ha pronunciato la seguente ORDINANZA nei giudizi di legittimita' costituzionale dell'art. 23, quarto comma, del decreto-legge 31 agosto 1987, n. 359 (Provvedimenti urgenti per la finanza locale), convertito nella legge 29 ottobre 1987, n. 440, promossi con ordinanze emesse il 2 febbraio 1988 (n. 2 ordinanze) dal Pretore di Pisa, il 10 dicembre 1987 e il 16 novembre 1987 (n. 2 ordinanze) dal Pretore di Firenze, iscritte rispettivamente ai nn. 359, 360, 361, 414 e 415 del registro ordinanze 1988 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica nn. 31, 34, 39 - prima parte speciale, dell'anno 1988; Visti gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei Ministri; Udito nella camera di consiglio del 14 dicembre 1988 il Giudice relatore Francesco Greco; Ritenuto che il Pretore di Pisa, nel giudizio tra Teti Michele e l'I.N.A.D.E.L., per ottenere la riliquidazione dell'indennita' premio di servizio con gli interessi e la rivalutazione monetaria, con ordinanza del 2 febbraio 1988 (r.o. n. 359 del 1988) ha sollevato questione di legittimita' costituzionale dell'art. 23, quarto comma, del decreto legge 31 agosto 1987, n. 359,convertito nella legge 29 ottobre 1987, n. 440, nella parte in cui esclude che le somme dovute a titolo di riliquidazione dell'indennita' premio di servizio diano luogo a corresponsione di interessi e rivalutazione monetaria, in riferimento agli artt. 3 e 38 della Costituzione; che, ad avviso del giudice a quo, le norme censurate determinerebbero disparita' di trattamento tra impiegati degli enti territoriali e altri lavoratori, per i quali l'adeguamento del credito e' automatico, e grave diminuzione del trattamento previdenziale, che diviene insufficiente a soddisfare le esigenze di vita del pensionato; che l'Avvocatura Generale dello Stato, intervenuta in rappresentanza del Presidente del Consiglio dei Ministri, ha concluso per la declaratoria di inammissibilita' o infondatezza della questione; che identica questione e' stata sollevata dallo stesso Pretore di Pisa nei procedimenti civili riuniti vertenti tra Orsini Rosa ed altri e l'I.N.A.D.E.L. con l'ordinanza del 2 febbraio 1988 (r.o. n. 360 del 1988); dal Tribunale di Firenze nel giudizio promosso da Brazzano ed altri contro l'I.N.A.D.E.L. con ordinanza del 10 dicembre 1988, pervenuta alla Corte il 5 luglio 1988, (r.o. n. 361 del 1988); dal Pretore di Firenze nei procedimenti civili riuniti vertenti tra Costanzo Orazio Filippo e altri e l'I.N.A.D.E.L. con ordinanza del 16 novembre 1987, pervenuta alla Corte il 12 luglio 1988 (r.o. n. 414 del 1988), e nel giudizio tra Galli Adolfo e l'I.N.A.D.E.L. con ordinanza sempre del 16 novembre 1987, pervenuta alla Corte il 12 luglio 1988 (r.o. n. 415 del 1988); che in tutti questi giudizi si e' costituita l'Avvocatura Generale dello Stato in rappresentanza del Presidente del Consiglio dei Ministri concludendo sempre per la inammissibilita' o infondatezza della questione; Considerato che tutti i ricorsi prospettano la stessa questione e che, per la evidente connessione, possono essere riuniti e decisi con un unico provvedimento; che questa Corte, con sentenza n. 1060 del 1988, ha dichiarato non fondata la questione per quanto riguarda la mancata previsione della rivalutazione delle somme erogate a titolo di riliquidazione dell'indennita' premio di servizio e fondata, invece, per quanto riguarda il diniego della corresponsione di interessi, con conseguente dichiarazione di illegittimita' costituzionale della norma impugnata nella parte in cui non prevede la corresponsione degli interessi per il ritardo nel pagamento della detta indennita' riliquidata secondo la sentenza di questa Corte n. 236 del 1986; che successivamente, con ordinanza n. 68 del 1989, la stessa questione e' stata dichiarata manifestamente infondata per il primo profilo, e manifestamente inammissibile per il secondo essendo la norma impugnata gia' espunta dall'ordinamento per effetto dell'intervenuta dichiarazione di illegittimita' costituzionale (sentenza n. 1060 del 1988); che anche per i giudizi in esame va emanata la stessa declaratoria, non essendo stati dedotti motivi nuovi, tali da indurre la Corte ad una modificazione della propria decisione; Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e l'art. 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi dinanzi alla Corte costituzionale.