ha pronunciato la seguente SENTENZA nel giudizio promosso con ricorso del Presidente del Consiglio dei ministri notificato il 5 novembre 1988, depositato in Cancelleria il 7 novembre 1988 ed iscritto al n. 22 del registro ricorsi 1988, per conflitto di attribuzione sorto a seguito della dichiarazione 10 ottobre 1988 dell'Ufficio regionale del Referendum della Regione Sardegna e del decreto 19 ottobre 1988 del Presidente della Giunta della Regione Sardegna, nonche' ogni altro atto o deliberazione relativi ai referendum; Visto l'atto di costituzione della Regione Sardegna; Udito nell'udienza pubblica del 7 marzo 1989 il Giudice relatore Francesco Greco; Uditi l'avv. Sergio Panunzio per la Regione Sardegna e l'Avvocato dello Stato Antonio Bruno per il Presidente del Consiglio dei ministri; Ritenuto in fatto 1. - Con decreto del 19 ottobre 1988, n. 161 il Presidente della Giunta regionale della Sardegna, vista la deliberazione di ammissibilita' in data 10 ottobre 1988 dell'Ufficio Regionale per il referendum, ha indetto la relativa consultazione popolare sui seguenti quesiti: a) se gli elettori siano contrari alla presenza in Sardegna di basi militari straniere istituite a seguito di atti internazionali non sottoposti al prescritto controllo del Parlamento e diretti ad offrire punti di approdo e di rifornimento anche a navi e sommergibili a propulsione nucleare o con armamento nucleare; b) se siano favorevoli a che il Consiglio regionale della Sardegna presenti alle Camere, ai sensi dell'art. 121, secondo comma, della Costituzione, e 51 dello Statuto sardo, una proposta di legge per vietare, esperendo le necessarie iniziative internazionali, il transito e l'approdo, nelle acque territoriali italiane, di naviglio a propulsione nucleare o con a bordo armi atomiche; c) se vogliano che lo stesso consiglio, ai sensi della teste' citata normativa, presenti una proposta di legge di revisione dell'art. 80 della Costituzione, per consentire l'accertamento della volonta' popolare, tramite referendum consultivo, sui trattati internazionali di natura politica la cui ratifica e' sottoposta all'autorizzazione del Parlamento; Con il suddetto decreto sono stati, altresi', convocati i comizi elettorali per l'11 dicembre 1988, quanto ai primi due quesiti, e per il 16 aprile 1989, quanto al terzo; 2. - A seguito di cio', il Presidente del Consiglio dei ministri ha sollevato conflitto di attribuzione, in relazione agli atti menzionati in epigrafe, chiedendo che l'adita Corte dichiari che non spetta alla Regione Sardegna ammettere ed indire referendum, ancorche' consultivi, per quesiti relativi alle materie non comprese nelle competenze della Regione stessa e, in particolare, per quesiti relativi ai rapporti internazionali e/o alla difesa della Patria; e che, viceversa, compete allo Stato ogni attribuzione relativa a tali particolari materie; annulli gli atti in relazione ai quali il conflitto e' stato sollevato e, preliminarmente, in via cautelare, sospenda l'esecuzione del ripetuto decreto 19 ottobre 1988. 3. - Resiste al ricorso la Regione Sardegna, la quale ha depositato due memorie, deducendo l'inammissibilita' del conflitto e, comunque, la sua infondatezza, instando per la sollecita trattazione della richiesta di sospensione e facendo all'uopo espressa rinunzia ai termini processuali. 4. - Hanno proposto intervento i sigg.ri Dessi' Antonio ed altri nella loro qualita' di componenti del comitato promotore dei referendum in questione, sostenendo preliminarmente l'ammissibilita' di tale atto, opponendosi alla richiesta di sospensione formulata dal ricorrente e deducendo l'inammissibilita' del ricorso oltre che la sua infondatezza nel merito. 5.1 - La difesa del ricorrente, rilevando che i referendum in contestazione sono stati indetti alla stregua della legge regionale 17 maggio 1957, n. 20 e, precisamente, dell'art. 1 della stessa, nel testo sostituito dalla legge regionale 15 luglio 1986, n. 48, ha osservato che tale sostituzione ha profondamente turbato l'assetto dell'istituto referendario, quale era stato anteriormente regolato in conformita' di specifiche previsioni statutarie (artt. 32, 43 e 54 dello statuto della Regione Sardegna): essa ha, infatti, aggiunto ai tipi originariamente previsti nuovi modelli di consultazione della volonta' popolare, fra i quali si collocano anche quelli in contestazione (riconducibili all'ipotesi di cui all'art. 3, lett. f, della "novella" del 1986). Ad avviso del ricorrente, siffatte "addizioni" alterano l'equilibrio tracciato dallo statuto regionale tra le attribuzioni legislative del consiglio e le espressioni politiche dirette del corpo elettorale e danno luogo al riconoscimento, in capo al presidente della giunta, di competenze che potrebbero essere reputate esorbitanti rispetto all'ambito segnato dall'art. 34 dello statuto stesso. In particolare, i referendum consultivi, caratterizzandosi per il fatto che il "parere" ad essi conseguente non e' richiesto da organi istituzionali della Regione, ma a questa "imposto" dagli elettori che sottoscrivono la relativa richiesta, snaturano i connotati essenziali di qualsiasi funzione consultiva e, prevedibilmente, possono causare turbamento nell'assetto istituzionale della Regione medesima, quale risulta definito da norme di rilievo costituzionale: donde la possibilita' che la Corte, ritenendola non manifestamente infondata, sollevi incidentalmente la questione di costituzionalita', in riferimento agli artt. 3, 4, 5, 32, 43 e 54 dello statuto regionale, dell'art. 1 della legge regionale n. 20/1957, nel testo sostituito dall'art. 3, lett. f, della legge regionale n. 48/1986, che prevede la possibilita' di indire referendum popolari per esprimere parere su questioni di particolare interesse sia regionale che locale. E nello stesso ordine di idee, ad avviso del ricorrente, potrebbe la Corte sollevare questione di costituzionalita' degli artt. 6, 7, 8 della citata legge n. 20 del 1957, come sostituiti dagli artt. 2, 3 e 4 della legge regionale 24 maggio 1984, n. 25, in riferimento ai "principi organizzatori" desumibili dall'art. 87, sesto comma, della Costituzione, dall'art. 2 della legge costituzionale 11 marzo 1953, n. 1, e dalla legge ordinaria statale 25 maggio 1970, n. 352 (ed anche in relazione all'art. 1, ove si menzionano i "principi della Costituzione" nonche' agli artt. 2, 3 e 4 dello statuto regionale). 5.2 - Quanto al merito del sollevato conflitto, la difesa del ricorrente ha osservato che gli atti in contestazione sono invasivi di competenze statali (violando gli artt. 1, 3, 4, 5, 14, 32, quarto comma, 34 e 51, primo comma, dello statuto della Regione Sardegna approvato con legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 3, nonche' i "principi della Costituzione", stabiliti dagli artt. 5, 11, 52, primo comma, 72, quarto comma, 75, secondo comma, 87, sesto, ottavo e nono comma, 95, primo e secondo comma, e 115 della Costituzione), oltre che viziati per sviamento di potere. Alla Regione ed agli organi che per essa agiscono non e' consentito indire o dichiarare ammissibili referendum popolari, ancorche' consultivi, in relazione alla materia dei rapporti internazionali ed alla difesa che sono di esclusiva competenza statale ed anche alle disposizioni in essa ricadenti per le quali la Regione difetta anche di competenza. L'interesse nazionale non tollera frammentazioni e riduzioni a livello regionale o locale e necessita di gestione unitaria idonea a garantire le fondamentali esigenze della collettivita'. Non ha rilievo il riferimento, contenuto nei quesiti referendari, al potere di iniziativa legislativa spettante al consiglio regionale ex art. 51, primo comma, dello statuto, per la emanazione di una legge ordinaria statale o per una revisione della Costituzione. E cio' perche': a) la funzione legislativa nella menzionata materia e' e rimane statale anche quando e' sollecitata da un consiglio regionale; b) il potere del consiglio regionale e' limitato alle sole materie che interessano la Regione onde il rinvio alle norme che fissano l'ambito delle competenze regionali e statali; c) l'esercizio del potere, previo ausilio del parere favorevole ottenuto attraverso la consultazione referendaria, privilegia l'iniziativa regionale onde il rischio che diventi uno strumento surrettizio per scardinare la prefissata distribuzione di competenze tra Stato e Regione. 5.3 - Il ricorrente ha chiesto la sospensione del decreto in contestazione per il grave turbamento che potrebbe verificarsi. Ha anche denunciato vizi di sviamento di potere, di manifesta illogicita' e di contraddittorieta' di motivazione. 6. - Il comitato dei promotori del referendum ha sostenuto l'ammissibilita' del proprio intervento sia perche' essi sarebbero i veri contraddittori, sia in base alla sentenza n. 70 del 1978 di questa Corte. Nel merito ha eccepito la inammissibilita' o la infondatezza del ricorso, alla stregua della sentenza n. 829 del 1988. 7. - Alla udienza del 22 novembre 1988 la Corte ha ritenuto che, secondo quanto piu' volte da essa affermato, del giudizio per conflitto di attribuzioni sono parti solo i soggetti titolari dei poteri in contestazione e non sono ammessi ne' interventori ne' controinteressati ne' cointeressati, con la conseguenza che, nella specie, le parti sono esclusivamente lo Stato e la Regione Sardegna. Con ordinanza n. 1040 del 1988, la Corte ha, poi, disposto la sospensione del decreto impugnato limitatamente ai due referendum indetti per l'11 dicembre 1988 in quanto il loro svolgimento prima della decisione di merito potrebbe pregiudicare gli effetti della medesima. Ha poi fissato l'udienza di merito. 8. - Con ordinanza del 25 gennaio 1989, la Corte ha richiesto le informazioni necessarie e la copia del provvedimento di autorizzazione alla proposizione del conflitto, al fine di chiarire i termini della contestazione, alla Presidenza del Consiglio dei ministri che ha depositato l'estratto del verbale delle deliberazioni del Consiglio dei ministri del 28 ottobre 1988. 9. - La difesa della Regione ha presentato tre memorie. Con esse ha anzitutto eccepito l'inammissibilita' del ricorso perche' tenderebbe a reiterare il giudizio di ammissibilita' del referendum gia' effettuato dall'ufficio competente: l'inammissibilita' dell'istanza diretta a far sollevare di ufficio due questioni di legittimita' della legge n. 20 del 1957 perche' e' stata gia' sottoposta al controllo del Governo. Ha eccepito la mancanza di autorizzazione del Consiglio dei ministri al Presidente del Consiglio di proporre conflitto di attribuzione in ordine al terzo referendum, quello da tenersi il 16 aprile 1989, in quanto non compresa nel telex inviato all'Avvocatura Generale dello Stato. E dopo l'acquisizione dell'estratto della deliberazione del Consiglio dei ministri del 28 ottobre 1988, pur ribadendo quanto innanzi dedotto, ha aggiunto che nel documento esibito non sarebbero stati individuati con certezza ne' l'oggetto dell'impugnativa riguardo a tutti e tre i quesiti referendari, ne' le attribuzioni lese, ne' le norme costituzionali violate. Nel merito ha insistito nel rilevare che, ai fini del referendum consultivi, la Regione ha competenze piu' ampie, dovendosi considerare gli interessi e non le materie e che nella specie e' indubbia l'esistenza di interessi regionali. Ha affermato, infine, che si deve tenere conto della peculiarita' dei referendum consultivi diretti solo alla formulazione di voti ed ha ribadito che il terzo referendum non riguarda la materia dei trattati internazionali ma solo una proposta di revisione di una norma costituzionale (l'art. 80). Considerato in diritto 1. - Il Presidente del Consiglio dei ministri ha sollevato nei confronti della Regione Sardegna, conflitto di attribuzione in relazione agli atti preparatori e al decreto del 19 ottobre 1988, n. 161, del presidente della giunta regionale della Sardegna con il quale, a seguito della deliberazione di ammissibilita' dell'ufficio regionale per il referendum, sono state indette consultazioni popolari sui seguenti quesiti: a) se gli elettori siano contrari alla presenza in Sardegna di basi militari straniere istituite a seguito di atti internazionali non sottoposti al prescritto controllo del Parlamento e diretti ad offrire punti di approdo e di rifornimento anche a navi e sommergibili a propulsione nucleare o con armamento nucleare; b) se siano favorevoli a che il consiglio regionale della Sardegna presenti alle Camere, ai sensi dell'art. 121, secondo comma, della Costituzione, e 51 dello statuto sardo, una proposta di legge per vietare, esperendo le necessarie iniziative internazionali, il transito e l'approdo, nelle acque territoriali italiane, di naviglio a propulsione nucleare o con a bordo armi atomiche; c) se vogliano che lo stesso consiglio, ai sensi delle citate normative, presenti una proposta di legge di revisione dell'art. 80 della Costituzione, per consentire l'accertamento della volonta' popolare, a mezzo referendum consultivo, sui trattati internazionali di natura politica la cui ratifica e' sottoposta all'autorizzazione del Parlamento. Il presidente suindicato ha chiesto che sia dichiarato che non spetti alla Regione Sardegna ammettere ed indire referendum, ancorche' consultivi, con quesiti relativi a materie non comprese nella sua competenza ed, in particolare, con quesiti relativi a rapporti internazionali ed alla difesa della Patria e che, invece, compete allo Stato ogni attribuzione relativa alle dette materie e, di conseguenza, siano annullati gli atti in relazione ai quali e' sollevato il conflitto. 2. - E' preliminare l'esame dell'eccezione di inammissibilita' del ricorso sollevata dalla Regione resistente secondo cui, in realta', dinanzi alla Corte si sarebbe proposto un nuovo giudizio di ammissibilita' dei referendum gia' effettuato dagli organi a cio' deputati ed estraneo alla competenza della Corte medesima. L'eccezione non e' fondata. Come gia' rilevato in precedenti decisioni (sentenza n. 43 del 1982), esula dai compiti di questa Corte giudicare dell'ammissibilita' dei referendum regionali mentre rientra fra i suoi poteri stabilire, come si richiede nel caso di specie, se l'atto di ammissione di referendum regionali leda la sfera di competenza costituzionalmente garantita allo Stato. Nella specie, la sola lettura del ricorso introduttivo convince che trattasi di un vero e proprio conflitto di attribuzione. Invero, non e' posto in discussione l'operato dell'ufficio preposto all'accertamento dell'ammissibilita' dei referendum ed, inoltre, e' specificamente contestato il decreto del presidente della giunta regionale di indizione e di effettuazione dei referendum stessi, quale atto produttivo della lesione della sfera delle attribuzioni che lo Stato rivendica: ne emerge, percio', chiaramente che la materia referendaria viene in rilievo esclusivamente in relazione alla specifica rivendicazione di una propria sfera di attribuzioni da parte del ricorrente. 3. - Non e' fondata nemmeno l'altra eccezione di inammissibilita' del terzo referendum. La difesa della Regione ha rilevato che il telex del 31 ottobre 1988, con il quale il Ministro per gli affari regionali ha comunicato all'Avvocatura Generale dello Stato la decisione della proposizione del conflitto di attribuzioni di cui trattasi, non si riferisce al terzo referendum, ma riguarda solo i referendum che hanno per oggetto gli insediamenti militari stranieri nell'isola. Dall'estratto delle deliberazioni del Consiglio dei ministri del 28 ottobre 1988, rimesso a questa Corte a seguito dell'ordinanza del 25 gennaio 1989, si evince che la decisione di proporre il conflitto riguarda tutti e tre i referendum, sia quelli da effettuarsi il 18 dicembre 1988, sia quello (cioe' il terzo) da effettuarsi il 16 aprile 1989. Trattasi di atto sicuramente sufficiente, in quanto sono indicati gli elementi essenziali e necessari per la individuazione dell'oggetto di detta decisione. 4. - Sono fondate le ragioni che sorreggono nel merito il ricorso. Lo statuto speciale per la Regione Sardegna prevede tre referendum regionali: un referendum abrogativo (art. 32); un referendum interno al procedimento legislativo regionale di modifica delle circoscrizioni e delle funzioni delle province (art. 43); un referendum consultivo, inserito nel procedimento di modifica dello statuto se il progetto di modifica sia stato approvato, in prima deliberazione, da una delle Camere ed il parere del Consiglio regionale sia contrario (art. 54). I tre referendum sono stati disciplinati, anche per la procedura, dalla legge 17 maggio 1957, n. 20, e poi con la legge 24 maggio 1984, n. 25, per adeguare alcune norme procedimentali alle statuizioni di questa Corte (sentenza n. 43 del 1982). Successivamente, la legge regionale 15 luglio 1986, n. 48, ha previsto sei ipotesi di referendum: a) per deliberare l'abrogazione di una legge regionale o di un atto avente valore di legge, fatta eccezione per le leggi tributarie e di approvazione dei bilanci; b) per deliberare l'abrogazione di un regolamento o di un atto o provvedimento amministrativo regionale; c) per modificare le circoscrizioni e le funzioni delle province, ai sensi dell'art. 43 dello statuto speciale per la Sardegna; d) per esprimere il parere su un progetto di modificazione dello statuto ai sensi dell'art. 54 dello statuto speciale; e) per esprimere il parere, prima della loro approvazione, su progetti di legge ovvero di regolamenti o atti o provvedimenti amministrativi di competenza del consiglio o della giunta regionale; f) per esprimere il parere su questioni di particolare interesse sia regionale che locale. I referendum indetti con il decreto impugnato ricadono nella previsione di cui alla lettera f). 5. - I referendum consultivi, anche se sul piano giuridico formale non sono vincolanti e non concorrono a formare la volonta' degli organi che li hanno indetti, restano, pero', espressione di una partecipazione politica popolare che trova fondamento negli artt. 2 e 3 della Costituzione: manifestazione che ha una spiccata valenza politica ed ha rilievo sul piano della consonanza tra la comunita' e l'organo pubblico nonche' della connessa responsabilita' politica, quale espressione di orientamenti e di valutazioni in ordine ad atti che l'organo predetto intende compiere. Il loro esito potrebbe condizionare gli atti da compiersi in futuro e le scelte discrezionali che spettano a determinati organi centrali. Comunque, nel rapporto con le istituzioni statali, sulle grandi questioni di interesse generale deve esprimersi, e nello stesso momento, l'intero corpo elettorale. Al referendum consultivo regionale, anche attesa la partecipazione della sola popolazione regionale, non puo' certamente darsi quello stesso spazio che potrebbe avere il referendum consultivo nazionale. Rispetto ai referendum consultivi regionali, si pongono necessariamente dei limiti, proprio per evitare il rischio di influire negativamente sull'ordine costituzionale e politico dello Stato. 5.1 - Alla stregua delle considerazioni fatte, si deve cogliere, quindi, il significato dell'interesse regionale e locale che qualifica i quesiti referendari e il conseguente potere dell'organo che li indice. Ha certamente rilievo la distinzione, sostenuta dalla difesa della Regione, tra materia ed interesse sotteso, ma non puo' giungersi alla conseguenza che possa risultare incisa la sfera delle attribuzioni riservate allo Stato. Vi sono interessi la cui cura e la cui realizzazione spetta esclusivamente allo Stato in base ai principi costituzionali e ai principi fondamentali dell'ordinamento. Vi sono scelte affidate alla esclusiva competenza degli organi centrali dello Stato che non possono essere assolutamente condizionate o, comunque, influenzate dall'esito di detti referendum consultivi. La stessa difesa della Regione riconosce che vi sono materie fondamentali per gli interessi dello Stato. Questa Corte ha affermato (sentenza n. 286 del 1985) che le Regioni curano materie di loro competenza; sono enti esponenziali di interessi propri anche se essi non si debbano vagliare secondo il rigido metro delle competenze attribuite alle stesse, mentre vi sono posizioni che, intrinsecamente e indivisibilmente, fanno capo all'intera collettivita' nazionale. E sotto altro profilo, di recente ha rilevato anche (sentenza n. 829 del 1988), che le Regioni hanno un ruolo di presenza politica, ma sempre per questioni di interesse regionale, eventualmente concernenti settori estranei alle materie di cui all'art. 117 della Costituzione, talche' vi sia possibilita' di una proiezione di detto interesse al di la' dell'ambito regionale. Va, cioe', riconosciuto un ruolo di rappresentanza generale della collettivita' regionale e di prospettazione istituzionale delle sue esigenze ed aspettative. Ma vi sono interessi che riguardano, nella loro essenza unitaria, la collettivita' nazionale, come tali affidati alla cura dello Stato, che i mezzi a disposizione delle Regioni non possono intaccare. Ove vi sia intreccio di interessi nazionali e regionali e sempre che sia possibile, possono farsi intese tra Stato e Regione nella funzione di cooperazione e di collaborazione. 5.2 - Cio' posto, per quanto riguarda l'attivita' politica internazionale, il compimento delle relative scelte e la stipulazione di accordi e di trattati, questa Corte ha gia' ritenuto (sentenze n. 179 del 1987; n. 187 del 1985) che rientra nella esclusiva competenza degli organi centrali dello Stato il potere di determinare gli indirizzi di politica estera. Il carattere unitario ed indivisibile della Repubblica condiziona e subordina le autonomie regionali (art. 5 della Costituzione), nelle quali non puo' essere compresa la potesta' di decidere la instaurazione e la gestione dei rapporti internazionali e anche solo di condizionare le scelte di politica estera. Ne' puo' distinguersi fra trattati gia' stipulati e ratificati e trattati da stipulare poiche' anche questi sono frutto di scelte di politica internazionale e sono di competenza degli organi centrali dello Stato sottratti, comunque, alla ingerenza di qualsiasi altro soggetto. Cio' e' comprovato dall'art. 12 della legge n. 400 del 1988, che nell'istituire la conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome, ha espressamente escluso che i "compiti di informazione, consultazione e raccordo" ad essa imputati possano concernere "gli indirizzi generali relativi alla politica estera" oltre a quelli relativi alla difesa, alla sicurezza e alla giustizia. Non mancano certo casi in cui la Regione e' abilitata a svolgere attivita' di rilievo internazionale (sentenze n. 179 del 1987 e n. 924 del 1988), come pure sussistono casi in cui si prevede la rappresentanza regionale nell'elaborazione di progetti di trattati di commercio che il Governo intende stipulare con Stati esteri per scambi di specifico interesse della Regione (art. 52, statuto Regione Sardegna): ma si tratta chiaramente di ipotesi che non ricorrono nel caso dei referendum consultivi in discussione e che non sono suscettibili di interpretazione estensiva. 5.3 - Anche la difesa militare e' prerogativa degli organi statali (artt. 11 e 52 della Costituzione). E' esclusivo interesse, con carattere unitario ed indivisibile, dello Stato la difesa della integrita' territoriale, della indipendenza e della sopravvivenza. L'accertamento e la realizzazione di siffatto interesse, che assicura la salvaguardia del territorio nazionale, spetta, dunque, unicamente allo Stato. In particolare, la difesa del territorio nazionale e' oggetto di accordi di cooperazione e di trattati con la conseguente responsabilita' dello Stato in sede internazionale. Cosi' e' oggetto di accordi internazionali tra Stati la installazione di opere difensive, di basi militari terrestri, marittime e aeronautiche. Coinvolgono anche scelte esclusivamente statali la individuazione dei mezzi di difesa, delle linee generali di conservazione, di sviluppo e di capacita' difensiva delle forze armate e tutto quanto cio' che, nei piani strategici, e' diretto a garantire la sicurezza interna ed esterna dello Stato. La dislocazione di dispositivi militari nelle varie parti del territorio nazionale e' il risultato di una strategia concordata tra Stati alleati che tiene conto di situazioni complessive di schieramenti e di nuove tecnologie che spesso esigono anche il segreto militare. Ovviamente, data la conformazione del territorio nazionale, puo' accadere che alcune Regioni siano, a causa delle ricordate installazioni, piu' sacrificate di altre: ma di cio' sussiste una adeguata giustificazione nei preminenti fini da realizzare che interessano l'intera popolazione per la tutela degli indivisibili interessi supremi della Repubblica. Tuttavia, v'e' anche una previsione normativa (legge n. 898 del 1976), secondo cui lo Stato tiene conto degli interessi regionali ed agisce sentite anche le Regioni interessate (sentenza n. 1065 del 1988). 6. - Cio' detto in linea generale, rileva la Corte che i primi due referendum hanno per oggetto la installazione di basi militari, il transito e l'approdo di navi estere da guerra in porti italiani per esigenze difensive. Sono il risultato di accordi politici presi in un quadro internazionale relativo all'attuazione dei piani di difesa del territorio nazionale. Trattasi di scelte effettuate dagli organi centrali dello Stato nell'esercizio del potere di indirizzo politico che ad essi compete. Per quanto riguarda il terzo quesito, osserva che la Regione Sardegna, sia in base alla Costituzione (art. 121, secondo comma), sia in base al suo statuto speciale (art. 51), puo' presentare alle Camere, attraverso il suo consiglio regionale, voti e proposte di legge, anche di revisione costituzionale. Ma la sussistenza di un interesse unitario come sopra definito impedisce di affermare la spettanza alla Regione del potere di promuovere proposte di leggi dello Stato dalle quali esulano del tutto interessi di carattere regionale. Di conseguenza, la stessa indizione del referendum in questione viene ad incidere su interessi estranei a quelli sui quali la Regione puo' adottare propri provvedimenti. 7. - Perdono, quindi, consistenza processuale le questioni di legittimita' costituzionale, il cui esame viene sollecitato dall'Avvocatura Generale dello Stato. L'una concernente l'art. 1 della legge n. 20 del 1957, nel testo sostituito dall'art. 3, lettera f), della legge n. 48 del 1986, in riferimento agli artt. 3, 4, 5, 32, 43 e 54 dello statuto della Regione Sardegna, sotto il profilo che, aggiungendo detta norma, a quelli previsti dallo statuto, nuovi modelli di referendum, come quelli in esame, avrebbe alterato l'equilibrio tracciato dallo statuto stesso in ordine alle attribuzioni legislative del consiglio ed avrebbe conferito al presidente della giunta competenze esorbitanti rispetto a quelle segnate dalla norma costituzionale, con la possibilita' di causare turbamento nell'assetto istituzionale della Regione cosi' come definito da norme di rilievo costituzionale. L'altra, concernente gli artt. 6, 7 e 8 della medesima legge n. 20 del 1957, come sostituiti dagli artt. 2, 3 e 4 della legge n. 25 del 1984 (Norme regolatrici della procedura referendaria), in riferimento ai principi organizzatori desumibili dagli artt. 87, sesto comma, della Costituzione, 2 della legge 11 marzo 1953, n. 1, dalla legge ordinaria 25 maggio 1970, n. 352, e dagli artt. 1, 2, 3 e 4 dello statuto speciale della Regione: cio' tenuto anche conto del fatto che le censurate norme regolano il procedimento referendario, sicche' appaiono estranee all'attuale conflitto. 8. - Pertanto, va dichiarato che non spetta alla Regione Sardegna indire i referendum in esame e, quindi, va annullato il decreto del 19 ottobre 1988 con il quale il presidente della giunta della Regione Sardegna ha indetto i tre referendum consultivi che si sarebbero dovuti tenere rispettivamente due l'11 dicembre 1988 ed il terzo il 16 aprile 1989.