LA COMMISSIONE TRIBUTARIA DI PRIMO GRADO Ha pronunciato la seguente ordinanza sul ricorso prodotto da Taban S.p.a. in liquidazione, con sede in Milano, Foro Buonaparte, 31, avverso l'ufficio registro di Verbania; Lettti gli atti; Sentiti il dott. Francesco Giusti e l'avv. Giuseppe Imperatori per la ricorrente e, per l'Ufficio Registro di Verbania, il sig. Walter Migliorini; Udito il relatore dott. Mario Piscitello; RITENUTO IN FATTO La Taban S.p.a. in liquidazione, con sede in Milano, Foro Buonaparte, 31, rappresentata dall'ing. Carlo Casale, in data 3 ottobre 1986 proponeva ricorso contro l'avviso di accertamento - notificatole in data 23 giugno 1986 - con il quale l'ufficio registro di Verbania aveva rettificato, ai fini dell'Invim straordinaria, 1º gennaio 1983, per i terreni ed i fabbricati industriali, siti in Verbania, il "valore finale", elevandolo da L. 4.000.000.000, dichiarate, a L. 14.911.000.000. La ricorrente chiedeva l'annullamento dell'impugnato avviso di accertamento per mancanza di adeguata motivazione e per infondatezza del valore finale accertato. L'ufficio registro di Verbania risisteva al ricorso con deduzioni scritte. Questa commissione tributaria con ordinanza del 16 dicembre 1987 nominava, per accertare il valore alla data del 1º gennaio 1983, consulente tecnico il dott. arch. Emilio Sironi, il quale depositava relazione di consulenza nella quale indicava in L. 6.455.384.505 il valore degli immobili anzidetti al 1º gennaio 1983. All'udienza dell'8 marzo 1989 le parti concludevano come da verbale in atti. La decisione del ricorso, a parere di questo collegio, deve essere preceduta dalla soluzione di una questione di legittimita' costituzionale. Questo collegio, a prescindere dai dubbi sulla costituzionalita' di una legge che prevede la responsabilita' civile del giudice non solo per dolo ma anche per colpa (la questione, peraltro, e' stata gia' sottoposta da diversi organi giurisdizionali all'esame della Corte costituzionale, la quale, con la recente sentenza n. 18/1z989, ne ha affermato la legittimita'), ritiene che la legge 13 aprile 1988, n. 117 "Risarcimento dei danni cagionati nell'esercizio delle funzioni giudiziarie e responsabilita' civile dei magistrati" possa essere illegittima sotto un altro profilo, non ancora esaminato dalla Corte, almeno per quanto riguarda i giudici e i processi tributari. Stabilisce, in particolare, l'art. 2, primo comma, della citata legge che "chi ha subito un danno ingiusto per effetto di un comportamento, di un atto o di un provvedimento giudiziario posto in essere dal magistrato con dolo o colpa grave nell'esercizio delle sue funzioni ovvero per diniego di giustizia puo' agire contro lo Stato per ottenere il risarcimento dei danni...". Qualunque soggetto, quindi, puo' chiedere il risarcimento del danno allo Stato, ma tra le parti del processo tributario vi e' lo Stato - Amministrazione finanziaria, il quale, a causa di un comportamento doloso o colposo del giudice, puo' subire, come una qualsiasi altra parte, un danno ingiusto. Lo Stato-Amministrazione finanziaria, pero', non puo' esercitare alcuna azione di responsabilita' civile nei confronti del magistrato in caso di "colpa grave". Il disegno di legge presentato dal Ministro Vassalli prevedeva un'ipotesi di responsabilita' diretta del magistrato per danni nell'esercizio delle funzioni; precisamente nell'art. 11, secondo cui "quando, per effetto di un comportamento posto in essere dal magistrato con dolo o colpa grave, lo Stato ha subito, quale parte in giudizio, un danno ingiusto non riparato con i mezzi di impugnazione ordinari, puo' agire direttamente contro il magistrato". La norma era stata formulata soprattutto, in riferimento alle commissioni tributarie, ove con maggiore frequenza puo' verificarsi l'ingiusto pregiudizio per l'erario; comunque la norma sarebbe valsa a tutelare in modo paritetico ogni utente della giustizia, compreso lo Stato che certo non avrebbe potuto agire contro se stesso per il fatto del giudice e poi rivalersi su di questi. Alla Camera dei deputati la norma non passo'; ripresentata all'altro ramo del Parlamento come emendamento dai senatori Battello, Macis e Corleone, prima in commissione e poi in aula, neppure trovo' consensi. (Senato 29 gennaio e 18 febbraio 1988). Il risultato e' che, se un organo giudiziario - l'esempio piu' calzante e' quello del giudice tributario, ma ci si puo' riferire all'intero contenzioso amministrativo - cagiona un danno ingiusto ad un privato, puo' avere conseguenze anche patrimoniali, ma e' pressocche' immune da fastidi se da' torto allo Stato. Ai giudici tributari - retribuiti con compensi che sono un'offesa per la funzione che svolgono (L. 5.000 per ogni ricorso³) - un errore a danno di un contribuente o di un evasore fiscale potrebbe costare caro "una somma pari al terzo di una annualita' dello stipendio che compete al magistrato di tribunale" e quindi... quindici o venti milioni di lire. D'altra parte, a parere di questo collegio, sarebbe velleitario ed ingiusto pretendere atti di eroismo dagli attuali giudici tributari, non professionali e mal retribuiti. Ne consegue che, inevitabilmente, i giudici tributari, nel momento della decisione di ogni controversia, hanno un interesse personale (alla prudenza, al conformismo, alle scelte meno rischiose...) e potrebbero essere indotti a non dar torto a chi lo ha, ma a colui rispetto al quale non esiste la possibilita' di essere chiamati in giudizio e quindi... allo Stato. Ne' potrebbe seriamente obiettarsi che i giudici tributari che "per dolo, colpa grave o diniego di giustizia" dovessero recare danni allo Stato, anche se non in sede civile, potrebbero essere chiamati a rispondere in sede disciplinare. Non solo perche' la responsabilita' disciplinare non puo' essere considerata equivalente o alternativa alla responsabilita' civile, ma perche' per i giudici tributari non esiste un vero organo disciplinare (di certo, non potrebbe esserlo il Ministro delle finanze, parte in causa nei processi tributari o, quanto meno, a questi interessato). Pertanto la legge 13 aprile 1988, n. 117 "Risarcimento dei danni cagionati nell'esercizio delle funzioni giudiziarie e responsabilita' civile dei magistrati" ed, in particolare, l'art. 2, primo comma - in quanto non prevede che lo Stato, parte in causa nei processi tributari, possa esercitare un'azione di responsabilita' civile nei confronti del giudice - potrebbe essere in contrasto con gli artt. 3, primo comma, 101, secondo comma, e 108, secondo comma, della Costituzione. Per le argomentazioni esposte la presente questione, a parere di questo collegio, e' "non manifestamente infondata" ed anche "rilevante" perche' la soluzione della questione di legittimita' costituzionale, la quale concerne la capacita' in senso lato dell'organo giurisdizionale adito, costituisce un antecedente necessario alla definizione della controversia in esame.