LA CORTE DEI CONTI
    Ha   pronunciato   la   seguente   ordinanza   nel   giudizio   di
 responsabilita' istituito dal procuratore generale nei  confronti  di
 Cimini  Giorgio, Sgammotta Pasquale, Boccia Ciro, Boccia Angelino, Di
 Vito Carlo, Boccia Secondo, De Arcangelis Mattia,  Mariotti  Susanna,
 Tatti  Alberico, Leone Nicolangelo, Boccia Donato, Ursitti Beniamino,
 Gizzi Francesco, Cellone Emanuele, Boccia Giovanni, Sgammotta Donato,
 Sgammotta Vincenzo, Paglia Vincenzo, Ferrazza Emidio;
    Visto  l'atto  introduttivo del giudizio iscritto al n. 164/EL del
 registro di segreteria;
    Visti gli altri atti e documenti della causa;
    Uditi,  nella  pubblica  udienza del 1› dicembre 1987, il relatore
 cons. Massimo Vari, nonche' il pubblico ministero in persona del vice
 procuratore generale dott. Mario Casaccia;
                           RITENUTO IN FATTO
    Con  atto  di  citazione  del  20  febbraio  1984,  il procuratore
 generale della Corte dei conti ha convenuto  in  giudizio  i  signori
 Giorgio  Cimini,  Pasquale  Sgammotta,  Ciro Boccia, Angelino Boccia,
 Carlo  Di  Vito,  Secondo  Boccia,  Mattia  De  Arcangelis,   Susanna
 Mariotti, Alberico Tatti, Nicolangelo Leone, Donato Boccia, Beniamino
 Ursitti, Francesco Gizzi, Emanuele Cellone,  Giovani  Boccia,  Donato
 Sgammotta,  Vincenzo  Sgammotta,  Vincenzo Paglia ed Emidio Ferrazza,
 consiglieri ed amministratori del  Comune  di  Opi,  per  rispondere,
 ciascuno  in  proporzione della propria quota di responsabilita', per
 il  danno  ambientale  ed  ecologico  prodotto  al  Parco   nazionale
 d'Abruzzo.
    Premette l'atto di citazione che, in dispregio della deliberazione
 del consiglio d'amministrazione dell'Ente  autonomo  Parco  nazionale
 d'Abruzzo  e  del successivo avviso-ordinanza del 1› gennaio 1975 del
 parco  stesso,  il  comune  di  Opi  aveva  adottato  una  serie   di
 provvedimenti,  in  cui senza alcun riferimento alle leggi in materia
 ed ignorando le prescrizioni di cui ai provvedimenti dell'Ente  parco
 aveva  autorizzato  attivita' campeggistiche dalle quali era derivato
 danno ai valori ambientali ed ecologici del parco stesso.
    L'atto  introduttivo  del  giudizio ricordati i vari provvedimenti
 adottati al riguardo dalla amministrazione  comunale  -  e  cioe'  la
 delibera   consiliare  n.  35/1979,  il  provvedimento  sindacale  n.
 1411/1979,  la  delibera  consiliare  n.  37/1980,  i   provvedimenti
 sindacali  nn.  1256, 1366 e 1216 del 1980, la delibera consiliare n.
 15/1983, i provvedimenti sindacali nn. 1052 e 1953 del  1983  nonche'
 il ciclostilato fatto diffondere ai campeggiatori dal sindaco ritiene
 che il pregiudizio cosi' arrecato costituisce  danno  cagionato  allo
 Stato,  ai  sensi dell'art. 82 del regio decreto 18 novembre 1923, n.
 2440, e dell'art. 52 del regio decreto 12 luglio 1934, n.  1214,  del
 quale sono tenuti a rispondere coloro che parteciparono, nella veste,
 rispettivamente, di consigliere ovvero di sindaco,  all'adozione  dei
 vari   provvedimenti,  che  comportarono  il  lamentato  pregiudizio,
 rimettendo, peraltro, al collegio la  determinazione  equitativa,  ex
 art. 1226 del c.c., del quantum del danno stesso.
    I convenuti si sono costituiti in giudizio con il patrocinio degli
 avvocati Eugenio Cannada Bartoli e Maria Athena Lorizio, i quali, con
 due memorie, depositate il 19 aprile 1985 e il 24 ottobre 1985, hanno
 chiesto:
      1)  in  via  principale dichiararsi il difetto di giurisidizione
 della Corte dei conti;
      2)  in  via  gradata,  dichiararsi  esenti  da responsabilita' i
 convenuti e, nella denegata ipotesi che venisse accertato  un  danno,
 chiamarsi   come   responsabile  il  Parco  nazionale  d'Abruzzo  con
 l'estromissione dei convenuti stessi. Con ulteriore memoria, in  data
 30   ottobre  1985,  la  difesa  dei  convenuti,  nel  produrre  atti
 riguardanti il giudizio, insiste nelle gia' prese conclusioni.
    All'odierna  udienza dibattimentale, il pubblico ministero solleva
 la questione di legittimita' costituzionale negli  stessi  termini  e
 modi  in cui la Sezione gia' avuto modo di esprimersi, circa la legge
 in materia di danno ambientale.
                         CONSIDERATO IN DIRITTO
    Osserva,  preliminarmente,  il  collegio  come,  con riguardo alla
 fattispecie portata al suo esme, sia da valutare  l'incidenza,  sotto
 il  profilo  della  potestas  decidendi,  dell'art.  18 della legge 8
 luglio 1986, n. 349, che - dopo  aver  disposto,  al  1›  comma,  che
 qualunque  fatto  doloso  o  colposo in violazione di disposizioni di
 legge o di provvedimenti adottati in base  a  legge  che  comprometta
 l'ambiente,  ad  esso  arrecando danno, alterandolo, deteriorandolo o
 distruggendolo in tutto o in parte, obbliga  l'autore  del  fatto  al
 risarcimento  del  danno  nei  confronti dello Stato - stabilisce, al
 secondo comma, che la giurisdizione in materia appartiene al  giudice
 ordinario,  ferma quella della Corte dei conti di cui all'art. 22 del
 decreto del Presidente della Repubblica 10 gennaio 1957, n. 3.
    Vale a dire quella riguardante l'azione di rivalsa dello Stato nei
 confronti dei propri dipendenti, in caso di avvenuto risarcimento, da
 parte dello Stato, di danni subiti da terzi.
    Dispone, poi, il terzo comma del medesimo articolo 18 che l'azione
 di risarcimento del danno ambientale e' promossa dallo Stato  nonche'
 dagli  enti  territoriali sui quali incidono i beni oggetto del fatto
 lesivo.
    Consegue   da   quanto   detto   che  l'art.  18,  secondo  comma,
 nell'affidare la giurisdizione in  materia  di  danno  ambientale  al
 giudice  ordinario,  incide  immediatamente sul presente giudizio con
 conseguente sottrazione  di  potestas  decidendi  a  questo  giudice,
 venendo  cosi'  a porre il problema della legittimita' costituzionale
 delle richiamate norme.
    Questione  che,  per  quanto  sopra  considerato, appare, percio',
 rilevante ai fini del decidere.
    Rileva  al riguardo il Collegio che, in base all'art. 103, secondo
 comma, della costituzione, la Corte dei  conti  ha  giurisdizione  in
 materia di contabilita' pubblica.
    La  nozione di contabilita' pubblica accolta in detto articolo, si
 ricava dall'interpretazione della stessa Corte costituzionale,  (cfr.
 sentenza  n.  68  del 5 aprile 1971) secondo la quale, deve ritenersi
 che il secondo comma dell'art. 103 della Costituzione, nel  riservare
 alla  giurisdizione  della Corte dei conti le materie di contabilita'
 pubblica, da un lato e sotto l'aspetto oggettivo, ne abbia assunto la
 nozione  tradizionalmente  accolta nella legislazione vigente e nella
 giurisprudenza, comprensiva dei giudizi  di  conto  e  di  quelli  di
 responsabilita'.  Elemento  di qualificazione di quest'ultimo tipo di
 responsabilita' ed al tempo stesso discretivo  rispetto  alla  comune
 responsabilita'  civile  va,  secondo  la citata sentenza, ravvisato,
 essenzialmente, nel rapporto  interno  di  servizio  tra  l'agente  e
 l'amministrazione  che  costituisce,  cosi', il punto di raccordo tra
 finanza e contabilita' pubblica e  la  responsabilita'  dei  pubblici
 dipendenti per i danni da essi recati - direttamente o indirettamente
 - all'amministrazione di appartenenza. Il  tutto  nell'ambito  di  un
 sistema nel quale "giudizi di conto e giudizi di responsabilita', sia
 questa  contabile  o  civile,  sono  strettamente  connessi",  mentre
 l'ambito di cognizione riservato alla Corte dei conti, secondo quanto
 precisato  dalla  stessa  Corte  costituzionale  (cfr.  sentenza   n.
 201/1976),  e' tale da coprire tutte le ipotesi delle responsabilita'
 da illecito del dipendete.
    In  armonia  con  i  ricordati insegnamenti, e' da ritenere che la
 materia della responsabilita' dei pubblici funzionari  per  il  danno
 ambientale   rientri,   percio',   nell'ambito   della  giurisdizione
 spettante alla Corte dei conti, alla stregua dell'art.  103,  secondo
 comma, della Costituzione.
    Appare,  nel  contempo,  singolare  che  una legge, quale quella 8
 luglio 1986, n. 349, nel momento stesso in  cui  qualifica  il  danno
 ambientale  come danno risarcibile allo Stato (art. 18, primo comma),
 risolvendo, con espressa definizione legislativa,  quei  problemi  di
 titolarita'  degli  interessi  lesi che la giurisprudenza della Corte
 dei  conti  aveva  risolto  per  via  di   travagliata   elaborazione
 giurisprudenziale,  neghi  la  giurisdizione  all'organo che, secondo
 l'art. 103 della Costituzione, e' il giudice naturale del danno  allo
 Stato  stesso,  derivante da violazione degli obblighi di servizio di
 funzionari e dipendenti pubblici.
   Va  infatti,  considerato  che, in un sistema d'amministrazione sub
 lege, l'individuazione degli interessi di cui e' portatore lo Stato -
 apparato   e'   rimessa  alla  definizione  normativa  da  parte  del
 legislatore, sicche' il sopra ricordato  enunciato  della  legge  da'
 base testuale all'ambiente quale bene che appartiene allo Stato.
    Cio'  premesso,  occorre  considerare  che, nella visione generale
 della legge n. 349/1986, il dato ambientale appare quale  oggetto  di
 una serie di mezzi di definizione di un'area di coordinati interventi
 a livello istituzionale, sicche' la tutela ambientale si basa su  una
 molteplicita'  di  situazioni  strumentali,  nell'ambito  delle quali
 assume  rilevanza  fondamentale   l'aspetto   del   coordinamento   e
 soprattutto   quello,   quando   vengano  in  giuoco  piu'  interessi
 meritevoli di tutela, delle tavole di valori secondo  i  parametri  e
 gli standards prefissati dal legislatore.
    Nei  casi  in  cui  si  ponga  un  problema  di  danno ambientale,
 l'ordinameno chiama, percio', il giudice ad  un'opera  ricostruttiva,
 intesa  ad  individuare,  nell'intreccio  delle  competenze  e  della
 graduazione di interessi  compresenti,  i  momenti  di  incidenza  di
 quelle  violazioni  di  obblighi  di  servizio,  da parte di pubblici
 funzionari e dipendneti, che  costituiscono  oggetto  di  valutazione
 nell'opera  tipica  del  giudice Corte dei conti, secondo l'art. 103,
 secondo comma, della Costituzione, in ragione della  specificita'  di
 competenze di cui si e' fatto cenno.
    Rileva  il collegio, a questo riguardo, come il mantenimento della
 Corte dei conti fra le giurisdizioni speciali,  espressamente  voluto
 dal  Costituente,  con l'art. 103, secondo comma, della Costituzione,
 tragga la sua ratio dalle peculiarita' proprie di  tale  giudice,  il
 cui  ambito  di  competenze  va  definito non solo alla stregua della
 disposizione in questione, bensi' anche dell'altra che affida ad esso
 la  funzione  di  controllo sugli atti dell'esecutivo (art. 100 della
 Costituzione).
    La    funzione    giurisdizionale   non   puo'   non   alimentarsi
 dell'esperienza derivamnte dal  costante  contatto  con  la  pubblica
 amministrazione,  maturato nell'ambito dell'altro campo di funzioni e
 cioe' il controllo, donde la  peculiare  vocazione  della  Corte  dei
 conti  a  porsi  quale  giudice  della  violazione  degli obblighi di
 servizio, da parte di funzionari e dipendenti pubblici.
    Peraltro,  se il menzionato articolo della Costituzione appare, da
 questo punto di vista, violato, per effetto dell'affidamento di  tale
 ambito  di  gidizio  al giudice ordinario e non alla Corte dei conti,
 ulteriore violazione di principi costituzionali si evidenzia sotto un
 ulteriore profilo e cioe' quella dell'iniziativa giudiziale.
    La  Corte  costituzionale,  nelle  varie  sentenze nelle quali ha,
 sostanzialmente,   affermato   la   generalita'   della    competenza
 giurisdizionale  della  Corte  dei  conti,  pur nella specialita', ha
 sottolineato le caratteristiche tipiche dei giudizi affidati a  detto
 giudice  (sentenze nn. 110/1970, 68/1971, 211/1972, 63/1973, 114/1975
 e  201/1976),  come  pure  delle  esigenze   cui   essi   rispondono,
 evidenziando,    in   particolare,   la   connotazione   fondamentale
 dell'impulso d'ufficio, con azione promossa da un organo indipendente
 e  imparziale  quale  il procuratore generale (sent. n. 201/1976), la
 cui iniziativa "si colloca come  ovviamente  necessaria  per  evitare
 lassismi   e  contrasti  di  posizioni  e  di  interessi"  (sent.  n.
 211/1972),  "evitando  tra  l'altro  il   sospetto   di   compiacenti
 omissioni" (sentenza n. 68/1971).
    Il  tutto,  come  si  legge  nella  sentenza da ultimo citata, "in
 ottemperanza anche al duplice principio  della  imparzialita'  e  del
 buon   andamento"  dell'amministrazione  di  cui  all'art.  97  della
 Costituzione (in tal senso v. anche Corte costituzionale n. 63/1973).
    Discende  da  quanto  sopra  che  il sistema della responsabilita'
 amministrativa, alla base del quale si colloca  il  potere  d'impulso
 del  procuratore generale, e' stato voluto dal Costituente anche come
 mezzo per garantire l'osservanza dei sopra richiamati principi di cui
 all'art.   97   della  Costituzione,  e  per  certezza  della  tutela
 giudiziale degli interessi stessi, in ottemperanza anche all'art. 24,
 primo  comma,  della  Costituzione che riconosce la tutela giudiziale
 dei diritti ed interessi.
    Oltre  al  dubbio  di  violazione  dei  citati art. 97 e 24, primo
 comma, va, poi, evidenziata, nell'ambito del sistema di tutela voluto
 dal  legislatore con l'art. 18, secondo e terzo comma, della legge n.
 349/1986, la violazione dell'art. 3, primo comma, della  Costituzione
 per   il   diverso   regime  che,  senza  alcuna  giustificazione  di
 ragionevolezza, viene a vigere per i funzionari pubblici responsabili
 di  danno  ambientale,  rispetto  ai  funzionari  ai  quali  siano da
 ascrivere altre fattispecie di responsabilita'  (in  tal  senso  cfr.
 Corte  costituzionale n. 201/1976). Anche per i primi si e', infatti,
 pur sempre in presenza di  illeciti  contrattuali,  rappresentati  da
 violazione  di  obblighi  di servizio ai quali consegue un danno allo
 Stato.
    Escluso,  percio',  che si tratti di rapporti di natura paritaria,
 almeno dall'angolazione  che  viene  qui  in  evidenza,  nella  quale
 occorre  giudicare  dell'avvenuto  esatto  adempimento degli obblighi
 gravanti sul pubblico funzionario,  nell'ambito  di  un  rapporto  di
 supremazia,  quale  quello  di  servizio,  non  trova  percio' alcuna
 giustificazione la sottrazione, ad  opera  di  una  legge  ordinaria,
 della  competenza  della  Corte  dei conti a conoscere delle relative
 fattispecie di responsabilita' amministrativa, in ragione  unicamente
 dell'oggetto del danno (l'ambiente). Fattispecie, per l'appunto, che,
 anche in ragione delle puntuali  definizioni  operate  proprio  dalla
 legge  n.  349/1986,  appaiono ormai riconducibili al piu' classico e
 tipico schema dell'azione di responsabilita' sulla quale  giudica  la
 Corte dei conti.