IL TRIBUNALE Ha pronunciato la seguente ordinanza nelle cause civili riunite di primo grado iscritte ai nn. 34307/87 e 5286/88 del ruolo generale per gli affari contenziosi posta in deliberazione all'udienza collegiale del 13 gennaio 1989 e vertente tra Telemilano S.p.a., con sede in Milano, Teletorino S.p.a., con sede in Torino, Video Veneto S.r.l., con sede in Mestre, Video Adige S.r.l., con sede in Trento, A e G Television S.r.l., con sede in Genova, Telemilia Romagna T.E.R. S.r.l. con sede in Bologna, Teletoscana Uno S.r.l., con sede in Firenze, Video Umbria S.r.l., con sede in Todi, Roma 2 S.r.l., con sede in Roma, Sole TV S.r.l., con sede in Ascoli Piceno, Antenna 2 S.r.l., con sede in Bari, R.T.D. Ischia S.r.l., con sede in Napoli, Tele Calabria S.r.l., con sede in Reggio Calabria, Rete Sicilia S.r.l., con sede in Palermo, Sardegna TV S.r.l., con sede in Cagliari, aderenti al circuito canale 5; Antenna Nord S.p.a., con sede in Milano, Antenna Nord Piemonte S.p.a., con sede in Torino, Nuova Televenezia S.r.l., con sede in Mestre, Antenna Nord Liguria S.r.l., con sede in Genova, Video Athesia S.r.l., con sede in Trento, Antenna Emilia S.r.l., con sede in Bologna, Canale 48 S.p.a., con sede in Firenze, Tele Adriatica S.r.l., con sede in Roma, Quinta Rete S.p.a., con sede in Roma, Tele Posillipo S.r.l., con sede in Napoli, Tele Azzurro S.r.l., con sede in Bari, Trinacria TV S.r.l., con sede in Palermo, Rete Sarda S.r.l., con sede in Cagliari, Rete Dieci S.r.l., con sede in Milano, aderenti al circuito Italia 1; Antenna 4 S.p.a., con sede in Roma, Teleuropa S.p.a., con sede in Napoli, Delta S.p.a., con sede in Milano, Antares S.p.a., con sede in Mestre, Tele Radio Editrice S.r.l., con sede in Torino, TVP S.p.a., con sede in Ascoli Piceno, Sert S.p.a., con sede in Genova, Videomare S.r.l., con sede in Bari, Video Emilia Romagna S.r.l., con sede in Bologna, Video Gamma S.r.l., con sede in Firenze, Retequattro S.p.a., con sede in Milano, Sicilia Televisiva S.p.a., con sede in Palermo, aderenti al circuito Rete 4, nonche' la soc. Videotime con sede in Milano tutte in persona dei legali rappresentanti pro-tempore, rappresentate e difese dagli avvocati Aldo Bonomo di Milano e Antonio Pacifico di Roma, per procure alla lite depositate in atti, ed elettivamente domiciliate nello studio del secondo in Roma, piazza della Rotonda, 2, attrici, contro S.I.A.E. Societa' italiana degli autori ed editori, con sede in Roma, in persona del legale rappresentante pro-tempore, rappresentata e difesa, come da mandato in calce all'atto di citazione, dagli avvocati Amedeo Nicolai, Salvatore Pastore e prof. Paolo Picozza, elettivamente domiciliata presso lo studio del primo in Roma, via della Letteratura n. 30, convenuta; Premesso che le societa' attrici hanno citato in giudizio la SIAE chiedendo che il tribunale, dichiarata la non manifesta infondatezza delle eccezioni di legittimita' costituzionale precisate in seguito, accertasse l'illegittimita' delle condizioni poste dalla societa' degli autori relativamente ai corrispettivi per l'utilizzazione del repertorio tutelato ed emettesse sentenza che statuisse la prosecuzione a tempo indeterminato del rapporto contrattuale sulla base delle condizioni gia' stabilite nelle scritture private del 31 agosto 1985 inter partes o comunque determinasse un equo aggiornamento dei corrispettivi sopradetti; Rilevato che la Siae, costituendosi in giudizio, ha eccepito pregiudizialmente, il difetto di giurisdizione del giudice adito ed ha chiesto, nel merito, il rigetto delle domande attrici con la condanna delle stesse societa', in via riconvenzionale, al risarcimento del danno per l'indebita utilizzazione del repertorio; OSSERVA Le societa' attrici hanno eccepito, pregiudizialmente, la illegittimita' costituzionale dell'art. 180 della legge 22 aprile 1941, n. 663, per contrasto con gli artt. 23, 41, 53 e 97 della Costituzione. In riferimento all'art. 43, l'art. 180 sarebbe incostituzionale in quanto obbligherebbe l'utente a negoziare per tutte le opere di competenza dell'ente e non per quelle effettivamente utilizzate. Con riferimento agli artt. 23, 41 e 53 della Costituzione, l'art. 180 sarebbe poi illegittimo in quanto la pretesa di corresponsione di un compenso, rapportato ad una percentuale fissa su tutte le entrate aziendali, assumerebbe effettiva sostanza di tributo. Con riferimento agli artt. 41 e 97 della Costituzione, la norma citata sarebbe illegittima per la mancata predeterminazione, in via generale, delle condizioni necessarie per l'emanazione dell'atto autorizzato. La difesa Siae ha anzitutto rilevato l'inammissibilita' di tutte le censure sollevate in quanto riferite non gia' al contenuto normativo proprio dell'art. 180 l.a., bensi' a concrete modalita' ed articolazioni del rapporto Siae-utente del repertorio, modalita' previste (non dalla legge) ma da fonti secondarie del diritto o da atti amministrativi o, addirittura, da atti o rapporti negoziali instaurati dalla Siae con singoli utenti. In altri termini, oggetto di censura sarebbero, secondo la Siae, le concrete modalita' con le quali essa Siae gestisce i diritti di sfruttamento economico del repertorio tutelato e non le norme di cui all'art. 180 l.a., sicche' nessuna rilevanza avrebbe, nel presente giudizio, la circostanza che la Siae eserciti o meno i suoi poteri in via esclusiva, cosi' come previsto dall'art. 180 l.a. Sia pure per considerazioni in parte diverse da quelle prospettate dalle attrici, le censure di illegittimita' costituzionale dell'art. 180 l.a. non sono manifestate infondate. Detto art. 180 dispone che l'attivita' di intermediario, comunque attuata, sotto forma diretta di intervento, mediazione, mandato rappresentanza ed anche di cessione per l'esercizio di diritti di rappresentazione meccanica e cinematografica di opere tutelate e' riservata, in via esclusiva, alla Societa' italiana autori ed editori (Siae). La Corte costituzionale con sentenza del 17 aprile 1968, n. 25, ha dichiarato costituzionalmente legittimo l'art. 180, primo comma, l.a. in riferimento all'art. 18 della Costituzione, ritenendo che la riserva alla Siae dell'attivita' in questione non sia lesiva del diritto degli autori di associarsi per la tutela dei loro diritti e che, comunque, l'art. 18 della Costituzione non esclude che certe attivita', per la loro particolare rilevanza, siano riservate a pubblici poteri e penalmente protette. Con sentenza (19 aprile 1972, n. 65) la Corte ha altresi' dichiarato non fondata la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 180 della legge 22 aprile 1941, n. 633, in riferimento agli artt. 3, 24, 41 e 113 della Costituzione. Ha ritenuto la Corte che la posizione di preminenza in cui la Siae opera sul mercato troverebbe razionale giustificazione nell'esigenza di interesse generale di adeguata protezione del diritto di autore e che questa esigenza non si pone in contrasto con altri interessi, pure costituzionalmente protetti, in quanto all'ente pubblico non sono attribuiti poteri arbitrari o, comunque, incontrollabili. E cio' sia perche', quale ente pubblico, la Siae e' soggetta a vigilanza governativa, sia in quanto l'utente puo' ricorrere, in sede amministrativa o giurisdizionale, ove ritenga lesi i suoi diritti a seguito dell'illegittimo esercizio della potesta' (rectius facolta') di determinare i compensi da parte della Siae. La prima pronuncia citata (n. 25/1968) non viene in discussione nella fattispecie sottoposta all'esame del tribunale. L'art. 180 viene in rilievo in questa sede non gia' nella parte in cui comprimerebbe l'esercizio della liberta' degli autori di associarsi, per la tutela dei loro diritti, ma nella parte in cui (primo e secondo comma) attribuisce alla Siae un'esclusiva, frangibile solo dagli autori o dai loro eredi, nella gestione dei diritti di utilizzazione economica delle opere tutelate. In virtu' di questa norma, gli utenti o consumatori si trovano di fronte un organismo che, per legge, accentra, nelle sue mani la quasi totalita' dell'offerta, almeno per alcuni settori (musica leggera) di determinati beni, con evidente tendenza al monopolio e quindi con pericolo di abuso. La Corte costituzione, nella sentenza n. 64/1972, pur avendo escluso che la Siae operi in posizione di monopolio, di fatto o di diritto, ha tuttavia ritenuto che sia ravvisabile, nella posizione Siae, stante l'esclusione posta dalla legge, una posizione dominante sul mercato, la quale tuttavia, non potrebbe dar luogo a situazioni di abuso e, quindi, illecite poiche' gli interessati avrebbero a loro disposizione i rimedi giuridici che l'ordinamento appresta per reprimere l'esercizio di poteri arbitrari o incontrollabili. Un attento esame della fattispecie sottoposta al giudizio del tribunale, porta tuttavia a dubitare che l'utente interessato abbia a sua disposizione, adeguati rimedi allorche' la potesta' (rectius facolta') di determinare i compensi, da parte della Siae, venga esercitata in modo arbitrario. Ne' puo' considerarsi risolutiva, al fine qui considerato, la natura pubblica dell'ente. E' ormai conclusione acquisita quella secondo la quale lo svolgimento di attivita' economica da parte di un soggetto che abbia natura di ente pubblico economico, nel rispetto delle regole del mercato e secondo forme di diritto privato, non e' certo garanzia della socialita' del risultato. In altri termini, la natura di ente pubblico - economico della Siae, piu' volte affermata dalla giurisprudenza (v. Cass. 27 giugno 1966, n. 1646) non e' di per se' sufficiente a garantire che l'ente (che opera sul mercato in posizione dominante, per effetto dell'esclusiva accordatagli dall'art. 180 l.a.) non possa praticare condizioni di contratto sperequate tra gli utenti. Cio' posto, e' da escludere, a giudizio del collegio, che l'autorita' giudiziaria, sia essa ordinaria che amministrativa, disponga di strumenti giuridici per censurare il comportamento del soggetto (ente pubblico economico), che nell'esercizio di privata autonomia ponga condizioni contrattuali sperequate, rispetto a quelle normalmente praticate. E' innegabile, infatti che, allo stato della legislazione non esiste un obbligo legale a contrattare in capo alla Siae poiche' quest'ultima non opera in condizioni di monopolio ne' legale ne' di fatto, come ha ritenuto la stessa Corte costituzionale nelle sentenze citate (v. soprattutto la sentenza 19 aprile 1972, n. 65). Non e' dunque applicabile alla fattispecie, l'art. 2597 del c.c. che impone al monopolista legale l'obbligo di contrattare con chiunque gliene faccia richiesta e di osservare parita' di trattamento. Ne consegue che, ove la Siae richieda un compenso esorbitante quale corrispettivo della concessione del diritto di sfruttare il repertorio tutelato, tale comportamento non potrebbe essere giuridicamente censurato. Dovrebbe anzi ritenersi che, operando il soggetto nell'esercizio di una piena autonomia, lo stesso rifiuto di contrattare sarebbe lecito. E' ancora piu' evidente, poi, come non sia giuridicamente possibile, per il giudice, (in assenza di una norma che imponga un obbligo a contrattare in capo al soggetto in posizione di preminenza sul mercato) determinare o modificare il contenuto del contratto che detto soggetto si rifiuti di concludere o pretenda di stipulare a condizioni economicamente insopportabili. Il giudice non puo', infatti, emettere pronunce costitutive di tale specie, in assenza di una espressa previsione normativa. La fattispecie in cui pronunce determinative del contenuto di un obbligo sono ammesse nel nostro ordinamento sono, come ha correttamente rilevato la difesa della Siae, tassative. Neppure puo' ritenersi giuridicamente configurabile un controllo preventivo sulle condizioni di contratto praticate dalla Siae: quest'ultima, operando "iure privatorum" e' libera sia di contrattare (o non) con chi gliene faccia richiesta, sia, e ancor piu', di formulare intollerabili e immodificabili condizioni contrattuali. In tale situazione l'a.g.o. non puo' certo rilevare e dichiarare la illegittimita' di determinate condizioni contrattuali per avventura ritenute discriminatorie. Dovendo ritenersi la Siae libera di stipulare o meno un contratto e di determinarne il contenuto, non appare possibile individuare dunque un principio normativo in base al quale debba essere tenuta ad osservare parita' di trattamento tra gli utenti del repertorio. Imponendo al monopolista legale la parita' di trattamento il legislatore ha inteso evitare il pericolo che l'accessibilita' del consumatore al prodotto o servizio venga impedita non tanto attraverso un rifiuto "tout court" di contrattare (in realta' raro) ma, in maniera piu' sottile e subdola, attraverso una marcata discriminazione delle condizioni contrattuali. Obbligo di contrattare e parita' di trattamento segnano certamente i limiti oltre i quali il rifiuto del monopolista e' ingiustificato. Nondimeno tali limiti non operano (non possono operare) per il soggetto che monopolista non e': nei suoi confronti, infatti, sono evidentemente inapplicabili anche in via analogica le norme (2597 e 1679 del c.c.) che sanciscono la illiceita' del rifiuto di contrattare e di violare la par condicio. Sicche', anche a voler ritenere che il dovere di parita' di trattamento possa rappresentare un criterio per determinare il contenuto dell'obbligo che il monopolista si sia rifiutato di perfezionare, nella fattispecie, difettando in capo alla Siae un obbligo legale a contrattare, non puo' essere dichiarata illecita la richiesta di un prezzo, di fatto inaccettabile o comunque diverso rispetto alle condizioni normalmente praticate. In altri ordinamenti (es. quello inglese) la determinazione dei compensi da praticare da parte della societa' degli autori e' effettuata per legge; oppure esistono (es. Stati Uniti) norme "antitrust" che consentono di censurare (come in molti casi e' effettivamente avvenuto) il comportamento di societa' degli autori che abusino della loro posizione dominante sul mercato. Nell'ordinamento italiano, invece, mentre si attribuisce alla Siae una posizione di assoluta preminenza sul mercato (l'esclusiva nella concessione di licenze e autorizzazioni per lo sfruttamento economico di opere tutelate, nella percezione dei proventi derivanti da licenze o autorizzazioni e nella loro ripartizione tra gli aventi diritto) non sembra sussistere un idoneo controllo preventivo o successivo, per evitare eventuali tendenze all'abuso di tale posizione dominante. Ne consegue che, se da un lato puo' affermarsi che la posizione di preminenza attribuita alla Siae trova piena e razionale giustificazione nell'esigenza di salvaguardare il diritto di sfruttamento economico delle opere tutelate, e piu' in generale, nell'esigenza di salvaguardare la produzione artistica e lo sviluppo culturale del paese, e' altresi' innegabile, che tale esigenza, come ha gia' rilevato la Corte costituzionale, non puo' giungere fino all'attribuzione alla Siae di poteri arbitrari e comunque incontrollabili. In diversa ipotesi la norma in questione (art. 180 l.a.) potrebbe essere in aperto contrasto non solo con l'art. 41 della Costituzione ma, altresi', con gli artt. 3 e 24 della Carta costituzionale appunto nella parte in cui attribuisce alla Siae l'esclusiva senza prevedere alcun controllo per limitare una sua eventuale tendenza all'abuso; controllo da esercitarsi vuoi mediante imposizione in determinati casi di un obbligo a contrattare, vuoi mediante un'imposizione di parita' di trattamento, vuoi mediante predisposizione di tariffe inderogabili. Ne ha pregio, peraltro, il richiamo agli artt. 52 e segg. della legge autore. Tali norme hanno infatti la funzione di attribuire all'ente statale esercente il servizio di radiodiffondere e teletrasmettere opere dell'ingegno dai teatri, dalle sale da concerto e da altri luoghi pubblici nei limiti stabiliti dalla legge stessa (salvo che si tratti di opere nuove o di prime rappresentazioni stagionali di opere non nuove, per le quali e' necessario il consenso dell'autore). In tali casi l'autore ha solo il diritto di ottenere, dall'ente esercente il servizio di radiodiffusione, il pagamento di un compenso che, in caso di disaccordo, e' liquidato dall'autorita' giudiziaria (art. 56 legge autore) ma non puo' evitare la radiodiffusione dell'opera. E cio' in considerazione della natura e dei fini della radiodiffusione, come servizio riservato allo stato che lo esercita direttamente o per mezzo di suoi concessionari. Siamo in presenza, in altri termini, di una licenza legale in cui il diritto di autore e' degradato a semplice diritto di compenso. Trattasi di una limitazione tassativamente prevista dalla legge solo in favore dell'ente statale esercente il servizio di radiodiffusione e come tale non estensibile al di fuori della ipotesi normativamente prevista. In ordine alla questione della rilevanza della eccezione di legittimita' costituzionale della norma di cui all'art. 180, primo e secondo comma, l.a., se nessuno dubita che la Siae possa praticare condizioni generali di contratto differenziate ogni volta che cio' sia giustificato dalla differenza tra i vari tipi di rapporto, e' altrettanto evidente che a dette condizioni debbono sempre presiedere criteri di ragionevolezza e di equita', specie in un mercato in cui sia impossibile, per il consumatore, rifornirsi altrove dello stesso bene o servizio. In altri termini, se e' vero che gli stessi utenti delle opere tutelate (e in particolare di opere musicali di modeste proporzioni) possano trovarsi di fronte a difficolta' insormontabili per individuare il soggetto cui rivolgersi per ottenere la licenza all'esecuzione dell'opera di un determinato autore, per conoscere il costo, per sapere se l'autore viva tuttora o se occorra trattare con i suoi eredi e chi essi siano, ovvero se una determinata opera sia ancora protetta (il che dimostra l'evidente utilita' della funzione esercitata dalla Societa' degli autori), e' altresi' evidente che non meno gravi difficolta', anche di ordine pratico, si vengono a verificare allorquando in relazione alla norma che stabilisce la riserva in via esclusiva alla Siae dell'attivita' di intermediazione non siano previsti espressamente idonei limiti e controlli per evitare abusi e disparita' di trattamento. Tale mancanza assoluta di predeterminati criteri generali ed uniformi e la non specifica previsione di forme adeguate di tutela giudiziaria (come abbiamo detto la Siae agisce iure privatorum) inducono il collegio a ritenere - non sussistendo peraltro nel nostro ordinamento una legislazione "antitrust" - che sia ravvisabile un contrasto con gli artt. 41 e 3 della Costituzione (non coordinamento dell'attivita' pubblica economica a fini sociali; disparita' di trattamento). Va peraltro considerato in relazione all'attuale regolamentazione legislativa del rapporto tra Siae e utilizzatori delle opere tutelate (cfr. sopra), e alla posizione di questi ultimi (specie nella vera e propria fase contrattuale) che non sembra essere adeguata la sola tutela amministrativa, in concreto utilizzabile piu' nella fase concessiva delle licenze e delle autorizzazioni, che relativamente al vero a proprio sinallagma contrattuale. Deve anche osservarsi che la posizione di preminenza sul mercato della Siae (in realta' molto vicina a quella del monopolista legale: cfr. sopra) e, correlativamente, la situazione di evidente soggezione delle societa' (che operando nel settore della emittenza privata non possano fare a meno di utilizzare le opere tutelate) finiscono con rendere il corrispettivo determinato ed imposto dalla Siae molto simile ad una prestazione patrimoniale con carattere pressoche' impositivo. Cio' posto, e considerato il noto rigoroso orientamento della Corte costituzionale in punto, non puo' neanche escludersi un contrasto della normativa in esame con l'art. 23 della Costituzione. Nella fattispecie, la Siae ha chiesto alle attrici, quale compenso per lo sfruttamento del repertorio tutelato, non gia' una percentuale parametrata sugli introiti desumibili dai loro bilanci secondo le condizioni da detta Siae normalmente praticate bensi' una percentuale degli introiti della Pubblitalia (soggetto estraneo al presente giudizio che svolge attivita' di raccolta di pubblicita'), non solo in favore delle societa' attrici). Tale pretesa della Siae che sembra svincolata da ogni riferimento a criteri i quali in qualche modo garantiscono la parita' di trattamento degli utilizzatori del repertorio (neppure giustificata apparendo la pretesa equiparazione fra R.A.I. televisione italiana, concessionaria di diritto pubblico dei servizi di radiotelediffusione in Italia - cui affluiscono anche i canoni dei teleutenti - ed emittenti private) potrebbe essere considerata non legittima sulla base delle considerazioni surriferite e dell'illustrato sospetto di non legittimita' costituzionale della normativa in esame.