Ricorso per la regione Emilia-Romagna, in persona del presidente pro-tempore, rappresentata e difesa, per mandato a margine del presente atto, dall'avv. Alberto Predieri ed elettivamente domiciliata presso il suo studio in Roma, via Nazionale, 230, giusta delibera giunta regionale n. 1708 del 2 maggio 1989, contro il Presidente del Consiglio dei Ministri per la dichiarazione di illegittimita' costituzionale degli artt. 3, secondo comma, 6, sesto comma, 9 della legge 24 marzo 1989, n. 122 "Disposizioni in materia di parcheggi, programma triennale per le aree urbane maggiormente popolate, nonche' modificazioni di alcuni norme del testo unico sulla disciplina della circolazione stradale, approvato con decreto del Presidente della Repubblica 15 giugno 1959, n. 393". 1.1. - La legge n. 122/1989 nell'art. 3, primo comma, prevede che la regione individui i comuni che sono tenuti "alla realizzazione del programma urbano dei parcheggi. Tale programma deve tra l'altro indicare le localizzazioni ed i dimensionamenti, le priorita' di intervento ed i tempi di attuazione, privilegiando le realizzazioni volte a favorire il decongestionamento dei centri urbani mediante la creazione di parcheggi finalizzati all'interscambio con sistemi di trasporto collettivo e dotati anche di aree attrezzate per veicoli a due ruote, nonche' le disposizioni necessarie per la regolamentazione della circolazione e dello stazionamento dei veicoli nelle aree urbane". A norma dell'art. 3, settimo comma, "il programma approvato, qualora contenga disposizioni in contrasto con quelle contenute negli strumenti urbanistici vigenti, costituisce variante degli strumenti stessi. L'atto di approvazione del programma costituisce altresi' dichiarazione di pubblica utilita', urgenza ed indifferibilita' delle opere da realizzare". 1.2. - Norma analoga a quella ora citata e' posta dall'art. 6, sesto comma, della legge n. 122/1989 per i comuni che, invece, sono tenuti a formare i programmi dei parcheggi in forza di precetto posto direttamente dal legislatore nel primo comma del predetto art. 6, il quale prevede che "il programma deve essere redatto tenendo conto del decreto di cui al terzo comma dell'art. 2 indicando, tra l'altro, le localizzazioni, i dimensionamenti, le priorita' di intervento nonche' le opere e gli interventi da realizzare in ciascun anno; il programma dovra' privilegiare le realizzazioni piu' urgenti per il decongestionamento dei centri urbani mediante la creazione di parcheggi finalizzati all'interscambio con sistemi di trasporto collettivo e dotati anche di aree attrezzate per veicoli a due ruote. L'inserimento nel programma di parcheggi finalizzati all'interscambio con sistemi di trasporto collettivo situati anche sul territorio di comuni limitrofi puo' essere disposto su iniziativa dei comuni di cui al primo periodo del presente comma, sentite le aziende di trasporto pubblico e previa intesa con i comuni interessati promossa dall'amministrazione provinciale". 1.3. - In relazione alle norme ricordate i comuni debbono trasmettere alla regione i programmi; la regione deve deliberare entro trenta (o sessanta) giorni, a seconda che si tratti delle ipotesi di cui all'art. 3 o all'art. 6. Decorso il termine senza che sia intervenuta una deliberazione di rigetto, si forma il provvedimento di approvazione in forza di silenzio accoglimento esplicitamente disposto nel secondo comma dell'art. 3 e nel quarto comma dell'art. 6. 2.1. - Il breve termine posto dalla legge e' lesivo delle competenze regionali in materia di urbanistica e di trasporti, disciplinate dagli artt. 117 e 118 della Costituzione, per la sua irragionevolezza che, impedendo di fatto l'esercizio delle competenze regionali in tema di assetto del territorio, priva le regioni di un potere di particolare importanza. 2.2. - I programmi dei parcheggi costituiscono, per esplicita e chiara disposizione della legge n. 122/1989, varianti al piano regolatore generale e agli altri strumenti urbanistici. 2.3. - L'approvazione del piano regolatore generale (e delle sue varianti e modificazioni) costituisce competenza regionale peculiare e qualificante, secondo i principi fondamentali della legislazione urbanistica. Altrettanto lo e' quella degli strumenti attuativi, quando la regione individui le aree come aventi interesse regionale. Comunque, poiche' la legge n. 122/1989 dispone l'effetto di variante in relazione ai p.r.g., oltre che agli strumenti attuativi, le considerazioni che possono farsi per la prima ipotesi hanno sempre la loro validita'. I piani regolatori, nell'insegnamento della Corte (sentenza n. 286/1985 punto 6 di diritto) e nel diritto vivente (per costante interpretazione delle supreme magistrature e dei giudici di merito) sono atti complessi, ma a complessita' ineguale, che si formano per il concorso delle volonta' degli organi comunali e della regione, quest'ultima in posizione di supremazia, determinante nella formazione della fattispecie complessa, non solo perche' senza il suo apporto l'atto adottato dal comune non acquista effetti, ma anche perche' la Regione e' titolare di poteri di approvazione e modificazione. Testualmente dice la ricordata sentenza n. 286/1985 della Corte: "l'intervento delle regioni o delle province autonome in materia di piani regolatori e programmi di fabbricazione non ha soltanto una efficacia di controllo, ma si inserisce, quale elemento costitutivo, in una fattispecie a formazione progressiva, potendosi con esso apportare modificazioni, variazioni, soppressioni e aggiunte alle previsioni formulate dal comune. E' vero che sin dal momento dell'adozione da parte degli organi comunali lo strumento urbanistico produce alcuni effetti prodromici, sia pur limitati, i quali trovano la loro giustificazione nell'esigenza che medio tempore non sia pregiudicata l'attuazione di esso. Tale efficacia anticipata non rileva pero' sulla serie procedimentale di formazione del medesimo, serie che da' vita ad un atto complesso riferibile non soltanto agli enti minori (comuni) ma anche a quelli (Regioni, province autonome) che provvedono all'approvazione". Secondo Cass., 11 novembre 1977 n. 4874, Riv. giur. edil. 1978, I, 8 "Il piano regolatore generale ha natura di atto complesso (a complessita' ineguale), risultando dal concorso (e dalla fusione) delle volonta' del comune e dello Stato (ora della regione), dirette al raggiungimento di un unico, comune fine di pubblico interesse, si' che vengono a fara parte integrante della complessa fattispecie costitutiva del programma di pianificazione sia la deliberazione del consiglio comunale di adozione del piano sia il decreto del Presidente della Repubblica (ora, della giunta regionale) di approvazione, tanto che l'efficacia normativa del piano regolatore decorre non gia' dalla data di adozione di esso da parte del Comune, ma da quella della pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale dell'avviso della emanazione del decreto presidenziale di approvazione". Nello stesso ordine di idee la decisione del Cons. Stato, sezione quarta, 4 dicembre 1973, n. 1180, Foro amm. 1973, I, 1188, Cons. Stato 1973, I, 1813; Cons. Stato, sezione quarta, 16 dicembre 1980, n. 1209, Riv. giur. edil. 1981, I, 636; Cons. Stato, sezione seconda, 11 marzo 1969, n. 120, Cons. Stato 1969, I, 1060; Cons. Stato, ad. gen., 2 marzo 1961, n. 267, Riv. amm. R.I. 1962, 225; Cons. Stato, sezione quarta, 1 febbraio 1961, n. 60, Cons. Stato 1961, I, 207; Id. 5 dicembre 1958, n. 975, ivi 1958, I, 1433. Cass. Sez. II, 27 maggio 1975, n. 2135, Foro it. 1976, I, 100, in motivazione 112, ripete che "il decreto del Presidente della Repubblica (oggi del presidente della giunta regionale), concludendo, dal punto di vista formale e con efficacia esterna, l'iter formativo del provvedimento, realizza sostanzialmente una nuova deliberazione, mediante la quale il progetto di piano adottato dal comune risulta integrato e completato. Esso non e', quindi, un mero atto di controllo sulla deliberazione comunale di adozione del piano, ma si pone come un elemento costitutivo perfezionante la fattispecie complessa da cui ha origine il piano regolatore". Sarebbe superfluo insistere nel rilevare che i poteri regionali sono dati per la tutela degli interessi generali sovracomunali, regionali, statali quali individuati dall'art. 10 della legge urbanistica. I poteri della regione ora ricordati sono tanto importanti da essere qualificanti nelle funzioni di governo del territorio proprie di questa e nella ricostruzione della posizione stessa della regione nel sistema costituzionale, determinata dall'art. 117 della Costituzione: e la configurazione del piano regolatore come atto complesso ineguale con supremazia regionale e' principio fondamentale della materia, puntualmente confermato dalla stessa legge n. 47/1985. Questa, infatti, nel porre regole per snellire i procedimenti di formazione dei piani urbanistici, dispone nell'art. 24 che "non e' soggetto ad approvazione regionale lo strumento attuativo di strumenti generali" (piani regolatori) "salvo che per le aree e per gli ambiti territoriali individuati dalle Regioni come di interesse regionale in sede di piano territoriale di coordinamento o, in mancanza, con specifica deliberazione", mentre nell'art. 25 prevede che le regioni emanino norme che "prevedono procedure semplificate per l'approvazione degli strumenti attuativi in variante agli strumenti urbanistici generali", "per l'approvazione di varianti agli strumenti urbanistici generali finalizzate all'adeguamento degli standards urbanistici posti da disposizioni statali o regionali". In conclusione, il piano regolatore generale e' sempre atto a complessita' ineguale, mentre il piano attuativo e' atto del comune, e la variante al p.r.g. e' sempre atto a complessita' ineguale, pur se approvabile con procedura piu' rapida determinata dalle singole regioni. Di questi poteri regionali le leggi della regione Emilia-Romagna disciplinano l'esercizio, attribuendo ai singoli organi le dovute competenze e regolando il procedimento nelle due fasi di formazione dell'atto, quella comunale e quella regionale. 3.1. - Il congegno previsto dalla legge n. 122/1989 non solo interviene nella disciplina di dettaglio della formazione degli strumenti per la regolazione del territorio e delle sue modificazioni, ma pone a carico della regione, per l'attuazione dei compiti istruttori e decisori relativi alla fase regionale del procedimento, un termine di brevita' irragionevole, tale da non poter essere provvedibilmente rispettato: cosicche' di fatto quel che puo' apparire un'eccezione derivante da negligenze regionali (e cioe' la formazione dell'approvazione del programma comunale per silenzio accoglimento) diventa la regola. La regione non puo' esaminare, nel troppo breve termine concessole, cento o duecento programmi, provenienti da comuni con forti congestioni di traffico e problemi di parcheggio (basti pensare, per citare a caso alcuni esempi, ai comuni sulla via Emilia, a quelli della zona costiera, a quelli a cavallo delle grandi direttrici autostradali); ne' puo' svolgere un'adeguata istruttoria e prendere una motivata decisione per verificare le coerenze con le previsioni del piano, con le interconnessioni intercomunali provinciali, con l'impatto, nel sistema del territorio regionale nelle sue complesse valenze urbanistiche, paesistiche, di trasporti e via dicendo (sempre necessarie ed esplicitamente previste nell'art. 6 primo comma e nel secondo comma, che prevedono intese con l'Ente ferrovie dello Stato che vanno verificate in sede regionale nonche' nell'art. 10 per quanto riguarda le infrastrutture di sosta finalizzate all'interscambio con il sistema di trasporto collettivo da gestire da enti concessionari di autostrade o da societa' da esse controllate, in correlazione ad un sistema che e' di competenza regionale e - in quanto materia prevista dagli artt. 117 e 118 - affidato ad un piano dei trasporti, secondo il d.P.R. n. 616/1977 e la legge 10 aprile 1981, n. 151, legge quadro per l'ordinamento, la ristrutturazione e il potenziamento dei trasporti pubblici locali, ed articolato secondo obiettivi di integrazione fra diversi servizi e modi di trasporto e di pianificazione dei trasporti e strumenti urbanistici). Si deve aggiungere, a proposito della annotazione accennata riguardante gli artt. 6 e 10, che proprio l'aver regolato i rapporti relativi all'Ente ferrovie e alle societa' concessionarie autostradali sulla base di intese dirette fra questi enti e i comuni comporta una funzione regionale di controllo-valutazione di interessi territoriali sovracomunali, che viene riconosciuta dalla legge negli artt. 3 e 6 ma che e', di fatto, resa impossibile dalla brevita' del termine. Che tutto cio' sia fatto nel giro di trenta giorni, tenendo conto che la competenza ad approvare una variante di uno strumento urbanistico appartiene alla giunta secondo la legislazione regionale, e' palesemente impossibile, cosi' come e' impossibile che nel caso particolare disciplinato dall'art. 6 tutto cio' sia fatto nel maggior termine di sessanta giorni, che e' pur sempre troppo corto. 3.2. - Ne consegue che, nella realta' effettuale, il congegno strutturato sull'imposizione di un termine manifestamente insufficiente comporti che automaticamente si applichi la norma sul silenzio accoglimento e che cosi' scompaia la funzione di formazione dell'atto complesso con cui si realizza il governo del territorio spettante alla regione, con violazione delle competenze regionali che, secondo i principi fondamentali, sono esercitate ed esercitabili in quanto vi sia la necessaria partecipazione alla formazione e alla modificazione degli strumenti urbanistici. 3.3. - Pertanto o il termine esageratamente breve e' voluto per sottrarre scientemente alla regione il potere che le appartiene, e allora la norma viola gli artt. 117 e 118 della Costituzione, oppure il termine e' frutto di irragionevolezza, per cui nel momento stesso in cui una norma riconferma la necessita' delle due fasi dell'approvazione della variante, nello stesso contesto un'altra norma ne rende impraticabile l'esercizio: e tale irragionevolezza del pari viola gli artt. 117 e 118 della Costituzione in relazione all'art. 3 della Costituzione e all'art. 97 della Costituzione. 4.1. - La Corte, in altre circostanze, ha gia' provveduto ad annullare norme che ponevano termini irragionevolmente brevi, tali che nell'effettivita' dell'applicazione della norma (che la Corte ha sempre considerato di fondamentale rilevanza) rendevano di difficile esercizio, e per cio' ledevano, situazioni soggettive garantite dalla costituzione. Tale e' l'insegnamento dato dalle sentenze 22 novembre 1962, n. 93, con cui veniva dichiarata la illegittimita' dell'art. 18 della legge fallimentare, r.d. 16 marzo 1942, n. 267; 5 luglio 1968, n. 85, sulla illegittimita' dell'art. 28 del r.d. 17 agosto 1935, n. 1765, con disposizioni sull'assicurazione obbligatoria degli infortuni sul lavoro; 22 dicembre 1969, n. 159, di dichiarazione di illegittimita' dell'art. 32, terzo e settimo comma del r.d. n. 1165/1938 sull'edilizia economica e popolare; 23 marzo 1981, n. 42, punto 5, in diritto, con cui e' stato dichiarato illegittimo l'art. 25 della legge fallimentare. Sono tutti casi in cui la irragionevole brevita' del termine ledeva il diritto dei soggetti privati sancito dall'art. 24 della Costituzione. 4.2. - E' di tutta evidenza che nel caso sottoposto all'esame della Corte non v'e' alcun riferimento a quel parametro normativo; ma vi e' ugualmente una statuizione di legge che, ponendo un termine troppo breve, integra una violazione di norme costituzionali che assicurano la protezione di una situazione riconosciuta dalla costituzione. Questa, nel caso in questione, e' la competenza regionale lesa dalla realta' di un congegno che impedisce la formazione di un atto regionevolmente istruito e meditato e sostituisce alla competenza regionale quella del comune che propone e decide con effetti al di fuori della sua area e del suo livello, mentre la legge ritiene, giustamente, che debba subentrare la competenza regionale; ed e' interesse protetto, anche e insieme a quello specifico ricordato, il buon andamento tutelato in via generale dall'art. 97 della Costituzione. 4.3. - Se la normazione prevede un procedimento a due fasi, con la presenza deliberativa di due soggetti - comune e regione - ciascuno portatore delle sue competenze, funzioni ed interessi, secondo un modulo che non viene sostituito o modificato (perche' anzi la legge n. 122/1989 conferma il procedimento in due fasi per la formazione della modificazione dell'atto complesso), e' irragionevole e contrario alla logica del buon andamento, qual'e' stato individuato dal legislatore nel costruire il procedmento a due fasi di cui e' stato fatto cenno, impedire, di fatto, che la fase dell'approvazione trovi il suo svolgimento e, di fatto, obliterarla nel momento stesso in cui la si riafferma. L'irragionevole violazione dell'art. 97 dell Costituzione si salda a quella delle competenze regionali, perche' la diversita' di soggetti operanti nelle due fasi, uno dei quali, quello regionale, e' fornito di competenza costituzionalmente garantita, viene di fatto annullata, concentrando in un solo soggetto la deliberazione che modifica l'atto - strumento urbanistico - imputato al soggetto Regione e da questo concretamente formato come atto a complessita' ineguale; mentre con l'impedire di fatto l'ordinato manifestarsi delle potesta' istruttorie e decisorie, si sostituisce alla competenza garantita dalla costituzione una competenza diversa e si sostituisce al modello regionale delle due fasi un altro non previsto ne' voluto formalmente. 5.1. - L'art. 9 poi, per altro verso e per altre ragioni, lede le competenze regionali poste dagli artt. 117 e 118, consentendo un'indiscriminata utilizzazione di qualsiasi sottosuolo in forma che appare contraddittoria. Incidentalmente si puo' far rilevare che l'art. 9, nel secondo comma, prevede che qualora vi sia una conformita' agli strumenti urbanistici si formi il silenzio accoglimento sulla domanda di autorizzazione, con una distinzione fra casi di conformita' e casi di non conformita' che, peraltro, piu' non sussiste in quanto si e' costituita, nel primo comma, una situazione soggettiva in deroga. L'intervento del legislatore, che pone una regola indiscriminatamente uguale per tutti, in zone di espansione extraurbane o nei centri storici, in zona A o B o C, lede le competenze che la costituzione attribuisce alle regioni perche' regolino l'assetto del territorio tenendo conto nel dettaglio della peculiarita' delle aree regionali e subregionali e delle caratteristiche locali, non consentendo formulazioni genericamente arbitrarie che non tengono conto del sommarsi di effetti automatici, il quale sconvolge gli assetti per i quali si deve procedere ad una attivita' pianificatoria. Cosicche', se anche le predette arbitrarie formulazioni tengono presenti le normative a salvaguardia di interessi paesistici, ignorano per il resto le diversita' geologiche, anche se si deve ritenere che la normativa introdotta dall'art. 9 non abbia nessuna capacita' di modificare le norme dettate per le zone sismiche dalle leggi statali legge 10 dicembre 1981, n. 741, e regionali (legge Emilia-Romagna 19 giugno 1984, n. 35 e regolamento 13 ottobre 1986, n. 13), perche', se cosi' non fosse, vi sarebbe altra lesione delle competenze regionali. Anche in questo caso gli interessi di difesa del paesaggio, valore primario (sentenza n. 151/1986), non vengono tutelati da un congegno di silenzio accoglimento che consente la modifica del territorio dopo un termine di novanta giorni, relativamente breve se si tien conto della vastita' della parte del territorio nazionale soggetto a vincoli paesistici per la legge n. 431/1985, ai vincoli imposti con atto amministrativo e al numero di domande che verra' presentato. 5.2. - Per dimostrare la irragionevolezza del termine si puo' ricordare che nel concedere agli abusivisti la sanatoria la legge n. 47/1985 prevedeva nell'art. 32 che per le opere costruite su aree sottoposte a vincolo le amministrazioni preposte alla tutela del vincolo avessero a loro disposizione un termine di centottanta giorni, decorso il quale la domanda si intendeva rigettata. La legge n. 47/1985 venne modificata dal d.-l. 12 gennaio 1988, n. 2, oggetto di giudizio da parte della Corte, che riconobbe come l'espressione di parere negativo fosse una competenza regionale che la regione ben poteva tutelare, e che di fronte alla statuizione dell'art.9 della legge n. 122/1989 deve ugualmente tutelare, non perche' la formulazione disconosca la sua competenza, ma perche' pur riconoscendola - ne impedisce di fatto l'esercizio con un congegno di silenzio accoglimento che fa sopravvenire il provvedimento silenzioso, o gli effetti analoghi a quelli del provvedimento, dopo un periodo di tempo troppo breve. Che tale esso sia lo dimostra la comparazione con il termine doppio di centottanta giorni, fissato dalla legge n. 47/1985 e confermato dalla legge n. 68/1988 con la quale e' stato convertito con modificazioni il d.-l. n. 2/1988. Tale legge, nel confermare che il silenzio portava ad un rifiuto, ha previsto la sua eventuale impugnazione. Orbene, se il legislatore trova congruo un termine di centottanta giorni per arrivare ad un rifiuto di accogliere una domanda che possa porsi in contrasto con i valori paesistici, un termine dimezzato per arrivare ad un accoglimento non e' ragionevole e si risolve in una reale compessione delle competenze regionali, che non possono essere esercitate, e nella reale perdita di tutela del valore primario di tutela paesistica. 5.3. - La regione Emilia-Romagna deve rivendicare la sua legittimazione sotto il profilo dell'invasione delle sue competenze, delineate a norma degli artt. 117 e 118; ma deve anche insistere sul profilo della violazione dell'art. 9 della Costituzione, che tutela un valore primario e principio supremo che appartiene al novero di quelli che non possono essere sovvertiti neppure da leggi costituzionali (sentenza n. 1146/1988) e che reggono, al pari degli altri valori dello stesso tipo, l'intero ordinamento della Repubblica, imponendo che l'esercizio delle competenze legislative, anche del legislatore costituzionale, sia conforme a quei valori, operanti nell'intero ordinamento. Le competenze legislative e amministrative attribuite dagli artt. 117 e 118 come vanno lette, configurate esercitate alla luce dei principi generali e dei principi fondamentali cosi' - a maggior ragione - vanno lette, configurate, esercitate alla luce dei valori superiori, che sono di rango piu' elevato dei principi ricordati, e tali da confermare i poteri regionali, che comunque a quei principi supremi debbono dare attuazione, cosi' come la danno ai principi generali e ai principi fondamentali. La competenza delle regioni, che esse possono e debbono difendere, e' quella risultante dagli artt. 117 e 118 che elencano materie i cui vertici sono regolati dai principi di diverso grado che costituiscono elementi portanti dell'assetto normativo istitutivo delle competenze, attribuite, innanzi tutto, per l'attuazione dei valori primari, principi condizionanti ma anche e soprattutto propulsivi, conformate dai principi nel triplice livello di principi fondametali, di principi generali, di principi supremi. Come le Regioni possono dolersi se i principi fondamentali vengono violati con lesione delle loro competenze (ad esempio con la sottrazione di area normativa), cosi', a maggior ragione, possono dolersi se vengono poste norme che non consentano loro di attuare i valori superiori alla cui attuazione sono chiamate, con lesione delle loro competenze; il che avviene quando la disciplina della legge statale sia posta a scapito della loro competenza in modo tale da non garantire la tutela di un valore primario alla cui attuazione le regioni sono tenute secondo i canoni di collaborazione, di leale intesa, di ripartizione di competenze posti dalla Corte, e in forza del potere-dovere in cui si sostanzia la loro competenza, che e' il potere dovere di legiferare e amministrare nell'ambito delle proprie competenze secondo la costituzione e che esse correttamente difendono. La irragionevolezza della disciplina e l'alterazione del buon andamento dell'amministrazione, la riduzione di fatto di poteri che si dichiara di confermare con la solennita' dell'enunciazione legislativa e che, invece, vengono aboliti attraverso un congegno normativo, sono tutte lesioni della competenza regionale, ma sono anche tutte lesioni del valore primario della tutela del paesaggio, anch'essa potere delle regioni, principio ordinatorio attivamente propulsivo e non meno limite della loro attivita' e di essa qualificante oggetto e modo di operare. Dal momento che la tutela del valore primario spetta anche alle regioni, e anzi nella prima fase alle regioni, la previsione irragionevole del modo di tutelare un valore primario che impedisca il corretto esercizio della competenza regionale costituisce lesione di questa.