IL TRIBUNALE PER I MINORENNI Ha pronunciato la seguente ordinanza nel procedimento n. 186/1988, delibazioni qui aperto a favore del minore Fiacchi Spaziani Marco (nato a Jarabocoa il 2 aprile 1988) su istanza dei coniugi Fiacchi Alfredo, nato a Valmontone il 4 aprile 1948 e Spaziani Serenella, nata a Valmontone il 18 aprile 1951 ed ivi residenti, via del Canale n. 22. F A T T O I coniugi Fiacchi Alfredo e Spaziani Serenella residenti a Valmontone (Roma), in data 5 novembre 1988 chiedevano a questo tribunale minorile la delibazione (rectius la dichiarazione di efficacia ai sensi degli artt. 32 e 33 della legge 4 maggio 1983, n. 184, ed ai fini della costituzione in Italia della adozione legittimante) di una sentenza di adozione emessa il 30 settembre 1988 a favore di essi istanti, dalla camera civile e commerciale della prima circoscrizione del tribunale di prima istanza del distretto di Santo Domingo, in ordine ad un minore dominicano (Marco, di mesi sette) riconosciuto solo dalla madre. Il pubblico ministero esprimeva parere favorevole. Il collegio, in fase deliberante, rilevava che nella specie (e con riferimento al codice civile della Repubblica di Santo Domingo) si trattava di una sentenza di adozione in forma ordinaria (artt. 358 e 367 di detto codice) e cioe' basate sul consenso a favore dei coniugi Fiacchi-Spaziani espresso, dalla madre del minore adottando, davanti ad un notaio e successivamente omologato dalla autorita' giudiziaria. Rilevava altresi' che in siffata forma di adozione non ricorreva la situazione legale di abbandono del minore adottando quale era invece specificatamente prevista e appositamente regolata dal successivo art. 368 del codice civile come presupposto unico e necessario dell'altro tipo di adozione denominata in forma privilegiata ("La adopcion privilegiada solamente es permitida en favor de los menores que no tengan cincos anos cumplidos, siempre que hayan sido abandonados por sus padres (= genitori), o que estos sean desconocidos o hayan muerto"). Cio' posto, e tenuto conto che la Corte di cassazione, con giurisprudenza pressoche' uniforme, ha costantemente ritenuto che non fosse di ostacolo alla "delibazione" in Italia ex artt. 32 e 33 della legge n. 184/1983, la natura ordinaria o consensuale delle adozioni pronunciate all'estero, questo collegio, non apparendo manifestamente infondata, riteneva di dover sollevare di ufficio la questione di legittimita' costituzionale della normativa di cui alla citata legge n. 184/1983 in materia di adozioni internazionali, cosi' come meglio specificato nella parte che segue. D I R I T T O Il legislatore italiano con la legge 4 maggio 1983, n. 184 ("Disciplina dell'adozione e dell'affidamento dei minori") al precipuo fine di sottrarre la adozione consensuale od ordinaria dei minori al gioco degli interessi degli adulti ed anche per stroncare il fenomeno (sempre piu' in espansione) del mercato dei bambini, molto spesso sottostante a tale tipo di adozione, e comunque per "costituire un punto di riferimento per un'evoluzione del nostro costume" (v. Relazione Senato n. 170) ha abolito l'adozione medesima salvo casi eccezionali che non contraddicono l'intento di fondo. In proposito sono illuminanti le considerazioni contenute nella detta relazione n. 170 del Senato della Repubblica, concernente la legge n. 184/1983 in fase di disegno: "si e' inteso riaffermare che gli istituti dell'adozione ordinaria... e dell'adozione speciale (che con una formula piu' adeguata e' stata chiamata adozione legittimante) non devono tendere a sradicare il minore dalla propria famiglia di origine approfittando delle difficolta' in cui questa puo' venirsi a trovare, ma devono essere considerati come strumenti eccezionali di attuazione del diritto del minore ad una famiglia, a cui si puo' e si deve ricorrere solo quando non sia assolutamente possibile realizzare il recupero della famiglia originaria" (pag. 2). "Si e' anche ritenuto opportuno, drasticamente, limitare l'istituto della adozione ordinaria per quanto riguarda i minori di 18 anni. L'adozione non legittimante - come piu' opportunamente e' stato definito tale istituto - appare anch'esso un istituto storicamente superato". "Ne' appare meritevole di tutela l'altra finalita' che successivamente e' stata perseguita con tale istituto: quella di fornire un figlio alla coppia che ne sia priva"; "Il minore che sia privo di una famiglia ha un suo autonomo diritto... a non vedersi fatto oggetto di un mercato o comunque di un accordo privatistico tra adulti la cui logica dell'accordo sara' fortemente se non esclusivamente condizionata dagli interessi degli adulti". "La adozione ordinaria - che consente questo contratto tra adulti avente ad oggetto il 'bene' minore, che non ammette una comparazione tra le coppie aspiranti alla adozione per individuare quella... piu' idonea a svolgere le difficili funzioni genitoriali... - appare chiaramente un istituto teso piu' a soddisfare esigenze degli adulti, comprensibili ma non meritevoli di particolare tutela, che reali bisogni del minore". "In realta' o il minore e' totalmente privo di famiglia, e allora e' opportuno ricorrere esclusivamente alla adozione legittimante... o ha solo una famiglia di origine in difficolta' ed allora appare sommamente ingiusto, proprio nei confronti dei suoi genitori, che si approfitti di questa situazione per espropriare il figlio e per inserirlo definitivamente in altra famiglia". "La adozione ordinaria diviene allora una scorciatoia... per sottrarsi all'impegno di aiutare i genitore a risolvere i propri problemi e per porli nella condizione... di poter concretamente attuare il proprio diritto al mantenimento, educazione ed istruzione dei figli, diritto che pur e' stato solennemente affermato nella tavola dei valori della nostra vita associata (art. 30 della Costituzione"). "La riduzione della adozione non legittimante ad alcuni casi tassativamente previsti e' essenziale... per evitare quella assurda concorrenza tra due istituti cosi' profondamente diversi che si e' venuta delineando in questi anni, a tutto danno dell'adozione speciale e quindi dei reali interessi del minore" (pagg. 3 e 4). Quanto al mercato dei bambini (che nell'ambito dei rapporti tra Stati e' un fenomeno addirittura assimilabile all'illecito internazionale da tempo conosciuto come "tratta dei minori" la citata relazione cosi' si esprime: "fenomeno che trova la sua causa prima in una diffusa mentalita' che considera il bambino da un lato un semplice bene di consumo indispensabile per realizzare una famiglia normale (e che quindi considera lecito qualunque mezzo per accaparrarsi un tale bene) e dall'altro un oggetto in proprieta' dei genitori che ne possono fare quello che vogliono. "I proponenti, pero' ritengono che la norma giuridica possa sia contenere il fenomeno sia costituire un punto di riferimento per una evoluzione del nostro costume". "Il mercato dei bambini costituisce in realta' una triste prova di incivilta': perche' riduce un essere umano ad una 'cosa'... perche' apre una 'caccia' al prodotto bambino lesiva della dignita' della persona umana; perche' consente spaventose pressioni psicologiche sulla donna madre al fine di spingerla a cedere il proprio figlio... perche' permette ampio spazio al ricatto economico ed affettivo dei genitori naturali" (pag. 5). In sintesi, dal momento che il disegno di legge sostenuto dalla relazione fin qui citata, si e' tradotto quasi interamente nella legge 4 maggio 1983, n. 184, non si puo' non convenire che con quest'ultima normativa si e' voluto - tra l'altro - porre fine (e "drasticamente") allo sradicamento dei minori dal loro nucleo di origine, alla loro mercificazione ed al ricatto economico delle coppie sterili abbienti verso quelle con prole ma indigenti; e, soprattutto, si e' inteso far evolvere il costume nel senso di sollecitare la collettivita' nazionale ad imegnarsi in una piu' fattiva e civile solidarieta' verso le famiglie in difficolta' (economiche, abitative, sanitarie, ecc.). Del resto tutto cio', nella sua sostanza, e' stato avvertito da codesta Corte costituzionale, ed in modo particolare nella recente sentenza n. 182 del 18 febbraio 1988. Quest'ultima decisione, oltre a porre l'accento sulla evoluzione della civilistica europea nel senso del superamento della figura della adozione consensuale (indicata come adozione-contratto) e della connotazione pubblicistica dell'istituto adottivo dei minorenni, da' il massimo risalto alla ratio della legge n. 184/1983 esattamente focalizzata nel perseguimento dell'esclusivo interesse del minore, valutato e realizzato solo dal giudice (e quindi disancorato dalla volonta' o consenso dei privati) e comportante la adozione legittimante solo se ricorra uno stato di abbandono del minore stesso (che ne e' il presupposto necessario: punto 4 della sentenza). In detta decisione inoltre il consenso dei privati e' correttamente ridimensionato nella sua portata, e comunque appare giustificato solo dalla presenza e dall permanenza della famiglia di origine del minore il che, nella adozione legittimante, e' del tutto escluso data la natura stessa dell'istituto. Da quanto fin qui esposto deriva inoppugnabilmente, per quel che concerne la materia della adozione dei minori stranieri, che tra i principi fondamentali che regolano nel nostro Stato il diritto di famiglia e dei minori (principi richiamati dall'art. 32, lett. c) della legge n. 184/1983 come condizionanti l'efficacia in Italia dei provvedimenti latu sensu adottivi emessi all'estero), vi e' quello dello stato di abbandono del minore adottando, obiettivamente accertato dalla autorita', come imprescindibile presupposto per il totale e definitivo sradicamento del minore stesso dalla famiglia di origine (quale si realizza appunto con la delibazione di cui al citato art. 32 e il successivo e conseguente decreto di adozione legittimante ex art. 25: vedi art. 33, secondo comma). E, per converso, non puo' non esserci anche l'altro principio della assoluta irrilevanza (se non addirittura della ileicita': ved. sotto) del consenso alla adozione da parte della famiglia di origine straniera, specie se concesso a favore di una determinata coppia di coniugi italiani. E cio' proprio per quelle stesse ragioni (possibile mercato dei bambini o "ricatto" economico dei genitori, spinta sociale alla solidarieta') che hanno indotto il legislatore ad abolire in Italia la adozione consensuale dei minori. Adozione che - e' bene ricordare - veniva posta in essere oltreche' col consenso dei privati, anche con il provvedimento finale (decreto) dell'autorita' giudiziaria. Senza contare che, indipendentemente dalla prova o dal pericolo di un fine illecito sottostante e senza tener conto della ratio della legge n. 184/1983, la adozione di un minore straniero effettuata all'estero secondo lo schema della vecchia adozione ordinaria da noi non piu' accolto (consenso dei privatii - semplice provvedimento omologativo della autorita') non puo' non dar vita ad un assurdo logico-giuridico in considerazione degli effetti legittimanti finali garantiti dalla legge n. 184/1983 a siffatto tipo di adozione (v. art. 33, primo e secondo comma, della legge n. 184/1983). Invero costituendosi un nuovo status di filiazione legittima in capo al minore straniero e troncandosi cosi', alla radice, ogni legame giuridico e di fatto coi genitori, il consenso di questi ultimi a favore di una coppia e' del tutto fuori luogo se non addirittura palesemente illecito o immorale (specie secondo l'ottica che ha dato vita alla legge n. 184/1983). In particolare il genitore straniero, sapendo (o dovendo sapere) che con il suo consenso il proprio figlio minore andra' a vivere in un nucleo familiare venuto da lontano e pressoche' sconosciuto, e con la prospettiva di perdere per sempre qualsiasi legame o contatto con lui, in tanto si induce a prestare il consenso medesimo in quanto: a) intende disfarsi del figlio perche' indesiderato o incomodo; b) e' costretto a farlo, pur contro la sua volonta' e forzando i suoi affetti profondi, in quanto in tal modo e' convinto di assicurare al figlio stesso un avvenire migliore. Nel primo caso il "consenso" e' chiaramente illecito in quanto non esprime altro che una volonta' di abbandono ad personam, vale a dire costituisce un vero e proprio atto di cessione del minore stesso a terzi (il che e' addirittura reato nel nostro ordinamento: art. 71 della legge n. 184/1983). Nel secondo caso e' quanto meno immorale dal momento che esso e' chiaramente frutto di una violenza psichica scaturente dalla poverta' o da difficolta' analoghe. E non e' certo il successivo provvedimento semplicemente dichiarativo o omologativo della autorita' che puo' sanare il vizio di fondo di un consenso comportante la perdita definitiva e totale del figlio minore. Se cosi' fosse la stessa legge n. 184/1983 non avrebbe avuto alcuna ragione di essere emanata, e non si sarebbe mai dovuto accogliere il principio della evoluzione in senso pubblicistico e solidaristico della adozione dei minori cosi' come precedentemente indicato e fatto proprio anche dalla stessa Corte costituzionale. Che poi altri ordinamenti stranieri (che non e' certo quello della Repubblica di Santo Domingo che ha previsto, per le situazioni di abbandono dei minori la adozione in forma privilegiata, corrispondente alla nostra adozione legittimante) non si siano adeguati a siffatta evoluzione o siano comunque rimasti tuttora ancorati al vecchio schema di adozione-contratto, cio' non puo' e non deve essere giustificato; neppure sulla base della esigenza internazionale di coordinare le verie legislazioni statali: sarebbe un'inammissibile regresso civile che i principi dell'ordine pubblico interno hanno il compito di impedire. Se tutto cio' e' vero, non si vede come si possa dare ingresso nel nostro ordinamento e col valore finale di adozione legittimante, sia pure attraverso il meccanismo della delibazione (o dichiarazione di efficacia) come semplice affidamento preadottivo (v. artt. 32 e 33 della legge n. 184/1983) a qualsiasi provvedimento straniero, di adozione o di tutela dei minori basato sul consenso dei genitori o comunque privo di un qualsiasi autonomo accertamento autoritativo dell'obiettivo stato di abbandono in cui versano i minori stessi. E' cio' contrariamente a quanto invece ritiene la Corte di cassazione tutte le volte che si e' occupata dall'argomento (ved. ad esempio sentenze nn. 5589, 7531 e 8506 del 1987). La suprema Corte, in sintesi, ritiene che il consenso dei genitori stranieri all'adozione dei loro figli minori non sia in contrasto con i principi fondamentali in quanto esso non da' vita ad un atto meramente privatistico, ma essendo soggetto ad un'omologazione successiva o autorizzazione preventiva da parte dell'autorita' straniera competente, cio' che conta e' la presenza del provvedimento di tale autorita'; e la recezione del provvedimento stesso nell'ordinamento italiano e' imposta dalla necessita' di coordinamento tra le varie legislazioni straniere; senza contare, continua la s.C., che tale provvedimento straniero non viene dichiarato efficace quanto al suo vero contenuto, ma come presupposto di un iter (affidamento preadottivo di un anno; pareri del p.m. e del tutore italiani; decreto di adozione) che e' solo ed esclusivamente italiano; inoltre, afferma ancora la Corte suprema, il consenso dei privati e' previsto dalla stessa legge 184 (art. 44) e nella Convenzione di Strasburgo (24 giugno 1967) ratificata dall'Italia con legge 22 maggio 1974, n. 357. In contrario agli assunti della Corte di cassazione, e senza richiamare ancora una volta la ratio della legge n. 184/1983, questo collegio non puo' non far rilevare innanzi tutto che anche la abrogata adozione consensuale dei minori italiani non era un atto meramente privatistico ma soggetto alla successiva "omologazione" della autorita' giudiziaria, cosicche' non puo' non emergere la obiettiva incongruenza logica di far rientrare per altra via, nell'ordinamento interno, quanto si era "drasticamente" inteso espungere con la normativa del 1983. Incongruenza logica che, nel caso di specie, cade nel paradosso. Invero, se si pervenisse alla adozione legittimante italiana (corrispondente a quella privilegiata di Santo Domingo) dei due minori dominicani, il nostro Stato finirebbe per creare in capo ad essi quella stessa adozione privilegiata che invece il loro Stato di appartenenza ha voluto escludere procedendo a quella ordinaria. Il che, oltre ad essere palesemente lesivo della sovranita' della Repubblica di Santo Domingo, costituirebbe una inammissibile ingerenza nella sua "politica" sociale e giudiziaria. Quanto poi alla adesione italiana alla Convenzione europea di Strasburgo, che prevede il consenso dei genitori per poter procedere alla adozione dei loro figli minori, basta osservare: a) che si tratta di una convenzione risalente ad oltre 21 anni fa, quando ancora le esigenze di impegno solidaristico verso le famiglie in difficolta' erano meno avvertite e comunque il mercato dei bambini non aveva assunto la rilevanza interna e internazionale attuale; b) che la convenzione prevede la non operativita' del consenso, sia pure in casi eccezionali (art. 5, n. 2, in fine) e tale e', per la legge italiana (n. 184/1983) la adozione di una persona minore d'eta', cioe' in realta', la situazione di abbandono in cui versa il minore stesso: la sola che possa giustificare la di lui adozione con effetti legittimanti (e nella quale, come sopra si e' visto, il consenso dei genitori non ha alcuna giustificazione ne' efficacia). La Corte suprema ritiene inoltre che il consenso dei genitori stranieri a favore di una coppia italiana costituisca un vero e proprio atto di abbandono del minore, piu' che giustificante la delibazione ex art. 32 della legge n. 184/1983). A cio' basta opporre la ricordata illiceita' o immoralita' di siffatto consenso (con conseguente irrilevanza giuridica dell'atto consensuale e di quelli successivi: nemo jure suo utitur qui in re illicita versatur) e la inidoneita' ad adottare in cui viene a trovarsi la coppia italiana che si appropria di un minore consensualmente abbandonato nelle loro mani dai genitori (v. art. 71, terzo comma, della legge n. 184/1983). La tesi della Corte di cassazione circa la valutazione del consenso genitoriale come inequivocabile indice di uno stato di abbandono del minore adottando, non e' accoglibile neppure se il consenso stesso risultasse dato in incertam personam (anziche' a favore di una coppia determinata) e cioe' costituisse una specie di preventivo benestare concesso alla pubblica autorita' a che il figlio minore sia dato in adozione ad una coppia autonomamente scelta e selezionata dalla autorita' stessa. E cio' perche', secondo questo tribunale, il consenso in questione sarebbe ugualmente illecito o immorale o frutto di violenza, per le ragioni piu' sopra indicate; ed inoltre sarebbe irrilevante o comunque insufficiente a costituire di per se' una situazione di abbandono dovendo la situazione stessa essere accertata al di fuori di (e se occorre anche contro) la volonta' degli adulti e trovare fondamento su fatti gravi o su dati oggettivi che facciano emergere come irrecuperabile e irreversibile la situazione abbandonica in capo al minore oggetto del "consenso". Solo in tal modo l'intervento autoritativo trova la sua ragione di essere ed e' espressione di un costume civile degno di questo nome. E cio' e' tanto vero che sul punto il legislatore italiano ha dimostrato la massima concordanza con gli impegni di fondo della legge 184. Invero, mentre nel disegno di legge di cui alla relazione n. 170 sopra citata era previsto (art. 15) l'immediato affidamento preadottivo quando vi era il consenso dei genitori alla adozione legittimamente, nel testo definitivo della legge tale consenso in incertam personam non e' stato piu' preso in considerazione: segno evidente che il legislatore, in coerenza con gli intenti di fondo, lo ha voluto espungere siccome connotato da illiceita' o immoralita'. Quanto infine alla tesi della s.C. secondo cui: a) occorre tener conto della diversita' degli ordinamenti stranieri, e quindi del possibile contrasto di efficacia tra provvedimenti adottivi in campo internazionale; b) il provvedimento straniero e' solo un semplice presupposto dell'iter procedimentale italiano che sfocia nel decreto di adozione avente natura costitutiva, si osserva brevemente. La tesi del "semplice presupposto" e' smentita dalla lettera della legge che prevede (art. 32) la "dichiarazione di efficacia" del provvedimento straniero analogamente a quanto previsto dalle norme del codice di rito sulla delibazione in genere (art. 796 e segg. del c.p.c.). Di tal che la giurisprudenziale degradazione del provvedimento straniero da atto autoritativo a semplice presupposto, ed il suo legislativo stravolgimento di efficacia (da adozione semplice o consensuale alla adozione legittimamente, sia pure non immediata) sembrano a questo collegio non infondatamente porsi in contrasto con l'art. 10 della Costituzione laddove la norma di diritto internazionale unanimemente riconosciuta del rispetto della sovranita' degli altri Stati, e quindi del contenuto degli atti emessi dalle loro autorita' legittime, richiede che si rispettino le decisioni straniere nella loro portata e nella loro efficacia integrale (sempreche' conformi ai principi interni tra cui, nella materia de quo, quelli fondamentali che regolano nello Stato il diritto di famiglia e dei minori: art. 32, lett. c), della legge n. 184/1983) e non invece che le si utilizzino per quanto di opportunita'. Questo e non piu' di questo esige il coordinamento dei vari ordinamenti giuridici in campo internazionale. Cio' posto ed anche riassumendo, il collegio ritiene che il provvedimento straniero debba essere delibato nel suo proprio contenuto e quindi essere considerato come titolo o fonte (e non semplice presupposto) per la costituzione di una adozione legittimante italiana, soltanto se in esso vi e' l'accertamento autoritativo di uno stato di abbandono del minore straniero. Se lo stesso e' fondato sul consenso delle parti, sia pure omologato dall'autorita', giammai potra' essere dichiarato efficace ai sensi dell'art. 32 della legge n. 184/1983 in quanto in contrasto coi principi fondamentali ispiratori della legge stessa. A parte il dubbio non infondato di costituzionalita' sopra rilevato (art. 10 della Costituzione) la contraria interpretazione della Corte di cassazione costantemente seguita in ordine alla efficacia delle adozioni consensuali straniere, fa sorgere ulteriori e addirittura macroscopici dubbi di legittimita' costituzionale dell'art. 32, lett. c), della legge n. 184/1983 (laddove consente, in quanto ritenuta non contraria ai principi fondamentali che regolano nello Stato il diritto di famiglia e dei minori, la dichiarazione di efficacia delle adozioni straniere consensuali e/o comunque prive dell'accertamento di uno stato di abbandono del minore interessato); nonche' del successivo art. 33 stessa legge (laddove consente, sulla base di un provvedimento in tal modo dichiarato efficace, di dar vita immediatamente o dopo il periodo di affidamento preadottivo, alla adozione legittimante di un minore straniero). Ricordati gli assunti espressi da codesta Corte costituzionale sulla discrezionalita' riservata al legislatore (anche nella specifica materia delle adozioni dei minori: sentenza 1 luglio 1983, n. 214) e ritenutili superati da quelli piu' volte affermati dalla Corte stessa sulla ragionevolezza della disciplina legislativa come limite a siffatta discrezionalita' e come cardine del rispetto dell'art. 3 della Costituzione, sembra a questo tribunale che consentire a coniugi italiani di poter procedere ad una adozione legittimante avvalendosi di un provvedimento di adozione di un minore straniero basato sul consenso dei genitori, costituisca palese violazione dei principi informatori della legge n. 184/1983 tale da rendere la legge stessa non piu' ragionevole in rapporto alle sue finalita' ed ai suoi contenuti (accertamento giudiziale e contenzioso dello stato di abbandono; scelta delle coppie idonee; repressione della "caccia" ai minori, ecc.). Detto art. 3 della Costituzione sembra inoltre essere violato anche sotto il profilo che, a favore dei coniugi italiani che si avvalgono delle procedure consensuali straniere, di fatto si costituisce un privilegio o trattamento ingiustificato o differenziato di favore (quanto a possibilita' di soddisfare il desiderio di avere figli) legato sostanzialmente alle possibilita' economiche dal momento che e' notorio l'esborso di somme non esigue per ottenere adozioni all'estero. Infine - ed e' quello che piu' conta ad avviso di questo tribunale minorile - creare adozioni legittimanti partendo da adozioni consensuali straniere, non puo' non apparire una scelta incongrua del legislatore in quanto viola la garanzia, valida in forza dell'art. 2 della Costituzione anche per i minori stranieri, dei diritti umani a loro favore tra i quali vi e' quello di non essere oggetto di "mercato", di mantenere i legami con la famiglia di origine se non vi e' uno stato di abbandono, e di essere collocati in una idonea famiglia degli affetti solo se tale stato e' accertato sussistente dalla autorita' a cio' preposta. Il che, essendo garantito per il minore italiano con la legge n. 184/1983, costituisce anche violazione dell'art. 3 della Costituzione sotto il profilo dell'ingiustificata limitazione del favor minoris solo al minore di cittadinanza italiana (ved. sentenza della Corte costituzionale n. 199 del 18 luglio 1986). Quanto alla rilevanza dei dubbi di costituzionalita' evidenziati, emerge da se' che una eventuale declaratoria di incostituzionalita' dell'art. 32, lett. c), della legge n. 184/1983 - nella sua portata di norma vivente a causa del significato che occorre attribuirgli sulla base della costante interpretazione della Corte di cassazione - comporterebbe, nel caso di specie, la declaratoria di non efficacia del provvedimento del giudice straniero a favore dei coniugi italiani indicati in epigrafe con conseguente rigetto della loro istanza. Essendo poi quest'ultima istanza finalizzata ad ottenere l'adozione o l'affidamento preadottivo di cui al successivo art. 33, primo e secondo comma, della legge n. 184/1983, e' evidente la rilevanza dell'eventuale incostituzionalita' di tale norma nell'attuale procedimento. A questo punto si pone un'ulteriore questione di costituzionalita'. Invero, per il disposto dell'ultimo comma dell'art. 33 della legge n. 184/1983, alla declaratoria di inefficacia del provvedimento adottivo estero consegue l'apertura di ufficio della procedura per la dichiarazione dello stato di abbandono del minore straniero (onde poi darlo in affidamento preadottivo ad una coppia scelta da questo tribunale tra altre idonee: art. 22, secondo comma, della legge n. 184/1983) "dandone comunicazione, per il tramite del Ministero degli affari esteri, allo Stato di appartenenza del minore". Quest'ultima disposizione sembra anch'essa violare l'art. 10 della Costituzione (rispetto della sovranita' degli Stati esteri e dell'autorita' delle decisioni dei suoi organi legittimi: ved. sopra) laddove impone automaticamente l'apertura in Italia di un procedimento per la declaratoria dello stato di adottabilita' o di abbandono senza che vi sia in proposito o un preventivo benestare dello Stato straniero da cui il minore proviene e di cui e' cittadino, ovvero una mancata richiesta di rimpatrio da parte di tale Stato. La rilevanza di quest'ultimo dubbio e' anch'essa evidente trattandosi di osservare o meno la normativa citata (artt. 33, ultimo comma e 37 della legge n. 184/1983) nell'eventualita' di non declaratoria di efficacia del provvedimento adottivo straniero e cioe' di rigetto della istanza introduttiva del presente procedimento.