LA CORTE DEI CONTI
    Ha  pronunciato  la  seguente  ordinanza  sul ricorso prodotto dal
 dott. Vincenzo Graziadio nato il  22  marzo  1917  a  Cassano  Ionico
 (Cosenza) elettivamente domiciliato in Roma, piazza del Popolo n. 13,
 presso lo studio dell'avv. Emilio Sivieri avverso  la  determinazione
 n. 838266 in data 19 febbraio 1983 del Ministero del tesoro.
                                 FATTO
    Il   dott.   Vincenzo  Graziadio,  gia'  dirigente  superiore  del
 Ministero del tesoro (nelle direzioni provinciali del Tesoro)  cesso'
 dal servizio, per limiti d'eta', con il 31 marzo 1982.
    Con  il  decreto  in  data  23  febbraio  1982 gli fu liquidata la
 pensione - a  decorrere  dal  1›  aprile  1982  -  sulla  base  dello
 stipendio  di dirigente superiore, con undici aumenti periodici e con
 ancora tre aumenti per l'art. 2 della legge n. 336/1970.
    Con  istanza  del  9  febbraio 1983 chiese la riliquidazione della
 pensione a decorrere dal  1›  gennaio  1983,  dicendosi  destinatario
 delle  piu'  favorevoli  norme  poste dal d.-l. 29 settembre 1982, n.
 681, convertito con modificazioni, nella legge 20 novembre  1982,  n.
 869.
    Con  l'atto  suindicato,  il  Ministero  del  tesoro  ha rigettato
 l'istanza predetta, argomentando che non gli si potessero  attribuire
 i  chiesti benefici, essendo cessato dal servizio anteriormente al 1›
 luglio 1982, data tassativamente fissata, per l'effetto, dall'art. 6-
 bis della legge n. 869/1982.
    Il  dott.  Graziadio  e'  in  conseguenza  insorto avanti a questa
 Sezione, con ricorso depositato il  18  dicembre  1985,  per  cui  ha
 conferito   incarico  di  rappresentanza  e  difesa  all'avv.  Emilio
 Sivieri.
    Premesso un escursus delle normative (dalla legge n. 312/1980 alla
 citata  legge  n.  869/82)  che  hanno  via  via   regolamentato   il
 trattamento   economico   dei  dirigenti  statali  (trattamento  gia'
 stabilito con d.P.R. n. 748/1972) pone in evidenza la circostanza che
 gli intervenuti aumenti di retribuzione sono stati sempre concessi in
 via transitoria, in attesa della  emanazione  di  apposita  legge  di
 riforma dello stato giuridico ed economico della dirigenza statale.
    Un  sistema  retributivo basato solo su percentuali provvisorie di
 stipendi e di anticipazioni di  acconti  su  trattamenti  futuri  non
 potrebbe  esaurire  il  contenuto  della  base  pensionabile prevista
 dall'art.  43  del  t.u.  n.  1092/1973,  che  dovrebbe,   viceversa,
 identificarsi  in  un  trattamento  economico  d'attivita' definitivo
 raggiunto dall'avente diritto in corrispondenza di norme  strutturali
 del suo stato giuridico.
    Una certa condizione di definitivita' si sarebbe realizzata sempre
 secondo l'avviso del  ricorrente  -  con  l'emanazione  del  d.l.  n.
 681/1982  e  della legge di conversione n. 869/1982. Sulla base delle
 relative norme - oltre ad un ulteriore aumento del trattamento dal 1›
 gennaio  1983, a fronte della soppressione dell'assegno pensionabile,
 gia' corrisposto a  titolo  di  acconto  -  si  sarebbe  determinato,
 appunto  con  decorrenza  1›  gennaio  1983,  un assetto normativo ed
 economico  della  dirigenza  statale  basato  su   una   progressione
 economica e sul riconoscimento della pregressa anzianita'.
    Tale  ultima  disciplina,  sarebbe in conseguenza l'unica idonea a
 servire da base per la determinazione del trattamento di  quiescenza.
    A  suffragio  della  sua  tesi  il  ricorrente  invoca la legge n.
 432/1981 (ed in ispecie il  suo  art.  26)  che  avrebbe  sancito  il
 principio  per  le  cui  le norme da emanarsi successivamente, per la
 definizione del trattamento economico di attivita' e di quiescenza di
 dirigenti statali, avrebbero dovuto operare - non solo per l'avvenire
 - ma anche per il passato;  in  particolare  sarebbe  applicabile  ai
 cessati dal servizio dal 1› gennaio 1979 al 30 giugno 1982.
    In   via   subordinata,   il   ricorrente   solleva  eccezione  di
 incostituzionalita' della disposizione di cui all'art. 6-  bis  della
 legge  n.  869/1982,  in  quanto  porrebbe - in violazione all'art. 3
 della Costituzione - una non giustificata diversita' di  trattamento,
 tra i collocati a riposo prima e dopo il 1› luglio 1982.
    Sarebbero  inoltre  violati: l'art. 97 che garantisce il principio
 d'imparzialita' dell'amministrazione e gli artt. 36 e 38,  in  quanto
 non  verrebbe  assicurato,  ai dipendenti cessati prima del 1› luglio
 1982 un trattamento  adeguato  di  quiescenza,  che  e'  retribuzione
 differita.
    Il  procuratore generale, nell'atto scritto (13 luglio 1987) - pur
 premettendo di apprezzare, sotto alcuni aspetti, l'avviso della parte
 attrice  per  cui  la  legge n. 869/1982 avrebbe realizzato una certa
 sistemazione strutturale ed economica, in tema di dirigenza statale -
 ha  tuttavia  precisato  di  ritenere le relative norme troppo chiare
 (quanto a decorrenza dal 1› gennaio 1983 e quanto a perequazione  dal
 1›  luglio 1982) perche' si possa tentare una interpretazione diversa
 da quella puramente letterale, ed in  particolare,  quella  logica  -
 sistematica, sollecitata dalla parte stessa.
    Il  fatto  che  i dirigenti statali in servizio, tra il 1› gennaio
 1978 ed il 30 giugno 1982,  non  abbiano  percepito  i  conguagli  di
 stipendio,  in  applicazione  della  piu' volte citata legge, darebbe
 conferma della impossibilita' di seguire una tale interpretazione.
    Per   altro,   il   requirente   ha   precisato  di  ritenere  non
 manifestamente infondata (solo con riferimento  agli  artt.  3  e  36
 della  Costituzione)  l'eccezione di incostituzionalita', proposta in
 via subordinata dal ricorrente.
    L'art.   6-   bis  della  legge  n.  869/1982  -  quale  norma  di
 perequazione - non assicurerebbe - con sacrificio  del  principio  di
 uguaglianza  -  a  tutto  il  personale  che  si  trova  nella stessa
 situazione, il medesimo trattamento di quiescenza.
    Ha  in  conseguenza  concluso  -  affermando  la  rilevanza  della
 questione per la difinizione della fattispecie - perche' sia  sospeso
 il  giudizio e sollecitata la verifica di costituzionalita' dell'art.
 6- bis della legge 20 novembre 1982, n. 869, in relazione agli  artt.
 3 e 36 della Costituzione.
    A   seguito  della  notifica  delle  conclusioni  del  procuratore
 generale  l'avv.  Emilio  Sivieri  ha  depositato  una  memoria   con
 esservazioni di replica.
    Traendo  spunto  dall'avviso del procuratore generale, secondo cui
 la norma perequativa di cui  all'art.  6  della  legge  n.  869/1982,
 parrebbe   irrazionalmente   discriminatoria,   invoca  il  principio
 generale dell'ordinamento, secondo cui ove una disposizione di  legge
 si  presti  ad  un  duplice  possibile significato, occorre preferire
 quello che aderisce alle norme  di  rilevanza  costituzionale,  senza
 uopo  di  lunghe  traversie  giudiziali, aventi effetto di ritardare,
 fino a verificarne la utilita', la realizzazione del diritto tutelato
 dalla legge ordinaria.
    Ha  fatto  seguire  delle  argomentazioni  a  sostegno  della tesi
 esposta.
    Nella  udienza  del  9 novembre 1987, l'avv. Sivieri ha ribadito e
 sviluppato le argomentazioni in parola insistendo per  l'accoglimento
 del ricorso.
    Il procuratore generale ha confermato l'atto scritto.
                             D I R I T T O
    La  tesi  attrice,  esposta  in  narrativa,  ampiamente illustrata
 (nella memoria depositata a seguito della notifica delle  conclusioni
 del  Procuratore  generale)  e  nella pubblica udienza del 9 novembre
 1987, puo' sintetizzarsi nei termini seguenti.
    La  legge  n.  312/1980  (che, per altro, si sarebbe occupata solo
 marginalmente dei dipendenti  statali)  ed  alcuni  atti  legislativi
 successivi,  come  i  dd.-ll.  n.  283  e  357  del 1981, la legge n.
 432/1981 (di conversione del primo) avrebbero rappresentato le  varie
 fasi  -  fra  di  loro collegate da un nesso finalistico - di un iter
 normativo volto  alla  ristrutturazione  organica  ed  economica  del
 regime della dirigenza statale.
    La  legge  n.  869/1982 (di conversione del d.-l. n. 681 di quello
 stesso anno)  si  porrebbe  -  in  ispecie  per  quanto  riguarda  il
 trattamento  economico  - come l'atto normativo conclusivo dell'iter,
 in quanto realizzerebbe,  in  certo  qual  modo,  una  situazione  di
 definitivita'.
    In  conseguenza,  la  base  pensionabile  (art.  43  del  t.u.  n.
 1092/1973) dovrebbe essere individuata - dal 1› gennaio  1983  -  nel
 trattamento  d'attivita'  integrato dai miglioramenti economici dalla
 stessa data decorrenti, in relazione agli artt. 1, 2 e 3 della  legge
 stessa.
    Cio' varrebbe per tutti i dirigenti cessati dal servizio a partire
 dal 1› gennaio 1979 (cioe' quelli gia' presi in considerazione  dalla
 legge  n. 432/1981 e dalla legge n. 6/1982, di proroga) nei confronti
 dei quali non potrebbero costituire base  pensionabile  (dopo  il  1›
 gennaio 1983) gli ultimi stipendi percepiti, integrati da acconti (su
 futuri miglioramenti) corrisposti a titolo provvisorio.
    L'interpretazione  in  parola,  si paleserebbe la piu' aderente ai
 principi costituzionali, e dovrebbe essere preferita a quella seguita
 dall'amministrazione,  che  ha escluso l'applicabilita', agli effetti
 pensionistici, dei miglioramenti previsti dalla  legge  n.  869/1982,
 nei  confronti dei dirigenti cessati entro il 30 giugno 1982 (per cui
 si profilerebbe l'esigenza della verifica di Costituzionalita').
    La sezione non condivide tale tesi.
    Invero,   nella  specie,  non  si  tratta  di  scegliere  tra  due
 significati alternativamente attribuibili ad una norma, sulla base di
 un  unico  criterio  interpretativo, ma si tende piuttosto ad eludere
 l'interpretazione letterale dell'art. 6- bis della legge n. 862/1982,
 che,   in  via  immediata  appare  idonea  a  chiarire  compiutamente
 l'intendimento  del  legislatore,  per  una,   alquanto   sbrigliata,
 interpretazione di tipo sistematico.
    In  termini  generali  puo'  anche  convenirsi  che  le  norme  in
 questione (dalla legge n. 312/1980  alla  legge  n.  869/1982)  siano
 collegate tra loro da un certo nesso finalistico.
    Ma  qui  non  si  tratta  di  individuare  linee di tendenza nella
 produzione normativa,  o  di  formulare  notazioni  utilizzabili,  in
 prospettiva, per la storia del diritto.
    Il  giudicato  deve basarsi su certezze, che, nella specie, non e'
 dato riscontrare.
    Le   espressioni   "acconto",   "anticipazione"  "aumento  in  via
 provvisoria", sovente usate dal legislatore, in tema di  retribuzione
 di  pubblici  dipendenti,  possono  assumere  l'effettivo senso della
 provvisorieta'   solo   se   successive   norme    si    qualifichino
 specificatamente  come  definitive,  disponendo ex tunc, in ordine ai
 rapporti su cui si era provveduto in precedenza, in via precaria.
    Nella  specie,  la  legge  del 20 novembre 1982, n. 869, sulla cui
 applicazione si discute, come il d.-l. n. 681, dello stesso anno,  in
 essa  convertita  con  modificazioni, si qualificano (gia' nella loro
 intitolazione) come norme di "adeguamento provvisorio".
    Non  risulta  esatto,  in  conseguenza,  affermare  che tale legge
 rappresenti integralmente l'atto normativo  conclusivo  di  un  iter,
 volto   alla   compiuta   definizione   del   trattamento   economico
 dirigenziale.
    Inoltre  non  si  puo'  non  tener  presente  che la recente legge
 dell'11 novembre 1987, n. 468,  di  conversione  con  modifiche,  del
 d.-l.  16  settembre  1987,  n.  379,  prevede,  al  suo  art.  3, la
 riliquidazione delle pensioni - nei confronti dei  dirigenti  cessati
 dal 1› gennaio 1979 - sulla base degli stipendi previsti dal d.-l. n.
 681/1982 e dalla legge n. 869/1982.
    Se  la  riliquidazione  in  parola  si fosse potuta operare dal 1›
 gennaio 1983, quest'ultima norma si paleserebbe inutiliter data.
    Esclusa,  per  quanto  precisato, la possibilita' di dare ingresso
 alla soluzione ammissiva, resta da vedere se  possa  sollecitarsi  la
 verifica  di  costituzionalita' dell'art. 6- bis della ripetuta legge
 n. 869/1982.
    La  detta norma, disponendo, invero, la perequazione pensionistica
 soltanto per il personale dirigente collocato a  riposo  dopo  il  30
 giugno  1982, puo' determinare una disparita' di trattamento - non in
 linea con l'art. 3 della Costituzione -  nell'ambito  di  una  stessa
 categoria di pubblici dipendenti.
    Anche  l'art.  36 della Costituzione potrebbe apparire, in qualche
 modo vulnerato.
    Non  si  ignora  che  la  Corte  costituzionale,  piu'  volte,  ha
 precisato  che  la  diversita'  di  trattamento  di  quiescenza,  fra
 personale  della  stessa  categoria  collocato  a  riposo  in  epoche
 diverse, con comporta alcuna violazione della Costituzione.
    Cio,   perche'   il   tempo   e'   fondamentalmente   elemento  di
 differenziazione delle situazioni giuridiche.
    Appare  tuttavia  logico  che la diversita' - oltre che la data di
 cessazione - coinvolge  qualche  altro  elemento  necessario  per  la
 riliquidazione   della   pensione,  in  particolare,  il  trattamento
 d'attivita'.
    E'  evidente  che  chi  e' cessato dal servizio ad una determinata
 data, non ha titolo ad avere riliquidata la pensione sulla base di un
 trattamento  di  attivita'  decorrente  da  data  successiva alla sua
 cessazione.
    Nella  fattispecie,  pero' il trattamento di attivita' - sia sotto
 l'aspetto  strutturale   che   sotto   l'aspetto   economico   -   e'
 perfettamente  identico,  per i dipendenti collocati a riposo sia nel
 primo che nel secondo semestre del 1982.
    In  presenza quindi di una situazione giuridico - economica uguale
 (e non sono ravvisabili altri elementi di diversificazione), non puo'
 ritenersi  giustificata  la  discriminazione  pensionistica stabilita
 dall'art.  6-bis,  che,  come  gia'  precisato,  e'  una   norma   di
 perequazione  e,  come  tale, dovrebbe avere lo scopo di assicurare a
 tutto il personale, che si trova nella stessa situazione, il medesimo
 trattamento di quiescenza.
    Il privilegiare - da parte della norma - alcuni dirigenti rispetto
 ad altri, versanti nella identica situazione, non appare ragionevole.
    La  rilevata  disparita'  di  trattamento  pensionistico  viola il
 principio  di  uguaglianza  (art.  3  della  Costituzione)  posto  in
 relazione  con  il  principio della proporzionalita' tra retribuzione
 differita e lavoro prestato (art. 36 successivo).
    In  definitiva, non appare manifestamente infondata la prospettata
 questione di legittimita')  costituzionale  dell'art.  6-  bis  della
 legge  n.  869/1982,  la cui rilevanza, ai fini della definizione del
 presente giudizio appare, per altro, evidente, dato  che  proprio  in
 base  a  tale norma, e' stata denegata la richiesta del ricorrente di
 rideterminazione del trattamento pensionistico.