IL TRIBUNALE MILITARE
    Ha  pronunciato  la  seguente  ordinanza  nella causa contro Fiore
 Fanco, imputato di "Furto militare a danno di militare, aggravato".
                            P R E M E S S O
      che  la  difesa  ha  eccepito  la  quesione di costituzionalita'
 dell'art. 230 terzo comma per contrasto con gli artt. 3  e  27  della
 Costituzione;
      che il pubblico ministero non si e' opposto;
                             O S S E R V A
    La  questione  presentata  dalla difesa, rilevante in quanto dalla
 condanna che questi tribunale militare puo' pronunziare nei confronti
 dell'imputato,   sottufficiale   effettivo   dell'esercito  italiano,
 conseguirebbe ope legis la pena accessoria della rimozione del  grado
 a   norma  dell'art.  230,  terzo  comma,  del  c.p.m.p.  appare  non
 maifestamente infondata.
    E'  noto,  peraltro,  che  tale questione e' stata gia' dichiarata
 inammissibile dalla Corte costituzionale con ordinanza n. 531/1987 in
 considerazione    della   impossibilita'   di   emettere   "decisioni
 autoapplicative, contenenti previsioni diversificate o  alternative",
 ma  con l'auspicio dell'intervento legislativo sul rigido automatismo
 della pena accessoria che impedisce ogni valutazione in  ordine  alla
 entita' del fatto.
    Va,  tuttavia,  rilevato che la Corte costituzionale, con sentenza
 n. 971/1988, ha dichiarato la parziale illegittimita' dell'art.  85a)
 del  d.P.R.  n.  3/1957  e  di analoghe disposizioni applicabili alle
 diverse categorie del pubblico impiego, configuranti la  destituzione
 del dipendente quale conseguenza automatica della condanna per taluni
 delitti, predeterminati dalle  disposizioni  medesime,  e  non  quale
 esito di uno specifico procedimento disciplinare.
    Va,  inoltre,  notato come la questione relativa alla legittimita'
 dell'art. 85 citato fosse stata gia' dichiarata  inammissibile  dalla
 Corte  costituzionale  (sentenza  n.  270/1986), con il significativo
 richiamo   all'ambito   di   esplicazione   della    discrezionalita'
 legislativa   sul   quale   si   fonda  la  stessa  dichiarazione  di
 inammissibilita' contenuta nella ordinanza n. 531/1987 concernente la
 pena accessoria militare.
    Ma  cio' che, qui ed ora, appare decisivo e' che, su questioni non
 identiche e  tuttavia  contigue,  la  corte  costituzionale,  mutando
 l'originario   indirizzo   per   quanto   riguarda   il  giudizio  di
 ammissibilita', ha  affermato  un  principio  regolativo,  dichiarato
 espressamente        operante        non       solo       nell'ambito
 amministrativo-disciplinare ma anche nell'area penale:  il  principio
 della  "indispensabile gradualita' sanzionatoria", in "difetto di che
 ogni relativa norma risulta incoerente, per  il  suo  automatismo,  e
 conseguentemente irrazionale ex-art. 3 della Costituzione".
    Se,  dunque,  questo  principio, sorretto dalla tutela dell'art. 3
 della Costituzione, ha portata  generale  ed  e'  quindi  applicabile
 all'oggetto  del  presente procedimento, bisogna dedurne il contrasto
 con un quadro normativo che enfatizza e rende intollerabile,  per  la
 sua  manifesta  ingiustizia,  la  sproporzione tra la pena principale
 graduabile  verso  il  minimo  e  la  pena   accessoria   rigidamente
 automatica, con conseguenze irreparabilmente gravi.
    Piu'  nello  specifico:  il  quantum  della  pena  principale puo'
 ridursi ad una entita' irrilevante per  il  concorso  di  circostanze
 attenuanti, quali le circostanze previste dall'art. 62, n. 4, e n. 6,
 del c.p. La pena accessoria, per il rigido automatismo che  la  vuole
 applicata   senza  alcuna  possibilita'  di  esclusione,  produce  la
 irreparabile perdita del lavoro anche quanto sia  ravvisabile  taluna
 delle  circostanze  attenuanti  ora  indicate.  Le  quali,  tuttavia,
 denotano una carica  lesiva  modestissima  identificabile  nel  fatto
 concreto.
    Va,  di conseguenza, evidenziato che questo tribunale militare, se
 dovesse condannare il serg. magg. Fiore per il furto della  somma  di
 L. 45.000, che dagli atti risulta essere stata restituita subito dopo
 la sottrazione, pur potendo applicare le attenuanti di  cui  all'art.
 62,  n.  4,  e  n.  6,  del c.p. e potendo quindi infliggere una pena
 principale davvero lieve, non  potrebbe  poi  bloccare  l'automatismo
 perverso della pena accessoria comportante la perdita del lavoro.
    Il che determinerebbe l'irragionevolezza dissoluzione del rapporto
 di adeguatezza tra la sanzione irrogata e le reali  connotazioni  del
 fatto  con  una  incidenza  diretta sulla norma contenuta nell'art. 3
 della Costituzione.