IL TRIBUNALE Ha pronunciato la seguente ordinanza nel procedimento penale a carico di Balzano Carlo, imputato di calunnia; Vista l'eccezione di illegittimita' costituzionale sollevata dal difensore dell'imputato; sentito il pubblico ministero; O S S E R V A 1. - Carlo Balzano, tratto a giudizio per rispondere del reato di calunnia non e' comparso; la notificazione del decreto di citazione a giudizio, eseguita ai sensi dell'art. 171, comma quinto e sesto del c.p.p., e' risultata rituale: l'imputato elesse domicilio in luogo dove le notificazioni sono divenute impossibili; egli, per altro, non ha fornito la prova del legittimo impedimento, tale da rendere impossibile assolutamente la comparizione in giudizio, ne' vi sono in atti elementi in base ai quali poter esprimere un giudizio di probabilita' circa l'esistenza del legittimo impedimento; sicche', pur opponendosi il difensore di ufficio, e' stata dichiarata la contumacia dell'imputato. A fronte di tale ordinanza, il difensore di ufficio, ha eccepito l'illegittimita' costituzionale dell'art. 192, ultimo comma, del c.p.p., in relazione agli artt. 128, 200 e 499, ultimo comma, dello stesso codice, nella parte in cui non prevede che il potere di impugnazione attribuito all'imputato non si estenda al difensore d'ufficio dell'imputato contumace, per violazione degli artt. 3 e 24 della Costituzione in quanto privo di specifico mandato ad impugnare la sentenza contumaciale non potra', comunque, impugnare l'ordinanza dichiarativa della contumacia. 2. - La questione, come prospettata, appare rilevante. Secondo la nuova formulazione dell'art. 497, terzo comma, del c.p.p. (art. 3, secondo comma, della legge 23 gennaio 1989, n. 22), "La probabilita' che l'assenza dell'imputato sia dovuta a legittimo impedimento e' in ogni caso liberamente valutata dal giudice. Tale valutazione non puo' formare oggetto di discussione successiva, ne' motivo di impugnazione". La disposizione, se ci si attenesse strettamente alla formulazione letterale, parrebbe attribuire al giudice un potere dispotico; tuttavia, nella prassi giurisprudenziale, si ammette che l'ordinanza de qua possa essere impugnata ex art. 200 del c.p.p. in uno con la sentenza, sotto il profilo di una trasgressione delle regole sulla motivazione, potendosi l'asserito errore risolvere o nella violazione di canoni logici, o nella scelta di massime d'esperienza non plausibili. Ovvio, pertanto, che il difensore d'ufficio abbia interesse ad impugnare l'ordinanza dichiarativa della contumacia, ma, a meno che non divenga difensore di fiducia e l'imputato non gli conferisca mandato speciale ad impugnare la sentenza resa in sua contumacia, non potra', comunque, far valere le sue doglianze. 3. - La questione, d'altra parte, non appare manifestamente infondata. Secondo un consolidato orientamento interpretativo, la legittimazione del difensore all'impugnazione della sentenza deve ritenersi limitata - a norma dell'art. 192 del c.p.p. - alla rappresentanza processuale del solo imputato e non anche delle altre parti processuali, in virtu' del principio di personalita' del potere di impugnazione. La deroga a questo principio, rispetto al difensore dell'imputato, secondo la communis opinio giurisprudenziale, troverebbe giustificazione nel favor libertatis, ma sarebbe arduo dimostrare - con argomenti seri, veri e persuasivi -, che l'estensione del potere di impugnare al difensore che "ha assistito o rappresentato l'imputato nel procedimento" (art. 192, secondo comma, prima parte, del c.p.p.), non risponda all'esigenza di garantire un esercizio effettivo e non meramente formale ed apparente della difesa tecnica. Questi sia pur sintetici rilievi conducono ad emersione l'irrazionalita' della discriminazione operata quanto all'estensione del potere di impugnazione tra il difensore del presente e il difensore del contumace. Ne' tale irrazionalita', che si traduce in violazione dell'art. 3 della Costituzione, e' destinata a tradursi in razionalita' della discriminazione ove si faccia leva su un preteso disinteresse di chi resti contumace alle vicende del processo. D'altra parte, nelle ipotesi in cui - come in quella di specie - l'imputato contumace sia assistito da un difensore di ufficio che, in quanto tale non e', ne' potrebbe essere destinatario dello "specifico mandato" di cui all'art. 192, secondo comma, seconda parte, del c.p.p., concepibile solo rispetto al difensore di fiducia, si appalesa all'evidenza la violazione dell'art. 24, secondo comma, della Costituzione: la conoscenza del decreto di citazione da parte dell'imputato e' solitamente e, nel caso di specie sicuramente, presunta: la perfezione del decreto di citazione a giudizio, in quanto atto ricettizio, e' fatta dipendere dal rispetto di date forme e non dalla ricerca, caso per caso, di un evento psicologico quale, appunto, quello dell'effettiva conoscenza dell'atto. Lo stesso dicasi per quanto attiene alla notificazione dell'estratto della sentenza al contumace che, tuttavia, a norma dell'ultimo comma dell'art. 497 del c.p.p. dovrebbe essere rappresentato a tutti gli effetti dal difensore.