IL TRIBUNALE MILITARE
    Ha  pronunciato  la  seguente  ordinanza, nella causa contro Solla
 Giovanni, nato il 6 gennaio 1967 a Cagliari (frazione Pirri), atto di
 nascita  n.  8.I.A.,  residente  a Laives (Bolzano) in via Kennedy n.
 297, celibe, terza media impossidente, incesurato, carabiniere nel 7›
 battaglione  carabinieri  "Trentino  Alto-Adige" in Laives (Bolzano),
 libero imputato di furto militare aggravato (artt.  47,  n.  2,  230,
 primo  e  secondo  comma,  del  c.p.m.p.) perche', carabiniere del 7›
 battaglione carabinieri "Trentino Alto-Adige"  in  Laives  (Bolzano),
 nella  stazione c.c. di Venezia San Marco, anteriormente al 31 agosto
 1988 in luogo militare imprecisato si impossessava, al fine di trarne
 profitto,  di una paletta segnaletica (mat. c.c. 12586) che sottraeva
 all'amministrazione militare che la deteneva;  con  l'aggravante  del
 grado rivestito.
                            FATTO E DIRITTO
    A  conclusione del dibattimento, celebratosi con la partecipazione
 dell'imputato,  risulta   provato   l'elemento   materiale,   ed   il
 corrispondente  elemento  sogettivo,  del  reato  di  furto  militare
 descritto in rubrica.
    Della  condanna, che dovrebbe essere pronunciata nei confronti del
 carabiniere Solla, deriverebbe ope legis  la  pena  accessoria  della
 rimozione  dal  grado, come stabilito dall'art. 230, terzo comma, del
 c.p.m.p.
    Ma  questo  tribunale  dubita della legittimita' costituzionale di
 detta disposizione, dal momento che,  come  ha  affermato  la  stessa
 Corte  costituzionale (sentenza n. 971/1988) pronunciandosi sull'art.
 85- a) del d.P.R. 10 gennaio 1957, n. 3, l'automatismo di cosi' gravi
 sanzioni  appare  in  contraddizione  con il principio di uguaglianza
 (art. 3 della Costituzione) che, postula la possibilita' di  adeguare
 il  trattamento  sanzionatorio  alla concreta gravita' dell'illecito.
 Del resto, alla medesima esigenza conducono i principi costituzionali
 in  tema  di  responsabilita'  penale  (art. 27, primo e terzo comma,
 della Costituzione).
    La  questione  di costituzionalita', che si ripropone nel presente
 giudizio,  gia'  e'  stata  dichiarata  inammissibile   dalla   Corte
 costituzionale  (ordinanza n. 531/1987, nella considerazione che (per
 l'impossibilita'   di   emettere   sentenze   autoapplicative   cosi'
 articolate  da contenere previsioni diversificate o alternative) solo
 il  legislatore  sarebbe  in  grado  di  intervenire,   come   appare
 auspicabile,  pe  consentire  al  potere discrezionale del giudice di
 valutare tutte le modalita' e  le  circostanze  che  accompagnano  il
 fatto, e di adeguare ad esse ed all'intensita' del dolo "l'uso ed una
 graduale  commisurazione  della  sanzione  accessoria"  (sentenza  n.
 157/1985).
    Tuttavia,  e' la stessa successiva evoluzione della giurisprudenza
 costituzionale ad indurre questo tribunale  a  denunciare  ancora  la
 questione   di   legittimita',   nell'aspettativa  di  una  revisione
 dell'accennato giudizio di inammissibilita'.
    A  proposito  dell'art.  85-  a) del d.P.R. 10 gennaio 1957, n. 3,
 secondo cui l'impiegato civile dello Stato incorre nella destituzione
 di  diritto  allorche'  abbia subito irrevocabile condanna per taluno
 dei  reati  nella  stessa  norma  indicati,  la  Corte  ha,  infatti,
 inizialmente  (sentenza  n.  270/1986)  dichiarato l'inammissibilita'
 della questione  di  legittimita',  con  motivazioni  sostanzialmente
 analoghe  a  quelle espresse nella succitata decisione riguardante la
 pena accessoria militare. Ma in seguito, con la recente  gia'  citata
 sentenza  n. 971/1988, la Corte ha superato le accennate difficolta',
 e tramite la dichiarazione di parziale illegittimita' del citato art.
 85-  a), nonche' di analoghe disposizioni concernenti altre categorie
 di pubblici dipendenti, ha conferito alla pubblica amministrazione il
 potere  discrezionale di valutare le concrete modalita' e circostanze
 del  reato,  per  cui  e'  intervenuta  condanna,  e  di   deliberare
 l'applicazione, o meno, della destituzione del pubblico dipendente.
    Non si vede, a questo punto, come la Corte costituzionale potrebbe
 ancora considerarsi incompetente ad eliminare le denunciate, e  dalla
 stesa  implicitamente  gia'  riconosciute sussistenti, illegittimita'
 derivanti dall'automatismo nell'applicazione  della  pena  accessoria
 della  rimozione  del  grado.  Da  un  lato, nella recente citata sua
 decisione si riafferma che l'esigenza di un rapporto  di  adeguatezza
 tra  la  sanzione  irrogabile  ed  il  fatto  concreto sia largamente
 tendenziale "nell'area punitiva penale e con identica incidenza anche
 nel   campo   disciplinare   amministrativo".   Dall'altro,   ben  si
 inserirebbe nel novero dei poteri propri del giudice penale  una  sua
 discrezionale  decisione  in  merito  all'applicazione, o meno, della
 pena accessoria.
    La  questione  di  legittimita'  dell'art.  230,  terzo comma, del
 c.p.m.p. in relazione agli artt. 3 e 27 della Costituzione e'  infine
 rilevante  nel presente procedimento, dal momento che con la condanna
 il  carabiniere  Solla  sarebbe  automaticamente  rimosso  dal  grado
 rivestito.  In  concreto,  sarebbe  in  contraddizione con elementari
 criteri di giustizia distributiva che  dall'illecita  sottrazione  ed
 appropriazione  di  non  piu'  che  una paletta segnaletica, posta in
 essere  per  motivi  che   nella   specie   sarebbero   probabilmente
 individuabili  nel  desiderio  di  avere  in  permanenza  con  se' un
 oggetto-simbolo  dell'appartenenza  dell'arma,  derivino  consegnenze
 cosi'  gravi  come quelle previste con la pena accessoria in discorso
 (perdita del grado, riduzione alla condizione di militare dell'ultima
 categoria,  irreversibile  cessazione  dal servizio, necessita' della
 ricerca di un nuovo lavoro,.....).