ha pronunciato la seguente
                                SENTENZA
 nel giudizio promosso con ricorso della Provincia Autonoma di Bolzano
 notificato il 24 dicembre  1988,  depositato  in  Cancelleria  il  28
 successivo  ed  iscritto  al  n.  34  del  registro ricorsi 1988, per
 conflitto di attribuzione sorto a seguito del decreto del  Presidente
 del  Consiglio  dei  Ministri  in  data  28  ottobre  1988 avente per
 oggetto: "Atto di indirizzo  e  coordinamento  alle  Regioni  e  alle
 Province autonome per l'accesso all'edilizia residenziale pubblica ed
 al relativo credito dei cittadini comunitari esercenti  attivita'  di
 lavoro autonomo";
    Visto  l'atto  di  costituzione  del  Presidente del Consiglio dei
 Ministri;
    Udito  nell'udienza  pubblica del 7 marzo 1989 il Giudice relatore
 Antonio Baldassarre;
    Uditi  gli  avv.ti  Roland  Riz e Sergio Panunzio per la Provincia
 Autonoma di Bolzano e l'Avvocato dello Stato Pier Giorgio  Ferri  per
 il Presidente del Consiglio dei Ministri;
                           Ritenuto in fatto
    1.   -  Con  ricorso  regolarmente  notificato  e  depositato,  la
 Provincia autonoma di Bolzano ha sollevato conflitto di  attribuzione
 in  relazione  al  d.P.C.M.  28  ottobre  1988  (Atto  di indirizzo e
 coordinamento  alle  regioni  e  province  autonome   per   l'accesso
 all'edilizia   residenziale  pubblica  ed  al  relativo  credito  dei
 cittadini comunitari esercenti  attivita'  di  lavoro  autonomo),  in
 quanto ritenuto lesivo delle competenze legislative di tipo esclusivo
 da essa detenute, a norma dell'art. 8, n. 10, e degli artt. 16  e  98
 dello   Statuto  di  autonomia,  in  materia  di  "edilizia  comunque
 sovvenzionata,  totalmente  o  parzialmente,   da   finanziamenti   a
 carattere  pubblico",  nonche'  delle competenze ad essa riconosciute
 dall'art.  6  del  d.P.R.  19  novembre  1987,  n.  526,  in   ordine
 all'attuazione dei regolamenti della Comunita' Economica Europea, ove
 questi  richiedano  una   normazione   integrativa   o   un'attivita'
 amministrativa di esecuzione.
    Premesso  che  la  Provincia di Bolzano ha predisposto un'organica
 disciplina del settore, la quale non prevede la cittadinanza italiana
 come  requisito necessario per poter beneficiare dell'assegnazione di
 alloggi di edilizia residenziale pubblica o del relativo  credito,  e
 premesso,  quindi,  che  non  sussisteva  l'esigenza  di  attuare nel
 territorio provinciale il regolamento del Consiglio della  C.E.E.  n.
 1612/68  sulla parita' di trattamento e sulla libera circolazione dei
 lavoratori  all'interno  della  Comunita'  europea,   la   ricorrente
 sostiene  che  l'atto  impugnato  lede  l'autonomia  provinciale  nel
 sottrarre ad essa la competenza di  attuazione  diretta  delle  norme
 comunitarie,  che  gli  artt.  6  e  7  del d.P.R. n. 526 del 1987 le
 garantiscono in misura piu' ampia e incisiva di quanto sia in  genere
 riconosciuto  alle  regioni  e  che  era  stata,  per l'appunto, gia'
 esercitata.
    In secondo luogo, la ricorrente osserva che, poiche' le previsioni
 concernenti  i  requisiti  soggettivi  per   l'accesso   all'edilizia
 pubblica  sovvenzionata sono contenute in atti legislativi, lo Stato,
 adottando un decreto ministeriale di indirizzo e di coordinamento, ha
 tentato  di  raggiungere  un  risultato che potrebbe esser realizzato
 soltanto  mediante  un  atto  legislativo  specificamente  diretto  a
 modificare  la previgente legislazione statale o a stabilire principi
 affinche' le regioni o le province autonome si adeguino con  le  loro
 leggi  alle  norme  comunitarie.  Al contrario, l'atto impugnato - il
 quale, per la forma con cui e' stato adottato,  potrebbe  indirizzare
 soltanto  l'attivita' amministrativa della Provincia - pretenderebbe,
 secondo  la  ricorrente,  di  incidere   direttamente   sulle   leggi
 provinciali  che  regolano  la  stessa  materia,  le  quali sarebbero
 legittimamente soggette soltanto  ad  indirizzi  adottati  con  legge
 dello Stato.
    In  terzo  luogo,  continua  la ricorrente, nel caso in cui l'atto
 impugnato dovesse essere considerato come rivolto essenzialmente alle
 attivita'  amministrative  della Provincia, oltre ad esser soggetto a
 tutte le  censure  che  la  ricorrente  ha  gia'  prospettato  in  un
 precedente  giudizio di legittimita' costituzionale avverso l'art. 2,
 terzo comma, lett. d, della legge 23 agosto 1988, n. 400 (v. ric.  n.
 31  del  1988),  esso  sarebbe viziato per i seguenti motivi: perche'
 sarebbe privo di  quel  "supporto  legislativo  ulteriore"  richiesto
 dalla  giurisprudenza  di codesta Corte; perche' sarebbe contrario al
 citato art. 2 della legge n. 400 del 1988 che impone per gli atti  di
 indirizzo  e  di  coordinamento  la  deliberazione  del Consiglio dei
 Ministri senza possibilita' di delega; e, infine, perche'  violerebbe
 l'art. 12, quinto comma, lett. b, della stessa legge n. 400 del 1988,
 che  vincola  il  Governo  a  consultare  la  Conferenza   permanente
 Stato-regioni per gli atti come quello impugnato.
    2. - Si e' regolarmente costituito il Presidente del Consiglio dei
 ministri per chiedere che il ricorso sia dichiarato non fondato.
    Dopo  aver  ricordato  che  l'atto  impugnato  e' stato adottato a
 seguito di una  condanna  dell'Italia,  pronunziata  dalla  Corte  di
 Giustizia  della Comunita' Europea (adita dalla Commissione della CEE
 ex art. 169 del Trattato di Roma) con una  sentenza  nella  quale  e'
 affermato  che  il nostro Paese e' tenuto ad accordare, in materia di
 edilizia residenziale pubblica,  la  parita'  di  trattamento  con  i
 cittadini  italiani  dei  lavoratori autonomi degli altri Paesi della
 Comunita' che si avvalgono in  Italia  del  diritto  di  stabilimento
 (art.  52  del  Trattato) o della libera prestazione di servizi (art.
 59), l'Avvocatura dello Stato osserva che la tesi  della  ricorrente,
 secondo  la  quale  l'atto  impugnato  avrebbe  dovuto essere un atto
 legislativo, sarebbe priva di fondamento. Infatti, poiche'  le  norme
 comunitarie  dettate  in  conformita'  del  Trattato  o  anche quelle
 deducibili dal Trattato  stesso,  cosi'  come  vengono  accertate  ed
 enunciate dalle sentenze della Corte europea, prevalgono su diverse e
 contrarie disposizioni legislative, sarebbe contraddittorio  ritenere
 che  tale  efficacia,  anziche' discendere dal rapporto esistente tra
 l'ordinamento interno e quello  comunitario,  e  quindi  operare  per
 forza  propria,  debba  esser  realizzata  solo grazie ad un apposito
 intervento  del  legislatore  nazionale,  che  trasformi   la   norma
 comunitaria in una norma di diritto interno.
    Da  cio'  conseguirebbe,  secondo  l'Avvocatura,  che  i requisiti
 previsti dalle leggi italiane per l'accesso agli alloggi di  edilizia
 residenziale  pubblica,  a  seguito  e  in forza della sentenza della
 Corte  di  Giustizia  del  14  gennaio  1988,  non   sarebbero   piu'
 legittimamente  applicabili  nei  confronti dei cittadini degli altri
 Paesi membri della Comunita', dovendo  ricevere,  in  base  a  quella
 sentenza, il medesimo trattamento dei cittadini italiani nell'accesso
 all'edilizia residenziale pubblica. Pertanto, l'atto di  indirizzo  e
 di  coordinamento  impugnato,  che  e'  stato  emanato  in  chiave di
 adempimento  di  un  obbligo  comunitario,   non   avrebbe,   secondo
 l'Avvocatura,   la   funzione   di   innovare   l'ordine  legislativo
 preesistente, ma mirerebbe ad assicurare univocita' e correttezza  di
 comportamenti   da   parte  dei  soggetti  che  devono  applicare  la
 legislazione  italiana  ormai   modificata   dalla   sentenza   prima
 ricordata.
    Quanto  alle  restanti  censure,  mentre la pretesa violazione del
 principio di legalita' sarebbe contraddetta dalle considerazioni gia'
 svolte,  quelle  basate  sulla  legge n. 400 del 1988 muoverebbero da
 un'errata interpretazione di questa  stessa  legge.  In  particolare,
 secondo  l'Avvocatura,  l'atto  impugnato  e'  stato  deliberato  dal
 Consiglio dei ministri ed emanato  con  decreto  del  Presidente  del
 Consiglio dei ministri, non esistendo alcuna disposizione che vincola
 ad  emanare  con  decreto  del   Presidente   della   Repubblica   le
 deliberazioni  del  Consiglio  dei ministri. Infine, la consultazione
 della Conferenza Stato-regioni sarebbe  prevista,  per  l'Avvocatura,
 solo  per  l'adozione  dei criteri generali relativi alla funzione di
 indirizzo e coordinamento, non gia' per l'adozione  di  ogni  singolo
 atto di esercizio della predetta funzione.
    3.  - In prossimita' dell'udienza la Provincia autonoma di Bolzano
 ha presentato una memoria, con la quale, oltre a  ribadire  argomenti
 gia'  svolti  nell'atto  introduttivo,  replica  all'Avvocatura dello
 Stato che non si potrebbe considerare l'atto impugnato come una sorta
 di  richiamo  all'applicazione  di  norme comunitarie di per se' gia'
 applicabili.
    Infatti,  secondo  la  ricorrente,  il  principio della prevalenza
 della normativa comunitaria rispetto a quella legislativa interna con
 essa  incompatibile  e'  stato  condizionato  da  questa  Corte  alla
 sussistenza del requisito della immediata applicabilita' delle  norme
 comunitarie  (regolamenti  o trattati istitutivi), requisito che puo'
 derivare anche da una sentenza interpretativa pronunziata dalla Corte
 di  Giustizia della Comunita' ai sensi dell'art. 177 del Trattato CEE
 (cioe' nel  procedimento  su  ricorso  pregiudiziale).  Nel  caso  di
 specie,  invece,  si riscontrerebbe ora una disciplina comunitaria di
 per se' non eseguibile, trattandosi di norme di principio impegnative
 per  gli  Stati-membri  (artt. 48, 52 e 59 del Trattato CEE), ora una
 disciplina attuativa delle norme di principio appena ricordate,  che,
 nel  concedere  parita'  di  trattamento  con  i lavoratori nazionali
 nell'accesso alla edilizia  pubblica  residenziale,  si  riferirebbe,
 tuttavia, ai soli lavoratori subordinati (art. 9, par. 1, regolamento
 CEE n. 1612/68), e non  gia'  a  quelli  autonomi,  che  sono  invece
 contemplati dall'atto impugnato. Pertanto, conclude la ricorrente, la
 parificazione nell'accesso all'edilizia residenziale  tra  lavoratori
 subordinati e lavoratori autonomi dovrebbe esser stabilita e regolata
 soltanto da atti normativi interni.
    Per  altro verso, la ricorrente contesta che si sia in presenza di
 una sentenza interpretativa di disposizioni del Trattato CEE,  emessa
 dalla  Corte  di Giustizia ai sensi dell'art. 177, primo comma, lett.
 a, del Trattato stesso, e, come tale, in grado di  rendere  le  norme
 interpretate  come immediatamente eseguibili o di porsi, essa stessa,
 come espressiva di statuizioni compiute e direttamente applicabili da
 parte  dei  giudici  interni.  Secondo  la  Provincia  di Bolzano, la
 sentenza del 14 gennaio 1988 e' stata adottata ai sensi dell'art. 169
 del  Trattato  CEE  e,  come  tale,  non avrebbe posto una disciplina
 comunitaria (conforme ai principi degli artt. 52 e  59  del  Trattato
 CEE) direttamente applicabile dai giudici italiani, ma comporterebbe,
 a norma dell'art. 171  dello  stesso  Trattato,  un  obbligo  per  la
 Repubblica   italiana   -   da   attuarsi   secondo  la  ripartizione
 costituzionale  delle  competenze  -  di  adottare  i   provvedimenti
 necessari  per  l'esecuzione  della  sentenza  stessa  e,  quindi, di
 abrogare  le  norme  eventualmente  incompatibili  con  la   medesima
 (eventualita' che, peraltro, secondo la ricorrente, non sussisterebbe
 in concreto nel caso della Provincia di Bolzano,  le  cui  leggi,  ad
 avviso   della   stessa,   non   prevederebbero  il  requisito  della
 cittadinanza).
    Tuttavia, anche se cosi' non fosse e anche se le norme comunitarie
 dovessero essere ritenute immediatamente applicabili, non si potrebbe
 sfuggire,  a  giudizio della ricorrente, alla seguente alternativa: o
 l'atto  impugnato,  in  contrasto  col  suo  tenore   letterale,   va
 considerato  privo  di  ogni  reale  incidenza sull'ordinamento (come
 vorrebbe  l'Avvocatura  dello  Stato),  e  allora  se   ne   dovrebbe
 riconoscere  l'inidoneita'  ad esplicare effetto veruno nei confronti
 della Provincia di Bolzano; o lo stesso atto e'  diretto  a  incidere
 sull'ordine  legislativo  sotto  le  mentite  spoglie  di  un atto di
 indirizzo  e  di  coordinamento  meramente  "esplicativo",  e  allora
 dovrebbe  esser  dichiarato  illegittimo.  In  ogni  caso,  una volta
 ammessa  la  prevalenza  della  disciplina  comunitaria  direttamente
 applicabile,  sarebbe  errato,  secondo  la  ricorrente,  non ritener
 necessario  un  intervento  del  legislatore   nazionale   vo'lto   a
 trasformare  la  norma  comunitaria  in una norma di diritto interno.
 Infatti,  una  cosa   sarebbe   riconoscere,   sulla   scorta   della
 giurisprudenza  costituzionale,  che i giudici possono "disapplicare"
 la legge italiana eventualmente contrastante con le norme comunitarie
 direttamente  applicabili,  altra  cosa sarebbe affermare che, ove si
 intenda modificare da parte dello  Stato  la  disciplina  legislativa
 ritenuta  incompatibile  con quella comunitaria, cio' dev'esser fatto
 nel rispetto delle regole fondamentali sul riparto  delle  competenze
 fra Stato e regioni (e province autonome) e sui rapporti tra le fonti
 normative (nel caso, con un atto legislativo).
                         Considerato in diritto
    1.  -  La  Provincia autonoma di Bolzano ha sollevato conflitto di
 attribuzione nei confronti dello Stato  in  relazione  all'emanazione
 del  d.P.C.M. 28 ottobre 1988 (Atto di indirizzo e coordinamento alle
 regioni  e  alle  province  autonome   per   l'accesso   all'edilizia
 residenziale pubblica ed al relativo credito dei cittadini comunitari
 esercenti attivita' di lavoro autonomo), con il quale  si  stabilisce
 che,  nell'assegnare  gli  alloggi di edilizia economica e popolare e
 nel disciplinare l'accesso al relativo  credito,  "gli  organi  dello
 Stato,  le  regioni  a  statuto  ordinario  e  speciale,  le province
 autonome di Trento e di Bolzano, gli enti  pubblici  e  gli  istituti
 esercenti  il  credito  a favore dell'edilizia (...) considereranno i
 cittadini di Stati membri  della  Comunita'  economica  europea,  che
 svolgano  in  Italia  attivita'  di  lavoro  autonomo e versino nelle
 condizioni soggettive ed oggettive previste dalla  citata  normativa,
 equiparati ai lavoratori autonomi cittadini italiani".
    Secondo   la   ricorrente,   tale  atto  lederebbe  le  competenze
 legislative di tipo esclusivo ad essa attribuite dall'art. 8, n.  10,
 e  dagli  artt. 16 e 98 dello Statuto del Trentino-Alto Adige (d.P.R.
 31  agosto  1972,  n.  670),  in  materia   di   "edilizia   comunque
 sovvenzionata,   totalmente   o   parzialmente,  da  finanziamenti  a
 carattere pubblico", e dalle relative norme di attuazione, nonche' le
 competenze riconosciute alla stessa ricorrente dall'art. 6 del d.P.R.
 19 novembre 1987, n. 526 (Estensione alla regione Trentino-Alto Adige
 ed  alle province autonome di Trento e Bolzano delle disposizioni del
 decreto del Presidente della Repubblica 24 luglio 1977, n.  616),  in
 ordine  "all'attuazione  dei  regolamenti  della  Comunita' economica
 europea,  ove  questi  richiedono  una   normazione   integrativa   o
 un'attivita' amministrativa di esecuzione".
    Per  contro,  la  difesa del Presidente del Consiglio dei ministri
 nega che l'atto impugnato possa  essere  considerato  invasivo  delle
 competenze  assicurate  alla  ricorrente,  in  quanto, collegandosi a
 norme comunitarie  direttamente  applicabili  nell'ordinamento  degli
 Stati  membri della Comunita' europea, che, come tali, prevalgono per
 forza propria sul diritto interno,  non  potrebbe  esser  diretto  ad
 adeguare l'ordinamento nazionale ai principi comunitari e a innovarne
 in tal modo l'ordine legislativo, ma sarebbe  rivolto,  piuttosto,  a
 porre  direttive  a  coloro  che sono chiamati a dare attuazione alle
 predette norme comunitarie allo scopo di assicurare  l'uniformita'  e
 la correttezza dei relativi comportamenti.
    2.  -  Al fine di decidere tale conflitto di attribuzione occorre,
 innanzitutto, individuare le norme comunitarie poste a base dell'atto
 impugnato,   e   verificare  se  esse  abbiano  un'efficacia  diretta
 nell'ordinamento interno di uno Stato membro.
    Contrariamente  a  quel che suppone la ricorrente e nonostante che
 lo stesso d.P.C.M. 28 ottobre 1988 faccia  espresso  riferimento  nel
 suo preambolo all'art. 9, paragrafo 1, del regolamento CEE 15 ottobre
 1968, n. 1612/68, non e' possibile considerare quest'ultimo  come  il
 fondamento normativo dell'atto impugnato. Infatti, mentre il d.P.C.M.
 28 ottobre 1988  contiene  disposizioni  esclusivamente  riferite  ai
 lavoratori  autonomi,  il regolamento comunitario n. 1612/68, come ha
 riconosciuto in piu' occasioni la stessa Corte di  giustizia  europea
 (v.,  ad  esempio,  sent. 12 febbraio 1974, in causa 152/73; sent. 14
 gennaio 1982, in causa 65/81; sent. 13 luglio 1983, in causa  152/82;
 sent.  14  gennaio  1988,  in  causa  63/86),  si  riferisce, invece,
 unicamente ai lavoratori subordinati. Piu'  precisamente,  l'art.  9,
 paragrafo  1,  di tale regolamento, in diretta applicazione dell'art.
 48 del Trattato istitutivo, attua e completa la garanzia ivi prevista
 della  libera  circolazione  dei  lavoratori  subordinati all'interno
 della Comunita', riconoscendo  come  parte  integrante  della  stessa
 l'equiparazione  dei  lavoratori provenienti da altro Stato membro ai
 lavoratori nazionali per tutto  quel  che  concerne  i  diritti  e  i
 vantaggi  da  questi  goduti  nell'accesso  alla  proprieta'  e  alla
 locazione degli alloggi.
    La  norma  comunitaria  che sta a base dell'atto impugnato, pur se
 dispone  per  i  lavoratori  autonomi  una  disciplina  perfettamente
 identica  a  quella  stabilita  per  i  lavoratori subordinati, ha un
 fondamento distinto nel Trattato istitutivo della CEE ed e' frutto di
 un  diverso  procedimento  di  produzione  normativa.  Il fondamento,
 infatti, e'  dato  dagli  artt.  52  e  59  del  Trattato,  i  quali,
 ispirandosi   alla   medesima  ratio  dell'art.  48,  riconoscono  ai
 cittadini degli Stati membri il diritto di  stabilirsi  in  qualsiasi
 altro  Paese  della  Comunita',  di svolgervi attivita' di lavoro non
 salariato  e  di   prestarvi   liberamente   i   servizi.   Tuttavia,
 diversamente  da  quanto  e'  avvenuto  per i lavoratori subordinati,
 l'interpretazione estensiva della garanzia di quelle liberta'  -  nel
 senso  di  ricomprendervi  l'equiparazione dei lavoratori autonomi di
 altro Stato membro con quelli nazionali per quanto concerne i diritti
 e  i  vantaggi  per  l'accesso alla proprieta' e alla locazione degli
 alloggi - e' avvenuta, non per  effetto  di  un  regolamento,  ma  in
 conseguenza di una sentenza della Corte di giustizia europea.
    Nel  decidere, con la sentenza 14 gennaio 1988, in causa 63/86, un
 giudizio promosso nei confronti dell'Italia a norma dell'art. 169 del
 Trattato  (vale  a  dire  un  giudizio  per  violazione  di  obblighi
 derivanti dal Trattato), la Corte  di  giustizia,  interpretando  gli
 artt.  52  e  59  in  connessione  con  il  principio  di  parita' di
 trattamento sancito dall'art. 7  dello  stesso  Trattato  e  partendo
 dalla  considerazione  che  l'esercizio di un'attivita' professionale
 presuppone anche la garanzia di prendere  dimora  nel  luogo  in  cui
 quell'attivita'  viene  svolta,  ha  concluso  che  il  diritto  allo
 stabilimento e alla libera prestazione  di  servizi  e  il  principio
 della  parita'  di concorrenza all'interno della Comunita' comportano
 che  "il  cittadino  di  uno  Stato  membro  che  intenda  esercitare
 un'attivita'  lavorativa  autonoma  in  un  altro  Stato  membro deve
 pertanto potervi prendere alloggio a condizioni equivalenti a  quelle
 di  cui  fruiscono  i  concorrenti  cittadini  di quest'ultimo Stato"
 (punti 14 e 15 della sentenza precedentemente citata). Su tale  base,
 la stessa Corte ha condannato la Repubblica italiana per aver violato
 i  predetti  obblighi  attraverso  l'adozione  di  atti  legislativi,
 nazionali  e  regionali  (Puglia, Toscana, Emilia-Romagna e Liguria),
 che avevano riservato  ai  soli  cittadini  italiani  l'accesso  alla
 proprieta'  o  alla  locazione  di  alloggi  rientranti nell'edilizia
 residenziale pubblica e al relativo credito.
    3.  -  In  sintesi,  la norma comunitaria che sta a fondamento del
 decreto impugnato e' data dagli artt.  52  e  59  del  Trattato  come
 interpretati  dalla  sentenza  14  gennaio 1988, in causa 63/86, resa
 dalla Corte di giustizia delle Comunita' europee ai  sensi  dell'art.
 169 del Trattato istitutivo.
    Ad  avviso  della Provincia autonoma di Bolzano, una sentenza come
 quella appena citata, resa  in  sede  di  giudizio  di  condanna  per
 violazione  di  obblighi  derivanti dal Trattato, non potrebbe essere
 considerata fonte di statuizioni compiute e direttamente  applicabili
 negli  ordinamenti  interni  degli Stati membri, dovendo riconoscersi
 tale qualita' soltanto alle sentenze interpretative che la  Corte  di
 giustizia  rende  quando  e'  adita  in  via  pregiudiziale, ai sensi
 dell'art. 177 del Trattato.
    Tale  assunto  non  puo'  essere  condiviso.  Anche se e' vero che
 questa Corte ha avuto occasione in passato di riconoscere l'immediata
 applicabilita'  di  una  normativa  comunitaria  nell'interpretazione
 datane da una sentenza della Corte di giustizia resa in  un  giudizio
 instaurato  ai  sensi dell'art. 177 del Trattato (v. sent. n. 113 del
 1985), il principio allora affermato e' di portata piu' generale.
    Poiche'  ai  sensi dell'art. 164 del Trattato spetta alla Corte di
 giustizia assicurare il rispetto del diritto  nell'interpretazione  e
 nell'applicazione  del  medesimo  Trattato,  se  ne  deve dedurre che
 qualsiasi sentenza che applica e/o interpreta una  norma  comunitaria
 ha  indubbiamente  carattere  di  sentenza  dichiarativa  del diritto
 comunitario, nel senso che la Corte  di  giustizia,  come  interprete
 qualificato   di  questo  diritto,  ne  precisa  autoritariamente  il
 significato con le proprie sentenze e, per tal via, ne determina,  in
 definitiva, l'ampiezza e il contenuto delle possibilita' applicative.
 Quando questo principio viene riferito a una norma comunitaria avente
 "effetti  diretti"  -  vale a dire a una norma dalla quale i soggetti
 operanti all'interno degli ordinamenti  degli  Stati  membri  possono
 trarre  situazioni giuridiche direttamente tutelabili in giudizio non
 v'e' dubbio che la  precisazione  o  l'integrazione  del  significato
 normativo  compiute  attraverso una sentenza dichiarativa della Corte
 di giustizia abbiano la stessa immediata efficacia delle disposizioni
 interpretate.
    Nel  caso  di  specie,  contrariamente  a  quanto  supposto  dalla
 ricorrente, si e' di fronte a  norme,  come  quelle  contenute  negli
 artt.  52  e  59 del Trattato, alle quali, essendo decorso il periodo
 transitorio, deve riconoscersi una  diretta  efficacia  (v.,  in  tal
 senso,  Corte  di giustizia CEE, sent. 21 giugno 1974, in causa 2/74;
 sent. 14 gennaio 1988, in  causa  63/86)  e  dalle  quali,  pertanto,
 derivano  attualmente  diritti,  come  la  liberta' di stabilimento e
 quella di prestazione dei servizi, che sono immediatamente tutelabili
 in giudizio da parte dei cittadini degli Stati membri. Poiche' con la
 sentenza precedentemente menzionata la Corte di giustizia europea  ha
 affermato  che  nei  predetti  diritti va ricompresa la garanzia, per
 tutti i cittadini dei Paesi aderenti alla Comunita' che  svolgano  un
 lavoro   autonomo   all'interno  di  altro  Stato  membro,  di  esser
 parificati ai cittadini  di  quest'ultimo  Stato  nel  godimento  dei
 diritti  e delle agevolazioni concernenti l'accesso alla proprieta' o
 alla locazione degli alloggi, si deve ritenere  che  le  norme  poste
 dagli  artt.  52  e  59 del Trattato siano immediatamente applicabili
 negli  ordinamenti  nazionali  nell'interpretazione  piu'  lata   ora
 ricordata.
    4. - Chiarita la natura e l'efficacia delle norme desumibili dagli
 artt. 52 e 59 del Trattato CEE, si pone a questo  punto  il  problema
 della   definizione   dei   rapporti,   all'interno  dell'ordinamento
 nazionale, fra le norme comunitarie  direttamente  applicabili  e  le
 norme di legge con esse incompatibili.
    Come questa Corte ha affermato nella sentenza n. 170 del 1984 e in
 altre successive, il riconoscimento dell'ordinamento comunitario e di
 quello  nazionale  come  ordinamenti  reciprocamente autonomi, ma tra
 loro coordinati  e  comunicanti,  porta  a  considerare  l'immissione
 diretta    nell'ordinamento    interno    delle   norme   comunitarie
 immediatamente applicabili come  la  conseguenza  del  riconoscimento
 della loro derivazione da una fonte (esterna) a competenza riservata,
 la cui giustificazione costituzionale va imputata all'art.  11  della
 Costituzione e al conseguente particolare valore giuridico attribuito
 al Trattato istitutivo delle Comunita' europee e agli atti  a  questo
 equiparati. Cio' significa che, mentre gli atti idonei a porre quelle
 norme conservano  il  trattamento  giuridico  o  il  regime  ad  essi
 assicurato   dall'ordinamento   comunitario  -  nel  senso  che  sono
 assoggettati alle regole di produzione normativa, di interpretazione,
 di   abrogazione,  di  caducazione  e  di  invalidazione  proprie  di
 quell'ordinamento -, al contrario le norme da essi  prodotte  operano
 direttamente  nell'ordinamento interno come norme investite di "forza
 o valore di legge", vale a dire come  norme  che,  nei  limiti  delle
 competenze   e   nell'ambito  degli  scopi  propri  degli  organi  di
 produzione normativa della Comunita', hanno un rango primario.
    Da  cio'  deriva,  come ha precisato la gia' ricordata sentenza n.
 170 del 1984, che, nel campo riservato alla loro competenza, le norme
 comunitarie  direttamente  applicabili prevalgono rispetto alle norme
 nazionali, anche se di rango legislativo,  senza  tuttavia  produrre,
 nel  caso  che  queste  ultime  siano incompatibili con esse, effetti
 estintivi. Piu' precisamente, l'eventuale conflitto  fra  il  diritto
 comunitario   direttamente  applicabile  e  quello  interno,  proprio
 perche' suppone un contrasto di quest'ultimo con una  norma  prodotta
 da  una  fonte  esterna  avente  un  suo  proprio  regime giuridico e
 abilitata a produrre  diritto  nell'ordinamento  nazionale  entro  un
 proprio  distinto  ambito  di  competenza, non da' luogo a ipotesi di
 abrogazione o di deroga, ne' a forme di caducazione o di annullamento
 per  invalidita'  della  norma  interna  incompatibile, ma produce un
 effetto di disapplicazione di quest'ultima,  seppure  nei  limiti  di
 tempo  e  nell'ambito  materiale  entro cui le competenze comunitarie
 sono legittimate a svolgersi.
    Ribaditi  questi  principi, si deve concludere, con riferimento al
 caso  di  specie,  che  tutti  i  soggetti  competenti   nel   nostro
 ordinamento  a dare esecuzione alle leggi (e agli atti aventi forza o
 valore di legge) - tanto se dotati di  poteri  di  dichiarazione  del
 diritto,  come  gli  organi  giurisdizionali, quanto se privi di tali
 poteri, come gli organi amministrativi - sono giuridicamente tenuti a
 disapplicare  le  norme  interne incompatibili con le norme stabilite
 dagli artt. 52 e 59  del  Trattato  CEE  nell'interpretazione  datane
 dalla  Corte  di  giustizia  europea. Cio' significa, in pratica, che
 quei soggetti devono riconoscere come diritto legittimo e  vincolante
 la  norma  comunitaria  che,  nell'accesso  alla  proprieta'  o  alla
 locazione dell'abitazione e al relativo credito, impone la parita' di
 trattamento tra i lavoratori autonomi cittadini di altri Stati membri
 e quelli nazionali, mentre sono tenuti a  disapplicare  le  norme  di
 legge,  statali  o  regionali,  che  riservano  quei  diritti  e quei
 vantaggi ai soli cittadini italiani.
    Tuttavia,  poiche'  la  disapplicazione  e' un modo di risoluzione
 delle antinomie normative che, oltre a presupporre  la  contemporanea
 vigenza  delle  norme  reciprocamente contrastanti, non produce alcun
 effetto sull'esistenza delle stesse e, pertanto, non puo' esser causa
 di   qualsivoglia  forma  di  estinzione  o  di  modificazione  delle
 disposizioni che ne siano oggetto, resta  ferma  l'esigenza  che  gli
 Stati  membri apportino le necessarie modificazioni o abrogazioni del
 proprio  diritto  interno  al  fine   di   depurarlo   da   eventuali
 incompatibilita'  o disarmonie con le prevalenti norme comunitarie. E
 se, sul piano dell'ordinamento nazionale, tale esigenza si collega al
 principio  della certezza del diritto, sul piano comunitario, invece,
 rappresenta  una  garanzia  cosi'  essenziale  al   principio   della
 prevalenza  del  proprio  diritto  su  quelli nazionali da costituire
 l'oggetto di un preciso obbligo per gli  Stati  membri  (v.,  in  tal
 senso,  Corte  di giustizia delle Comunita' europee: sent. 25 ottobre
 1979, in causa 159/78; sent. 15 ottobre 1986, in causa 168/85;  sent.
 2 marzo 1988, in causa 104/86).
    5.  -  Posti  cosi'  i  termini  del  problema,  occorre esaminare
 conclusivamente quali siano la natura  e  le  finalita'  del  decreto
 impugnato.
    Come si e' precedentemente ricordato, mentre la ricorrente ritiene
 che tale decreto sia invasivo delle proprie competenze in materia  di
 edilizia  pubblica  sovvenzionata  o  in quella dell'attuazione delle
 norme  comunitarie  direttamente  applicabili,  in  quanto   contiene
 direttive  vincolanti  in  ordine alla modificazione di proprie leggi
 ovvero in ordine  all'integrazione  o  all'applicazione  nel  proprio
 territorio del diritto comunitario immediatamente efficace, lo Stato,
 invece, ritiene che si sia in presenza di un atto  di  indirizzo  per
 l'attuazione  di  norme  comunitarie  direttamente efficaci, il quale
 sarebbe pienamente legittimo in quanto giustificato  dallo  scopo  di
 assicurare un'uniforme applicazione di quelle norme. In altre parole,
 tanto la Provincia di Bolzano quanto lo Stato  presuppongono  che  si
 tratti di un atto governativo di indirizzo e di coordinamento, di cui
 forniscono,  peraltro,  una  valutazione  opposta   in   termini   di
 legittimita'.
    In  realta', il d.P.C.M. 28 ottobre 1988 - anche se nel suo titolo
 si qualifica come "atto di indirizzo e coordinamento alle  regioni  e
 alle  province  autonome"  e  anche se nel suo preambolo si definisce
 come un "atto di indirizzo per l'applicazione della normativa statale
 e  regionale, nonche' delle province autonome di Trento e di Bolzano"
 - rivela un contenuto  difficilmente  conciliabile  con  un  atto  di
 quella  natura. Nel suo articolo unico, infatti, tale decreto dispone
 testualmente: "Gli organi dello Stato, le regioni a statuto ordinario
 e  speciale,  le  province  autonome di Trento e di Bolzano, gli enti
 pubblici e gli istituti esercenti il credito a favore  dell'edilizia,
 nell'applicazione  di  norme  di  legge  e  di  regolamenti  statali,
 regionali e provinciali, che disciplinano l'assegnazione  di  alloggi
 di  edilizia  economica e popolare e l'accesso al connesso credito ed
 ogni altro beneficio relativo ad interventi di edilizia  residenziale
 pubblica,  sovvenzionata  e  agevolata, considereranno i cittadini di
 Stati membri della  Comunita'  economica  europea,  che  svolgano  in
 Italia  attivita'  di  lavoro  autonomo  e  versino  nelle condizioni
 soggettive e oggettive previste dalla citata normativa, equiparati ai
 lavoratori autonomi cittadini italiani".
    L'impossibilita'  di  imputare  tale  disposizione  alla  funzione
 governativa di indirizzo e di  coordinamento  deriva  dal  fatto  che
 quest'ultima  costituisce  l'esercizio  di una competenza particolare
 che si distingue da  altri  poteri  governativi  di  direzione  o  di
 direttiva - e, a maggior ragione, di normazione - per avere contenuto
 e caratteri formali del  tutto  peculiari.  Piu'  precisamente,  tale
 funzione  ha  il  proprio  fondamento  costituzionale nelle norme che
 pongono limiti alle competenze  legislative  e  amministrative  delle
 regioni  e  delle  province autonome (v., da ultimo, sent. n. 242 del
 1989); e' esercitata da soggetti (legislatore o autorita' di governo)
 e  secondo  procedure e forme che sono predeterminati dalla legge (v.
 specialmente artt. 3 della legge n. 382 del 1975 e  2,  terzo  comma,
 lett.  d,  della  legge  n.  400 del 1988); e' indirizzata a soggetti
 dotati di autonomia costituzionalmente garantita, che, in ragione  di
 questa loro posizione, ne condizionano le modalita' di esplicazione e
 i   relativi   limiti   (principio   di   legalita'    "sostanziale",
 strumentalita' alla tutela di interessi unitari, etc.); e, infine, e'
 svolta attraverso atti caratterizzati  da  un  contenuto  dispositivo
 funzionalmente  tipizzato,  consistente nella posizione di programmi,
 di indirizzi o di misure di coordinamento.
    Poiche' secondo l'ormai consolidata giurisprudenza di questa Corte
 (v., ad esempio, sentt. nn. 219 del 1984, 151 del 1986, 107 e 611 del
 1987,  726  del  1988) l'autoqualificazione di un atto non puo' esser
 considerata  determinante  quando  sia  contraddetta   dall'oggettiva
 natura  giuridica  dell'atto stesso, si rende necessario esaminare il
 decreto  impugnato  onde  verificare  se  risponda  ai  requisiti  di
 identita' del proprio tipo.
    6.  -  Sulla  base  dei  tratti  caratteristici  della funzione di
 indirizzo e di coordinamento prima ricordati, gli atti attraverso cui
 tale  funzione  si  esercita  vanno identificati tanto in relazione a
 criteri formali attinenti al fondamento di  competenza,  al  soggetto
 che   li   adotta,  alla  forma  della  deliberazione,  alla  materia
 disciplinata e ai destinatari delle disposizioni, quanto in relazione
 a  criteri  materiali  attinenti alla caratterizzazione strutturale e
 funzionale delle misure adottate,  le  quali  devono  consistere  nel
 contenuto  tipizzato  proprio  della  competenza  di  indirizzo  e di
 coordinamento.
    Sebbene  risponda positivamente a molti dei requisiti indicati, il
 decreto impugnato e' tuttavia manchevole sia per  quanto  riguarda  i
 criteri  contenutistici,  sia per quanto concerne il criterio formale
 relativo ai propri destinatari.
    Sotto  il  primo profilo, va sottolineato che il decreto impugnato
 non aggiunge alcun quid novi rispetto alla norma comunitaria che,  in
 conseguenza  dell'interpretazione datane dalla Corte di giustizia CEE
 nella sentenza 14 gennaio 1988, in causa 63/86, si deduce dagli artt.
 52  e  59  del Trattato CEE in relazione al diritto dei cittadini dei
 Paesi della Comunita' concernente l'accesso alla  proprieta'  e  alla
 locazione  degli  alloggi  di  edilizia  residenziale  pubblica  e al
 relativo credito.
    In  altre  parole,  il  d.P.C.M. 28 ottobre 1988, contrariamente a
 quanto supposto dalla ricorrente,  non  e'  diretto  a  integrare  la
 predetta  norma  comunitaria,  ne'  a  darvi  attuazione  e neppure a
 imporre alle regioni e alle province  autonome  di  modificare  o  di
 adeguare alla stessa norma comunitaria le proprie leggi eventualmente
 difformi.   D'altra   parte,   contrariamente   a   quanto   supposto
 dall'Avvocatura  dello  Stato,  il  decreto  impugnato  non  contiene
 direttive per l'applicazione della citata norma comunitaria,  poiche'
 si  limita  a  ricordare  alle  regioni  e  alle  province  autonome,
 oltreche' agli organi dello Stato, che, in base agli artt.  52  e  59
 del Trattato CEE, come interpretati dalla Corte di giustizia europea,
 essi dovranno considerare i cittadini di Stati membri della Comunita'
 economica  europea,  che  svolgano  in  Italia  attivita'  di  lavoro
 autonomo, come equiparati ai  cittadini  italiani  nell'accesso  agli
 alloggi di edilizia economica e al relativo credito.
    In  breve,  l'atto  impugnato  si limita a portare a conoscenza di
 tutti gli organi dello Stato e di tutte le regioni (e delle  province
 autonome)  l'esistenza  di  un  obbligo  comunitario, di per se' gia'
 direttamente  osservabile  e  prevalente  sulle   leggi   statali   o
 regionali,  avente il contenuto riferito dal decreto stesso. Esso, in
 altre parole, adempie a una funzione notiziale, la quale ha, in  ogni
 caso,  contenuto  e  finalita'  tali  da non poter essere minimamente
 ricondotta alla funzione di indirizzo e di coordinamento.
    Del  resto, un ulteriore indizio dell'impossibilita' di ricondurre
 l'atto  impugnato  nell'ambito  della   funzione   (governativa)   di
 indirizzo  e di coordinamento verso le regioni e le province autonome
 e della particolare posizione ricoperta dal Governo in tale evenienza
 e' dato dal fatto che quell'atto e' indiscriminatamente indirizzato a
 tutti gli organi, statali e regionali, che operano  nell'applicazione
 delle  leggi  sull'edilizia  residenziale  pubblica e sull'accesso al
 relativo credito.  Questo  rilievo,  infatti,  corrobora  l'idea  che
 l'atto  impugnato  si collega a una funzione diversa da quella che il
 Governo esercita  esclusivamente  verso  le  regioni  e  le  province
 autonome con gli atti di indirizzo e di coordinamento.
    Da  tale  conclusione  discende,  altresi',  l'assorbimento  degli
 ulteriori profili di legittimita' del decreto impugnato sollevati sul
 presupposto  della  sua  qualificazione  come  atto  di  indirizzo  e
 coordinamento.
    7.  -  Pur  se, dunque, per la funzione meramente notiziale che lo
 caratterizza,   non   puo'   rientrare,   nonostante    la    propria
 autoqualificazione (espressa, peraltro, in parti esterne al contenuto
 dispositivo),  fra  gli  atti  (governativi)  di   indirizzo   e   di
 coordinamento  verso le regioni (e le province autonome), il d.P.C.M.
 28 ottobre 1988 non puo'  essere  considerato  illegittimo.  Infatti,
 proprio  per  la  funzione  che  svolge, tale decreto non puo' essere
 interpretato come  un  atto  diretto  a  produrre  una  (illegittima)
 novazione  della fonte della norma comunitaria cui si riferisce. Ne',
 del resto, va trascurato che, sempre in  considerazione  dello  scopo
 che  obiettivamente  lo  caratterizza,  lo  stesso  decreto  risponde
 pienamente al principio  di  "leale  cooperazione"  che,  secondo  la
 costante  giurisprudenza  di  questa  Corte, presiede ai rapporti fra
 Stato e regioni (o province autonome).
    Tantomeno,  poi,  puo'  ritenersi  che  l'atto impugnato sia stato
 adottato inutilmente. Per un verso, infatti, nel portare a conoscenza
 di  tutti  i  soggetti  dell'ordinamento  interno  operanti nel campo
 dell'edilizia residenziale pubblica  una  norma  comunitaria  che  e'
 stata  determinata  nel suo preciso significato da una sentenza della
 Corte di giustizia delle  Comunita'  europee,  il  decreto  impugnato
 rende nota nelle forme pubbliche ufficiali una norma che, a causa del
 suo particolare  modo  di  definizione  e  delle  sommarie  forme  di
 pubblicita'   delle  suddette  sentenze  nell'ordinamento  nazionale,
 potrebbe essere non esattamente conosciuta dai soggetti interni.  Per
 altro   verso,  lo  stesso  decreto,  nell'adempiere  alla  ricordata
 funzione notiziale, pone all'attenzione dei soggetti dell'ordinamento
 interno  operanti  nel  campo dell'edilizia residenziale pubblica gli
 obblighi   derivanti    sul    piano    dell'ordinamento    nazionale
 dall'esistenza  di  una  norma comunitaria direttamente applicabile e
 prevalente su ogni altra legge interna, tanto se statale,  quanto  se
 regionale (o provinciale).
    In  ogni  caso, proprio a causa della funzione meramente notiziale
 che e' chiamato a svolgere,  il  decreto  impugnato  non  puo'  esser
 ritenuto  oggettivamente idoneo ad apportare qualsivoglia lesione o a
 produrre qualsiasi forma d'interferenza nei confronti delle autonomie
 costituzionalmente garantite alle regioni e alle province autonome.