IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE
    Ha  pronunciato  la  seguente  ordinanza  sul ricorso n. 1745/1987
 proposto dalla Magic S.p.a., rappresentata e  difesa  dagli  avvocati
 C.L.  Scrosati  e  A.  Corselli  ed  elettivamente domiciliata presso
 questi in Milano, via Sacchi, 7, contro il comune di  Busto  Arsizio,
 costituitosi in giudizio, rappresentato e difeso da avvocati prof. U.
 Pototsching e P.A. Introini ed elettivamente  domiciliato  presso  il
 primo  in  Milano,  via  Caradosso, 11, e nei confronti della regione
 Lombardia non costituitasi  in  giudizio,  per  l'annullamento  della
 sequenza   procedimentale  relativa  alla  approvazione  della  nuova
 variante di piano regolatore generale (del. C.C.  n.  700/1984;  del.
 C.C. n. 91/1985; del. C.C. n. 358/1986; del. G.R.L. n. 7119/1987);
    Visto il ricorso con i relativi allegati;
    Visto  l'atto  di  costituzione  in  giudizio  del comune di Busto
 Arsizio;
    Viste  le  memorie  prodotte  dalle parti a sostegno delle proprie
 difese;
    Visti gli atti tutti della causa;
    Udito, alla pubblica udienza del 26 gennaio 1989 il relatore dott.
 Giuseppe Romeo;
    Uditi,  altresi',  gli avvocati C.L. Scrosati e A. Corselli per la
 ricorrente, e gli avvocati prof. U. Pototsching e P.A.  Introini  per
 il comune resistente;
    Ritenuto in fatto e in diritto quanto segue:
                               F A T T O
    Con  ricorso notificato al comune di Busto Arsizio ed alla regione
 Lombardia, la ricorrente  contesta  la  legittimita'  della  sequenza
 procedimentale   relativa  alla  approvazione  della  nuova  variante
 generale di piano regolatore  generale  (del.  C.C.  n.  700  del  19
 novembre  1984; del. C.C. n. 91 del 16 gennaio 1985; del. C.C. n. 358
 del 24 luglio 1986, e deliberazione  della  G.R.L.  n.  7119  del  27
 gennaio 1987).
    Si deducono i seguenti motivi:
      1)  violazione di legge (art. 10 della legge n. 1150/1942; legge
 n. 1187/1968), eccesso di potere per sviamento  della  causa  tipica,
 illogicita', contraddittorieta' e difetto di presupposti.
   A  giustificazione della necessita' della nuova variante, il comune
 di Busto Arsizio ha  indicato  la  necessita'  di  coprire  il  vuoto
 creatosi  per  effetto  della  decadenza dei vincoli ex art. 2, primo
 comma, della legge n. 1187/1968. Il vero intento dell'amministrazione
 non  e'  quindi  quello  di  vincolare aree che abbiano una effettiva
 vocazione una  funzione  pubblica,  bensi'  quello  di  sottoporre  a
 salvaguardia  un  insieme di aree delle quali si pretende di impedire
 il relativo jus  aedificandi.  Vi  e'  dunque  la  sola  volonta'  di
 "bloccare" tutto il territorio comunale nell'attesa di una definitiva
 disciplina che l'amministrazione ha gia' deciso di  attuare,  tant'e'
 che  essa  ha  contestualmente  deliberato  di  adottare  un  "nuovo"
 strumento  urbanistico,  con  cio'  dimostrando  l'illogicita'  della
 scelta operata con deliberazioni impugnate;
      2)  violazione  di  legge  ed  eccesso  di potere per difetto di
 motivazione.
    La  reiterazione dei vincoli deve essere sorretta da una adeguata,
 puntuale motivazione;
      3)  violazione  di  legge  (legge  urbanistica  e  legge regione
 Lombardia n. 51/1975), eccesso di potere per travisamento dei fatti e
 in  particolare  per  difetto  dei  presupposti e degli elaborati del
 piano regolatore generale.
    La volonta' dell'amministrazione di riconfermare i vincoli scaduti
 ha  determinato  questa  ad   adottare   una   variante   del   tutto
 "improvvisata",  cioe'  priva  dei  minimi  presupposti  formali e di
 studio;
      4)  violazione di legge ed in particolare della legge n. 47/1985
 e successive modificazioni, nonche' della legge regione Lombardia  n.
 77 del 10 giugno 1985.
    L'amministrazione,  sia comunale che regionale, aveva l'obbligo di
 compiere  una  verifica  urbanistica   degli   insediamenti   abusivi
 nell'ambito delle varianti agli strumenti urbanistici vigenti;
      5)  violazione  del  decreto  ministeriale  2 aprile 1968, della
 legge urbanistica e della legge regione Lombardia n.  51/1975,  della
 legge  regione  Lombardia  n.  73/1985;  eccesso  di  potere sotto il
 particolare profilo del travisamento  dei  fatti  e  del  difetto  di
 motivazione.
    Le  aree  per  attrezzature e servizi pubblici di cui alla lett. C
 ("aree  per  attrezzature  ed  impianti  di  interesse  generale  non
 comprese nelle zone F non concorrenti alla formazione degli standards
 urbanistici") non sono state sottratte  al  calcolo  degli  standards
 urbanistici, senza che di cio' sia stata fornita alcuna spiegazione;
      6)  violazione  di  legge  ed  in particolare dell'art. 19 della
 legge regione Lombardia n. 51/1975, perche' non puo' condividersi  il
 calcolo della capacita' insediativa teorica;
      7)  violazione  di  legge  (legge  urbanistica e legge regionale
 Lombardia n. 51/1975); eccesso di  potere  per  contraddittorieta'  e
 illogicita' manifesta e difetto di motivazione.
    Il  vincolo  F2c, imposto su un'area completamente edificata ed in
 ottimo stato di conservazione, risulta essere di difficile, se non di
 impossibile attuazione.
    Si e' costituito il comune di Busto Arsizio chiedendo la reiezione
 del ricorso, siccome infondato.
    All'udienza  le  difese delle parti hanno ulteriormente sviluppato
 le rispettive tesi.
                             D I R I T T O
    1.  -  Il  ricorso - come si e' detto - e' diretto a contestare la
 legittimita' della sequenza procedimentale relativa  all'approvazione
 della nuova variante generale di piano regolatore generale del comune
 di Busto Arsizio, che, tra l'altro, reitera  il  vincolo  F2c,  ormai
 scaduto, sull'area di proprieta' della ricorrente.
    2.  -  Questa  sezione  con  sentenza  parziale  in  pari  data ha
 disatteso cinque motivi di ricorso avverso i provvedimenti impugnati,
 ritenendo  non  sussistenti  il  vizio di difetto di presupposti e la
 violazione  della  normativa  generale  sul   dimensionamento   degli
 standards,  sul  calcolo della capacita' insediativa teorica, nonche'
 dell'art. 29 della legge  n.  47/1985  e  della  legge  regionale  n.
 77/1985.
    L'esame va ora portato sui primi due motivi di ricorso con i quali
 si  contesta  la  legittimita'  della  variante  generale  di   piano
 regolatore   generale   sotto   il   profilo  che  l'approvazione  di
 quest'ultima sarebbe stata determinata dalla "necessita'  di  coprire
 il  vuoto creatosi per effetto della decadenza dei vincoli ex art. 2,
 primo comma della legge n. 1187/1968" e che comunque la  reiterazione
 dei vincoli non risulta adeguatamente motivata.
    Ritiene il collegio che la definizione delle due censure, le quali
 sono riconducibili direttamente al potere pianificatorio  cosi'  come
 delineato  dagli artt. 7 (nn. 2, 3 e 4) e 40 della legge n. 1150/1942
 nonche' dall'art. 2 della legge 19 novembre 1968, n. 1187, non  possa
 avvenire  alla  stregua di un mero riscontro della motivazione piu' o
 meno  adeguata   relativamente   alla   reiterazione   dei   vincoli,
 prescindendo  quindi da una verifica della conformita' di tale potere
 pianificatorio a quelle condizioni ("la proprieta' privata  non  puo'
 rimanere indefinitamente gravata (senza indennizzo) da un vincolo, il
 quale per lo stato di incertezza che crea  incide  profondamente  sul
 complesso   di  facolta'  consentite  dalla  legge  al  titolare  del
 diritto") che la Corte costituzionale con la  ben  nota  sentenza  n.
 55/1968 e con la successiva n. 92/1982, ha ritenuto necessarie per la
 compatibilita' dei sistema dei vincoli con l'art.  42,  terzo  comma,
 della  Costituzione.  Sicche'  non  pare  possano sussistere dubbi in
 ordine  alla  proponibilita'  d'ufficio  di  tale  questione.  Questa
 infatti  concerne la normativa sulla base della quale i provvedimenti
 impugnati risultano adottati ed alla quale la ricorrente si  richiama
 nelle  sue  censure  sia  pure  al  diverso  fine  di  denunciarne la
 violazione da parte  degli  atti  impugnati.  La  giurisprudenza  e',
 comunque,  concorde  nel  senso  di  ritenere  che  nel  giudizio  di
 impugnazione  dell'atto,  il  giudice  puo'  proporsi  d'ufficio   la
 questione  di costituzionalita' alla duplice condizione - sussistente
 nella specie - che  il  ricorso  sia  ammissibile  e  che  la  norma,
 sospettata ex officio di incostituzionalita', risulti coinvolta nella
 doglianza avanzata dalla ricorrente (sia, pure, ripetesi, le  censure
 siano  proposte al solo fine di denunciare la violazione della stessa
 norma  da  parte  dell'atto  impugnato).  Ne'  puo'   fondamentamente
 sostenersi  che  la  questione  di  costituzionalita'  che si solleva
 coinvolga le norme avanti  indicate  "per  quanto  non  espressamente
 dispongano".  Come  si  vedra',  si dubita infatti della legittimita'
 costituzionale degli artt. 7 e 40 della legge n. 1150/1942 e 2, primo
 comma,  della  legge n. 1187/1968, i quali hanno conformato il potere
 pianificatorio  con  modalita'  tali   da   rendere   possibile   una
 limitazione  sostanzialmente  espropriativa  della  proprieta'  della
 ricorrente senza la corresponsione di indennizzo.
    Chiarito  cosi' - ai fini della rilevanza della questione - la sua
 ammissibilita' nell'ambito del presente giudizio, va rilevato che  la
 questione stessa si appalesa non manifestamente infondata.
    L'attuale  normativa  invero  non  consente  di  porre  in  dubbio
 l'esistenza del potere dell'amministrazione comunale di  reiterare  i
 vincoli  alla  scadenza  del  termine quinquennale di cui all'art. 2,
 secondo comma, della legge n. 1187/1968. Questo non ha, infatti, come
 termine  di riferimento il potere pianificatorio, bensi' attiene alla
 esclusiva disciplina temporale del vincolo: la formulazione letterale
 ("le  indicazioni...  perdono  efficacia")  sotto  questo  profilo e'
 inequivocabile e non consente di effettuare alcuna trasposizione  dal
 piano  dell'efficacia  del vincolo al piano dell'esistenza del potere
 pianificatorio.  D'altronde  l'interesse   pubblico   connesso   allo
 svolgimento  del  potere pianificatorio non ammette la configurazione
 di un potere  che  si  consuma  per  decorso  di  termini.  Che  tale
 normativa  costituisca  il  c.d. diritto vivente nel complesso quadro
 della legislazione in materia, e' stato di recente affermato  -  come
 e'  noto  -  dalla  Corte costituzionale che, dopo aver negato che la
 legge n.  10/1977  abbia  voluto  regolare  la  materia  dei  vincoli
 urbanistici,  ha individuato appunto nella legge n. 1187/1968 uno dei
 cardini dell'attuale sistema pianificatorio, escludendo  al  contempo
 l'incostituzionalita'  di  quest'ultima  legge  in relazione alla non
 prevista improrogabilita' del termine di cinque  anni  dell'efficacia
 dei vincoli; cio' sulla base di due argomentazioni che non toccano la
 sostanza del problema che si vuole prospettare:
      1)  una  espressa previsione dell'improrogabilita' sarebbe stata
 inutile perche' superabile da una legge successiva con  la  quale  si
 fosse disposta la proroga del termine;
      2)  un tale divieto non sarebbe giustificato logicamente perche'
 la realta' sociale puo' imporre l'emanazione di una legge di  proroga
 "soggetta, peraltro, al controllo della Corte costituzionale sotto il
 profilo della arbitrarieta' e irrazionalita' in relazione agli  artt.
 3 e 42, terzo comma, della Costituzione".
    La  materia  in  esame  -  conclude  la  Corte "conformemente alla
 decisione n. 55/1968 - rimane regolata dalla legge n. 1187/1968.
    Questa  legge  viene,  quindi,  ritenuta conforme alla ratio della
 piu' volte richiamata sentenza n. 55/1968,  perche'  impedirebbe  che
 "la proprieta' rimanga definitivamente gravata (senza indennizzo)" da
 un vincolo sostanzialmente espropriativo.
    L'art.   2,  primo  comma,  della  legge  n.  1187/1968,  infatti,
 stabilisce che "le indicazioni di piano regolatore,  nella  parte  in
 cui  incidono  su  beni  determinati  ed assoggettano i beni stessi a
 vincoli preordinati all'espropriazione od a vincoli che ne comportino
 l'inedificabilita',  perdono efficacia qualora entro cinque anni...".
 Senonche' - ed e' questo il quid novi della questione  prospettata  -
 tale  limitazione  temporale colpisce soltanto l'esplicitazione di un
 potere  che  si  realizza  nell'apposizione  di  un  vincolo  che  e'
 destinato  a perdere efficacia ove si verifichino le condizioni poste
 dalla legge n. 1187/1968, ma non dimensiona il potere  pianificatorio
 che  nella  sua  proiezione dinamica e' in grado di riprodurre - come
 avvenuto nella specie - indeterminatamente i  vincoli  decaduti,  con
 cio'  determinando  quella situazione di incertezza che la menzionata
 legge n. 1187/1968 ha cercato di eliminare  per  rendere  compatibile
 con  la  Costituzione  l'imposizione  dei  vincoli.  Il dinamismo del
 potere  pianificatorio   che   reitera   i   vincoli   con   segmenti
 provvedimentali  consecutivi  nel tempo e', infatti, idoneo a creare,
 ed in effetti crea, sia pure attraverso  una  attivita'  "frazionata"
 secondo  le  scadenze  temporali della piu' volte richiamata legge n.
 1187/1968, una continuita' e perpetuita' di regime vincolistico della
 proprieta',  tale  da  risolversi  in una limitazione sostanzialmente
 espropriativa senza la corresponsione di alcun indennizzo, e comunque
 tale  da  rendere  persino  superfluo  il  ricorso  - come in passato
 avvenuto - ad una fonte normativa primaria che  proroghi  l'efficacia
 dei  vincoli;  con la ben piu' grave conseguenza poi di rendere cosi'
 impossibile un eventuale sindacato giurisdizionale sull'arbitrarieta'
 della proroga.
    Ne'  e'  possibile  sostenere  -  come  dottrina  e giurisprudenza
 affermano  -  che  una  particolare,  approfondita  motivazione   del
 provvedimento  che reitera il vincolo ed il suo conseguente controllo
 in sede  giurisdizionale  (rappresentando  un  limite  al  potere  di
 rinnovazione  dei  vincoli divenuti inefficaci) sarebbero in grado di
 salvaguardare le posizioni dei privati titolari dei diritti reali  su
 aree  gravate  da vincoli, sicche' il problema della reiterazione dei
 vincoli si risolverebbe in un "mero"  problema  di  legittimita'  del
 provvedimento  reiterativo  sotto  il profilo motivazionale. A parte,
 invero, la non  trascurabile  considerazione  che  il  sindacato  non
 trascurabile  considerazione  che  il sindacato giurisdizionale - per
 quanto penetrante - deve comunque arrestarsi alle soglie  del  merito
 urbanistico,    l'enunciazione    delle    ragioni    che    inducono
 l'amministrazione a riproporre i vincoli con una variante (generale o
 parziale non importa) attiene all'esercizio del potere pianificatorio
 che, vuoi in fase di prima apposizione vuoi in fase di riproposizione
 dei  vincoli, deve essere sempre sorretto da una adeguata motivazione
 che giustifichi le scelte urbanistiche  di  piano  e  la  conseguente
 conformazione  della  proprieta' privata. La motivazione percio' puo'
 solo  giustificare  il  concreto  esercizio  del   potere,   ma   non
 legittimare  l'esistenza  stessa del potere che nella sua struttura e
 nel suo contenuto appare non  conforme  ai  precetti  costituzionali.
 Opinare  diversamente (cioe' nel senso che la motivazione rappresenti
 un  sufficiente  correttivo  al  potere   pianificatorio)   significa
 affermare  che  le  garanzie  costituzionali  (come esplicitate dalla
 sentenza n. 55/1968) possono legittimamente cedere di fronte  ad  una
 plausibile    (sul    piano    tecnico-urbanistico)   giustificazione
 dell'esercizio del potere pianificatorio, con cio' ammettendo che  la
 sola  presenza  dell'interesse pubblico e' condizione sufficiente per
 imporre limitazioni  sostanzialmente  espropriative  alla  proprieta'
 privata, a tempo indefinito.
    Ne'    sul    punto    e'    possibile    condividere    la   tesi
 dell'amministrazione comunale resistente, secondo la quale "al di la'
 della  soglia in cui inizia il merito urbanistico non vi sono, ne' vi
 possono essere, posizioni  soggettive  meritevoli  di  tutela  ed  e'
 quindi   impossibile   ipotizzare   in  quest'ambito  una  violazione
 dell'art. 42 della Costituzione", ovvero che la prospettata questione
 di legittimita' costituzionale arriva a "negare in assoluto il potere
 stesso dell'amministrazione di reiterare i vincoli".
    Sul   primo   punto   e'   agevole   osservare   che   e'  proprio
 l'impossibilita' di sindacare in sede giurisdizionale -  come  si  e'
 detto   -   il  merito  urbanistico  a  far  dubitare  della  attuale
 configurazione giuridica del potere  pianificatorio  con  l'art.  42,
 terzo  comma,  della Costituzione, il quale impone che "la proprieta'
 privata puo' essere espropriata per  motivi  di  interesse  generale,
 salvo  indennizzo",  sicche'  e'  la stessa inconfigurabilita' di una
 posizione  soggettiva,  meritevole  di  tutela  giurisdizionale,   ad
 esigere  che  venga  rispettato il secondo limite posto dall'art. 42,
 cioe'  l'indennizzo  in  caso  di  una  limitazione   sostanzialmente
 espropriativa della proprieta'.
    Sul  secondo punto non puo' che ripetersi quanto gia' detto, cioe'
 che non si tratta di mettere in discussione il potere  pianificatorio
 "in  assoluto",  bensi'  di  ritenere  che  quest'ultimo - cosi' come
 dimensionato - e' in grado di operare una limitazione sostanzialmente
 espropriativa  senza  la  corresponsione  di  indennizzo, giacche' e'
 consentito  all'amministrazione  di  riprodurre   indefinitamente   i
 vincoli  apposti ad aree di proprieta' privata e decaduti per inutile
 decorso del quinquennio di cui al citato art. 2, primo  comma,  della
 legge n. 1187/1968.
    La questione sottoposta alla Corte trascende dunque il quesito (in
 verita' piu' formale che sostanziale) del divieto o meno di prorogare
 il  piu'  volte  ricordato  termine  quinquennale,  e  riguarda - con
 riferimento al caso concreto - la compatibilita' della configurazione
 giuridica  del  potere  pianificatorio, come risulta dal c.d. diritto
 vivente (artt. 7, nn. 2, 3 e 4, e 40 della legge n. 1150/1942 e  art.
 2, primo comma, della legge n. 1187/1968) con l'art. 42, terzo comma,
 e con l'art. 3 della Costituzione.
    In  relazione  a tale ultimo articolo il contrasto si appalesa non
 manifestamente infondato sotto il profilo  che  alla  cessazione  del
 vincolo   il  titolare  del  bene  non  si  trovera'  nella  medesima
 situazione di tutti gli altri aventi diritto reale sui beni,  bensi',
 a  cagione  di un vincolo ormai inefficace, si trovera' ad utilizzare
 la capacita' edificatoria  nei  ristretti  limiti  individuati  dalla
 giurisprudenza amministrativa (cfr. Ad. plen. n. 7/1984), senza alcun
 ragionevole motivo (la previsione originaria di piano, infatti, si e'
 rivelata  inutile nel tempo, dal momento che l'amministrazione non si
 e' attivata per la sua realizzazione) che possa differenziare la  sua
 situazione  rispetto  a quella del vicino il cui terreno, non colpito
 da vincoli (e quindi  nella  stessa  condizione  di  un  terreno  con
 vincoli  privi  di  efficacia), beneficera' della maggiore volumetria
 assentibile secondo le previsioni di piano.
    3.  - La questione relativa alla legittimita' costituzionale degli
 artt. 7, nn. 2, 3 e 4, e 40 della legge n. 1150/1942 ed art. 2, primo
 comma, della legge n. 1187/1968 in relazione agli artt. 3 e 42, terzo
 comma, della Costituzione, va percio' devoluta - siccome rilevante ai
 fini  del  giudizio  e  non  manifestamente  infondata  -  alla Corte
 costituzionale, restando sospeso per l'effetto il  giudizio  fino  al
 sopraggiungere della pronuncia della Corte.