ha pronunciato la seguente SENTENZA nel giudizio promosso con ricorso della Regione Valle d'Aosta notificato il 3 marzo 1989, depositato in Cancelleria il 15 marzo 1989 ed iscritto al n. 5 del registro ricorsi 1989, per conflitto di attribuzione sorto a seguito delle note dell'Intendenza di Finanza di Aosta, protocollo n. 23659 in data 5 gennaio 1989 (Sorgente acque minerali "La Saxe" in Comune di Courmayeur), protocollo n. 14711 in data 30 gennaio 1989 (Demanio - Sorgente acque minerali "La Regina" in Comune di Courmayeur), protocollo n. 14712 in data 30 gennaio 1989 (Demanio - Sorgente acque minerali "La Vittoria" in Comune di Courmayeur). Visto l'atto di costituzione del Presidente del Consiglio dei ministri; Udito nell'udienza pubblica del 16 maggio 1989 il Giudice relatore Francesco Paolo Casavola; Uditi l'avvocato Gustavo Romanelli per la Regione Valle d'Aosta e l'Avvocato dello Stato Sergio Laporta per il Presidente del Consiglio dei ministri. Ritenuto in fatto 1. - Con ricorso ritualmente notificato e depositato, la Regione autonoma Valle d'Aosta ha sollevato conflitto di attribuzione nei confronti dello Stato, in riferimento alle note n. 23659 del 5 gennaio 1989, n. 14711 e n. 14712 del 30 gennaio 1989, con cui l'Intendenza di Finanza di Aosta l'aveva invitata a versare al competente Ufficio del Registro i canoni attinenti alle concessioni per lo sfruttamento delle sorgenti di acqua minerale "La Saxe", "La Vittoria" e "La Regina", tutte oggetto, secondo l'Intendenza di Finanza, di provvedimenti concessori risalenti a data anteriore al 7 settembre 1945, ai sensi dell'art. 7, secondo comma, e dell'art. 11, terzo comma, dello Statuto speciale per la Valle d'Aosta. Nel lamentare l'illegittimita' degli atti della Intendenza di Finanza di Aosta e nel denunciare violazione degli artt. 2, 3, 4, 5, 6, 7 e 11 della legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 4, recante lo Statuto speciale per la Valle d'Aosta (in relazione anche all'art. 11 della legge 16 maggio 1970, n. 281, alla legge 16 maggio 1978, n. 196, al d.P.R. 22 febbraio 1982, n. 182, nonche' al regio decreto 29 luglio 1927, n. 1443), la ricorrente contesta sotto vari profili l'assunto dell'Intendenza di Finanza, secondo cui la Regione Valle d'Aosta non avrebbe la competenza e il diritto di riscuotere ed acquisire i canoni della concessione delle sorgenti di acque minerali. Anzitutto l'art. 34 del d.P.R. 22 febbraio 1982, n. 182, ha trasferito - ricorda la ricorrente - le funzioni amministrative dallo Stato alla Regione Valle d'Aosta e, in particolare, quelle concernenti "la ricerca e la utilizzazione delle acque minerali e termali e la vigilanza sulle attivita' relative, ivi compresa la pronuncia di decadenza del concessionario". Inoltre, ad avviso della ricorrente, il suo potere di acquisire i canoni delle concessioni in questione si basa sull'appartenenza delle sorgenti di acque minerali al patrimonio regionale che, pur non essendo prevista nella elencazione dell'art. 6, secondo comma, dello Statuto, sarebbe da desumersi dall'art. 11, quinto comma, della legge n. 281 del 1970, che annovera nel patrimonio indisponibile delle regioni a statuto ordinario anche le acque minerali. La disposizione, ad avviso della ricorrente, deve trovare applicazione anche nei suoi confronti perche', come affermato dalla Corte costituzionale, una norma dettata per le regioni a statuto ordinario "trova applicazione anche per le regioni ad autonomia differenziata, essendo inaccettabile che tali regioni, allorche' manchino apposite norme di attuazione (...) e nel medesimo tempo non vi ostino precise norme o ragioni in senso contrario (...) restino prive di attribuzioni riconosciute alle regioni a statuto ordinario" (Corte costituzionale, sentenza n. 1029 del 1988, n. 3. 4). Ne' si giustifica la tesi dell'Intendenza di Finanza, per cui le sorgenti di acque minerali debbano seguire la disciplina prevista dall'art. 11 dello Statuto per le miniere: queste ultime, anche se hanno un regime giuridico per certi versi analogo alle prime, vanno da queste differenziate proprio per quanto riguarda la loro attribuzione al demanio statale. Oltre tutto, e' proprio lo Statuto regionale della Valle d'Aosta che detta, agli artt. 2 e 3, una disciplina nettamente diversa per le due categorie di beni. Altra conferma della tesi della ricorrente si troverebbe nell'art. 5 dello Statuto, secondo il quale sono "trasferite al demanio della Regione le acque pubbliche in uso di irrigazione e potabile". Ora non v'e' dubbio - sostiene la ricorrente - che le acque minerali siano da considerare pubbliche e "ad uso potabile". Del resto, lo stesso assunto dell'Intendenza di Finanza e' fondato sul carattere "pubblico" delle acque in questione e sulla loro appartenenza ai beni demaniali e indisponibili. Peraltro la stessa Intendenza, richiamandosi espressamente all'art. 7, secondo comma, dello Statuto, ha ritenuto tali acque escluse da quelle trasferite alla Regione trattandosi di acque gia' oggetto di concessione alla data del 7 settembre 1945. Senonche' - osserva la ricorrente - la disciplina prevista dallo Statuto in materia di acque prevede (art. 5, secondo comma) il trasferimento al demanio della Regione delle "acque pubbliche in uso di irrigazione e potabile"; inoltre all'art. 7 si stabilisce che "le acque pubbliche esistenti nella Regione, eccettuate quelle indicate nell'art. 5, sono date alla Regione in concessione gratuita per novantanove anni", mentre "sono escluse dalla concessione le acque che alla data del 7 settembre 1945 abbiano gia' formato oggetto di riconoscimento di uso e di concessione", per le quali la Regione subentra nella concessione alla data della cessazione dell'uso o della concessione. "Passano alla Regione", invece, le acque che non siano state utilizzate alla data del 7 settembre 1945 (art. 8 Statuto). Da cio' si evince - secondo la ricorrente - che la disciplina prevista dall'art. 7 ha come presupposto che si tratti di acque diverse da quelle indicate dall'art. 5, secondo comma: tra queste ultime sono dunque da annoverare le acque minerali che, in quanto acque ad uso potabile, sono state trasferite al demanio della Regione: il che confermerebbe la soluzione gia' prospettata in base all'applicazione alla ricorrente dell'art. 11, quinto comma, della legge n. 281 del 1970. 2. - Costituitasi in rappresentanza e difesa del Presidente del Consiglio dei ministri, l'Avvocatura dello Stato insiste per l'infondatezza del ricorso, rilevando anzitutto, con richiamo alla sentenza di questa Corte n. 8 del 1958, che la potesta' legislativa accordata alla Regione Valle d'Aosta in materia di acque minerali e termali e' indipendente da ogni presupposto di carattere patrimoniale. Ne', ad avviso dell'Avvocatura, la pretesa appartenenza alla Regione delle acque minerali e termali puo' argomentarsi dal disposto trasferimento delle acque pubbliche al demanio regionale. Tale trasferimento sarebbe limitato (ex art. 5, ultimo comma, dello Statuto) alle acque destinate ad uso di irrigazione o potabili la' dove l'utilizzazione giuridicamente rilevante delle acque in questione, non necessariamente potabili per natura, e' quello terapeutico. Ne' vale, secondo l'Avvocatura, il richiamo da parte della ricorrente, dell'art. 11 della legge 16 maggio 1970, n. 281; infatti il principio enunciato nella sentenza n. 1029 del 1988 e fatto proprio dalla ricorrente non e' applicabile quando vi ostino precise norme in contrasto, quali, nella specie, le disposizioni di cui agli artt. 5, 7 e 11 dello Statuto della Valle d'Aosta. 3. - In una memoria presentata nell'approssimarsi dell'Udienza, la difesa della Regione autonoma Valle d'Aosta contesta le argomentazioni dell'Avvocatura: in particolare, circa l'equiparazione, da quest'ultima operata, tra le sorgenti di acque minerali e le miniere, la difesa richiama il d.P.R. n. 1142 del 1985 con cui, all'art. 9, si trasferiscono alla Regione Valle d'Aosta le funzioni amministrative in materia di disciplina dell'utilizzazione delle miniere situate nel territorio della Regione e fin allora esercitate da organi dello Stato o da enti ed istituti pubblici. Pertanto anche se fosse applicabile alle acque minerali il regime delle miniere si dovrebbe riconoscere l'intervenuto trasferimento delle relative funzioni alla Regione. Qualora, poi, non fosse accolta la tesi dell'intervenuto trasferimento delle acque in argomento in quanto beni demaniali, ma viceversa si ritenesse che le acque minerali sono soggette alle norme dello Statuto in materia di demanio idrico, bisognerebbe considerare applicabile alle acque minerali non l'art. 7 dello Statuto, relativo alle acque ad uso di grande derivazione, ma l'art. 5, relativo alle acque pubbliche in uso di irrigazione e potabile. Quanto infine alla tesi dell'Avvocatura, secondo cui la spettanza ad una Regione ad autonomia differenziata di funzioni e poteri attribuiti alle Regioni a statuto ordinario "non riguarda il diverso tema della ripartizione dei beni", sarebbe errata pure in linea di principio, dal momento che la "ripartizione di beni" di proprieta' pubblica appare essenzialmente come ripartizione di funzione, di poteri e di doveri. In ogni caso - osserva l'Avvocatura - l'attribuzione di poteri e funzioni, certamente operata dall'art. 34 del d.P.R. n. 182 del 1982, coincide con il trasferimento del bene (sorgenti di acque minerali e termali) in base alle norme dello Statuto. Considerato in diritto 1. - La Regione autonoma Valle d'Aosta ha sollevato conflitto di attribuzione in riferimento alle note dell'Intendenza di Finanza di Aosta n. 23659 del 5 gennaio 1989, n. 14711 e n. 14712 del 30 gennaio 1989 con cui e' stato sollecitato, in favore dell'Ufficio del Registro di Aosta, il versamento dei canoni relativi a tre diverse concessioni di acque minerali. A parere della ricorrente le acque minerali e termali farebbero tutte indistintamente parte del patrimonio indisponibile della Regione, sia per effetto delle disposizioni statutarie, sia alla stregua della sopravvenuta normativa cui si e' fatto cenno in narrativa. L'Amministrazione finanziaria muove dall'opposta premessa, fatta propria dall'Avvocatura dello Stato, dell'appartenenza a quest'ultimo dei beni in argomento e del conseguente diritto ai canoni, sul non contestato presupposto che si tratti di concessioni anteriori al 7 settembre 1945 e come tali escluse, per riserva espressa dello Statuto, dal novero di quelle previste come gratuite in favore della Regione per la durata di novantanove anni. 2. - L'esame della normativa statutaria, e della legislazione successiva porta ad escludere che le acque minerali e termali siano state trasferite alla Regione. L'art. 2, lettera i), sancisce la potesta' legislativa primaria in tema di acque minerali e termali, mentre l'art. 3, lettera e), riconosce alla Regione una potesta' integrativa per la disciplina della utilizzazione delle miniere. Entrambe le norme accordano gli anzidetti poteri "indipendentemente da ogni presupposto di carattere patrimoniale" come ha affermato questa Corte nella sentenza n. 8 del 1958. D'altronde, come meglio si precisera', l'attribuzione di potesta' differenziate non consente affatto di scindere ad altri fini due elementi tradizionalmente soggetti ad una disciplina unitaria quali le miniere e le acque minerali e termali. Sotto il titolo Finanze, Demanio e Patrimonio lo Statuto dispone nel modo seguente: con l'art. 5 vengono trasferiti al demanio regionale i beni del demanio dello Stato, eccettuati quelli che interessano la difesa dello Stato o servizi di carattere nazionale, subito dopo precisandosi: "Sono altresi' trasferite al demanio della Regione le acque pubbliche in uso di irrigazione e potabile". Il successivo art. 6 sancisce il trasferimento dei beni immobili patrimoniali dello Stato al patrimonio della Regione, aggiungendo immediatamente che del patrimonio indisponibile di questa fanno parte le foreste, le cave, gli edifici destinati ad uffici e servizi. L'art. 7 dispone che le acque pubbliche, ad eccezione di quelle indicate sub art. 5, formano oggetto di concessione gratuita e rinnovabile per novantanove anni alla Regione, salvo quelle che avessero gia' formato oggetto di concessione alla data del 7 settembre 1945. Una previsione del tutto analoga e' contenuta, per quanto riguarda le miniere, nell'art. 11. In entrambi i casi si prevede la possibilita' per la Regione di promuovere a proprio beneficio la decadenza dalla concessione nell'ipotesi di mancata utilizzazione o sfruttamento. Cio' posto, e' opportuno ricordare come nel nostro ordinamento le acque pubbliche da una parte e quelle minerali e termali dall'altra siano oggetto di ben distinte discipline, risultando individuate le une in ragione dell'attitudine ad usi di pubblico interesse e le altre sulla base delle loro intrinseche qualita' che le rendano adatte all'utilizzazione terapeutica. Infatti l'art. 92 del regio decreto 11 dicembre 1933, n. 1775 (Testo unico delle disposizioni di legge sulle acque e impianti elettrici) esclude dal regime delle acque pubbliche le acque termo-minerali e radioattive, che debbono viceversa ritenersi assoggettate al regime delle miniere (della cui nozione giuridica rappresentano una sottospecie) ai sensi del regio decreto 29 luglio 1927, n. 1443. Poiche' nello Statuto regionale non vi e' una norma che espressamente trasferisca alla Regione autonoma tali beni patrimoniali indisponibili, ed escluso che possa farsi utile riferimento al regime delle acque pubbliche, deve ritenersi che il diritto di proprieta' sulle acque in argomento permanga in capo allo Stato, risultando applicabile la disciplina dettata per le miniere. 3. - Del resto e' la stessa legge regionale 8 febbraio 1958, n. 1 - come anche esplicitamente riconosce la ricorrente - che, nel regolare la ricerca, coltivazione ed utilizzazione delle miniere, vi ricomprende le acque minerali e termali con il richiamo all'art. 2, lettera i), dello Statuto. Le norme di attuazione di quest'ultimo, poi, dettate in subiecta materia dall'art. 34 del d.P.R. 22 febbraio 1982, n. 182, si limitano ad attribuire le funzioni amministrative e di vigilanza alle quali si collega logicamente la facolta' di pronunciare la decadenza del concessionario. Analoghe attivita' di gestione vengono trasferite per quanto riguarda le miniere dagli artt. 9 e 10 del d.P.R. 27 dicembre 1985, n. 1142. Il dato storico rappresentato dal decreto luogotenenziale 7 settembre 1945, n. 546, che per primo attribui' alla Valle d'Aosta la concessione di acque pubbliche e miniere resta nella sua essenza immutato se si analizza la legislazione successiva: la Regione gode, piu' che di una concessione, di un complesso di poteri perche' li eserciti in luogo dello Stato (come sostanzialmente riconosciuto da questa Corte con la citata sentenza n. 8 del 1958), ma la gamma delle facolta' di utilizzazione, per quanto ampia e via via dilatatasi, non e' comprensiva del diritto di percepire il canone, inscindibilmente connesso con il diritto dominicale sulle acque. La necessita' che il trasferimento di diritti demaniali alla Regione a statuto speciale risulti espressamente da una disposizione, nonche' l'anzidetto, necessario collegamento tra tale diritto e la devoluzione del canone rappresentano due princip/' gia' affermati da questa Corte nelle sentenze n. 133 del 1986 e n. 152 del 1971, e sulla base di essi va parimenti respinta la tesi della ricorrente nel caso in esame. 4. - Per completezza devesi ancora escludere che l'art. 11, quinto comma, della legge 16 maggio 1970, n. 281, il quale trasferisce alle Regioni a statuto ordinario le acque minerali e termali, possa trovare applicazione nei confronti della Valle d'Aosta. Anche a prescindere dalla inidoneita' della fonte ad integrare lo Statuto, tale norma e' volta a costituire, secondo l'indicazione di cui all'art. 119, ultimo comma, della Costituzione, quel patrimonio indisponibile in ordine al quale i singoli statuti hanno viceversa disposto per le Regioni autonome, peraltro con differenze sensibili e specificita' diverse; pertanto e' pure accaduto che alcune Regioni, come il Friuli-Venezia Giulia ed il Trentino-Alto Adige non siano state dotate di demanio idrico, mentre l'esclusione di cui alla presente controversia puo' ragionevolmente ricondursi da un lato all'interesse industriale sotteso allo sfruttamento delle acque e dall'altro al permanere di una esclusiva titolarita' dello Stato in ordine alla competenza del riconoscimento delle proprieta' terapeutiche. Ne' in materia di trasferimento di beni puo' invocarsi utilmente la sentenza n. 1029 del 1988, con la quale questa Corte ha rilevato come sia inaccettabile che le Regioni a statuto speciale restino private di attribuzioni riconosciute a quelle a statuto ordinario, riferendosi l'affermazione alle "attribuzioni" e non alla appartenenza dei beni.