LA COMMISSIONE TRIBUTARIA DI PRIMO GRADO Ha pronunciato la seguente ordinanza. In data 17 ottobre 1985 venivano notifiati al contribuente due avvisi di accertamento per gli anni 1980 e 1981 per l'omessa indicazione nella D.U. di parte dei dividendi percepiti da Gamboni Paolo. L'ufficio accertava ai fini Irpef redditi di capitale per L. 36.154.000 a fronte di un dichiarato, allo stesso titolo, di L. 8.329.000 per l'anno 1980, e L. 48.991.000 a fronte di un dichiarato di L. 13.544.000 per l'anno 1981 e liquidava quindi l'imposta dovuta riconoscendo crediti d'imposta sui dividendi per L. 2.082.000 anziche' per L. 20.337.000 per l'anno 1980 e crediti di imposta sui dividendi per L. 3.386.000 anziche' per L. 27.557.000 per l'anno 1981 come risultante delle dichiarazioni presentate. L'ufficio provvedeva inoltre ad irrogare pene pecuniarie per infedele dichiarazione per L. 5.673.000 per l'anno 1980 e per L. 9.083.000 per l'anno 1981 ai sensi dell'art. 46, quarto comma, del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600. Inoltre, per l'anno 1981 l'ufficio accertava anche compensi percepiti in qualita' di amministratore per L. 42.527.000 anziche' per L. 38.256.000 come dichiarati. Con atto del 13 dicembre 1985 il ricorrente eccepisce, in via pregiudiziale, l'illegittimita' costituzionale dell'art. 2, secondo comma, della legge 16 dicembre 1977, n. 904, in relazione agli artt. 3 e 53 della Costituzione richiede la sospensione del presente giudizio e la trasmissione degli atti alla Corte costituzionale e, in subordine, annullare l'avviso di accertamento impugnato, nella parte in cui non riconosce il credito d'imposta sui dividendi non dichiarati. Limitatamente all'anno 1981 il ricorrente richiedeva il riconoscimento di deduzione forfettaria del 10% sui compensi percepiti in qualita' di amministratore e non dichiarati e lo scomputo delle ritenute d'acconto subite sui predetti compensi. Con memoria del 29 maggio 1987 il ricorrente si riportava ai motivi del ricorso. L'ufficio ii.dd. di Monza non resisteva ai ricorsi con deduzioni scritte. La questione di incostituzionalita' sollevata dal ricorrente riguarda l'art. 2, secondo comma, della legge n. 904/77, che, tra l'altro, stabilsce la indetraibilita' del credito di imposta nel caso di omessa indicazione degli utili nella dichiarazione presentata e, di conseguenza, influisce, senza un giustificato motivo, sulla liquidazione dell'imposta dovuta, con conseguente gravoso onere da parte del contribuente. In merito alla natura del credito di imposta, si osserva che lo stesso fu istituito allo scopo di eliminare la doppia imposizione cui erano soggetti gli utili distribuiti dalle societa' di capitali. Prima della approvazione delle legge n. 904/1977 venivano tassati gli utili in capo alle societa', al momento della produzione e, una seconda volta con autonoma tassazione, nei confronti dei soci al momento della distribuzione di detti utili. Tale sistema di tassazione discriminava negativamente i dividendi degli altri redditi di capitale, e rappresentava una palese violazione del divieto della doppia imposizione di cui all'art. 67 del d.P.R. n. 600/1973. Il legislatore del 1977 avviava a tale duplicazione di tassazione mediante il meccanismo del credito di imposta che consente di neutralizzare gli effetti della prima tassazione nei confronti della societa' erogante, nel momento in cui il percettore dichiara i dividenti ricevuti; infatti l'art. 2, primo comma, della legge n. 904/1977 testualmente dispone: "Il credito di imposta e' computato in aggiunta agli utili, nella deterinazione del reddito imponibile del socio ed e' ammesso in detrazione dalla relativa imposta. Se l'ammontare del credito di imposta e' superiore a quello dell'imposta dovuta, il socio ha diritto al rimborso della eccedenza secondo le disposizioni del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, e successive modificazioni". Di conseguenza il credito di imposta non costituisce una mera agevolazione, subordinata, in quanto tale ad adempimenti formali, ma una componente del sistema impositivo dei dividendi, secondo i principi generali del nostro ordinamento tributario. Ne deriva che la disposizione dell'art. 2, secondo comma, della citata legge n. 904/1977 potrebbe ritenersi incompatibile con la natura del credito di imposta. In relazione all'art. 53 della Costituzione si osserva che, nel caso in esame, il concorso alle spese pubbliche non viene determinato in funzione della ricchezza effettivamente prodotta e accertata, bensi' in funzione della violazione di un obbligo fiscale (la omessa dichiarazione dei dividendi). Sebbene l'ufficio non abbia computato in aumento al maggior reddito di capitali accertati, la quota corrispondente al credito di imposta (in termini di imponibile), il non riconoscimento del credito di imposta (in termini di imposta) in detrazione alla maggiore imposta liquidata, farebbe nascere, in capo al contribuente, una maggiore capacita' contributiva che in realta' non esiste. In sostanza si verrebbe a sottoporre il contribuente accertato ad una imposizione differente rispetto a quella prevista per i contribuenti che abbiano correttamente adempiuto all'obbligo di dichiarazione dei dividendi percepiti, discriminando, in tal modo, posizioni soggettivamente ed effettivamente uguali. Da cio' deriverebbe una violazione anche dell'art. 3 della costituzione, posto che, a parita' di reddito imponibile, la capacita' contributiva espressa da un contribuente che non adempie completamente e correttamente agli obblighi di dichiarare, non puo' essere diversa dalla capacita' contributiva di un contribuente che a tali obblighi abbia correttamente adempiuto. In definitiva si rileva come il mancato riconoscimento del credito di imposta sui dividendi accertati e non dichiarati viola il principio della capacita' contributiva di cui all'art. 53 della Costituzione secondo il quale "tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacita' contributiva", posto che l'imposta dovuta e' determinata non in funzione di accertati indici di ricchezza, ma in funzione degli obblighi formali e strumentali violati. Analogamente appare palesemente violato il principio di uguaglianza, contenuto nell'art. 3 della Costituzione in quanto sottopone ad un diverso trattamento, situazioni sostanzialmente identiche in quanto a parita' di reddito prodotto deriva una diversa imposta dovuta. Ne si sostenga che la norma e' dettata allo scopo di sanzionare un illegittimo comportamento del contribuente, posto che l'ordinamento tributario vigente sanziona l'inosservanza dell'obbligo di dichiarazione dei dividendi con l'art. 46 del citato d.P.R. n. 600/1973, mentre applicando le contestate disposizioni di cui all'art. 2, secondo comma, della legge n. 904/1977 si verificherebbe la conseguenza perversa che la pena pecuniaria per incompleta dichiarazione (sanzione specifica) non risulterebbe commisurata alla maggior imposta effettivamente dovuta, ma anche a quella parte di maggiore imposta derivante dal mancato riconoscimento del credito d'imposta (sanzione impropria), commisurando cosi' una sanzione specifica ad ad una sanzione impropria. Poiche' la prospettata questione appare rilevante ai fini del decidere essendo l'imposta dovuta, sensibilmente minore nel caso di incostituzionalita' della norma impugnata, e poiche' a questa commissione appare "non manifestamente infondata" la prospettata questione di legittimita' costituzionale;