IL TRIBUNALE
Ha pronunciato la seguente ordinanza nella causa civile iscritta
al n. 1527/1982 r.g.c. promossa da Rauss Carla (avv. A. Di Nuzzo)
attrice, nei confronti di Gagliardi Baldassarre (avvocati Adavastro e
Cappelletto), convenuto, e con l'intervento del pubblico ministero.
F A T T O
Con atto di citazione notificato in data 6 luglio 1982, Rausa
Carla ha chiesto dichiararsi che il proprio figlio, nato a Pisa l'11
marzo 1975 e denunziato presso l'ufficio dello stato civile di quel
comune nel nome di Rauss Sandro, e' figlio naturale del convenuto
Gagliardi Baldassarre. L'ammissibilita' di tale azione era stata
dichiarata da questo tribunale ai sensi dell'art. 274 del c.c., con
decreto in data 13 febbraio 1982, notificato il 25 marzo 1982.
Si sono costituite in giudizio entrambe le parti ed il convenuto
ha contestato il fondamento della domanda e la veridicita' delle
circostanze dedotte dall'attrice a fondamento di essa.
Nel corso dell'istruttoria e' stata disposta ed eseguita una
consulenza tecnica medico-legale, affidata a due specialisti; sono
state inoltre assunte numerose testimonianze.
Previa autorizzazione, le parti hanno precisato le conclusioni,
ribadendo le istanze formulate nei rispettivi atti iniziali; il p.m.
ha concluso per l'accoglimento della domanda.
All'udienza del 1º ottobre 1987, il tribunale ha trattenuto la
causa in decisione.
D I R I T T O
L'azione per la dichiarazione giudiziale della paternita' o
maternita' naturale e' prevista dall'art. 269 del c.c. ed e'
attribuita in via generale alla competenza del Tribunale ordinario,
mentre, per effetto di specifico richiamo, la competenza "nel caso di
minori" e' oggi riservata al tribunale per i minorenni dal primo
comma dell'art. 38 delle disp. att., come modificato dall'art. 68
della legge 4 maggio 1983, n. 184, norma sopravvenuta di immediata
applicazione nei procedimenti in corso al momento della entrata in
vigore della legge n. 184/1983, rimanendo salva soltanto la validita'
del decreto di ammissibilita' dell'azione eventualmente gia' emesso.
La giurisprudenza e' costante in tal senso (Cass. 9 agosto 1985, n.
4425, Il Dir. Fam. e delle Persone, 1985, 924; Cass. 18 ottobre 1986,
n. 6140, ivi, 1987, 119; vedi anche Cass. 6 novembre 1976, n. 4044).
Trattandosi di competenza inderogabile, e poiche' Rauss Sandro e'
tuttora minorenne, il tribunale di Pisa allo stato non puo' esaminare
la causa nel merito e dovrebbe, anche in assenza di qualsiasi
eccezione od accenno delle parti, declinare la propria competenza,
come gia' avvenuto in altri procedimenti analoghi; il collegio deve
pero' prendere atto dell'esistenza di problema di legittimita'
costituzionale della norma sulla competenza, problema sul quale non
risulta essere intervenuta la decisione della Corte costituzionale,
all'esame della quale la questione e' stata rimessa ripetutamente,
anche di ufficio, proprio dai tribunali minorili (tribunale per i
minorenni di Bologna, ordinanze 2 luglio 1985 e 17 gennaio 1986,
Rivista citata, rispettivamente 1986, 20, e 1987, 59; tribunale per i
minorenni di Napoli, ordinanze 17 gennaio 1986 e 4 dicembre 1986,
rispettivamente nella Riv. citata 1987, 64, e in Gazzetta Ufficiale,
prima serie speciale, 1º aprile 1987, n. 14,82).
La rilevanza della questione, che come detto attiene alla
competenza, e' ovvia nel presente procedimento; quanto alla non
manifesta infondatezza, il collegio condivide gli argomenti
prospettati dai giudici minorili, e ritiene pertanto di poterli qui
riassumere, richiamandosi alle piu' analitiche motivazioni delle
ordinanze citate ed aggiungendo qualche osservazione che appare
meritevole di ulteriore attenzione.
Diversa e' l'intonazione delle varie ordinanze, ma costante il
riconoscimento della stretta correlazione fra la competenza ed il
genere di procedura da adottare e fra i dubbi di legittimita' che
investono le norme regolanti i due ordini di problemi.
Si rimarca che l'azione per la dichiarazione della paternita' o
maternita' si configura come vera e tipica azione di stato ed ha
natura chiaramente contenziosa. La pronunzia alla quale e' chiamato
il giudice e' una dichiarazione di diritti, basata sull'accertamento
rigoroso di fatti storici, insofferente di qualsiasi discrezionalita'
ed indifferente a qualsiasi valutazione di concreti interessi.
Pertanto, l'unica struttura idonea al raggiungimento del risultato
rigoroso e' l'ordinario processo di cognizione, nel quale
l'imparzialita' e terzieta' del giudice si realizza nel pieno
rispetto del principio dispositivo e nella continuita' del
contraddittorio.
E' da questa premessa che discende la critica alla scelta operata
dal legislatore, perche' alla devoluzione della cognizione al t.m.
segue necessariamente l'adozione del rito camerale, invece di quello
contenzioso. Questo tribunale e' a conoscenza di una affermazione
giurisprudenziale, secondo la quale nelle cause promosse a norma
dell'art. 269 del c.c. dovrebbe adottarsi il rito contenzioso anche
davanti al t.m. (t.m. Roma 15 giugno 1985, Riv. citata, 1985, 986),
ma tale affermazione, rispettosa delle esigenze di metodo nella
trattazione delle cause, contrasta con il dettato legislativo e
pertanto non puo' essere e non e' dalla prevalente giurisprudenza
condivisa. Ai procedimenti di cui si parla e' applicabile, davanti al
t.m., il rito della camera di consiglio, perche' cosi' e'
testualmente disposto in linea generale dal terzo comma dello stesso
art. 38 delle disp. att., rimasto immodificato in questa parte ("in
ogni caso il tribunale provvede in camera di consiglio"), ed infatti
le eccezioni alla regola del rito camerale davanti al t.m. sono
specificamente disposte dove sono volute, come nei giudizi di
opposizione alla dichiarazione dello stato di adottabilita'.
Anche la Corte di cassazione ha ormai affermato la applicazione
del rito camerale nelle cause di cui all'art. 269 del c.c., che si
svolgono davanti al t.m., con la citata sentenza n. 4425/1985. Nota
la Corte che anche nel rito camerale e' garantito il diritto di
difesa, ed analogo e' l'indirizzo della Corte costituzionale, ma non
si giunge mai ad affermare che il diritto di difesa trovi la medesima
pienezza di garanzia (Cass., sentenza n. 913/1973; Corte
costituzionale, sentenza n. 202/1975).
Rispetto al rito contenzioso, il rito camerale si caratterizza
come procedura spiccatamente officiosa, destinata a materie in cui,
per l'esclusivita' o preminenza di interessi pubblicistici, si
giustificano metodi di indagine sommari, informali, inquisitori, il
distacco dalla corrispondenza fra il chiesto ed il pronunciato,
infine, la sottrazione al continuo controllo delle parti di attivita'
istruttorie, tese piu' alla realizzazione di esigenze superiori alle
parti stesse, che all'accertamento rigoroso di fatti e di spettanza
di diritti.
Queste differenze nella struttura dei due procedimenti sono
accuratamente analizzate nelle ordinanze qui richiamate, che trovano
ampia conferma in una recente pronunzia della Corte di cassazione a
sezioni unite (23 ottobre 1986, n. 6220, Riv. citata, 1987, 121). In
tale pronunzia si riafferma che i provvedimenti del t.m., sebbene
riguardino posizioni di diritto soggettivo, chiudono procedimenti non
conteziosi e si esauriscono in un governo di interessi sottratti
all'autonomia privata, senza risolvere un conflitto su diritti
contrapposti; si rammenta inoltre la revocabilita' e modificabilita'
di detti provvedimenti proprio in relazione al loro oggetto e alla
loro natura. Le materie di competenza del t.m. trattate in questa
sentenza sono disparate e le affermazioni sono di ordine generale, ma
appare significativo che non venga menzionata la particolare materia
dell'art. 269 del c.c., nella quale si presenta nel modo piu'
evidente un conflitto su diritti contrapposti e si richiede una
decisione con i piu' chiari caratteri della definitivita'.
In questa prospettiva, nota il t.m. di Napoli che, proprio in
vista della decisione sul diritto, perfino nella fase preliminare
prevista dall'art. 274 del c.c., e nonostante la natura meramente
strumentale di essa, si e' voluto dare piu' ampio spazio alla difesa
delle parti, ammettendo esplicitamente l'esame degli atti e il
deposito di memorie illustrative, il che rende ancor piu'
incomprensibile che le garanzie difensive siano rimaste minori nella
fase successiva, regolata dalla sola normale disciplina sul rito in
camera di consiglio, quando si tratta di giungere alla pronunzia
definitiva.
Segue a queste considerazioni la conclusione che la scelta
legislativa, unitariamente comprendente competenza e rito, solo
apparentemente trova coerente collocazione nella tendenza del
legislatore a demandare al giudice minorile le materie riguardanti i
minorenni, dando luogo invece ad una insanabile incongruenza. Se
davanti al t.m. viene adottato il rito camerale, piu' snello e
duttile, si e' visto che e' inevitabile una frattura del sistema al
quale e' ricollegata la tutela delle esigenze di difesa e del
principio di uguaglianza; se, invece, si vuole ammettere la
applicabilita' del rito contenzioso, si perde ogni comprensibile
giustificazione della preferenza per il giudice minorile, con la
conseguenza che ogni disparita' risulta censurabile di fronte al
principio costituzionale di uguaglianza, per irrazionalita': una
irrazionalita' tanto grave, da far pensare ad un "refuso" di stampa,
secondo quanto si legge nell'ordinanza meno recente del t.m. di
Bologna.
Percio', non condivide questo Collegio l'alternativa prospettata
nella piu' recente delle ordinanze del giudice emiliano, nella quale
in via autonoma e, appunto, in via alternativa, si propone alla Corte
costituzionale di valutare l'illegittimita' del terzo comma dell'art.
38 delle disp. att., onde consentire almeno che il t.m. procede con
rito ordinario nella materia che qui interessa, come ha ritenuto
possibile gia' allo stato della normativa il t.m. di Roma contro
l'insegnamento della giurisprudenza anche della suprema Corte.
L'incongruenza, ad avviso di questo collegio, risiede propriamente
nella norma sulla competenza, di cui al primo comma dell'art. 38; non
in quella del terzo comma, che regola in via generale il rito da
seguirsi avanti al t.m. e che, se venisse sottratta dal suo ambito di
applicazione l'azione ex art. 269 del c.c., potrebbe senza
difficolta' continuare ad operare per le altre competenze affidate al
t.m. Impostata in tali termini, la questione rimane rilevante in una
causa promossa davanti al tribunale ordinario, mentre, se il dubbio
di legittimita' investisse autonomamente la norma sul procedimento,
il giudice ordinario dovrebbe dichiarare comunque la propria
incompetenza, lasciando al giudice legittimamente investito della
causa di porsi il problema della conformita' alla Costituzione del
rito applicabile davanti al lui.
In realta', e' implicito in quanto si e' detto fin qui, ma va
affermato piu' chiaramente, che la opzione del legislatore poggia
unicamente su di un fattore accidentale, sul "dato estrinseco e
transuente costituito dall'eta' del soggetto generato", come
testualmente si dice nella piu' recente ordinanza del t.m. di
Bologna. Questo spunto merita attenzione. Anche affrontando il
problema esclusivamente dal punto di vista del minore, i cui
interessi immediati e per definizione transeunti si ritengono meglio
tutelati dal giudice minorile, non puo' dimenticarsi che quando e' in
gioco l'assetto definitivo di diritti fondamentali e destinati a
regolare tutta la vita, la prima esigenza per lo stesso minore e'
quella della massima garanzia di abiettivita' dell'accertamento e
della pronunzia. In cio', le esigenze del minore non sono diverse da
quelle che gli si dovrebbero riconoscere dopo il raggiungimento della
maggiore eta', e il suo interesse, che puo' contrapporsi a quello
delle altre parti in relazione al contenuto della pronuncia finale,
e' invece parallelo ed anzi indentico a quello degli altri soggetti
per quanto riguarda il rigore e la controllabilita' dell'accertamento
dei fatti. Nella meno recente ordinanza del t.m. di Bologna, si
prospetta l'assurdita' di un concreto procedimento pendente avanti al
giudice minorile ma destinato a concludersi dopo il raggiungimento
della maggiore eta' da parte dell'interessato: e' un caso
particolare, ma appare utile ricordarlo per illustrare quanto
incongrua sia la disciplina qui criticata.
Nelle materie di normale competenza del t.m., infatti, la
paradossalita' di una situazione quale quella indicata e' esclusa dal
fatto che, con raggiungimento della maggiore eta', cessa la materia
del contendere, mentre per l'azione di stato permane invariata la
necessita' di giungere alla decisione sul diritto.
Percio', insieme alla irrazionalita' del rito, prima di essa e
come causa di essa, si insiste nel prospettare l'irrazionalita' delle
scelta della competenza funzionale: notando che alla competenza
funzionale consegue l'adozione di regole diverse per la
determinazione della competenza territoriale (altrimenti disciplinata
dagli artt. 18, 28 e 70 del c.p.c.), con ulteriore disparita' di
trattamento in pregiudizio del convenuto, altra conseguenza del dato
estrinseco dell'eta' del soggetto generato al momento in cui, per
scelta altrui, viene proposta l'azione.
D'altro canto, se e' innegabile che il minorenne in quanto tale si
trovi sempre in una condizione di svantaggio, va rimarcato che non
dipende affatto dalla identificazione dell'organo giudicante
l'applicabilita' delle norme che introducono misure particolari per
ovviare agli effetti di quella situazione. Per quanto riguarda la
tutela dei diritti nella causa di stato, e' comunque prevista la
nomina, occorrendo, di un curatore provvisorio ai sensi dell'art.
274; per quanto riguarda la soddisfazione delle esigenze di vita
immediate e legate alla minore eta', vi e' altra norma speciale non
riferita esclusivamente al t.m., l'art. 277 del c.c., che consente
l'emissione, con la pronuncia sulla filiazione, di provvedimenti che
seguono gli stessi schemi dei provvedimenti tipici della giustizia
minorile, ne' vi sarebbe alcuna disarmonia ove provvedimenti del
genere venissero preparati e deliberati dal giudice ordinario, al
quale l'ordinamento gia' attribuisce poteri e doveri analoghi ad
esempio nell'ambito delle cause matrimoniali, in cui tanto spesso si
trovano coinvolti i minorenni.
Deve pertanto di ufficio dichiararsi non manifestamente infondata,
oltre che rilevante, la questione della legittimita' costituzionale
dell'art. 68 della legge n. 184/1983, il quale modificando il primo
comma dell'art. 38 delle disp. att. al giudice civile, ha attribuito
al tribunale per i minori i provvedimenti contemplati dall'art. 269,
primo comma, del c.c., con riferimento ai casi riguardanti i
minorenni; questione, l'accoglimento della quale consentirebbe a
questo tribunale di decidere la gia' istruita causa, che per il
momento deve essere sospesa.