LA CORTE DI CASSAZIONE Ha pronunciato la seguente ordinanza sul ricorso proposto dall'I.N.P.S. - Istituto nazionale della previdenza sociale, in persona del presidente pro-tempore, elettivamente domiciliato in Roma, via della Frezza, 17, presso gli avvocati Pasquale Vario, Fabrizio Ausenda e Giorgio Starnoni che lo rappresentano e difendono giusta procura speciale in calce al ricorso, ricorrente, contro Tamone Bruno, elettivamente domiciliato in Roma, via Vespasiano n. 69, presso l'avv. Salvatore Cabibbo che lo rappresenta e difende giusta procura speciale a margine del controricorso, controricorrente, per l'annullamento della sentenza del tribunale di Biella in data 10 dicembre 1985, depositata il 6 giugno 1989 r.g.n. 1085/85; Udita la relazione svolta dal cons. rel. dott. De Rosa nella pubblica udienza del 27 gennaio 1988; Udito il p.m. in persona del sost. proc. gen. dott. Lucio La Valva che ha concluso per il rigetto del ricorso; ORDINANZA 1. - L'Istituto nazionale della previdenza sociale (I.N.P.S.) ha proposto ricorso avverso la sentenza 10 dicembre 1986 con la quale il tribunale di Brescia, confermando la pronuncia 15 giugno 1985 del locale pretore, lo aveva condannato al pagamento, in favore del pensionato Tamone Bruno, di quanto allo stesso dovuto a titolo di riliquidazione del trattamento pensionistico, con integrazione al trattamento minimo, a seguito della declaratoria di illegittimita' costituzionale dell'art. 2, secondo comma, lett. a), della legge 13 agosto 1962, n. 1337, nella parte in cui era escluso il diritto alla integrazione al minimo per coloro che erano titolari della pensione come dallo stesso Tamone goduta; cio' entro il limite del precedente decennio sul rilievo della ricorrenza della prescrizione decennale e non di quella quinquennale, come sostenuto dall'I.N.P.S. con richiamo alle disposizioni di cui al primo comma dell'art. 129 del r.d.-l. 4 ottobre 1935, n. 1827, convertito con modificazioni, dalla legge 6 aprile 1936, n. 1155. La Corte ha trattato la causa all'udienza pubblica del 28 gennaio 1988 ma intervenuta, nelle more della pubblicazione della sentenza, la norma di cui all'art. 11 della legge 11 marzo 1988, n. 67, si e' riconvocata in data odierna per decidere il ricorso alla luce anche della norma sopravvenuta. 2. - L'art. 129, primo comma, del citato r.d. del 1935 - secondo il quale le rate di pensione non riscosse entro cinque anni dal giorno della loro scadenza sono prescritte a favore dell'istituto e' stato da questa Corte ritenuto inapplicabile in ipotesi di valutazione degli effetti che la declaratoria di illegittimita' costituzionale importa sul diritto alla riliquidazione dei relativi ratei di pensioni, maturati in epoca precedente la pronuncia della Corte costituzionale. Si e' infatti, osservato (per tutte: sentenze 5 febbraio 1987, n. 1152 e 22 febbraio 1988, n. 1899) che la espansione dell'ordinamento giuridico della norma viziata da illegittimita' costituzionale e l'effetto retroattivo della pronuncia importano - salva l'ipotesi di rapporti esuriti o consolidati - che la pronuncia del giudice delle leggi abbia l'effetto di dichiarare che la norma (nella specie: l'art. 2, secondo comma, della citata legge n. 1338/1962) fin dalla sua emanazione aveva una portata comprensiva del precetto riconosciuto dalla pronuncia medesima, di ricomprendere, cioe', negli aventi diritto all'integrazione al minimo della pensione I.N.P.S. anche coloro che, titolari di altra pensione, superassero, per effetto del cumulo, il trattamento minimo garantito. Le pronunce costituzionali in materia (n. 230 del 17 luglio 1974, n. 263 del 29 dicembre 1976; n. 34 del 26 febbraio 1981; n. 102 del 27 maggio 1982 e n. 314 del 6 dicembre 1985) avevano in definitiva parificato gli interessati a tali pronuncie ai destinatari della disposizione dichiarata illegittima il cui diritto alla integrazione del trattamento minimo non fosse mai contestato e per i quali - dovendo riconoscersi alla domanda relativa natura di atto eccitatoria o sollecitatorio alla emanazione da parte dell'istituto del relativo provvedimento e non potendo, percio', postularsi la esistenza di un credito liquido ed esigibile, presupposto necessario per configurarne la possibilita' di riscossione - non poteva ritenersi applicabile, alla richiesta dei relativi ratei, la prescrizione quinquennale prevista dall'art. 129, primo comma, del r.d. n. 1827/1935, bensi' quella decennale stabilita, dal secondo comma dell'art. 47 del d.P.R. 30 aprile 1970, n. 639, per coloro che, esaurito negativamente il procedimento amministrativo di cui all'art. 44 del detto decreto presidenziale, proponessero la relativa azione giudiziaria. 3. - La portata del sopravvenuto art. 11 della legge n. 67/1988 - secondo il quale l'art. 129, primo comma, del piu' volte citato d.-l. del 1935 va interpretato nel senso che la prescrizione (quinquennale) si applica anche alle rate di pensione comunque non poste in pagamento - ha formato oggetto di contrastanti pronunce da parte di questa Corte. Secondo la sentenza 7 novembre 1988, n. 6007, l'art. 129, primo comma, del r.d. n. 1927/1935 e l'art. 11 della legge n. 67/1988, che del primo costituisce interpretazione autentica, attengono al pagamento delle rate di pensione e non gia' al riconoscimento del relativo diritto. Richiamati i tre aspetti del trattamento pensionistico nel vigente sistema previdenziale - il primo attinente al diritto stesso, di per se' indisponibile e imprescrittibile; il secondo relativo alla sua decorrenza, per la cui operativita' sono previste procedure di accertamento giudiziario volte a rimuovere gli effetti di una, omessa o negativa, decisione amministrativa mediante l'azione decennale di cui al citato art. 47, secondo comma, del d.P.R. n. 639/1976; il terzo, concernente la sola fase di pagamento delle singole rate della pensione, non contestata nella sussistenza del diritto e nella sua decorrenza, regolato dalla prescrizione quinquennale prevista dall'art. 129 del d.-l. del 1935 - la Corte ha ritenuto che il nuovo dettato legislativo atteneva alla specifica norma di riferimento, vale a dire al pagamento della rate di pensione e non gia' al riconoscimento del relativo diritto per il quale in ogni caso era indispensabile il previo espletamento della fase amministrativa e, occorrendo, di quella giudiziaria per la quale la legge prevede un termine decennale, di natura prescrizionale, la cui persistenza nell'ordinamento non era stata posta in discussione dalla norma interpretativa. La Corte ha concluso osservando che applicare la prescrizione quinquennale ad un ambito maggiore di quello specifico del pagamento dei rateri di una pensione gia' riconosciuta dall'ente ovvero giudizialmente accertata poteva comportare il far subire in parte all'interessato la conseguenza di una situazione a lui non imputabile con la consumazione di una parte della prescrizione a prescindere dalla possibilita' per il medesimo di far valere il proprio diritto. Secondo la sentenza 7 novembre 1988, n. 6008, l'art. 129 del r.d. n. 1827/1935, come interpretato autenticamente con effetto retroattivo dall'art. 11 della legge n. 67/1988, impone la prescrizione quinquennale dei ratei di pensione che per qualsiasi ragione non siano stati posti in pagamento e, quindi, anche perche' non richiesti o non liquidati. Richiamata la evoluzione della giurisprudenza di questa Corte sul termine prescrizionale del diritto a percepire le rate di pensioni - ritenuto quinquennale anche in difetto di un provvedimento di riconoscimento del diritto e di liquidazione del relativo importo e decennale, a partire dalla pronuncia 2 giugno 1977, n. 2249, sul rilievo che l'esigibilita' delle relative prestazioni, essendo subordinata al necessario esperimento delle procedure amministrative di quantificazione, prima del loro compimento difettava tale requisito, presupposto per l'applicabilita' della prescrizione quinquennale alla stregua sia della norma speciale che di quella generale di cui all'art. 2948, n. 4, del cod. civ. - nonche' le critiche della dottrina a tale conclusione - che sottolineavano, a confutazione della ritenuta indispensabilita' del provvedimento di liquidazione della prestazione presidenziale, il potere giudiziale di provvedere non soltanto sull'anima anche sul quantum del diritto, traendone la conseguenza della esistenza di un credito quantomeno di facile e pronta liquidazione - si e' spiegato l'intervento del legislatore, nell'interpretare autenticamente, ad altre cinquanta anni di distanza, l'art. 129 con la emanazione da parte della Corte costituzionale delle ricordate pronunce, le quali operavano un mutamento retroattivo di disciplina per milioni di pensioni e un onere aggiuntivo a carico del pubblico erario calcolato nell'ordine di circa seimilacinquecento miliardi di lire. Della norma interpretativa si e' ritenuta la legittimita' costituzionale con riguardo sia all'art. 101, sia all'art. 53 che all'art. 3 della Costituzione, osservandosi, per questa ultima, che la disparita' di trattamento fra pensionati che hanno ottenuto il pagamento dei ratei arretrati nei limiti della prescrizione decennale e pensionati che, non avendo ancora ottenuto tale pagamento, si vedranno dimezzati i relativi arretrati dipendeva non dalla legge interpretativa ma dal passaggio o meno in giudicato delle relative decisioni. In contrasto con la pronuncia n. 6007/1988, si e' affermata la natura decadenziale, e non prescrizionale, del termine decennale di cui allart. 47, secondo comma, del d.P.R. n. 630/1970 e la sua inapplicabilita' ai ratei di pensione non ancora liquidati atteso che tale termine riguarda i ratei di pensione maturati successivamente alla presentazione della domanda amministrativa e non gia' quelli, cui attiene l'art. 129, maturati anteriormente a tale domanda. Per questi, alla stregua della norma interpretativa, non si poneva piu' la distinzione fra ratei di pensione maturati e liquidati e ratei di pensione maturati e non liquidati perche' la fase di liquidazione anteriore a quella di riscossione, sostanziata dalla emanazione del libretto di pensione, aveva un valore puramente interno all'ente erogatore, cui l'assicurato rimaneva totalmente estraneo, per cui non aveva giustificazione alcuna il decorso di un termine prescrizionale collegato ad un evento che rimane ignoto al creditore. 4. - Il contrasto di giurisprudenza e' stato segnalato dall'Ufficio massimario di questa Corte (relazione n. 103 del 4 novembre 1988) con invito alla segnalazione dei ricorsi onde valutarne la opportunita', da parte del Primo Presidente, di investirne le sezioni unite. Con altra e piu' recente pronuncia (sent. 15 febbraio 1989, n. 919) la questione e' stata affrontata e risolta nel senso che il diritto ai ratei arretrati e' assoggettabile sempre alla prescrizione quinquennale anche se non sia avvenuta l'emissione del mandato di pagamento per non essere il procedimento amministrativo neppure iniziato o essere pervenuto soltanto alla fase di liquidazione. Premesso che le ricordate pronunce della Corte costituzionale, operative ex tunc, hanno fatto sorgere, nel titolare del diritto a pensione, il diritto alla riliquidazione della pensione e alla corresponsione dei ratei arretrati, si e' condivisa la tesi, espressa nelle altre due pronunce, sulla natura interpretativa della norma di cui all'art. 11 della legge n. 67/1988. Richiamata, poi, l'opinione di questa Corte sulla identita' di natura della fase di liquidazione e di quella di riliquidazione della pensione, essendo quest'ultima una nuova liquidazione fondata su presupposti diversi da quelli originari, con conseguente unicita' di disciplina, individuata, quanto al termine, nell'art. 47, secondo comma, del d.P.R. n. 639/1970, si e' sottolineata - prescindendo dalla natura prescrizionale o decadenziale del detto termine - la distinzione di tale diritto da quello alla pensione, imprescrittibile ed indisponibile, e si e' definita la fase del rapporto, avente ad oggetto il trattamento pensionistico, come ammissione al godimento della prestazione previdenziale - articolata nei momenti, unitariamente rilevanti, dell'accertamento delle condizioni di legge, della determinazione dell'ammontare della pensione e della manifestazione dell'atto di ammissione con la consegna del certificato di pensione - affermandosi l'applicabilita' di tale disciplina anche ai ratei della pensione (liquidata o riliquidata) perche' frazioni di un debito unico anche se rateizzato, mentre diversamente regolato, e precisamente dalla prescrizione quinquennale ex art. 129 del r.d. n. 1827/1935, era il diritto al singolo rateo messo in pagamento dopo la fase della liquidazione a simiglianza della prescrizione breve prevista in via generale dall'art. 2948, n. 4, del cod. civ. per i crediti liquidi ed esigibili e di cui l'art. 129 era da configurare come norma speciale riferita alla specifica materia. Con riferimento al contrasto giurisprudenziale insorto a seguito delle pronunce nn. 6007 e 6008 del 1988, sopra ricordate, si e' ritenuto di condividere la seconda di esse, osservando che, nella interpretazione della norma, non poteva essere trascurata la espressione "comunque" usata dal legislatore in riferimento alle rate non poste in pagamento, la quale escludeva una limitazione dell'operativita' della norma nell'ambito del pagamento stesso. Cio' non soltanto in relazione alla lettera della disposizione interpretata, dalla giurisprudenza riferita alle rate liquidate, messe in pagamento e non riscosse, ma anche alla disciplina generale dettata dal d.P.R. n. 696 del 18 dicembre 1979 per le entrate, le spese e la contabilita' degli enti pubblici. Con riguardo alla disposizione interpretata, l'interpretazione del legislatore andava intesa nel senso che la prescrizione quinquennale riguardava non soltanto la fase del pagamento, ma anche quelle precedenti, compresa quella in cui non vi fosse stata liquidazione e, per avventura, neppure richiesta. Con riguardo al d.P.R. n. 696/1979, l'interpretazione del legislatore, superando le fasi della gestione delle spese previste dall'art. 17 (impegno, liquidazione, ordinazione e pagamento), aveva inteso superare i limiti costituiti dalla liquidita' ed esigibilita' del credito presupposto, in generale, degli artt. 2935 e 2948 del c.c., e in particolare, dall'art. 129, intendendosi applicare la prescrizione breve ai crediti derivanti da ratei di pensione per i quali comunque non fosse stato omesso l'ordine di pagamento. 5. - La Corte prende atto che l'indirizzo giurisprudenziale, che si va consolidando, e' nel senso delle pronunce nn. 6008 del 1988 e 919 del 1989 ed e' alla luce di tale interpretazione sostanziale la "norma vivente" che deve d'ufficio porsi il problema della sua corrispondenza ai principi costituzionali. Cio' anche perche' altra magistratura (pretore Parma, ord. 7 giugno 1988 in Gazzetta Ufficiale della Repubblica, serie speciale n. 51 del 21 dicembre 1988, pag. 66 e segg.) ha gia' richiesto al giudice delle leggi il controllo di costituzionalita'. In via preliminare deve, pero', osservare come la spiegazione, contenuta nella pronuncia n. 6008/1988, dell'intervento legislativo evidenzi, al tempo stesso, la presenza di un problema di natura costituzionale ed un intento di eluderne la soluzione in forma surrettizia. Il problema e' quello dell'ammissibilita', o meno, nel nostro ordinamento di pronunce costituzionali aventi natura di sentenze aggiuntive, le quali, in presenza di privilegi da eliminare, estendono il miglior trattamento ai casi che non sono della legge ordinaria contemplati attraverso, cioe', la generalizzazione del privilegio. Tale soluzione comporta problemi di copertura finanziaria del comando equiparativo, che la Corte non e' da se' in grado di risolvere. La conseguenza, avvertita dalla dottrina, e' quella della introduzione di una norma che impone nuove spese senza che si faccia cenno al modo di farvi fronte come impone l'art. 81 della Costituzione, e della conseguente incostituzionalita' degli artt. 27 e 30 della legge 11 marzo 1953, n. 87, nella parte in cui prevedono la pronuncia di sentenze di tale tipo senza l'indicazione dei mezzi per far fronte alle nuove spese. Una siffatta problematica non appare di agevole soluzione perche', a tacer d'altro, l'art. 23 della Costituzione postula una riserva di legge per l'imposizione di prestazioni patrimoniali. Certo e', pero', che l'intervento del legislatore con la posizione di una norma interpretativa, che consegua il risultato pratico di vanificare, in tutto od in parte, la pacifica natura retroattiva delle pronunce costituzionali, non appare come la misura piu' corretta e razionale per la soluzione di un tale problema. Valutera' la Corte costituzionale - qualora ritenga di condividere la spiegazione contenuta nella sentenza - se l'uso di tale strumento legislativo non costituisca un vulnus al principio di efficacia ex tunc delle sue pronunce tale da imporre, anche d'ufficio, uno scrutinio di costituzionalita' alla luce dell'art. 136 della Costituzione. Il controllo della Corte deve concentrarsi sulla corrispondenza della norma interpretativa al principio di eguaglianza, sancito dall'art. 3 della Costituzione. Tale controllo non si pone negli stessi termini proposti nella pronuncia n. 6008/1988 con riferimento, cioe', alla assunta disparita' di trattamento tra pensionati che hanno gia' ottenuto il pagamento dei ratei arretrati e pensionati che, a seguito delle legge interpretativa, se li vedranno dimezzati perche' corretta, oltre che ovvia, appare la considerazione dell'essere la disparita' di trattamento correlata non gia' alla legge ma alla definizione, o meno, del rapporto a seguito del giudicato. Esso, invece, si sostanzia nella riflessione del se sia rispettoso del principio di eguaglianza un trattamento normativo che disciplini in modo identico situazioni giuridiche non esaurite ma tra loro difformi ovvero con normazione diversa posizioni soggettive tra loro omogenee. Con riguardo alla prima ipotesi, la prova emerge dalle considerazioni contenute nella pronuncia n. 919 del 1989, laddove si afferma: a) che il trattamento pensionistico si articola nei diversi momenti dell'accertamento delle condizioni di legge, della determinazione del suo ammontare, dell'atto di ammissione con la corresponsione o la messa a disposizione del dovuto; b) che la fase di accertamento concerne non soltanto la liquidazione, ma anche la riliquidazione del trattamento pensionistico; c) che in coerenza al regime speciale, quello generale, previsto dall'art. 17 del d.P.R. n. 696/1979, si articola attraverso le fasi dell'impegno, della liquidazione, della ordinazione e del pagamento. Tali considerazioni fanno sorgere l'interrogativo del se, a ciascuna di tali fasi, non corrisponda una diversa posizione soggettiva; cio' con particolare riferimento alla ipotesi, che interessa i beneficiari degli effetti retroattivi delle pronunce costituzionali prima ricordate, in cui la fase dell'accertamento del diritto al maggior trattamento pensionistico e' ontologicamente diversa da quella, terminale, del pagamento. Ne' vale opporre che le condizioni di diseguaglianza originano da ostacoli di fatto, quali la illegittimita' originaria della norma dichiarata incostituzionale, che non impediscano il decorso del termine prescrizionale perche' non e' in discussione se il termine suddetto debba o no decorrere ma se possa, ai fini del periodo utile per la prescrizione, ancorarsi ad un dato temporale identico situazioni giuridiche fra loro non omogenee. Il sospetto di irrazionale disparita' per la seconda ipotesi origina dalla considerazione, contenuta nella detta pronuncia, secondo cui il legislatore della norma interpretativa ha inteso prescindere dai requisiti della liquidita' ed esigibilita' del credito, i quali - per comune opinione espressa anche in questa controversia del ricorrente Istituto - costituiscono presupposto per l'applicazione della prescrizione quinquennale ai sensi dell'art. 2948, n. 4, del cod. civ. L'espressione "comunque" avrebbe allora l'effetto non soltanto di disciplinare in modo identico situazioni non omogenee nell'ambito del regime pensionistico, ma di differenziare irrazionalmente i relativi rapporti da tutti gli altri di natura obbligatoria, non considerando piu' necessari - nei confronti di una categoria di cittadini nell'ambito del rapporto che ne assicura il sostentamento - quei requisiti (liquidita' ed esigibilita' del credito) che invece prevede, per tutte le altre categorie e per tutti gli altri rapporti riconducibili all'art. 2948 del cod. civ., per l'applicazione della prescrizione breve quinquennale. La questione di costituzionalita', cosi' come profilata, non appare manifestamente infondata mente e' evidente la sua rilevanza ai fini della decisione. Va, percio', emesso il relativo provvedimento di rimessione alla Corte costituzionale.