ha pronunciato la seguente SENTENZA nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 2, terzo comma, lett. p), della legge 23 agosto 1988, n. 400 (Disciplina della attivita' di Governo e ordinamento della Presidenza del Consiglio dei Ministri), promosso con ricorso della Regione Lombardia, notificato il 12 ottobre 1988, depositato in cancelleria il 18 ottobre 1988 ed iscritto al n. 28 del registro ricorsi 1988; Visto l'atto di costituzione del Presidente del Consiglio dei ministri; Udito nell'udienza pubblica dell'8 febbraio 1989 il Giudice relatore Enzo Cheli; Uditi l'avv. Valerio Onida per la Regione e l'avv. dello Stato Franco Favara per il Presidente del Consiglio dei ministri; Ritenuto in fatto 1. - Con ricorso notificato il 12 ottobre 1988 la Regione Lombardia ha impugnato l'art. 2, comma 3, lett. p), della legge 23 agosto 1988 n. 400 (Disciplina dell'attivita' di governo e ordinamento della Presidenza del Consiglio dei Ministri), nella parte in cui sottopone alla deliberazione del Consiglio dei ministri, previo parere del Consiglio di Stato e della Commissione parlamentare per le questioni regionali, "le determinazioni concernenti l'annullamento straordinario, a tutela dell'unita' dell'ordinamento, degli atti amministrativi illegittimi delle Regioni e delle Province autonome", con riferimento agli artt. 5, 115, 118, 125, 126 e 134 Cost. (quest'ultimo anche in relazione all'art. 39 della legge 11 marzo 1953 n. 87). Secondo la ricorrente la norma in esame, pur limitandosi in apparenza a ridisciplinare il modo di esercizio del potere di annullamento gia' previsto dall'art. 6 del R.D. 3 marzo 1934 n. 383 (Testo unico della legge comunale e provinciale), avrebbe una portata sostanzialmente innovativa, includendo per la prima volta le Regioni e le Province autonome tra gli enti sottoposti a questo tipo di controllo. Successivamente all'entrata in vigore della Carta repubblicana, infatti, tale inclusione - sostenuta dalla giurisprudenza amministrativa - avrebbe incontrato l'opposizione unanime della dottrina che, vedendo nel potere in questione un mezzo di autotutela, lo avrebbe fatto discendere dalla posizione di supremazia spettante al Governo nell'ambito di un sistema amministrativo concepito come "unitario e monolitico", sistema cui l'amministrazione regionale, in virtu' della sua autonomia costituzionale, non potrebbe comunque fare capo. La ricorrente sostiene inoltre che non esistono nella giurisprudenza di questa Corte precedenti favorevoli all'estensione di tale potere governativo di annullamento anche agli atti delle Regioni e Province autonome. Le sentenze n. 24 del 1957 e n. 23 del 1959 riguarderebbero, infatti, il potere di annullamento nei confronti degli enti minori; la sent. n. 58 del 1959 avrebbe esplicitamente lasciato impregiudicato il problema; la sent. n. 207 del 1971, infine, avrebbe riconosciuto l'applicabilita' dell'art. 6 del Testo unico della legge comunale e provinciale alle Regioni a statuto speciale solo sulla base di una "svista", ossia di un'errata lettura delle citate decisioni del 1957 e del 1959. A sostegno delle sue censure la ricorrente afferma che la norma impugnata pone in questione "la stessa essenza del sistema autonomistico configurato nella Costituzione", sistema che si afferma basato sull'attribuzione alle Regioni di poteri e funzioni non disponibili se non entro limiti precisi da parte del legislatore ordinario (artt. 5, 115, 117 e 118 Cost.); sulla disciplina costituzionalizzata degli elementi fondamentali di tutti i procedimenti di controllo sull'attivita' e sugli organi delle Regioni (artt. 125, 126 e 127 Cost.); infine, sulla esclusiva attribuzione alla Corte Costituzionale del potere di risolvere i conflitti di legittimita' che possono insorgere fra Regione e Stato (artt. 127 e 134 Cost.; art. 39 della legge 11 marzo 1953 n. 87). Alla luce di siffatti principi la previsione in via legislativa di un potere di controllo governativo generale e innominato e altresi' caratterizzato dalla massima discrezionalita', violerebbe in primo luogo i principi di legalita' e di riserva di legge che governano i rapporti fra Stato e Regioni; in secondo luogo, svuoterebbe di significato l'articolato strumentario di controlli previsto dalla Costituzione e, in particolare, la competenza della Corte Costituzionale in ordine ai conflitti di attribuzione originati da atti amministrativi regionali. L'esercizio del potere in esame non potrebbe del resto giustificarsi ne' con la presenza di un obiettivo interesse al ripristino della legalita' - dato che il Governo non potrebbe assumere il ruolo di giudice o di controllore fuori dei casi indicati dalla Costituzione -; ne' con l'esigenza di far prevalere l'interesse nazionale su quello delle Regioni. In ordine a quest'ultimo punto la ricorrente rileva che la formulazione della norma impugnata legittimerebbe l'uso in funzione politica del potere in esame. Il previsto parere della Commissione parlamentare per le questioni regionali, infatti, potrebbe configurarsi solo come strumento di ulteriore valutazione non della legittimita' dell'atto da annullare, ma dell'interesse politico in nome del quale il Governo intende annullarlo. A questo proposito la ricorrente contesta che il Governo, sia pure previo parere della Commissione parlamentare, possa sovrapporre la propria valutazione politica a quella compiuta dall'amministrazione regionale: detta valutazione potrebbe, infatti, fondarsi solo sull'attribuzione legislativa di poteri specifici, disciplinati in modo da assicurarne la corretta utilizzazione, mentre, anche la' dove la Costituzione ammette che la valutazione statale dell'interesse nazionale prevalga definitivamente, non sarebbe in ogni caso il Governo a poter decidere, ma solo il Parlamento (art. 127, comma 4). 2. - ll Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, si e' costituito in giudizio per resistere al ricorso, osservando sostanzialmente: che la garanzia costituzionale delle autonomie regionali non puo' trasmutarsi in salvaguardia degli atti amministrativi regionali illegittimi; che la potesta' di annullamento straordinario non e' riducibile a semplice modalita' di "controllo"; che la illegittimita' costituzionale di una legge regionale non e' "sanata" dall'atto positivo di controllo e puo' essere rilevata in via incidentale in ogni tempo; che la disposizione sub judice ha recepito gli insegnamenti dati da questa Corte con la sentenza n. 207 del 1971. Solo in via subordinata il resistente ha rilevato che l'art. 125, comma primo, Cost. non imporrebbe affatto che la potesta' di controllo debba esaurirsi irreversibilmente in tempi brevi (ad esempio, i "venti giorni dal ricevimento" previsti dall'art. 45 della legge 10.2.1953 n. 62); che non possa aversi, quanto meno in via straordinaria, un intervento demolitorio successivo all'inizio della esecutivita' dell'atto gia' controllato; che il controllo non possa prendere forma diversa dall'"annullamento". 3. - In prossimita' dell'udienza la Regione Lombardia ha depositato memoria, diffondendosi a esaminare la natura del contestato potere di annullamento straordinario. Le origini e la storia di tale istituto dimostrerebbero che si tratta non di un potere di controllo, ma di amministrazione attiva, tant'e' che il suo esercizio risulta condizionato non solo all'asserita illegittimita' dell'atto da annullare, ma anche al ricorrere di un interesse pubblico attuale. Tale interesse dovrebbe individuarsi, secondo la ricorrente, nello stesso interesse pubblico che ha presieduto alla formazione dell'atto, fondandosi, di conseguenza, il potere in esame sulla tradizionale concezione dell'"autarchia", secondo cui gli enti pubblici sono "organi indiretti" dello Stato, deputati a curare interessi che non sono esclusivamente propri, ma che rimangono anche interessi dello Stato. Detta concezione contrasterebbe peraltro con la disciplina costituzionale dei rapporti tra Stato e Regioni (o Province autonome), che presuppone la titolarita', in capo a queste, di funzioni e interessi "propri", legittimando di contro eventuali "interferenze" dello Stato solo in funzione del perseguimento di specifici interessi di rilievo nazionale o ultraregionale suscettibili di trovare fondamento in una norma costituzionale. 4. - Anche l'Avvocatura generale dello Stato ha depositato memoria, dove si rileva che l'istituto dell'annullamento straordinario era "diritto vivente" gia' prima dell'entrata in vigore della disciplina impugnata e che, rispetto al passato e agli stessi principi posti dalla giurisprudenza di questa Corte, la norma in contestazione avrebbe il merito di accrescere il livello delle garanzie apprestate a favore dei soggetti di autonomia, grazie alla esplicita attribuzione del potere di annullamento al Governo nella sua collegialita', alla specifica indicazione del fine di "tutela dell'unita' dell'ordinamento", nonche' alla previsione del parere della Commissione parlamentare, chiamata ad apprezzare il profilo dell'"interesse nazionale" rispetto all'annullamento dell'atto illegittimo. Dette garanzie non pregiudicherebbero, d'altro canto, la giurisdizione di questa Corte in ordine agli atti amministrativi regionali invasivi di competenze statali, poiche' l'area dell' "invasivita'" sarebbe, ad avviso del resistente, molto piu' ristretta dell'area delle residue illegittimita'. Il Presidente del Consiglio - dopo aver individuato il fondamento dell'istituto in esame nel principio di unita' della Repubblica (art.5 Cost.) e nel principio di legalita' - fa osservare che la "consolidazione" dell'atto amministrativo illegittimo non e' regola generale nel nostro ordinamento, dove peraltro non esiste neppure una "riserva di giurisdizione" per quanto attiene alla rimozione degli atti illegittimi. Ragioni di funzionalita' delle istituzioni imporrebbero anzi di preferire la rimozione in via amministrativa, evitando di incrementare ulteriormente la "giurisdizionalizzazione" dei conflitti tra amministrazioni, specie quando, come nel caso in esame, essi mal si adattano ai presupposti di legittimita' e di interesse caratteristici del processo amministrativo. Rispetto alla disapplicazione l'annullamento governativo costituirebbe, infatti, uno strumento molto piu' lineare e preciso; rispetto all'ordinario controllo sugli atti esso consentirebbe una valutazione meno frettolosa e sommaria, oltre che estensibile alle ipotesi di illegalita' c.d. "sopravvenuta". Riguardo alla natura del potere, il resistente nega, infine, che si tratti di controllo (e che quindi possa invocarsi l'art. 125 Cost.), a causa del rilievo che nell'annullamento straordinario, a differenza che negli atti di controllo, assumerebbe l'interesse nazionale "attuale": interesse che sarebbe dunque distinto e separato rispetto a quello perseguito dalla amministrazione regionale. Considerato in diritto 1. - Forma oggetto di impugnativa l'art. 2, terzo comma, lett. p) della legge 23 agosto 1988 n. 400 (Disciplina dell'attivita' di Governo e ordinamento della Presidenza del Consiglio dei ministri) nella parte in cui attribuisce alla competenza del Consiglio dei ministri, previo parere del Consiglio di Stato e della Commissione parlamentare per le questioni regionali, "le determinazioni concernenti l'annullamento straordinario, a tutela dell'unita' dell'ordinamento, degli atti amministrativi illegittimi" delle Regioni e delle Province autonome. Ad avviso della Regione Lombardia tale norma risulterebbe viziata nella legittimita' per violazione degli artt. 5, 115, 118, 125, 126 e 134 della Costituzione (anche in riferimento all'art. 39 della legge 11 marzo 1953 n. 87), in quanto suscettibile di ledere "la stessa essenza del sistema autonomistico configurato nella Costituzione", incidendo sul "carattere costituzionale" dell'autonomia regionale sancita dall'art. 115 Cost., sia con riferimento all'"attribuzione alle Regioni di poteri e funzioni non disponibili se non entro limiti precisi da parte del legislatore ordinario (artt. 117 e 118 Cost.)", sia con riferimento alla "disciplina costituzionalizzata degli elementi fondamentali di tutti i procedimenti di controllo sull'attivita' e sugli organi della Regione (artt. 125, 126 e 127)", sia, infine, in relazione alla "esclusiva attribuzione alla Corte costituzionale dei poteri di risoluzione autoritativa dei conflitti di legittimita' che possono sorgere fra Regione e Stato-persona, di cui il Governo e' portavoce unitario (artt. 134 e 127 Cost.)". Ne' il richiamo all'interesse nazionale o ad altri interessi pubblici affidati alla cura dello Stato potrebbe comunque giustificare l'attribuzione allo stesso "di un potere generale e innominato di annullamento degli atti amministrativi" senza limiti di materia o condizioni sostanziali di esercizio: dal che l'asserita violazione anche dei principi di legalita' e di riserva di legge che regolano i rapporti tra Stato e Regioni. 2. - Il ricorso e' fondato. L'annullamento straordinario previsto dalla disposizione impugnata trova il suo antecedente storico diretto nell'art. 6 del Testo unico della legge comunale e provinciale approvato con R.D. 3 marzo 1934 n. 383 (norma, a sua volta, mutuata dall'art. 114 del R.D. 30 dicembre 1923 n. 2839, ma gia' presente nei regolamenti di esecuzione della legge comunale e provinciale succedutisi dopo il 1865), dove si attribuiva al Governo "la facolta', in qualunque tempo, di annullare, d'ufficio o su denunzia, sentito il Consiglio di Stato, gli atti viziati da incompetenza, eccesso di potere o violazione di leggi e di regolamenti generali o speciali". Rispetto a tale precedente formulazione la disciplina in contestazione ha, peraltro, introdotto alcune novita' rilevanti: riferendo il potere di annullamento non al Governo genericamente inteso, ma al Consiglio dei ministri; estendendo esplicitamente la sua applicazione anche agli atti amministrativi delle Regioni e delle Province autonome; prevedendo, in questo caso, accanto al parere del Consiglio di Stato, anche il parere della Commissione parlamentare per le questioni regionali. Questi elementi di novita' appaiono sufficienti a escludere la possibilita' di configurare la norma impugnata - contrariamente a quanto asserito dalla difesa dello Stato - come meramente ricognitiva o confermativa di una norma preesistente ovvero di un "diritto vivente" gia' da tempo consolidato. 3. - L'esame della giurisprudenza costituzionale in tema di annullamento governativo previsto dall'art. 6 del R.D. n. 383 del 1934 concorre, d'altro canto, a convalidare tale indicazione. Questa Corte, com'e' noto, fin dai primi anni della sua attivita', si e' in piu' occasioni occupata di tale potere, riconoscendone sia l'esclusiva spettanza al Governo centrale sia la legittimita' nel caso in cui venga esercitato, in presenza di un interesse attuale di carattere generale, come strumento d'intervento eccezionale nei confronti degli atti dei Comuni e delle Province (sentt. n. 24 del 1957; n. 23 del 1959; n. 73 del 1960; n. 74 del 1960; n. 128 del 1963; n. 4 del 1966). La giurisprudenza costituzionale non ha avuto, invece, in passato occasione di affrontare in termini diretti il problema della ammissibilita' di un potere governativo di annullamento straordinario nei confronti degli atti amministrativi delle Regioni, ordinarie e speciali, e delle Province autonome: di talche' tale problema e' rimasto sinora, in sede giurisprudenziale, del tutto impregiudicato, mentre e' stato esplicitamente risolto, in sede legislativa, solo attraverso la norma di cui e' causa, formulata per la prima volta nella legge n. 400 del 1988. 4. - Poste tali premesse, ai fini della soluzione della questione, vanno innanzitutto richiamati i principi affermati dalla Costituzione a fondamento dell'ordinamento delle autonomie territoriali e che connotano la stessa forma di Stato italiana come "Stato regionale". A tal proposito, la norma fondamentale - al di' la' delle enunciazioni piu' generali tracciate in tema di autonomia e decentramento dall'art. 5 Cost. - puo' essere individuata nell'art. 115 Cost., secondo cui "le Regioni sono costituite in enti autonomi con propri poteri secondo i principi fissati nella Costituzione": norma ben differenziata, nei suoi contenuti, da quella espressa con l'art. 128 Cost., dove si qualificano le Province ed i Comuni come "enti autonomi nell'ambito dei principi fissati da leggi generali della Repubblica, che ne determinano le funzioni". Tale diversita' di formulazione mette, pertanto, in luce la natura costituzionale (o politica) dell'autonomia regionale, nonche' l'attribuzione alle stesse Regioni della qualita' di soggetti non solo amministrativi, ma costituzionali, investiti tra l'altro di una funzione quale quella legislativa, tradizionalmente riservata, nel modello di Stato liberale a impianto centralista, allo Stato-persona. La natura costituzionale che risulta conferita all'autonomia regionale comporta, come prima conseguenza, che il complesso sistema delle relazioni tra Stato e Regioni debba trovare la sua base diretta nel tessuto della Costituzione, cui spetta il compito di fissare, in termini conclusi, le stesse dimensioni dell'autonomia, cioe' i suoi contenuti ed i suoi confini. L'ulteriore conseguenza sara' che ad ogni potere di intervento dello Stato, suscettibile di incidere su tale sfera costituzionalmente garantita, in modo da condizionarne in concreto - cosi' come accade con le forme puntuali del controllo - la misura e la portata, non potra' non corrispondere un fondamento specifico nella stessa disciplina costituzionale. 5. - Tale fondamento specifico - nonostante il richiamo espresso nella norma impugnata ad un fine generico di "tutela dell'unita' dell'ordinamento" - non puo' essere reperito per quanto riguarda un potere di annullamento generale, straordinario e svincolato da qualunque limite temporale, quale quello di cui e' causa: dal disegno costituzionale scaturiscono, invece, chiare indicazioni contrarie all'ammissibilita' di un potere di questo tipo, anche in riferimento alla natura che si intenda riconoscere allo stesso. Come e' noto, su questo punto, diverse sono state le tesi enunciate, tanto in sede scientifica che giurisprudenziale, con riferimento al potere di cui all'art. 6 del R.D. n. 383 del 1934: da quelle che hanno individuato in tale potere una forma speciale di controllo sugli atti; a quelle che ne hanno, invece, avvicinato la natura alle forme dell'autotutela e dell'annullamento di ufficio; a quelle, infine, che, valorizzando al massimo la discrezionalita' dell'intervento, hanno ricondotto il potere in parola all'attivita' di "alta amministrazione" o di "indirizzo politico". In realta', il fatto che il potere venga esercitato da un soggetto esterno all'amministrazione che ha posto l'atto da annullare e nei confronti di atti comunque viziati nella legittimita' induce a ritenere prevalenti, nella fattispecie, le garanzie della legalita' che si ricollegano al controllo di legittimita' sugli atti, pur con tutte le connotazioni speciali che tendono ad avvicinare il potere stesso all'amministrazione attiva, in relazione sia alla facoltativita' dell'annullamento, sia all'inesistenza di un limite temporale per il suo esercizio, sia all'ampia discrezionalita' della valutazione relativa alla presenza di un interesse attuale di carattere generale in grado di giustificare l'intervento straordinario del Governo. Se cosi' e', il potere in esame non potra' non essere ricondotto alla disciplina del controllo di legittimita' sugli atti amministrativi delle Regioni posta dall'art. 125 Cost., disciplina che - al pari di quella espressa sempre in tema di controlli negli artt. 126 e 127 Cost. - viene a presentarsi come tassativa e insuscettibile di estensione da parte del legislatore ordinario, in quanto posta a garanzia di una autonomia compiutamente definita in sede costituzionale. Da qui l'incompatibilita' della disposizione impugnata, dove si prevede un tipo particolare di controllo di legittimita' da esercitare in forma accentrata attraverso il Governo, con il contenuto normativo dell'art. 125 Cost., dove si impone, invece, che il controllo di legittimita' sugli atti amministrativi della Regione avvenga da parte di un organo dello Stato "in forma decentrata". 6. - La conclusione relativa all'incostituzionalita' del potere in esame non potrebbe, d'altro canto, essere superata neppure ove si intendesse collocare il potere stesso fuori dell'ambito di operativita' dell'art. 125 Cost., seguendo le diverse tesi che hanno configurato l'annullamento straordinario o come atto di autotutela (legato all'esigenza di preservare l'unita' dell'ordinamento amministrativo) o come atto di "alta amministrazione" (destinato a far prevalere, nel conflitto tra interessi locali e centrali, le esigenze connesse all'indirizzo politico nazionale). Nel primo caso, infatti, occorrerebbe muovere dall'accettazione di una visione monolitica dell'amministrazione pubblica - quale quella che risulta sottesa alla stessa possibilita' di impiego degli strumenti di autotutela - visione certamente incompatibile con il disegno pluralista tracciato dalla Carta repubblicana, dove la valutazione anche politica di larga parte degli interessi locali risulta affidata alla competenza delle Regioni e delle Province autonome, con apparati distinti da quelli del Governo e dell'amministrazione centrale; mentre, nel secondo caso, l'incostituzionalita' deriverebbe dal fatto della previsione di un intervento limitativo della sfera regionale non d'indirizzo, bensi' specifico e puntuale, intervento che - per quanto avallato dal parere non vincolante della Commissione parlamentare per le questioni regionali - si verrebbe pur sempre a configurare come caratterizzato dal massimo della discrezionalita', per il fatto di essere facoltativo e svincolato da qualsivoglia tipizzazione dei contenuti o degli interessi generali da affermare in sede di adozione del provvedimento demolitorio. 7. - Sotto qualunque profilo si voglia inquadrare, il potere in questione si presenta, dunque, incostituzionale ove venga esercitato nei confronti delle Regioni, ordinarie e speciali, e delle Province autonome, in quanto incompatibile con la natura stessa della loro autonomia, cosi' come definita nel disegno tracciato dal titolo quinto della parte seconda della Costituzione, derogabile, ma solo in termini piu' favorevoli, per le autonomie speciali. Tale conclusione non comporta, peraltro, che gli atti amministrativi di tali enti, ove risultino viziati nella legittimita' possano godere - una volta superata la soglia dei controlli amministrativi ordinari - di una sorta di immunita' da forme di sindacato successive all'inizio della loro efficacia, suscettibili di condurre all'annullamento dell'atto: tale sindacato, com'e' noto, si potra', infatti, pur sempre attivare, oltre che attraverso l'annullamento di ufficio da parte dello stesso ente che ha emesso l'atto, attraverso i comuni strumenti del controllo giurisdizionale e del conflitto di attribuzione da sollevare innanzi a questa Corte, nel rispetto delle forme e dei limiti fissati dalle diverse procedure.