IL TRIBUNALE
    Ha  pronunciato  la  seguente ordinanza nella causa promossa dalla
 R.A.S. Riunione adriatica di sicurta' S.p.a., avv. L.  Gelpi;  contro
 Maestri Dario, avv. L. Grugnola.
                           PREMESSO IN FATTO
    Con ricorso depositato il 25 novembre 1981 Maestri Dario conveniva
 in giudizio davanti al pretore di Milano la R.A.S. S.p.a. per  sentir
 dichiarare  il  suo  diritto,  quale  dirigente  della rappresentanza
 costituita nell'azienda dal sindacato "Assi Ras" di fruire, in virtu'
 di un tacito accordo, o comunque di riconoscimento tradotto in prassi
 aziendale  uniforme  o  generalizzata,  di  permessi  retribuiti  per
 l'esercizio dell'attivita' sindacale ex art. 23 della legge 20 maggio
 1970, n. 300, cosi' come avvenuto  fino  all'8  maggio  1981,  e  per
 sentir   conseguentemente   condannare  la  societa'  convenuta  alla
 restituzione degli importi trattenuti dalla retribuzione per  le  ore
 di permesso sindacale fruite.
    Si  costituiva  la  R.A.S.  S.p.a. contestando il fondamento delle
 suddette richieste e chiedendo il rigetto delle  domande  ex  adverso
 formulate.
    Il  pretore,  con sentenza 26 novembre 1982 accoglieva il ricorso,
 dichiarando il diritto di Maestri Dario  ad  usufruire  dei  permessi
 retribuiti nei limiti di cui all'art. 23 citato, ovvero nei limiti di
 clausole piu' favorevoli di contratti collettivi applicati in azienda
 e  condannando  la  convenuta  a restituire al ricorrente gli importi
 trattenuti  relativamente  ai  permessi   sindacali   goduti,   oltre
 interessi e rivalutazione.
    Avverso  questa sentenza la R.A.S. S.p.a. proponeva appello avanti
 il tribunale di Milano contestando l'esistenza nell'ambito  aziendale
 di   una   rappresentanza   sindacale,   sia   pure  di  mero  fatto,
 dell'organizzazione "Assi Ras" per mancanza  dei  requisiti  previsti
 dall'art. 19 della legge n. 300/1970 e comunque deducendo la nullita'
 di qualsiasi  regolamentazione  pattizia,  ovvero  prassi  aziendale,
 volta  alla  concessione  dei  benefici previsti dal titolo III dello
 statuto a rappresentanze sindacali aziendali extra art. 19 citato.
    Avverso  la  sentenza  10  giugno  1983  del  tribunale di Milano,
 confermativa  di  quella  di  primo  grado,  proponeva  ricorso   per
 cassazione la R.A.S. S.p.a. censurando la pronuncia impugnata:
      1)  sotto  il  profilo  della insufficienza e contraddittorieta'
 della motivazione e della correlata violazione dell'art. 112 del cod.
 proc.  civ.  per  aver  accolto  la  domanda  che il resistente aveva
 fondato   sull'assunto   della   sua   qualita'   di   dirigente   di
 rappresentanza  aziendale,  senza  che  della sussistenza di questa e
 della addotta qualifica fosse stata data prova, sul semplice  rilievo
 che  lo  stesso,  come  appartenente  al  sindacato,  aveva fruito di
 permessi  con  le   stesse   modalita'   dei   rappresentanti   delle
 organizzazioni sindacali riconosciute;
      2)  sotto  il  profilo  della  carenza  di  motivazione  e della
 violazione e falsa applicazione degli artt. 14, 19 e 23  della  legge
 20  maggio  1970,  n.  300,  per aver ritenuto legittima l'astensione
 pattizia, ravvisata nel caso del trattamento che  le  norme  indicate
 riservano  agli esponenti dei sindacati maggiormente rappresentativi,
 anche ad  altri  sindacati,  per  i  quali  doveva  invece  ritenersi
 sussistente un divieto di ordine pubblico.
    La  Corte  di cassazione, con sentenza n. 783/1986 depositata il 2
 febbraio  1986,  accoglieva  il  ricorso  cassando  la  sentenza  del
 tribunale  di  Milano  e  rinviando la causa per nuovo esame a questo
 tribunale.
    Riassumeva  la  causa davanti al giudice di invio la R.A.S. S.p.a.
 Il Maestri si costituiva mediante deposito del fascicolo e di memoria
 difensiva.
                           OSSERVA IN DIRITTO
    Il  principio  di  diritto  al  quale  il  giudice  di rinvio deve
 uniformarsi e' stato  enunciato  dalla  suprema  Corte  nei  seguenti
 termini:
      "Contrariamente  a  quel  che  il  tribunale  ha  ritenuto... le
 disposizioni dell'art. 19 dello statuto dei lavoratori,  senza  porsi
 in   contrasto   col  precedente  art.  14  e  con  l'art.  39  della
 Costituzione, che stabiliscono il principio generale  della  liberta'
 di  associazione  e  di  attivita'  sindacale, riserva la particolare
 facolta' di costituire rappresentanze aziendali in ragione,  come  e'
 detto  nella sentenza della Corte costituzionale del 6 marzo 1974, n.
 54,  della  necessita',  da  un  canto,  che  le  funzioni  di   tali
 rappresentanze  "particolarmente  incisive  nella vita dell'attivita'
 produttiva",  siano  affidate  ad  associazioni  dotate  di  speciale
 idoneita'  e  di  evitare, dall'altro, gli effetti gravissimi che sul
 piano economico-sociale comporterebbe  una  atomizzazione  sindacale,
 alle associazioni maggiormente rappresentative sul piano nazionale; e
 per converso evidentemente esclude - dato che nell'ipotesi  contraria
 la   ratio   della   norma   rimarrebbe   frustata   -  che  analoghe
 rappresentanze possano essere costituite da sindacati non forniti dei
 requisiti richiesti.
    Anche   il  diritto  di  fruire  di  permessi  retribuiti  per  lo
 svolgimento di attivita'  sindacali,  che  l'art.  23  dello  statuto
 attribuisce  solo ai membri delle rappresentanze aziendali costituite
 secondo  legge,  resta  pertanto  escluso  per  gli  appartenenti  ad
 organizzazioni  sindacali  non  legittimate;  ed  un'eventuale deroga
 pattizia  a  tale  regola,  risolvendosi  per  i  beneficiari  in  un
 trattamento   di  favore,  verrebbe  a  porsi,  oltreche'  contro  il
 principio di ordine pubblico cui  le  indicate  norme  si  informano,
 contro  l'espresso  divieto  fatto  ai  datori di lavoro dall'art. 17
 dello statuto "di... sostenere, con mezzi  finanziari  o  altrimenti,
 associazioni sindacali di lavoratori".
    Ritiene  il tribunale che le disposizioni di cui agli articoli 19,
 nonche' 17 e 23 in combinato disposto, della legge 20 marzo 1970,  n.
 300,  interpretate nel senso proposto (e doveroso per questo giudice)
 dalla Corte di cassazione non possono  sfuggire  ad  una  censura  di
 incostituzionalita'  per  contrasto  con  gli  artt.  3  e  39  della
 Costituzione, donde la non manifesta infondatezza della questione  di
 legittimita'  costituzionale da sollevarsi nei termini e per i motivi
 esposti nella apposita istanza di parte appellata.
    In  particolare si osserva che lo statuto dei lavoratori, all'art.
 14, contiene una norma  di  carattere  generale  che  stabilisce,  in
 conformita'  del  precetto di cui all'art. 39 della Costituzione, che
 il diritto di costituire associazioni sindacali,  di  aderirvi  e  di
 svolgere  attivita'  sindacale  e'  garantito  a  tutti  i lavoratori
 all'interno dei luoghi  di  lavoro.  Rispetto  a  tale  principio  la
 previsione  contenuta  nell'art.  19  ha  carattere evidente di norma
 speciale, il cui campo di  applicazione,  come  risulta  anche  dalla
 collocazione    sistematica   della   norma   stessa,   e'   riferito
 esclusivamente  al  tipo  di   rappresentanza   sindacale   aziendale
 disciplinato dalla legge.
    Poiche'  l'attivita'  sindacale  all'interno  dei luoghi di lavoro
 altro non e' se non un particolare aspetto della liberta'  sindacale,
 assumente  una  propria  fisionomia  quando  la  sua  estrinsecazione
 implica un'interferenza nella sfera giuridica altrui, si  e'  imposta
 la previsione di norme che ne definissero il contenuto.
    Sotto  questo profilo l'art. 19 dello statuto e' norma a carattere
 definitorio, in quanto mira ad identificare quei  soggetti  ai  quali
 sono  applicabili  le norme del titolo III: in altre parole individua
 quali  caratteristiche  debbano  avere  le  rappresentanze  sindacali
 aziendali  per  accedere alla c.d.  legislazione di sostegno. Solo ad
 esse, nel sistema concepito dal legislatore, e' garantito ex lege  il
 diritto,  tra  gli altri, di permessi retribuiti in favore dei propri
 dirigenti, in considerazione della loro rappresentativita' sul  piano
 extra aziendale.
    Che   la   scelta  in  tal  senso  compiuta  dal  legislatore  sia
 perfettamente razionale e consapevole  e'  stato  riconosciuto  dalla
 Corte  costituzionale  nella sentenza 6 marzo 1974, n. 54; in essa la
 ratio della disciplina e' stata individuata nella volonta' di evitare
 che  singoli  individui  o  piccoli  gruppi  isolati  di  lavoratori,
 costituiti  in  sindacati  non  aventi  requisiti  per  attuare   una
 effettiva  rappresentanza  aziendale, possano pretendere di espletare
 tale funzione compiendo indiscriminatamente nell'ambito  dell'azienda
 attivita'  non idonee e non operanti per i lavoratori e possano cosi'
 dar  vita  ad  un  numero  imprevedibile   di   organismi,   ciascuno
 rappresentante  pochi  lavoratori;  organismi  i  quali, interferendo
 nella vita dell'azienda a difesa  di  interessi  individuali  i  piu'
 diversi  ed  anche  in  contrasto  fra  loro  abbiano  il  potere  di
 pretendere l'applicazione di norme che hanno fini assai  piu'  vasti,
 compromettendo  o  quanto  meno  ostacolando  l'operosita' aziendale,
 quella dell'imprenditore ed anche la  realizzazione  degli  interessi
 collettivi degli stessi lavoratori.
    Ed  allora,  non  qualunque aggregazione di lavoratori all'interno
 del  luogo  di  lavoro  puo'  pretendere  l'applicazione  della  c.d.
 legislazione  di  sostegno e, correlativamente, l'imprenditore non e'
 obbligato ex lege a riconoscere  ad  esse  quegli  specifici  diritti
 sindacali  che  e'  tenuto  a garantire alle rappresentanze sindacali
 aziendali tipizzate nello statuto.  Peraltro,  se  da  un  lato  alle
 rapresentanze  sindacali  costituite  in  azienda  fuori  dai  moduli
 previsti dall'art. 19, non puo' essere impedito  l'esercizio  di  una
 generica   attivita'  sindacale  e  l'esplicazione  di  una  dinamica
 conflittuale, dall'altro deve ammettersi la possibilita' di  patti  o
 usi  con  i  quali  l'imprenditore conceda o contratti l'estensione a
 rappresentanze sindacali aziendali extra art.  19  delle  prerogative
 previste dal titolo III dello statuto, in tutto o in parte.
    Tale  possibilita'  non  e'  stata  affatto  esclusa dalla cennata
 sentenza della Corte costituzionale, la quale  non  ha  condiviso  la
 tesi,  assolutamente  minoritaria in dottrina e giurisprudenza, della
 natura  "permissiva"  della  norma  dell'art.  19,  per  cui  solo  i
 sindacati aventi i requisiti di cui alle lettere a) e b) della stessa
 sarebbero   legittimati   a   costituire   rappresentanze   sindacali
 aziendali.
    Diversamente  opinando  ed interpretando le norme statutarie, come
 ha fatto la Corte di  cassazione,  nel  senso  che  non  soltanto  la
 previsione    legislativa    garantisce   in   via   esclusiva   alle
 rappresentanze ex art. 19 la titolarita'  dei  diritti  previsti  dal
 titolo  III  (previsione  ritenuta  non  contrastante  con i principi
 costituzionali dal giudice delle leggi),  ma  al  contempo  vieta  ad
 altre   organizzazioni   la  possibilita'  di  acquisizione  (con  la
 conseguenza che una eventuale deroga pattizia,  ponendosi  "oltreche'
 contro  il  principio  di  ordine  pubblico  cui le indicate norme si
 informano, contro  l'espresso  divieto  fatto  ai  datori  di  lavoro
 dall'art.  17  dello  statuto  di  sostenere,  con mezzi finanziari o
 altrimenti, associazioni sindacali di  lavoratori"  comporterebbe  la
 nullita'  del  negozio  con  cui  i benefici sono stati accordati per
 nullita' dell'oggetto "illecito", si  legittimano  fondati  dubbi  di
 incostituzionalita'.
    L'asserito  divieto  per  le  organizzazioni  sindacali diverse da
 quelle individuate dall'art. 19 di costituire proprie  rappresentanze
 nei luoghi di lavoro e conseguentemente di ottenere dall'imprenditore
 la  possibilita'  di  usufruire  di  permessi   retribuiti   per   lo
 svolgimento   dell'attivita'   sindacale  si  pone  senza  dubbio  in
 contrasto con l'art. 39 della Costituzione,  che  garantisce  in  via
 immediatamente  precettiva  la  liberta' di organizzazione sindacale,
 all'esterno come all'interno dei luoghi di  lavoro,  in  quanto  cio'
 significherebbe   precludere  di  fatto  alle  espressioni  sindacali
 aziendali "diverse" quella possibilita'  di  accesso  ai  livelli  di
 rappresentativita'   di   cui  all'art.  19  dello  Statuto,  nonche'
 irrigidire il sistema  delle  relazioni  in  azienda  in  uno  schema
 immutabile  ed  innaturale:  da  un  lato  le rapresentanze sindacali
 legittimate secondo i criteri di effettivita' dettati in via generale
 ed  astratta  dal legislatore, dall'altro le organizzazioni sindacali
 non aventi i requisiti dell'art. 19, magari presenti  in  azienda  in
 forme  maggioritarie  e  non  necessariamente  di  comodo,  che  tali
 dovrebbero pero'  essere  sempre  ritenute,  indipendentemente  dalla
 prova della volonta' di sostegno antisindacale dell'imprenditore.
    Ognun  vede  che  in  tal  modo,  ignorando  le  mutevoli  realta'
 aziendali, si opererebbe una pietrificazione dello status quo con  la
 conseguente  impossibilita' o l'estrema improbabilita' che, contro la
 garanzia   costituzionale   di   liberta'   sindacale,    riaffermata
 specificatamente  per  i luoghi di lavoro dall'art. 14 dello statuto,
 altri sindacati, privati del potere di costituire propri organismi in
 azienda   e   destinati   a   vedersi   sempre   annullare  qualsiasi
 riconoscimento o spazio gia' ottenuto in virtu' di accordo  o  prassi
 uniforme,  possano  raggiungere  quel grado di rappresentativita' che
 consentirebbe loro di accedere ex  lege  alla  c.d.  legislazione  di
 sostegno.
    Ne  discende  altresi'  la  violazione dell'art. 3, secondo comma,
 della Costituzione perche', se e'  legittimo  riconoscere  per  legge
 particolari  prerogative  a  chi  ha  raggiunto  effettivi livelli di
 rappresentativita' alla stregua dei requisiti di cui all'art. 19, non
 possono   tollerarsi  discriminazioni  tra  organizzazioni  sindacali
 quanto all'esistenza e all'esercizio della propria attivita'.
   Deve   pertanto  ritenersi  la  non  manifesta  infondatezza  della
 questione di legittimita' costituzionale degli  artt.  17,  19  e  23
 della  legge  20  maggio 1970, n. 300, in relazione agli artt. 3 e 39
 della Costituzione, se interpretati nel senso di imporre  il  divieto
 per le rappresentanze aziendali dei lavoratori costituite al di fuori
 di quelle legittimate ex art. 19 dello statuto, in quanto espressione
 sempre e comunque di sindacati di comodo, di accedere pattiziamente a
 forme  piu'  o  meno  estese  di  tutela,  ed  in  particolare   alla
 possibilita'  di  fruire  per i loro dirigenti di permessi retribuiti
 allo scopo di svolgere attivita' sindacale.
    La  questione  e'  indubbiamente  rilevante  perche'  il giudizio,
 concernente  l'accertamento  del  diritto   del   ricorrente,   quale
 dirigente  della rappresentanza costituita nell'azienda dal sindacato
 "Assi Ras", di fruire in virtu' di un tacito accordo  o  comunque  di
 riconoscimento  tradotto  in  prassi  aziendale  uniforme, di pemessi
 retribuiti,  non  puo'  essere   definito   indipendentemente   dalla
 risoluzione della questione di legittimita' costituzionale.