IL PRETORE
    Rilevato   che   la  parte  civile  ha  eccepito  l'illegittimita'
 costituzionale dell'art. 3 della legge n. 10/1985 e dell'art. 195 del
 d.P.R.  n.  156/1973,  in  relazione  all'art. 3 ed all'art. 21 della
 Costituzione, in quanto consentirebbero con qualsivoglia modalita' la
 trasmissione  della  medesima  programmazione  su scala nazionale, in
 contrasto, peraltro, con quanto statuito dalla  Corte  costituzionale
 con  la  sentenza  n.  202/1976,  la quale ha limitato al solo ambito
 locale quello di cui e' consentita, previa  l'autorizzazione  statale
 definita  da un'emananda legge, la diffusione di programmi televisivi
 e radiofonici;
    Ritenuto  che  il giudizio a carico del prevenuto non possa essere
 definito  indipendentemente  dalla  risoluzione   della   prospettata
 questione   di   legittimita'   costituzionale;   benvero,  la  Corte
 costituzionale, con la recente sentenza in materia  n.  826/1988,  ha
 statuito  (v.  par. 15) che l'esercizio di trasmissioni effettuate in
 interconnessione  funzionale,  quali  quelle  ascritte  ai  prevenuti
 nell'odierno  procedimento, non sia affatto da considerarsi lecito ab
 origine, di tal che  l'art.  3  della  legge  n.  10/1985  non  puo',
 conseguentemente,  ritenersi  avente  natura  solo interpretativa; ha
 aggiunto altresi' la Corte che le norme di cui alla citata  legge  n.
 10/1985  "non  hanno fatto venir meno il principio della riserva allo
 Stato della diffusione sonora  e  televisiva  sull'intero  territorio
 nazionale"  (v.  par.  15  della  citata  sentenza n. 826/1988). Cio'
 significa, ad avviso del pretore, che la condotta  di  oggi  ascritta
 agli imputati sarebbe soggetta alla generale regola dell'art. 195 del
 d.P.R. n. 156/1973 - e  quindi  il  giudicante  dovrebbe  pronunziare
 sentenza  di  condanna,  essendo il fatto loro ascritto pacificamente
 sussistente - se non fosse intervenuta la legge n. 10/1985, la  quale
 ha,  in  sostanza, scriminato tale condotta legittimando, all'art. 3,
 la c.d. interconnessione funzionale. Eppero' tale legge non  pare  al
 pretore   essere  tuttora  vigente,  posto  che  qualsivoglia  sforzo
 interpretativo non puo' giungere al punto di negare valore  al  fatto
 che il termine finale di vigenza, originariamente fissato in sei mesi
 dalla data di entrata in vigore del  d.-l.  n.  807/1984,  sia  stato
 prorogato sino al 31 dicembre 1985, data oltre la quale non sono piu'
 intervenute proroghe e, come e' noto, si e' iniziato ad  interpretare
 il termine finale predetto come meramente sollecitatorio (v. sentenza
 Corte  costituzionale  n.  826/1988,  par.  24).  In  tale  contesto,
 pertanto,  questo  giudice  non  ha  ne'  il  potere di condannare il
 prevenuto, atteso che quanto  meno  il  dubbio  sulla  vigenza  della
 predetta  normativa  potrebbe  portare  ad un'assolutaria per carenza
 dell'elemento   soggettivo,   ne'   di    assolverlo,    posto    che
 inequivocabilmente  pare al Pretore che la legge sia non piu' vigente
 e che quindi il regime sanzionatorio  di  cui  all'imputazione  abbia
 ripreso intatto in suo vigore. Cio' vale, pertanto, ad asserire senza
 ombra di dubbio che la prospettata eccezione  e'  rilevante  ai  fini
 della definizione del presente giudizio;
    Ritenuto,  in punto di non manifesta infondatezza, che la medesima
 sentenza n. 826/1988 della Corte costituzionale lascia ampi spazi  ad
 un  nuovo pronunciamento della suprema Consulta nella materia de qua,
 atteso che al par. 24 puo'  leggersi  che  "se  l'approvazione  della
 nuova  legge dovesse tardare altre ogni ragionevole limite temporale,
 la disciplina impugnata - cioe' la medesima  oggetto  della  presente
 ordinanza  di  rimessione  -  gia'  in  vigore da oltre tre anni, non
 potrebbe  piu'  considerarsi  provvisoria  ed  assumerebbe  di  fatto
 carattere  definitivo:  sicche'  questa  Corte,  nuovamente investita
 della medesma questione, non  potrebbe  non  effettuare  una  diversa
 valutazione  con  le  relative  conseguenze". Orbene, premesso che si
 hanno qui per riportate le medesime argomentazioni che hanno  indotto
 il tribunale di Genova, in analoga vicenda, a rimettere gli atti alla
 Corte - riferite ampiamente al par. 24 della predetta sentenza e  che
 non  si  trascivono per brevita' di esposizione, potendosi riassumere
 nella  palese  violazione  dell'art.   3   e   dell'art.   21   della
 Costituzione,  ad  opera  della  normativa  impugnata, a motivo della
 disparita' di trattamento tra l'attivita' dei networkes, che di fatto
 operano a livello nazionale pur essendo tale attivita' riservata allo
 Stato giusta la sentenza della Corte costituzionale  n.  202/1976,  e
 quella delle emittenti locali, posto che tale disciplina, pur essendo
 transitoria e benche' divenuta di fatto definitiva grazie all'inerzia
 del  Parlamento,  non  ha  introdotto le garanzie atte ad evitare una
 concentrazione mono-od oligopolitica dei mezzi di  comunicazione,  si
 da  assicurare  il  pieno  rispetto  del principio di cui all'art. 21
 della Costituzione, altrimenti inutile simulacro  a  baluardo  di  un
 diritto  svuotato  di  ogni  contenuto - mette conto rimarcare che le
 vicende parlamentari non possono essere considerate  quale  parametro
 giuridico  per la definizione della norma applicabile in una materia,
 quella penale,  in  cui  si  verte  in  tema  di  liberta'  personale
 dell'imputato. Benvero, non sembra contestabile che il Parlamento sia
 da oltre quindici anni piu' che inerte di  fronte  alle  innumerevoli
 sollecitazioni   che  ha  ricevuto,  con  dovizia  di  argomentazioni
 giuridiche ad opera della Corte  costituzionale;  e  pare  che  anche
 l'ultima,  quella  cioe'  contenuta  nella  sentenza n. 826/1988, sia
 rimasta inutiliter data, posto che  non  si  profilano  all'orizzonte
 apprezzabili  accordi  per  una nuova e stavolta compiuta definizione
 giuridica della materia, nemmeno ad oltre sei mesi dalla pronuncia di
 forte  richiamo  emessa  dalla  suprema  Consulta.  Pertanto, dovendo
 questo pretore procedere all'applicazione di  una  legge,  quella  n.
 10/1985,  dalla  stessa  Corte  ritenuta  transitoria e quindi ancora
 vigente, mentre la  medesima  sembra  non  essere  costituzionalmente
 legittima  proprio perche' di fatto e' divenuta definitiva, non resta
 al giudicante  che  rimettere  gli  atti  alla  Corte  costituzionale
 perche'  risolva  il  fondato  dubbio di incostituzionalita' eccepito
 dalla parte civile nel processo  pendente  dinanzi  alla  pretura  di
 Varazze;