Ricorso per la regione Emilia-Romagna, in persona del presidente pro-tempore della giunta regionale Luciano Guerzoni, rappresentata e difesa per procura a margine del presente atto dall'avv. Alberto Predieri e presso il suo studio elettivamente domiciliata in Roma, via Nazionale, 230, giusta deliberazione g.r. n. 1687 del 26 aprile 1989, contro il Presidente del Consiglio dei Ministri per l'annullamento dell'art. 6 del d.-l. 28 marzo 1989, n. 110. 1. - Il d.-l. n. 110/1989 reitera il d.-l. 30 dicembre 1988, n. 548, ad onta di qualsiasi monito della Corte, a testimonianza ulteriore che la costituzione materiale (intesa come formula semantica dell'eufemismo con cui si indicano le violazioni ripetute) prevale su quella formale. La formula dell'art. 6, primo comma, del d.-l. n. 110/1989 riproduce pari pari quella dell'art. 11 del d.-l. n. 548/1988; mentre il secondo comma dell'art. 6 allunga un poco il periodo previsto nell'art. 11 predetto; cosi' come il terzo comma dell'art. 6 del d.-l. n. 110/1989 riproduce l'art. 11 del d.-l. n. 548/1988 con poche modificazioni. Il quarto comma del d.-l. n. 110/1989, infine, riproduce l'ultimo periodo del terzo comma dell'art. 11 del d.-l. n. 548/1988. 2. - Non si puo tacere che lo strumento adoperato per sottrarre illegittimamente la competenza alle regioni, cioe' il d.-l. n. 110/1989, e' illegittimo nella sua struttura, oltre che nel suo contenuto invasivo della sfera regionale, sotto piu' profili, i quali tutti concorrono a manifestare l'illegittimita' e' rafforzano l'illegittimita' della spoliazione che la regione Emilia-Romagna denuncia alla Corte. La illegittima normazione, infatti, e' stata assunta con un decreto-legge privo dei presupposti costituzionali, secondo una deplorevole tendenza, piu' e piu' volte stigmatizzata dai Presidenti delle Camere, dalle commissioni parlamentari, a continuare nell'uso perverso del decreto-legge, privo tanto del rispetto della Costituzione e della legalita', quanto di efficacia e di efficienza. 3. - Va sottolineato che il decreto-legge e' reiterato per la seconda volta, in violazione delle norme costituzionali. La piaga dell'abuso o dell'uso disinvolto (per usare le parole di un giurista autorevole gia' presidente della Corte) dei decreti-legge e' aggravata quando all'impiego del decreto-legge fuori dei casi straordinari previsti dalla Costituzione, si aggiunge la prassi del tutto incostituzionale delle reiterazioni a catena dello stesso decreto che, non convertito, viene ritirato e contestualmente ripresentato via via. I decreti leggi reiterati, mai apparsi nelle prime tre legislature, comparsi con un primo caso nella quarta con il d.-l. 29 ottobre 1964, n. 1014, reiterato con il d.-l. 23 dicembre 1964, n. 1351, successivamente convertito in legge il 19 febbraio, n. 28, con quattro casi nella quinta (e tre dei quattro decreti reiterati riguardavano provvedimenti urgenti in favore delle zone colpite dalle alluvioni dell'autunno 1968) e cinque nella sesta, sono diventati otto nella settima, sessantanove nell'ottava, novantadue nella nona. Un decreto-legge reiterato non e' solo illegittimo: e' anche una manifestazione, divenuta purtroppo istituzionale, delle istituzioni "materiali" contrarie alla Costituzione, all'unica Costituzione normativa, e di discredito del diritto e della funzione legislativa. Esso sancisce, visivamente e simbolicamente, l'inadeguatezza di un congegno che non produce diritto, cioe' certezza, ma incertezza continuata, con una sovrapposizione di precetti decaduti, talvolta poi fatti rivivere in qualche modo, oppure mantenuti in vita sincronizzando decadenze e riedizioni del decreto, sempre con stravolgimento delle norme costituzionali. Alla funzione legislativa esercitata dal parlamento viene sostituita una funzione legislativa esercitata indebitamente e illegittimamente dal governo, con reiterazioni che assicurano la continuita' della normativa stessa, sconvolgendo i termini di decadenza posti dall'ordinamento costituzionale. La reiterazione del decreto-legge comporta sempre una violazione smaccata che rovescia il ruolo del governo, non piu' operatore, sia pur principale, nella fase dell'iniziativa, ma legislatore che aggrega la domanda e ad essa risponde con una legislazione frammentaria, confusa, episodica. La reiterazione produce, di fatto, una convalidazione dei comportamenti che la decadenza dei decreti avrebbe reso contra legem in quanto le disposizioni contenute nel decreto non convertito perdono di efficacia giuridica completamente, tanto da essere considerate tamquam non esset. Come bene e' stato scritto da un autorevole presidente della Corte "i decreti-legge sono gli unici atti normativi, previsti dal nostro sistema, suscettibili di trasformarsi - nel caso non vengano tempestivamente convertiti da fonti di diritto in fonti di illecito, lasciando del tutto privi di fondamento i rapporti instauratisi ai sensi delle loro prescrizioni. Di piu': nell'ipotesi scolastica, ma non irrealizzabile, di una sentenza non piu' impugnabile che sia stata emessa in applicazione di un decreto legge destinato a decadere, ne deriva la possibilita' che venga meno la stessa autorita' della 'cosa giudicata', al di fuori dei casi tassativamente previsti dalle norme processuali" (L. Paladin, Lezioni di diritto costituzionale, Padova, 1977, 165). Cfm. in giurisprudenza: "le disposizioni dei decreti-legge non convertite ovvero sostituite o modificate in senso sostanziale in sede di conversione perdono ex tunc la loro efficacia con la conseguente illegittimita' degli atti e dei rapporti giuridici sorti in base alle norme non convertite e sostituite") (Cass., 17 febbraio 1978, n. 781, in Giust. civ., 1978, I, 869). Sul punto la Corte si e' pronunciata con chiarezza: "la mancata conversione del decreto-legge produce la cessazione dei suoi effetti - per necessaria ed automatica conseguenza dell'inerzia del Parlamento - come non mai esistono quale fonte di diritto a livello legislativo": cosi' le testuali espressioni della sentenza n. 307/1983 della Corte costituzionale, punto 7. Ma tutto cio' viene nullificato dal decretatore, che continua ad applicare un qualche cosa che norma non e'; che anzi, secondo la dottrina piu' autorevole, e' solo una fonte di illecito che di fatto regola la materia, come se non esistesse l'ordine delle competenze sancito dalla costituzione; che sta in piedi perche', pur dopo ogni manifestazione di volonta' del Parlamento, viene perpetuato autoriproducendosi, in violazione di norme principi. Tutte queste violazioni e disfunzioni, che l'uso illegittimo del decreto legge fa constatare ogni giorno, vengono continuamente rilevate, nelle piu' autorevoli sedi dai Presidenti dei due rami del Parlamento dalla Corte dei conti, dalle commissioni, degli uffici studi, documentazione e ricerche. 4. - Ancora va detto che il decreto legge n. 110/1989 e' privo di motivazione, che per questo genere di atti normativi e' indispensabile. Essa sarebbe stata tanto piu' necessaria perche' il testo della disposizione illegittima mancava nelle precedenti versioni e abbisognava, percio', di una sua autonoma motivazione che desse ragione della esistenza di quel caso straordinario di necessita' e di urgenza che l'art. 77 della Costituzione esige come presupposto per l'esercizio del potere di decretazione. La motivazione addotta (e che e' sempre la stessa in ogni decreto) e' pura tautologia. In altre parole, la motivazione della straordinaria necessita' ed urgenza e' data dal dire che c'e' la straordinaria necessita' ed urgenza. Questa e' una non-motivazione o, peggio, una irrisione. 5. - La regione Emilia-Romagna deve rilevare che l'illegittimita' della reiterazione e' rilevante sotto il profilo della lesione delle sue competenze, perche' si ha l'esercizio di un potere illegittimamente esercitato da un organo diverso da quello a cui e' attribuito costituzionalmente, cioe' il Parlamento, il cui atto legislativo nel sistema e' posto in posizione di supremazia nei confronti degli atti legislativi regionali, se emanato nel rispetto delle competenze: mentre la formazione di un atto di altro organo, di per se', con la sua produzione, indebita ed illegittima, invade la competenza della regione, statuendo su materie di interesse regionale, sulle quali nessuna statuizione e' possibile se non nel rispetto delle competenze costituzionali (sentenze n. 154/1967 e 191/1976). 6. - Non si puo' tacere che e' piu' che dubbio che nella materia di competenza regionale, in cui al legislatore statale e' riservato il livello, o la submateria, dei principi, che si impongono come limite alla legislazione regionale, possano emanarsi decreti legge immediatamente operativi. Essi pretendono di abrogare, prima ancora della conversione, leggi regionali, e, per di piu', leggi regionali emanate in attuazione di una norma interposta rispetto al precetto costituzionale. Se anche, pero', si ammettesse questo intervento del decreto legge ad effetti necessariamente precari o intermittenti e istituzionalmente caduchi, che opera una abrogazione anch'essa precaria (o una sospensione, non prevista da alcuna norma) della legislazione regionale, il superamento dei limiti di tempo imposti dalla Costituzione ad una normazione straordinaria, basata su presupposti di straordinarieta' e di urgenza, perpetuando senza fine gli effetti del decreto decaduto, urta contro norme tassative e contro i principi che connotano il sistema parlamentare e le relazioni fra regioni e Stato, fra organi costituzionali e parlamento, governo, regioni. 7. - Il decreto-legge reiterato pone norme illegittime per il loro contenuto, come meglio si vedra', che non sono norme, a ben vedere. La reiterazione comporta che nella sostanza e' sempre la stessa disposizione che viene riprodotta pari pari: ma mentre la prima aveva forza e valore di legge le altre sono disposizioni o sequenze di parole, prive di effetti normativi. La norma del primo decreto legge della catena non convertita e' decaduta. "La mancata conversione del decreto-legge produce la cessazione dei suo effetti - per necessaria ed automatica conseguenza dell'inerzia del Parlamento - come non mai esistito quale fonte di diritto a livello legislativo": cosi' le testuali espressioni della sentenza n. 307/1983 della Corte costituzionale, punto 7. Ne deriva che "le disposizioni dei decreti-legge non convertite ovvero sostituite o modificate in senso sostanziale in sede di conversione perdono ex tunc la loro efficacia con la conseguente illegittimita' degli atti e dei rapporti giuridici sorti in base alle norme non convertite e sostituite" (Cass., 17 febbraio 1978 n. 781, in Giust. civ. 1978, I, 869). La reiterazione della identica disposizione decaduta altro non e' se non una conversione sostanziale illegittima, perche' pretende di avere ed ha, di fatto, gli stessi effetti che avrebbe ove la conversione non fosse stata rifiutata e avvesse avuto luogo. Infatti, conversione significa dare in via definitiva forza e valore di legge a disposizione che tale forza e valore avevano in via transitoria, a tempo determinato, decorso il quale o la conversione attribuiva la forza e il valore ricordato o la disposizione perdeva ogni effetto normativo e giuridico, se non quello produttivo di illeciti. Orbene la norma successiva al decreto decaduto che, riproducendo il testo delle sue disposizioni divenute "mai esistite", ne costituisce una reale conversione prodotta da un organo non abilitato, e cioe' il governo che si sostituisce al Parlamento, solo abilitato alla conversione, e' illegittima, anzi inesistente. Il governo puo' produrre norme con i presupposti che la costituzione circoscrive, con forza e con valore di legge nelle forme e nei modi previsti dall'art. 77, con gli effetti limitati nel tempo e condizionati alla conversione. Ma il governo non puo' procedere alla conversione. Che tale conversione avvenga in modo ostentato (si hanno purtroppo rischi di casi in cui il d.-l. convalida gli effetti del decreto decaduto, mentre l'art. 77 della Costituzione, ultimo comma, ultimo inciso, dice che, pur avendo il decreto non convertito perso ogni efficacia, le Camere possono con legge regolare i rapporti giuridici sorti sulla base del decreto non convertito. Non e' facile trovare una disposizione costituzionale di cosi' piana lettura: per questo, pero', non e' neppure facile comprendere come la' dove il testo della costituzione dice le Camere si possa leggere il governo, e dove il testo dice con legge si possa leggere con decreto-legge: invero la costituzione nell'art. 77, ultimo comma introduce una riserva qualificata, che non consente che essa venga coperta con un decreto-legge o legislativo, proprio perche' impone in modo inequivocabile che l'atto sia formato, prodotto dalle Camere e imputato ad esse), o che tale conversione avvenga in modo coperto (come avviene nei nostri cinque casi) la sostanza non cambia. Una norma che in difetto di conversione e' stata espunta come inesistente dall'ordinamento (salvo il salvataggio deciso del Parlamento non della norma ne dell'atto ma di taluni suoi effetti fattuali) resta insesistente e improduttiva di effetti, anche se la disposizione illegittimamente viene riprodotta in un contenitore qual e' il decreto-legge che potra' anche contenere norme aventi forza e valore di legge, purche' nuove e non reiterate, ma che per quelle disposizioni identiche a quelle decadute (a loro volta identiche a quelle del precedente decreto e cosi' via via percorrendo a ritroso questa genesi perversa) non e' abilitato a dare ad esse forza e valore di legge. 8. - Perche' non ogni atto normativo o norma di produzione governativa ha forza e valore di legge: lo hanno solo quelle norme che sono contenute in un atto-fonte e che, di per se', possono avere forza e valore di legge. In altre parole, per una disposizione, l'essere contenuta in un contenitore o atto-fonte elencato o abilitato, qual e' il decreto-legge) non comporta di per se' il costituire norma avente forza e valore di legge se mancano presupposti e condizioni che, secondo la costituzione, consentono a quella disposizione di acquistare quella forza e quel valore. Disposizione (o struttura semantica o sequenza di parole), norma, atto o contenitore, hanno ciascuna una loro identita' e diversita' e un loro ruolo, interconnesso, ma non per questo confuso o intercambiabile. Sarebbe superfluo insistere su constatazioni di questo genere rese definitive dall'insegnamento di Crisafulli. Ci sia consentito solo di ricordare che proprio la materia dei decreti-legge ha dimostrato nelle controversie sulla data di entrata in vigore degli emendamenti aggiuntivi, integrativi o sostitutivi apportati al disegno di legge nel provvedimento di conversione la scissione fra disposizioni e norme e atto, con la diversa efficacia ex nunc ed ex tunc su cui la giurisprundenza si e' soffermata e consolidata (e che in precedenza abbiamo ricordato. In conclusione, non solo una disposizione puo' contenere piu' disposizioni e norme; ma un atto puo' contenere piu' norme, un atto o un insieme di disposizioni puo' contenere norme di effetti diversi o addirittura non norme, disposizioni insuscettibili di produrre norme. 9. - Questo e' il nostro caso. Quando la disposizione ha prodotto una norma decaduta non puo' piu' produrre, perche' l'atto con forza e valore di legge non puo' essere reiterato ne' la disposizione puo' essere utilmente inserita in un atto che non puo' produre effetti normativi, perche' non e' piu' abilitata a produrre una nuova norma. Se a quel determinato contenuto sostanziale si vuol dare forza e valore di legge, c'e' un solo metodo se si vuol rimanere nella Costituzione: la presentazione di un disegno o di progetto di legge come atto di impulso di un procedimento legislativo in cui atto terminale produca l'atto e la norma legislativa, nei modi statuiti dalla legge e dai regolamenti parlamentari. I quali - possiamo aggiungere - non consentono la riproposizione di disposizioni o strutture semantiche gia' inseriti in progetti presentati e non accolti se non dopo un determinato periodo. Le ricordate norme dei regolamenti parlamentari costituiscono un parametro che testimonia l'estraneita' al nostro sistema di una reiterazione. Resta fermo peraltro che altro e' la reiterazione illegittima per i regolamenti parlamentari e altro e' quella illegittima per le norme costituzionali; l'illegittimita' nei confronti di queste e del chiaro inequivocabile precetto dell'art. 77 e dell'interpretazione che la Corte ne ha dato, rendono superfluo passare ad esaminare se, in ipotesi, la reiterazione dei decreti decaduti urti contro le norme dei regolamenti parlamentari. 10.- Una disposizione o struttura semantica che e' stata dotata di effetti normativi e ha prodotto una norma ed effetti normativi e che non li puo' piu' produrre se non viene incanalata nel procedimento legislativo ordinario, come abbia detto, non e' una norma, perche', e' divenuta "non esistente" e non puo' essere richiamata in vita. Se il ragionamento dev'essere portato alle conseguenze estreme, l'avvocatura potrebbe dire che una invasione di competenze con una non norma e' un'invasione impossibile (modellandola sul reato impossibile). Se - proseguendo nella sequenza - da questo se ne dovesse trarre la conclusione che il ricorso e' inammissibile perche' l'art. 6 del d.-l. n. 110/1989 e' sprovvisto di forza e valore di legge, la regione dovrebbe concordare con l'Avvocatura sull'inammissibilita' del suo ricorso. Sotto questo profilo, fermo restando che la difesa delle sue competenze ha abilitato la regione ad adire la Corte per far valere il suo interesse a far dichiarare che quella preudo-norma ha l'aspetto di disposizione normativa perche' si trova scritta in un numero della Gazzetta Ufficiale, va sottolineato che, al di sotto dell'apparenza o della species, la disposizione censurata non habet cerebrum, avrebbe detto Fedro o non ha Nerves of Governement, direbbe Karl Deutsch; non ha, diciamo conclusivamente, forza e valore di legge. Se cosi' non fosse, e se le norme reiterate denunziate esistessero, esse sarebbere illegittime in quanto non e' consentita una reiterazione che altro non e' se un artificio di basso conio per superare l'insuperabile barriera posta dal termine entro cui la conversione dev'essere approvata. 11. - Il cercare di dire che la regione non puo' far valere queste illeggittimita' perche' essa puo' far valere solo le violazioni dell'ordine delle competenze a lei attribuite, non e' persuasivo. Innanzi tutto, la norma illegittima in tanto invade in quanto posta con un decreto-legge, atto che acquista effetti immediati; e contro questi effetti se vi e' invasione di competenza la Regione deve difendersi, evitando la invasione, difendendo la sua sfera; cosicche' se la difesa della sfera di competenza si attua facendo valere l'illegittimita' costituzionale del mezzo usato, questo rientra nelle competenze e nella legittimazione regionale. Il ricorso alla Corte e' dato per evitare invasioni illegittime: se, in radice, viene fatta valere l'illegittimita' non puo' essere applicata quella giurisprudenza che in altri casi puo' avere limitato il petitum delle regioni alle invasioni di competenza senza consentire alle regioni medesime di far valere vizi della legge o degli atti aventi farza e valore di legge di per se; e resta sempre fondamentale la considerazione che la Corte e' giudice a quo e come tale puo' essa sollevare e decidere qualunque questione di legittimita' relativa all'atto che la Corte deve giudicare. 12. - Indipendentemente dai vizi ora denunciati, la norma dell'art. 6 del d.-l. n. 110/1989 "Disposizioni urgenti in materia di evasione contributiva, di fiscalizzazione di oneri sociali e sgravi contributivi al Mezzogiorno") (il solo titolo denuncia subito la violazione dell'art. 15, terzo comma, della legge n. 400/1988) introduce un meccanismo a piu' titoli lesivo della competenza regionale, perche' impone alle regioni un comportamento, statuendo che esse debbono provvedere a stipulare convenzioni, e qualora tali convenzioni non vengano stipulate, il Ministero del tesoro disponga delle somme pari al contributo dovuto per l'anno precedente, bloccandole prima nel fondo di cui all'art. 8 della legge n. 291/1970 e pagandole poi agli istituti previdenziali. Viene introdotto un congedo sanzionatorio ai danni delle regioni alla cui disponibilita' vengono sottratte le somme ricordate anche se la convenzione non venisse stipulata per fatto o colpa degli enti previdenziali, con manifesta irragionevolezza e violazione dei principi di eguaglianza e di autonomia e delle competenze garantite dagli artt. 117 e 118. Per di piu' si realizza un controllo anomalo, non previsto dalla costituzione, affidandolo ad un organo centrale violando il combinato degli artt. 117, 118, 119 e 125, e violando il principio dell'autonomia posto dall'art. 119, in quanto il fondo di cui all'art. 8 della legge n. 291/1970 costituito allo scopo di dare attuazione alla norma di autonomia viene posto a disposizione del Ministro del tesoro che puo' disporre di somme in esso affluite, distrarle e impiegarle per pagamenti a terzi che esso decide disponendo in modo autoritativo del fondo destinato nella intenzione del legislatore a garantire l'esplicazione dell'autonomia finanziaria regionale. 13. - E' prevedibile che il Presidente del Consiglio obiettera' che le regioni non hanno alcuna competenza in materia, perche' la "materia" della previdenza ed assistenza sociale obbligatoria (assicurazione contro gli infortuni sul lavoro, contro le malattie, l'invalidita' e vecchiaia, etc.) non e' contempleta fra quelle demandate alla potesta' legislativa concorrente delle regioni dall'art. 117 della Costituzione e perche' la materia non puo' essere ricompresa nell'ambito della "istruzione artigiana e professionale e assistenza scolastica", ovvero nell'ambito dell'"artigianato" in quanto l'art. 35 del d.P.R. n. 616/1977 ha assegnato alle regioni solo "i servizi e le attivita' destinate alla formazione, al perfezionamento, alla riqualificazione ed all'orientamento professionale, per qualsiasi attivita' professionale e per qualsiasi finalita', compresa la formazione continua, permanente, ricorrente a quella conseguente a riconversione di attivita' produttive, ad esclusione di quelle dirette al conseguimento di un titolo di studio o diploma di istruzione secondaria superiore, universitaria o post-universitaria; la vigilanza sull'attivita' privata di istruzione artigiana e professionale", con un quadro confermato dalla legge-quadro in materia di formazione professionale 21 dicembre 1978, n. 845, i cui artt. 2 e 3 forniscono un quadrro degli spazi di intervento riservati alle regioni, ed in cui non vi e' alcun cenno alle assicurazioni sociali degli apprendisti artigiani. Tutto cio' e' non fondato e contraddetto dalla stessa legge-quadro 21 dicembre 1978, n. 845, il cui art. 16 e' richiamato dal primo comma dell'art. 6 denunciato. Detto art. 16 prevede, fra le competenze proprie delle regioni per la formazione professionale, quelle relative alla formazione degli apprendisti, nel cui quadro lo stesso art. 16 prevede, a carico delle regioni, obblighi dipendenti e connessi all'esercizio dei poteri-doveri ad esse attribuiti per la formazione professionale. Nelle competenze delle regioni si inquadrano, dunque, le previsoni legislative; e quelle competenze in materia di formazione professionale che debbono essere esercitate nell'ambito delle norme costituzionali sull'autonomia regionale poste dagli artt. 117, 118 e 119 sono invase dall'art. 6 del d.-l. n. 110/1989. 14. - Ne' puo' sostenersi che si tratti di funzioni delegate, perche' una tal delega sarebbe ravvisabile nel tezo comma dell'art. 16 della legge n. 845/1978. Il tentativo di sottrarsi al controllo della Corte non puo' essere spinto sino al punto di affermare che lo Stato ha delegato alle regioni la facolta' di stipulare contratti al cui pagamento deve provvedere il fondo delle regioni. Lo Stato, in altre parole, delegherebbe le regioni a pagare con i loro fondi. 15. - L'art. 6 nel terzo comma, come gia' l'art. 11 del d.-l. n. 548/1988, introduce un controllo anomalo che viola l'art. 125 della Costituzione. Dire che si tratta di controllo sotitutivo in materia delegata, innanzi tutto urta contro la considerazione che non v'e' nessuna delega; ma, comunque, urta contro gli insegnamenti della Corte sanciti dalla sentenza n. 177/1988. Il potere sostitutivo puo' essere esercitato solo dal governo nello specifico senso dell'art. 92 della Costituzione con le garanzie sostanziali e procedurali, comprese l'esigenza del rispetto della regola di proporzionalita' e con esclusione di attribuzione di controllo ad un organo che, sempre per insegnamento della Corte costituzionale, non si identifica in nessuno degli organi che l'art. 92 comprende nel concetto di governo. La Corte ha statuito "che forme di controllo sostitutivo siano imputabili dalla legge soltanto ad organi che per poter legittimamente adottare indirizzi od esercitare controlli nei confronti dell'amministrazione regionale e della relativa istanza di vertice (la giunta) non possono essere che organi di governo". "E' solo su questo piano, infatti che operano organi in grado di vigilare sull'unitarieta' e sul buon andamento della complessiva amministrazione pubblica e che possono intervenire nei confronti di autonomie costituzionalmente tutelate con poteri cosi' penetranti come quelli sostitutivi nel rispetto delle garanzie fondamentali proprie del nostro sistema costituzionale, prima fra tutte quella di doverne rispondere al parlamento nazionale". 16. - L'art. 6 prevede invece che "il Ministero del tesoro provvede ad accantonare, a valere sulle erogazioni spettanti alle regioni per gli anni 1989 e successivi, ai sensi dell'art. 8 della legge 16 maggio 1970, n. 281, importi annuali corrispondenti a quelli dovuti in forza del secondo comma. Le somme accantonate vengono calcolate sulla base dei crediti comunicati al Ministero del tesoro, entro il 31 luglio 1989, dal Ministero del lavoro e della previdenza sociale e vengono corrisposte agli istituti assicuratori entro il termine di ogni esercizio. "Fino all'intervenuta stipula delle convenzioni, i contributi dovuti da ogni regione per gli anni 1989 e successivi verranno trattenuti sulle quote spettanti a titolo di ripartizione del fondo comune sulla base dei crediti annualmente comunicati dal Ministero del lavoro e della previdenza sociale ai fini della successiva erogazione a favore degli istituti assicuratori". Si tratta di un controllo sostitutivo affidato ad un solo Ministro, che agisce inaudita altera parte corrispondendo direttamente con un altro Ministro e sostituendosi nella erogazione a terzi soggetti privati in violazione dei principi di autonomia contrattuale riconosciuti dall'art. 41 della Costituzione ad ogni soggetto pubblico o privato, e che a maggior ragione debbono essere garantiti alle regioni a norma degli artt. 5, 117, 118 e 119 della Costituzione. Queste invece, da organi costituzionali vengono ridotte al rango di incapaci i cui atti e rapporti vengono sostituiti da interventi di organi statali.