ha pronunciato la seguente
                                SENTENZA
 nel  giudizio  di  legittimita'  costituzionale  dell'art.  44, primo
 comma, del regio decreto 26 giugno 1924, n.  1054  (Approvazione  del
 testo  unico  delle  leggi  sul Consiglio di Stato), dell'art. 26 del
 regio decreto 17  agosto  1907,  n.  642  (Regolamento  di  procedura
 dinanzi  alle  sezioni  giurisdizionali  del  Consiglio di Stato), in
 relazione all'art. 8, primo comma, della legge 6  dicembre  1971,  n.
 1034  (Istituzione  dei tribunali amministrativi regionali), promosso
 con ordinanza emessa il 29 gennaio 1988 dal TAR della  Valle  d'Aosta
 sul  ricorso  proposto  da Binotto Ennio ed altra contro il Comune di
 Saint Vincent, iscritta al n.  436  del  registro  ordinanze  1988  e
 pubblicata  nella  Gazzetta  Ufficiale  della Repubblica n. 41, prima
 serie speciale, dell'anno 1988;
    Udito  nell'udienza  pubblica  dell'8  febbraio  1989  il  Giudice
 relatore Vincenzo Caianiello;
                           Ritenuto in fatto
    Nel  corso  di un giudizio avente ad oggetto la legittimita' di un
 diniego di concessione in sanatoria, relativo ad alcuni manufatti  di
 modesta  entita',  il  Tribunale amministrativo regionale della Valle
 d'Aosta, con ordinanza in data 29  gennaio  1988  (r.o.  n.  436  del
 1988),  ha  sollevato,  in  riferimento  agli  artt.  3 e 24, primo e
 secondo  comma,  della  Costiuuzione,   questione   di   legittimita'
 costituzionale  degli  artt.   44,  primo  comma del regio decreto 26
 giugno 1924, n. 1054 (Approvazione del testo unico  delle  leggi  sul
 Consiglio  di  Stato)  e  26 del regio decreto 17 agosto 1907, n. 642
 (Regolamento di procedura dinanzi alle  sezioni  giurisdizionali  del
 Consiglio  di  Stato),  in  relazione  all'art. 8, primo comma, della
 legge  6  dicembre  1971,  n.   1034   (Istituzione   dei   tribunali
 amministrativi regionali).
   Premesso  che il diniego di concessione e' motivato sul presupposto
 che le opere realizzate ostacolerebbero l'esercizio di  una  servita'
 pubblica  di  passaggio,  e  che,  proprio sotto tale aspetto, l'atto
 viene impugnato per travisamento  dei  fatti,  negando  i  ricorrenti
 l'esistenza  di tale servitu', il giudice a quo, al fine di accertare
 la  legittimita'  o  meno  del  provvedimento,   ritiene   di   dover
 preventivamente definire, in via incidentale, una questione attinente
 a diritti soggettivi, e cioe' se effettivamente l'area di  proprieta'
 dei ricorrenti sia gravata da servitu' di uso pubblico.
    Essendo  pacifico  in  causa  che  tale  diritto  a  favore  della
 collettivita'  non  si  e'  costituito  per   provvedimento   formale
 dell'amministrazione,   ne'   per   riconoscimento   da   parte   del
 proprietario, l'oggetto dell'accertamento  incidentale  consisterebbe
 nell'avvenuta usucapione o meno della servitu'.
    Osserva,  al  riguardo,  il  Tribunale  rimettente  che il giudice
 amministrativo non dispone di mezzi istruttori idonei  a  provare  la
 durata   ultraventennale   dell'eventuale   utilizzazione  uti  cives
 dell'area  in  questione,  non  potendosi  ritenere  tali,  ne'   gli
 strumenti previsti dagli artt. 44 regio decreto n. 1054 del 1924 e 26
 regio  decreto  n.  642  del  1907,  ne'  le  quindici  dichiarazioni
 sostitutive  di atto notorio rese da altrettanti cittadini e prodotte
 in  giudizio  dall'amministrazione   (che   secondo   la   prevalente
 giurisprudenza  non  rivestono carattere probatorio), ne', infine, la
 perizia tecnica disposta d'ufficio. Lo strumento  idoneo,  ad  avviso
 del giudice a quo, non puo' che consistere nelle c.d. prove orali del
 processo  civile  ordinario   (interrogatorio   libero   e   formale,
 giuramento   decisorio   e,  soprattutto,  prova  testimoniale)  che,
 tuttavia, attesa la diversita' intrinseca dei due giudizi,  non  sono
 mai state ammesse nel giudizio amministrativo di legittimita'.
    L'inadeguatezza  degli  attuali  mezzi  istruttori  sarebbe stata,
 d'altra parte, gia' riconosciuta e  censurata  da  questa  Corte  con
 riferimento al settore della giurisdizione esclusiva, nell'ambito del
 quale, il giudice amministrativo decide  anche  in  tema  di  diritti
 soggettivi.  I  medesimi  profili  di incostituzionalita' riscontrati
 dalla sentenza n. 146 del 1987 varrebbero,  a  maggior  ragione,  con
 riguardo   alle  limitazioni  dei  mezzi  di  prova  che  il  giudice
 amministrativo incontra quando si trova a  dover  risolvere,  in  via
 incidentale,   questioni  pregiudiziali  di  competenza  del  giudice
 ordinario.
    Le norme impugnate, impedendo che nelle predette questioni possano
 essere esperiti i normali mezzi  di  prova  previsti  dal  codice  di
 procedura  civile,  violerebbero  i  principi  di ragionevolezza e di
 parita'  di  trattamento  insiti  nell'art.  3  della   Costituzione.
 Difatti, la medesima questione giuridica, definibile in modo organico
 e compiuto dinanzi al giudice  ordinario  adito  in  via  principale,
 troverebbe  invece  "ostacoli  processuali  insuperabili"  dinanzi al
 giudice amministrativo chiamato a deciderla in via incidentale.
    Inoltre  la  carenza  di  mezzi  istruttori, impedendo un adeguato
 accertamento degli elementi di fatto  da  cui  dipende  la  soluzione
 della  questione  incidentale, si porrebbe in contrasto con l'art. 24
 della Costituzione sia sotto  il  profilo  della  effettivita'  della
 tutela  giurisdizionale  assicurata  a  chiunque  agisce  in giudizio
 (primo comma), sia sotto il profilo attinente al principio della  par
 condicio  delle  parti in causa, in relazione al quale la limitatezza
 degli attuali mezzi di prova (chiarimenti, documenti e verificazioni)
 implicherebbe  l'acquisizione  di  elementi  provenienti  da una sola
 delle predette parti.
    Nel  giudizio dinanzi a questa Corte nessuna di quest'ultime si e'
 costituita,  ne'  ha  ritenuto  di  intervenire  il  Presidente   del
 Consiglio dei Ministri.
                         Considerato in diritto
    1.  -  Il  Tribunale  amministrativo regionale della Valle d'Aosta
 dubita della legittimita' costituzionale degli artt. 44, primo comma,
 del  regio  decreto  26  giugno  1924 n. 1054 (Approvazione del testo
 unico delle leggi sul Consiglio di Stato) e 26 del regio  decreto  17
 agosto  1907,  n.  642 (Regolamento di procedura dinanzi alle sezioni
 giurisdizionali del Consiglio di Stato),  in  relazione  all'art.  8,
 primo  comma,  della  legge 6 dicembre 1971, n. 1034 (Istituzione dei
 tribunali amministrativi regionali) per contrasto con gli artt.  3  e
 24, primo e secondo comma, della Costituzione.
    Osserva  il  giudice  a  quo che le norme denunciate non prevedono
 che, nelle questioni pregiudiziali relative a diritti, definibili dal
 giudice  amministrativo incidenter tantum ai sensi dell'art. 8, primo
 comma, della legge 6 dicembre 1971, n. 1034, possano essere  esperiti
 gli  stessi mezzi di prova di cui puo' avvalersi il giudice ordinario
 per la soluzione, in via principale, di identiche questioni.
    La  carenza  di  tali  mezzi istruttori, impedendo di accertare in
 modo compiuto gli elementi di fatto da cui dipende la soluzione delle
 questioni  pregiudiziali, determinerebbe un'ingiustificata disparita'
 di trattamento in relazione a situazioni processualmente  omogenee  e
 sarebbe  altresi' in contrasto con la garanzia di un'effettiva tutela
 giurisdizionale assicurata a chiunque agisce in giudizio  e  cio',  a
 maggior   ragione,  ove  si  consideri  che,  quando  della  medesima
 questione e' investito il  giudice  ordinario,  l'effettivita'  della
 tutela  risulta  garantita  da  strumenti  probatori piu' completi ed
 adeguati. Risulterebbe altresi' violato, in riferimento  all'art.  24
 della  Costituzione,  il  principio della par condicio delle parti in
 causa, in quanto gli attuali mezzi di prova consentiti  (chiarimenti,
 documenti  e  verificazioni)  implicano  l'acquisizione  di  elementi
 provenienti da una sola delle parti in causa, mentre l'ammissibilita'
 di  altre  prove,  quale  quella  testimoniale,  tenderebbe  invece a
 parificare la posizione processuale del  privato  rispetto  a  quella
 dell'amministrazione, consentendogli di portare nel giudizio elementi
 di prova estranei all'amministrazione stessa e  cio'  nell'ambito  di
 questioni  in  cui,  trattandosi  di diritti soggettivi, le posizioni
 delle parti in causa sono su di un piano di sostanziale parita'.
    2.  -  Devesi  in  primo luogo dichiarare l'inammissibilita' della
 questione di legittimita' costituzionale riguardante  l'art.  26  del
 regio  decreto  17  agosto  1907,  n.  642, in quanto il sindacato di
 disposizioni contenute in atti privi di forza di legge esorbita dalla
 competenza della Corte costituzionale, al cui giudizio possono essere
 sottoposti solo gli atti aventi forza di legge. Come  e'  stato  gia'
 affermato da questa Corte (sentenza n. 118 del 1968) il regio decreto
 17 agosto 1907, n. 642 e' privo di tale forza, essendo stato  emanato
 sulla base dell'art. 16, primo comma, della legge 7 marzo 1907, n. 62
 che conferiva all'autorita' governativa il  potere  di  stabilire  le
 modificazioni  da  apportarsi,  fra  l'altro, al "regolamento" per la
 procedura davanti  alle  sezioni  giurisdizionali  del  Consiglio  di
 Stato.  Essendo  stata quindi la stessa legge a qualificare, sia pure
 indirettamente, la natura dell'atto normativo da  emanarsi  da  parte
 del  Governo, e poiche' nulla contraddice nella specie alla qualifica
 regolamentare risultante dal testo della legge che  ha  conferito  al
 Governo la relativa potesta', non puo' revocarsi in dubbio che si sia
 in presenza  di  norme  di  carattere  regolamentare  come  tali  non
 sottoponibili al sindacato del giudice delle leggi.
    3.1.  -  La  questione  della  limitazione dei mezzi probatori nel
 processo amministrativo riguardante l'art. 44, primo comma, del regio
 decreto  26 giugno 1924, n. 1054, sollevata in riferimento all'art. 3
 della Costituzione, non e' fondata.
    Tale  questione  (come  del resto l'altra, che verra' esaminata in
 prosieguo, sollevata in riferimento  all'art.  24,  primo  e  secondo
 comma  della  Costituzione),  e' stata circoscritta dal giudice a quo
 alla  ipotesi  in  cui  al  giudice  amministrativo,   in   sede   di
 giurisdizione  di  legittimita'  degli atti amministrativi, spetta il
 potere di decidere, con efficacia limitata,  su  tutte  le  questioni
 pregiudiziali  o  incidentali  relative a diritti, la cui risoluzione
 sia necessaria per pronunciare sulla  questione  principale,  e  cio'
 perche'  si  censura  specificamente  l'art.  44 citato, in relazione
 all'art. 8, primo comma, della legge 6 dicembre 1971,  n.  1034,  che
 concerne appunto tale ipotesi.
    Al  riguardo  ritiene  la Corte di dover preliminarmente precisare
 che,  nonostante  che  l'ordinanza  di  rinvio  abbia  ristretto   la
 questione  attinente  alla limitazione dei mezzi di prova all'ipotesi
 in cui il giudice amministrativo sia  chiamato  a  decidere,  in  via
 incidentale,  su  questioni  di  carattere  pregiudiziale attinenti a
 diritti soggettivi, non sembra  che  questa  peculiarita'  possa  far
 isolare  il relativo problema dal contesto di quello piu' ampio e che
 riguarda  l'esperibilita'   dei   mezzi   di   prova   nel   processo
 amministrativo di legittimita'.
    Nell'ambito  di  quest'ultimo,  l'ordinanza  di  rinvio  distingue
 l'ipotesi in cui il giudice debba giudicare, sia pure incidentalmente
 ai  fini  della  decisione  della questione principale, in materia di
 diritti soggettivi, e cio' allo scopo di ottenere  l'estensione,  ove
 si verta in tale tipo di controversia, in tutto o in parte, dei mezzi
 di prova previsti per la tutela dei  diritti  soggettivi  dinanzi  al
 giudice  ordinario. Cio' sul presupposto che, diversamente, la tutela
 di situazioni soggettive di  identica  natura,  come  appunto  accade
 quando   il   giudice   amministrativo   sia   chiamato   a  decidere
 incidentalmente su questioni attinenti a diritti soggettivi, verrebbe
 ad essere attenuata rispetto alla tutela piu' ampia che e' assicurata
 quando delle medesime questioni conosca il giudice ordinario.
    Tale assunto non puo' essere condiviso perche', a differenza della
 giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, la  giurisdizione
 generale  di  legittimita'  concerne sempre la tutela degli interessi
 legittimi anche quando nell'esecizio di essa sia necessario  decidere
 in via incidentale questioni attinenti a diritti soggettivi. Difatti,
 ancorche' la cognizione ai fini della decisione possa riguardare tali
 questioni,  la  risoluzione  della  controversia  principale  non  e'
 diretta ad assicurare la tutela dei diritti soggettivi,  che  vengono
 conosciuti  dal  giudice  amministrativo solo in via pregiudiziale ed
 incidentale e quindi senza dar luogo a giudicato, onde la loro tutela
 rimane pur sempre affidata in via principale al giudice ordinario.
    Il   carattere   incidentale  o  pregiudiziale  della  cognizione,
 espressamente qualificato in tal modo  dalla  norma,  sta  proprio  a
 significare che non si e' in presenza di uno spostamento della tutela
 dei diritti soggettivi dal giudice ordinario a quello  amministrativo
 -   come  avviene  invece  per  le  materie  dette  di  giurisdizione
 esclusiva, nelle quali anche la  tutela  dei  diritti  soggettivi  e'
 affidata  al  giudice amministrativo nei casi tassativamente indicati
 dalla legge - secondo la previsione contenuta nell'ultima  parte  del
 primo  comma  dell'art.  103  della  Costituzione.  Non  puo' percio'
 seguirsi l'assunto di una ingiustificata disparita' di trattamento in
 presenza  di  situazioni  identiche: quelle poste a raffronto difatti
 non lo sono, dato che,  quando  il  processo  si  svolge  dinanzi  al
 giudice  ordinario, la cognizione delle questioni concernenti diritti
 soggettivi, avendo carattere principale, avviene  in  funzione  della
 tutela  di  quei  diritti  con forza di giudicato, la' dove quando il
 processo si svolge di fronte al giudice  amministrativo  la  suddetta
 cognizione  non  ha carattere principale e quindi avviene in funzione
 della tutela di interessi legittimi.
    3.2.  -  E'  per  tali  considerazioni  che  non  e'  influente il
 richiamo, contenuto nell'ordinanza di rinvio, alla  sentenza  n.  146
 del 1987, diversa essendo la ratio in base alla quale questa Corte e'
 giunta  ad  estendere  al  processo  amministrativo,   in   sede   di
 giurisdizione   esclusiva   per   controversie  attinenti  a  diritti
 soggettivi, gli altri mezzi di prova previsti per il processo dinanzi
 al  giudice ordinario. In tale occasione la Corte ebbe a censurare la
 disparita' di tutela sul terreno probatorio, assicurata al lavoratore
 nelle  controversie  in  materia  di  pubblico  impiego  rispetto  al
 lavoratore  privato,  in  ragione   della   diversita'   della   sede
 giurisdizionale  prevista presso il giudice amministrativo, nel primo
 caso, e presso il giudice ordinario, nel secondo. Diversita' di  sede
 che,  secondo la Corte, non poteva tollerare una disparita' di tutela
 in presenza di situazioni soggettive di contenuto omogeneo, in quanto
 nascenti entrambe da un rapporto di lavoro subordinato.
    Ne'  potrebbe  utilmente  richiamarsi  la sentenza n. 190 del 1985
 dichiarativa della illegittimita' costituzionale dell'art. 21, ultimo
 comma,  della  legge  6  dicembre  1971,  n. 1034 nella parte in cui,
 limitando l'intervento di urgenza  del  giudice  amministrativo  alla
 sospensione della esecutivita' dell'atto impugnato, non consentiva al
 giudice  stesso  di  adottare,  nelle  controversie  patrimoniali  in
 materia   di  pubblico  impiego  sottoposte  alla  sua  giurisdizione
 esclusiva, i provvedimenti urgenti che, invece, il giudice  ordinario
 puo'  emanare  per  tutelare diritti analoghi del lavoratore privato.
 Anche in questo caso la soluzione fu  adottata  nella  considerazione
 che  la  disparita'  dei  mezzi  di  tutela  assicurati al dipendente
 pubblico rispetto a quello privato, in ordine a pretese  patrimoniali
 di natura pressoche' identiche, non poteva trovare giustificazione in
 ragione della diversita' della sede giurisdizionale prevista  per  le
 controversie  in  materia  di  pubblico  impiego  rispetto  a  quella
 prevista per le controversie in tema di impiego privato.
    4.1.  -  La  questione  che investe l'art. 44 del regio decreto 26
 giugno 1924, n. 1054, in riferimento all'art. 24 della  Costituzione,
 e' invece inammissibile.
    Anche  in  relazione a quest'altro aspetto va ribadito che, quando
 si tratti della cognizione di questioni pregiudiziali  o  incidentali
 relative  a  diritti  soggettivi,  il  problema della limitazione dei
 mezzi  di  prova  non  presenta  nel   processo   amministrativo   di
 legittimita'    profili    peculiari,   talche'   la   questione   di
 costituzionalita' riguardante la disciplina probatoria, sollevata  in
 riferimento  all'art. 24 della Costituzione, deve essere esaminata in
 relazione  al  processo  amministrativo  di  legittimita'  nella  sua
 interezza.
    Per  invocare  l'applicabilita' dei mezzi di prova previsti per il
 processo civile, il giudice a  quo  sembra  far  leva  essenzialmente
 sull'esigenza  di  assicurare  la  parita'  processuale fra le parti,
 quale proiezione dell'effettivita'  della  tutela  giurisdizionale  e
 della  garanzia  di  difesa  in ogni stato e grado del giudizio, come
 assicurate dall'art. 24, primo e secondo comma, della Costituzione.
    A  tal  fine,  facendosi  specifico  riferimento alla controversia
 oggetto del giudizio a quo, nell'ordinanza di rinvio si sostiene che,
 ammettendosi  la  prova  testimoniale,  si  verrebbe  a parificare la
 posizione    processuale    del    privato    rispetto    a    quella
 dell'amministrazione, consentendogli di portare nel giudizio elementi
 di prova estranei all'amministrazione stessa.
    In  proposito  va  ricordato  che, nel processo amministrativo, la
 tutela degli interessi  legittimi  avviene  attraverso  il  sindacato
 sull'esercizio  del  potere  amministrativo.  Se  dunque  tale  e' la
 funzione del processo, il sindacato sulle  modalita',  con  cui  quel
 potere  e'  esercitato,  deve  necessariamente muovere in primo luogo
 dall'esame del complesso  degli  elementi  che  l'amministrazione  ha
 posto  a  fondamento delle proprie valutazioni; il che non esclude le
 opportune integrazioni che il giudice amministrativo,  nell'esercizio
 dei  suoi poteri ordinatori, puo' prescrivere onde pervenire nel modo
 piu' esauriente all'accertamento dei  fatti  su  cui  si  fondano  le
 rispettive  pretese  delle parti. Anche se dunque il thema decidendum
 e' rigidamente prefissato dalle prospettazioni  e  dalle  allegazioni
 del  ricorrente,  di  norma  e'  nel  dominio dell'amministrazione la
 possibilita' di fornire la prova di certi fatti, per cui se, ai  fini
 della  decisione,  occorra verificare la veridicita' di fatti posti a
 fondamento   dell'atto   amministrativo   impugnato,   e'    l'organo
 amministrativo che l'ha emanato a subire il relativo onere probatorio
 e le conseguenze del mancato assolvimento  di  questo,  spettando  al
 giudice,  che  abbia disposto l'acquisizione della prova individuando
 la parte all'uopo onerata, di trarre  il  proprio  convincimento  dal
 comportamento  dell'amministrazione  che  non  sia  stata in grado di
 dimostrare quanto affermato.
    Sotto  l'anzidetto  profilo la parita' processuale fra le parti e'
 dunque assicurata e  se  nella  esperienza  pratica  avviene  che  il
 giudice  non  esercita  i  propri  poteri  in  modo da pervenire alla
 migliore conoscenza dei fatti, cio' non  deriva  per  lo  piu'  dalla
 limitatezza dei mezzi di prova a sua disposizione, bensi' dal ridotto
 esercizio che egli fa di detti poteri. Il convincimento  del  giudice
 deve  formarsi non sulla base di cio' che le parti prima del processo
 (come, ad esempio, l'amministrazione in sede di emanazione  dell'atto
 amministrativo  da  cui  trae  occasione  il processo) o durante esso
 abbiano affermato, bensi' su cio' che ciascuna di esse, in base  alle
 proprie disponibilita', sia stata in grado di provare.
    La  maggiore  ampiezza  possibile del sindacato sull'esercizio dei
 pubblici poteri non postula percio' necessariamente  l'estensione  al
 processo  amministrativo  di  legittimita'  di tutti i mezzi di prova
 ammessi  per  altri  tipi  di  processi.  Essa,  infatti,  ben   puo'
 realizzarsi   attraverso  una  penetrante  indagine  sulle  modalita'
 mediante le quali e' stata compiuta  l'istruttoria  nel  procedimento
 amministrativo, la cui congruita', nei limiti delle censure formulate
 dal  ricorrente,  e'  appunto  apprezzabile  in  sede  di   sindacato
 giurisdizionale  di  legittimita',  nonche'  in quello del successivo
 eventuale  giudizio  di  ottemperanza  che,  essendo  compreso  nella
 giurisdizione di merito (art. 27, n. 4, regio decreto 26 giugno 1924,
 n. 1054), gia' consente al giudice piu' ampi mezzi  istruttori  (art.
 27, regio decreto 17 agosto 1907, n. 642).
   Che  questa  impostazione  sia  idonea,  al fine di assicurare, sul
 terreno del processo, quella parita' tra le parti come proiezione del
 diritto  alla  difesa, e' confermato proprio dalle considerazioni che
 si traggono dalla fattispecie oggetto del giudizio a quo, occasionato
 dalla impugnativa di un diniego di concessione edilizia in sanatoria,
 nell'assunto, affermato dall'amministrazione, della esistenza di  una
 servitu'  di  pubblico  passaggio  sull'area  interessata dall'opera.
 Ebbene e' di tutta evidenza come, in una ipotesi del genere,  non  si
 possa  sostenere, secondo quanto si afferma nell'ordinanza di rinvio,
 che la parita' processuale fra le parti non e' assicurata  in  quanto
 quella  privata  non  disporrebbe  della  possibilita' di esperire la
 prova testimoniale. Diversamente, e' invece possibile al  giudice  di
 verificare,   proprio   attraverso  il  sindacato  sulla  istruttoria
 compiuta dall'amministrazione ed ovviamente nei limiti delle  censure
 formulate dal ricorrente, se le asserzioni di questa costituiscano il
 risultato di un consapevole accertamento della realta', e  di  trarre
 cosi' il suo convincimento dalle risultanze del sindacato operato sul
 procedimento seguito dall'amministrazione.
    4.2.  -  Le  considerazioni teste' formulate inducono percio' alla
 conclusione che, nonostante la tendenza degli ordinamenti  nel  senso
 di  una unita' del processo, cio' riguarda i principi fondamentali di
 esso,  mentre  la  possibilita'  del  permanere  di   una   tipologia
 differenziata  di  processi,  legata  alla obiettiva diversita' delle
 situazioni che ciascuno di  essi  coinvolga,  non  contrasta  con  il
 parametro  costituzionale  invocato  (art. 24, primo e secondo comma,
 della Costituzione) sempre che ciascuna disciplina soddisfi  al  tipo
 di  garanzia  che si intende assicurare. Di conseguenza, nel processo
 che concerne la tutela, costituzionalmente garantita, degli interessi
 legittimi,   poiche'   si  tratta  di  una  categoria  di  situazioni
 soggettive che, sul terreno  sostanziale,  si  realizzano  attraverso
 l'intermediazione  del procedimento amministrativo, appare congruo in
 sede   giurisdizionale   un   sistema   probatorio    che    consista
 essenzialmente  nel  sindacato sulle modalita' con le quali il potere
 pubblico e' stato esercitato.
    Una  volta  assicurata questa garanzia, e' in sede legislativa che
 si devono individuare i mezzi probatori adatti ad attuare  tale  tipo
 di  sindacato, potendosi censurare la scelta del legislatore soltanto
 se risulti inidonea a garantire la tutela giurisdizionale.
    L'estensione  di  tutti o di qualcuno dei mezzi probatori previsti
 dal codice di procedura civile per la tutela dei  diritti  soggettivi
 al   processo   amministrativo,   quando  questo  riguardi  interessi
 legittimi, spetta percio' al discrezionale  potere  del  legislatore,
 dovendosi   tenere   comunque  conto  che  le  limitazioni  circa  la
 possibilita' di utilizzare certi mezzi probatori sono insite in  ogni
 sistema processuale, in ragione delle peculiarita' delle controversie
 relative a ciascuno di essi e non possono considerarsi  in  contrasto
 con i principi costituzionali quando rispondano alle esigenze proprie
 del tipo di processo preso in considerazione.
    E'  per  questo che mai si e' dubitato della legittimita' di certe
 discipline processuali che escludono forme di prove legali,  ne'  mai
 si  e'  dubitato  della  legittimita'  costituzionale del tendenziale
 disfavore con cui e' disciplinata la prova testimoniale nel  processo
 civile   e   delle  limitazioni  che  da  tale  tendenza  conseguono.
 Quest'ultimo rilievo si  risolve  in  un  ulteriore  argomento  circa
 l'impossibilita'    di   un   automatico   trapianto   nel   processo
 amministrativo di legittimita' del  sistema  probatorio  proprio  del
 processo  civile,  in  quanto  la  sussistenza di quelle limitazioni,
 peculiari del processo civile, richiederebbe, comunque, un'operazione
 di  adattamento  che  non  potrebbe  certo  conseguire alla pronuncia
 additiva di questa Corte auspicata dal giudice a quo, bensi'  ad  una
 articolata disciplina legislativa.