 quali il ricorso e' stato proposto.
    Ritiene,  pertanto  il  collegio  che  il  giudizio  debba  essere
 sospeso, rinviando al definitivo l'esame della censura di merito, per
 sottoporre  le  indicate questioni di incostituzionalita' al giudizio
 della Corte costituzionale.