ha pronunciato la seguente
                                SENTENZA
 nei  giudizi di legittimita' costituzionale dell'art. 5, primo comma,
 della legge 15 dicembre 1972, n. 772  (Norme  per  il  riconoscimento
 della obiezione di coscienza), promossi con le seguenti ordinanze:
      1) ordinanza emessa il 20 gennaio 1988 dal Tribunale di Cagliari
 nel procedimento penale a carico di Pusceddu Mariano, iscritta al  n.
 190 del registro ordinanze 1988 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale
 della Repubblica n. 21, prima serie speciale, dell'anno 1988;
      2)  ordinanza  emessa  il  30  marzo 1988 dal Giudice Istruttore
 presso il Tribunale di Rimini nel procedimento penale a carico di  De
 Filippis  Antonio,  iscritta  al n. 366 del registro ordinanze 1988 e
 pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della  Repubblica  n.  37,  prima
 serie speciale, dell'anno 1988;
      3)  ordinanza  emessa il 6 ottobre 1988 dalla Corte d'appello di
 Venezia  nel  procedimento  penale  a  carico  di  Capuzzo  Silverio,
 iscritta  al  n.  776  del registro ordinanze 1988 e pubblicata nella
 Gazzetta Ufficiale della  Repubblica  n.  1,  prima  serie  speciale,
 dell'anno 1989;
      4)  ordinanza  emessa  il  24  novembre  1988  dal  Tribunale di
 Camerino nel  procedimento  penale  a  carco  di  Scida'  Alessandro,
 iscritta  al  n.  24  del  registro ordinanze 1989 e pubblicata nella
 Gazzetta Ufficiale della  Repubblica  n.  6,  prima  serie  speciale,
 dell'anno 1989;
    Visti  gli  atti  di  costituzione di De Filippis Antonio, Capuzzo
 Silverio, Scida' Alessandro,  nonche'  gli  atti  di  intervento  del
 Presidente del Consiglio dei ministri;
    Udito nell'udienza pubblica del 13 giugno 1989 il Giudice relatore
 Giovanni Conso;
    Uditi  gli  avvocati  Valerio  Onida  e  Giuseppe  Ramadori per De
 Filippis Antonio, gli avvocati Vincenzo Colacino e Mauro Mellini  per
 Capuzzo  Silverio, l'avvocato Giuseppe Ramadori per Scida' Alessandro
 e l'Avvocato dello  Stato  Stefano  Onufrio  per  il  Presidente  del
 Consiglio dei ministri;
                           Ritenuto in fatto
    1.  -  Con  ordinanza  emessa  il  20  gennaio  1988 nel corso del
 procedimento penale  a  carico  di  Pusceddu  Mariano,  imputato  del
 delitto  di  cui  all'art.  8  della l. 15 dicembre 1972, n. 772, per
 essersi rifiutato di prestare il servizio sostitutivo civile oltre il
 periodo   corrispondente   alla  durata  del  servizio  militare,  il
 Tribunale di Cagliari ha sollevato - in riferimento all'art. 3  della
 Costituzione  -  questione di legittimita' costituzionale dell'art. 5
 della legge anzidetta, nella parte  in  cui  prevede  che  i  giovani
 ammessi  all'obiezione  di coscienza prestino un servizio sostitutivo
 civile per un  periodo  superiore  di  otto  messi  alla  durata  del
 servizio di leva cui sarebbero tenuti.
    In  ordine alla rilevanza della questione il giudice a quo osserva
 che, ove la norma denunciata fosse dichiarata illegittima, l'imputato
 dovrebbe  essere  assolto,  poiche',  al  momento dall'allontanamento
 dall'ente di assegnazione, lo stesso aveva effettivamente prestato il
 servizio   sostitutivo   civile  per  dodici  mesi,  con  conseguente
 estinzione del suo obbligo di prestazione.
    La questione, inoltre, sarebbe non manifestamente infondata.
    Premesso  che "la normativa del servizio sostitutivo civile, quale
 riconoscimento statuale dell'obiezione di coscienza,  rappresenta  il
 momento   dell'affermazione   e   della   garanzia   di   un  diritto
 costituzionale di liberta' di carattere inviolabile",  il  giudice  a
 quo  rileva  che  una  diversita'  di  trattamento  di  tale servizio
 rispetto a quello  militare,  del  quale  il  primo  non  rappresenta
 semplicemente   un   modo  di  esplicazione  "in  quanto  fattispecie
 alternativa profondamente diversa", e' legittima solo se non si ponga
 in contrasto con l'art. 3 della Costituzione.
    Ma  il  precetto costituzionale risulterebbe violato appunto dalla
 previsione, contenuta  nella  norma  impugnata,  di  una  durata  del
 servizio  civile maggiore di otto mesi rispetto a quello del servizio
 militare.
    La  conversione  del dovere pubblico di prestare servizio militare
 nel dovere, pure  di  carattere  pubblicistico,  di  prestazione  del
 servizio  sostitutivo civile comporta in ogni caso, e quindi anche in
 capo all'obiettore di coscienza, l'obbligo della totale  destinazione
 delle  proprie  energie  lavorative  ai  compiti  di  volta  in volta
 attribuitigli  non  diversamente  da  quanto  accade   nel   servizio
 militare.
    La  maggior  durata del servizio sostitutivo - d'altra parte - non
 potrebbe  essere  ricollegata  alla  asserita  minore  gravosita'  di
 quest'ultimo   rispetto   al   servizio   militare,   trattandosi  di
 affermazione indimostrata e contraddetta dalla realta',  nella  quale
 puo' riscontrarsi l'intensita' dell'impegno solitamente profuso dagli
 obiettori di coscienza  impiegati  in  settori  del  tutto  privi  di
 istituzioni pubbliche.
    L'ordinanza,   ritualmente   notificata   e  comunicata  e'  stata
 pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 21, prima serie speciale,  del
 25 maggio 1988.
    Il  Presidente  del  Consiglio  dei  ministri  e'  intervenuto nel
 giudizio  tramite  l'Avvocatura  Generale  dello  Stato,   sostenendo
 l'infondatezza della questione.
    Le   differenze  esistenti  tra  il  servizio  militare  e  quello
 sostitutivo civile - osserva l'Avvocatura dello Stato  -  sono  state
 riconosciute anche dalla Corte costituzionale che, con la sentenza n.
 113 del 1986, ha  dichiarato  l'illegittimita'  costituzionale  della
 norma che sottoponeva anche il primo alla giustizia militare.
    Ma  la  diversita'  delle due situazioni si rivelerebbe ancor piu'
 marcata per la considerazione della maggior gravosita'  del  servizio
 militare, retto da un ordinamento ferreo, secondo regole disciplinari
 severe, anche se formative, cui farebbe  riscontro  un  servizio  nel
 quale  il  peso  della  prestazione  e'  determinato  prevalentemente
 dall'impegno dei singoli associati.
    La  maggior  durata  del  servizio  civile  sarebbe  destinata  "a
 pareggiare le due  diverse  situazioni  ed  a  consentire  una  reale
 alternativita' tra i due servizi".
    Il venir meno l'elemento equilibratore rappresentato dalla maggior
 durata del servizio  civile,  potrebbe  incoraggiare  la  simulazione
 delle obiezioni di coscienza, con pregiudizio della difesa del Paese,
 bene costituzionalmente  garantito  (art.  52  Cost.),  al  pari  del
 principio di eguaglianza.
    2.  -  Con  ordinanza  emessa  il  30  marzo  1988  nel  corso del
 procedimento penale a carico di De  Filippis  Antonio,  imputato  del
 delitto  di  cui  all'art.  8  della l. 15 dicembre 1972, n. 772, per
 essersi rifiutato di prestare il servizio sostitutivo civile oltre il
 periodo  corrispondente alla durata del servizio militare, il Giudice
 istruttore  presso  il  Tribunale  di  Rimini  ha  sollevato   -   in
 riferimento all'art. 3 della Costituzione - questione di legittimita'
 dell'art. 5 della legge anzidetta, nella parte in cui prevede  che  i
 giovani  ammessi  all'obiezione  di  coscienza  prestino  un servizio
 sostitutivo civile o un servizio militare non armato per  un  periodo
 superiore di otto mesi alla durata del servizio di leva cui sarebbero
 tenuti.
    Secondo  il  giudice  a  quo,  la non manifesta infondatezza della
 questione emergerebbe dal rilievo che il servizio civile  sostitutivo
 costituisce   un  "modo"  particolare  di  soddisfare  l'obbligo  del
 servizio militare, come e' espressamente dichiarato dall'art. 1 della
 l. 772 del 1972.
    Il  rispetto  del  principio  di  eguaglianza  comporterebbe che i
 diversi modi di  soddisfare  quell'obbligo  debbano  equivalersi  con
 riferimento  agli  "svantaggi"  che  arrecano  ai cittadini che vi si
 assoggettano.
    E'   ben  vero  -  osserva  l'ordinanza  -  che  il  principio  di
 eguaglianza non deve essere inteso  in  senso  meccanicistico  e  che
 situazioni  soggettive  diverse  giustificano trattamenti diversi, ma
 perche' tale diversita' sia ammissibile occorre che essa  corrisponda
 ad  esigenze  obiettive  legate alle peculiarita' della situazione in
 cui si verificano. La maggior durata del servizio civile  rispetto  a
 quello  militare  potrebbe apparire ragionevole qualora esistesse una
 struttura, una organizzazione del servizio o  sue  esigenze  tecniche
 particolari  che,  al  pari  di  quanto  avviene per la leva di mare,
 richiedesse per il  suo  corretto  e  utile  adempimento  una  durata
 superiore a quella ordinaria. Ma, allo stato della legislazione, tali
 peculiarita' sarebbero insussistenti.
    "In  realta' la ratio della maggior durata del servizio civile, di
 ben otto mesi rispetto al servizio militare armato, appare consistere
 esclusivamente  nell'intento  di  esercitare  una remora, un concreto
 ostacolo all'esercizio dell'obiezione  di  coscienza,  una  sorta  di
 sbarramento diretto a saggiare la serieta' della stessa".
    "Lo    scopo,   giustificato,   di   evitare   ricorsi   infondati
 all'obiezione di coscienza - prosegue il giudice a quo - puo' e  deve
 essere  conseguito  dallo Stato, da una parte affinando gli strumenti
 di indagine motivazionale, dall'altra rendendo nei fatti le modalita'
 esecutive  del  servizio civile effettivamente equivalenti in termini
 di disagio a  quelle  del  servizio  militare  armato,  che  peraltro
 opportunamente  si  cerca  di  rendere  meno  inutilmente  gravoso  e
 disagevole. Cio' con riferimento alle sedi di servizio,  alla  natura
 dei servizi e alla disciplina (orari, permessi, licenze etc.)".
    Si  conclude  ponendo  in evidenza il contrasto dell'art. 5, primo
 comma, della legge n. 772 del 1972, sia con il primo comma  dell'art.
 3  della  Costituzione,  per  l'ingiustificatezza della disparita' di
 trattamento tra servizio militare armato e servizio sostitutivo,  sia
 con  l'art.  3,  secondo  comma, della Costituzione per la violazione
 dell'obbligo di rimuovere gli ostacoli di ordine economico e  sociale
 all'espressione della personalita', ed anzi ponendosene in essere una
 nuova ipotesi rappresentata dalla maggior durata dell'assoggettamento
 al servizio obbligatorio.
    L'ordinanza,   ritualmente   notificata  e  comunicata,  e'  stata
 pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale del 14  settembre  1988,  n.  37,
 prima serie speciale.
    De  Filippis  Antonio  si  e'  costituito  dinanzi  alla Corte con
 deduzioni dei suoi difensori avvocati Giuseppe  Ramadori  e  Maurizio
 Ghinelli,     sostenendo,    con    argomentazioni    sostanzialmente
 corrispondenti  a  quelle  esposte  nell'ordinanza,  l'illegittimita'
 della  norma  denunciata.  Nell'interesse  del  De  Filippis  ha  poi
 depositato due ampie memorie l'avvocato Valerio Onida,  ad  ulteriore
 sostegno della tesi dell'incostituzionalita'.
    Il  Presidente  del Consiglio dei ministri ha esplicato intervento
 tramite l'Avvocatura Generale dello Stato, affermando  l'infondatezza
 della  questione  per le ragioni gia' espresse nel precedente atto di
 intervento.
    3.  -  In  analoga fattispecie, la Corte d'appello di Venezia, con
 ordinanza emessa il 6 ottobre 1988 nel corso del procedimento  penale
 a carico di Capuzzo Silverio, ha sollevato, in riferimento all'art. 3
 della Costituzione, questione di legittimita' dell'art. 5 della legge
 anzidetta,   nella  parte  in  cui  prevede  che  i  giovani  ammessi
 all'obiezione di coscienza prestino un servizio sostitutivo civile  o
 un servizio militare non armato per un periodo superiore di otto mesi
 alla durata del servizio di leva cui sarebbero tenuti.
    Il  giudice  a quo ha riproposto sostanzialmente le argomentazioni
 gia' prospettate nelle ordinanze del  Tribunale  di  Cagliari  e  dal
 Giudice Istruttore presso il Tribunale di Rimini.
    L'ordinanza,   ritualmente   notificata  e  comunicata,  e'  stata
 pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale del 4 gennaio 1989, n.  1,  prima
 serie speciale.
    Dinanzi alla Corte si e' costituito Capuzzo Silverio, imputato nel
 giudizio  a  quo,  rappresentato  e  difeso  dall'avvocato   Vincenzo
 Colacino,  ribadendo  le  considerazioni  a  favore dell'accoglimento
 delle questioni illustrate nell'ordinanza di rimessione.
    Il  Presidente  del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso
 dall'Avvocatura Generale dello Stato, e'  intervenuto  nel  giudizio,
 chiedendo che la questione sia dichiarata non fondata.
    4.  -  Con  ordinanza  emessa  il  24  novembre 1988 nel corso del
 procedimento penale a carico di Scida' Alessandro,  il  Tribunale  di
 Camerino  ha  sollevato,  in  riferimento  agli  artt.  3  e 21 della
 Costituzione, questione di legittimita'  dell'art.  5,  primo  comma,
 della legge 15 dicembre 1972 n. 772, nella parte in cui prevede che i
 giovani ammessi  all'obiezione  di  coscienza  prestino  un  servizio
 sostitutivo  civile per un periodo superiore di otto mesi alla durata
 del servizio di leva cui sarebbero tenuti.
    Per   quanto  concerne  l'asserita  violazione  del  principio  di
 eguaglianza,  l'ordinanza  sottolinea  che  la  maggior  durata   del
 servizio sostitutivo, "con la previsione dell'equiparazione di coloro
 che  si  avvalgono  delle  disposizioni  riguardanti  l'obiezione  di
 coscienza rispetto a coloro che prestano il servizio militare secondo
 le modalita' normali...", si risolve "in una sanzione consistente  ad
 una  particolare  espressione  della  persona".  Il giudice a quo ha,
 inoltre, denunciato la lesione della liberta' di  manifestazione  del
 pensiero,  sostenendo  che la maggior durata del servizio sostitutivo
 civile impedisce di esprimere adesione a  convincimenti  pacifisti  e
 non violenti.
    L'ordinanza,   ritualmente   notificata  e  comunicata,  e'  stata
 pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale della Repubblica del  6  febbraio
 1989, n. 6, prima serie speciale.
    Scida' Alessandro si e' costituito nel giudizio tramite l'avvocato
 Giuseppe Ramadori, sostenendo la fondatezza della questione.
    Anche   in  questo  giudizio  e'  intervenuto  il  Presidente  del
 Consiglio dei  ministri,  rappresentato  e  difeso  della  Avvocatura
 Generale dello Stato, argomentando per il rigetto della questione.
    5.  -  Alla  pubblica  udienza  del 13 giugno 1989 le difese delle
 parti private e l'Avvocatura Generale dello Stato hanno illustrato le
 rispettive tesi ed insistito nelle prese conclusioni.
                         Considerato in diritto
    1.  - Le quattro ordinanze in esame hanno tutte per oggetto l'art.
 5, primo comma, della legge 15 dicembre 1972, n. 772, con riferimento
 sempre  all'art. 3 e in un caso anche all'art. 21 della Costituzione.
 I relativi giudizi vengono, quindi, riuniti  per  essere  decisi  con
 un'unica sentenza.
    2.  -  Piu'  precisamente, secondo l'ordinanza di maggior sviluppo
 (Giudice istruttore del Tribunale di Rimini: n. 366/1988),  la  norma
 impugnata  sarebbe  in contrasto con il primo comma dell'art. 3 della
 Costituzione  "a  causa   dell'oggettiva,   grave   e   assolutamente
 irragionevole   disparita'  di  trattamento  prevista  a  carico  dei
 cittadini ammessi a prestare il servizio  militare  nella  forma  del
 servizio sostitutivo civile - e nella forma del servizio militare non
 armato - rispetto ai cittadini  che  prestano  il  servizio  militare
 armato e della minore dignita' sociale che ai medesimi viene di fatto
 riconosciuta come presupposto  e  conseguenza  a  un  tempo  di  tale
 discriminatrice  normativa"  e  con  il  secondo  comma  dello stesso
 articolo  "poiche'  con  la  disposizione  di  legge  denunciata   la
 Repubblica  non  solo  non rimuove ma addirittura crea un ulteriore e
 del tutto irragionevole e ingiustificato ostacolo di ordine economico
 e  sociale,  concretantesi  nella  imposizione  agli  interessati  di
 condizioni di incapacita' di esercitare pienamente i propri diritti e
 di  esprimere  la propria personalita' in campo sociale ed economico,
 piu' gravi di quelle  imposte  ai  cittadini  che  compiono  servizio
 militare  armato,  al  pieno  sviluppo  della  persona  umana  e alla
 effettiva partecipazione  all'organizzazione  politica,  economica  e
 sociale  del Paese". Con un'ulteriore prospettazione l'ordinanza piu'
 recente  (Tribunale  di  Camerino:  n.  24/1989)  denuncia  anche  un
 contrasto  con  il  primo  comma  dell'art. 21 della Costituzione, in
 quanto  la  norma,  "limitando  l'adesione  alle  forme  di  servizio
 militare  senza  uso  delle  armi,  strumento  di  manifestazione  di
 convincimenti  pacifisti,  non  violenti,  religiosi,  filosofici   o
 morali",  "viene  ad  incidere  negativamente sullo stesso diritto di
 manifestazione del pensiero".
    Poiche'  l'"irragionevole  disparita'  di  trattamento  prevista a
 carico" dei cittadini ammessi a prestare servizio militare non armato
 o  servizio  sostitutivo  civile  trova la sua "causa" nella maggiore
 durata (8 mesi in piu')  del  servizio  militare  non  armato  e  del
 servizio  sostitutivo civile rispetto al servizio militare armato (12
 mesi ormai generalizzati sia per la leva di terra che per la leva  di
 mare,  con  la  sola eccezione dei 15 mesi richiesti a chi consegue a
 domanda la nomina ad ufficiale di  complemento),  cosi'  traducendosi
 nell'imposizione  "di  condizioni  di  incapacita'...piu'  gravi"  di
 quelle imposte ai cittadini chiamati  a  prestare  servizio  militare
 armato, tanto da limitare di fatto "l'adesione alle forme di servizio
 militare senza uso delle armi", la questione sottoposta al vaglio  di
 questa Corte viene in definitiva a coinvolgere - come esplicitano nel
 dispositivo le due restanti  ordinanze  (Tribunale  di  Cagliari:  n.
 190/1988;  Corte d'appello di Venezia: n. 776/1988) - l'art. 5, primo
 comma, della legge 15 dicembre 1972,  n.  772,  nella  parte  in  cui
 prevede  che i giovani ammessi all'obiezione di coscienza prestino il
 relativo servizio "per un periodo superiore di otto mesi alla  durata
 del servizio di leva cui sarebbero tenuti".
    3.  -  Le  argomentazioni  addotte  nelle  varie  ordinanze  e poi
 sviluppate nelle articolate memorie delle parti  private  a  sostegno
 della  ritenuta  illegittimita' costituzionale della norma impugnata,
 muovono dalla premessa che l'art. 1 della legge 15 dicembre 1972,  n.
 772,  "pone su un piano di pari dignita' il servizio militare armato,
 il servizio militare non armato  e  il  servizio  civile  sostitutivo
 configurandoli  come  'modi'  di  soddisfare  l'obbligo  del servizio
 militare", ciascuno dei  quali  comporterebbe  per  l'interessato  la
 "totale    destinazione    delle    proprie   energie"   ai   compiti
 rispettivamente attribuitigli.
    Da   cio'   la   conseguenza   che,   proprio   perche'   modi  di
 soddisfacimento di un  medesimo  obbligo,  i  tre  tipi  di  servizio
 "debbono  equivalersi"  in  linea  di principio anche con riferimento
 agli "svantaggi" subiti dai  rispettivi  titolari,  a  cominciare  da
 quello  avente  un "rilievo primario": cioe', la durata del servizio,
 in quanto periodo  di  tempo  durante  il  quale  ogni  obbligato  va
 incontro  ad  una  vera  e  propria vitae deminutio rispetto alle sue
 opportunita' di lavoro, di affetti,  di  relazioni,  e  via  dicendo.
 Anche  la  durata,  dunque, "deve essere in linea di principio uguale
 per tutti, salvo le deroghe razionalmente e ragionevolmente richieste
 dalla  natura  intrinseca  del servizio", nell'ambito delle quali non
 potrebbe certo farsi rientrare quella degli otto mesi  in  piu':  non
 troverebbero,  infatti,  corrispondenza  in  esigenze  intrinseche al
 servizio ne' la pretesa di "garantire",  con  siffatto  prolungamento
 del   servizio,   "la  serieta'  delle  motivazioni"  di  chi  chiede
 l'ammissione  al  servizio  militare  non  armato   o   al   servizio
 sostitutivo  civile,  essendo il relativo accertamento gia' demandato
 ad una commissione appositamente istituita, ne' la preoccupazione  di
 compensare,  attraverso  la  maggiore  durata,  "una  supposta minore
 gravosita'"  delle  prestazioni  costituenti  il  contenuto  di  quei
 servizi,    essendo   tale   minore   gravosita'   "indimostrata   ed
 indimostrabile".
    Esclusa   la   reperibilita'   di  qualsiasi  sua  giustificazione
 obiettiva, la maggiore durata del servizio militare non armato o  del
 servizio  sostitutivo  civile  verrebbe, dunque, a risolversi "in una
 remora all'esercizio dell'obiezione di  coscienza,  in  un  ulteriore
 vaglio  della  serieta'  del  convincimento  dell'obiettore, e in una
 sanzione conseguente ad una particolare espressione  della  persona",
 nel piu' aperto contrasto sia con il principio di eguaglianza che con
 il diritto di libera  manifestazione  del  pensiero,  dando  vita  ad
 un'ingiustificata  "valutazione deteriore delle due forme di servizio
 alternativo a quello armato".
    4.  -  Per verificare la consistenza delle suddette argomentazioni
 e, soprattutto, per accertare se il diverso trattamento fatto,  sotto
 l'aspetto  della  durata,  al  servizio  militare  non  armato  ed al
 servizio sostitutivo civile  rispetto  al  servizio  militare  armato
 corrisponda o no "ad esigenze obiettive del servizio e ad elementi di
 ragionevolezza intrinseca", si devono prendere  in  considerazione  i
 due  tipi  di  "servizio alternativo" l'uno distintamente dall'altro,
 date le differenze di natura e di struttura che li caratterizzano nel
 loro  reciproco raffronto, prima ancora che nel raffronto di ciascuno
 di essi con il servizio militare armato.
    Quanto  alla  natura,  questa  Corte  ha  gia'  avuto occasione di
 precisare che, diversamente dal servizio  militare  non  armato,  nel
 servizio  sostitutivo  civile  non  si  puo'  ravvisare  un "modo" di
 esplicazione del servizio militare di  leva.  Sono  "le  ragioni  che
 impediscono  di  considerare  "militari in servizio" gli obiettori di
 coscienza ammessi a prestare servizio sostitutivo civile",  cosi'  da
 non legittimarne l'assoggettabilita' alla giurisdizione dei tribunali
 militari, ad  "escludere,  altresi',  che  nel  servizio  sostitutivo
 civile in atto si possa ravvisare un particolare modo di esplicazione
 del servizio militare di leva": percio',  "piu'  che  all'ottica  dei
 'modi',   e'   nell'ottica   dei   'limiti'   del  servizio  militare
 obbligatorio... che deve ricondursi il  discorso  sull'ammissione  al
 servizio  sostitutivo  civile",  con l'ulteriore conseguenza che, "in
 quanto limite all'adempimento dell'obbligo  del  servizio  militare",
 "essa non puo' non tradursi in un'alternativa di natura profondamente
 diversa" (v. sentenza n. 113 del 1986).
    Quanto  alla  struttura,  le  differenze emergono, al di la' delle
 terminologie e delle  definizioni,  dalla  contrapposizione  dei  due
 gruppi  di  norme  che  il  titolo II del d.P.R. 28 novembre 1977, n.
 1139, rispettivamente dedica al servizio militare non armato (capo I)
 e al servizio sostitutivo civile (capo II). Anche se la dichiarazione
 di opzione tra l'uno e l'altro dei due servizi  viene  a  collocarsi,
 all'interno  della  domanda  per  il riconoscimento dell'obiezione di
 coscienza,  nell'ambito  delle  altre  indicazioni  comuni  richieste
 dall'art.  2  dello  stesso  decreto,  i  differenti  aspetti  che il
 raffronto tra il capo I ed il capo II mette in  risalto  non  possono
 ignorarsi in un discorso basato sull'equivalenza dei contenuti, sulla
 comparazione dei rispettivi carichi di gravita' e  sulla  misura  dei
 relativi svantaggi.
    Tanto  nel  riferimento all'art. 3 quanto nel riferimento all'art.
 21 della Costituzione, il primo comma  dell'art.  5  della  legge  15
 dicembre 1972, n. 772, va, quindi, esaminato, anzitutto, per la parte
 in cui prevede che i giovani ammessi a prestare servizio militare non
 armato  lo  devono  prestare per un tempo superiore di otto mesi alla
 durata del servizio di leva  cui  sarebbero  tenuti,  e,  in  secondo
 luogo,  per  la parte in cui prevede che i giovani ammessi a prestare
 servizio sostitutivo civile lo devono anch'essi prestare per un tempo
 superiore  di  otto  mesi  alla  durata  del servizio di leva. Il che
 trova, del resto,  riscontro  non  solo  nell'ordinanza  del  Giudice
 istruttore  del Tribunale di Rimini, ma anche in alcune delle memorie
 difensive che, opportunamente, si soffermano sulla distinzione tra  i
 due   tipi   di  servizio  demandati  all'opzione  dell'obiettore  di
 coscienza.
    5.  -  Il primo profilo da prendere in considerazione non puo' non
 riguardare la parte del comma in esame  concernente  gli  ammessi  al
 servizio  militare  non  armato, oggetto del I dei due capi in cui il
 d.P.R. 28 novembre  1977,  n.  1139,  suddivide  il  titolo  II,  nel
 riferimento,   costantemente   ed  immediatamente  evidenziato  dalle
 quattro ordinanze di rimessione, all'art. 3 della Costituzione.
    A  dimostrare l'irragionevolezza di qualunque disparita' di durata
 del  servizio  militare  non  armato  rispetto  a  quello  armato  e'
 sufficiente la constatazione che, come precisa l'art. 10 del d.P.R 28
 novembre 1977, n. 1139, i giovani ammessi al  servizio  militare  non
 armato  "sono  soggetti a tutte le norme concernenti il personale che
 presta il normale servizio di leva ad eccezione  di  quelle  sull'uso
 delle armi", esclusa, quindi, ogni altra differenza.
    Poiche'  la  contrarieta' all'uso personale delle armi rappresenta
 l'essenza stessa  dell'obiezione  di  coscienza  quale  espressamente
 riconosciuta  dalla legge 15 dicembre 1972, n. 772 - tant'e' vero che
 il primo comma del suo art. 1  ammette  ai  benefici  previsti  dagli
 articoli successivi gli "obbligati alla leva che dichiarano di essere
 contrari  in  ogni  circostanza  all'uso  personale  delle  armi  per
 imprescindibili motivi di coscienza" - appare privo di ragionevolezza
 che un servizio corrispondente  in  tutto  e  per  tutto  al  normale
 servizio  di  leva,  salva  appunto la sola sottrazione all'uso delle
 armi, che ne e' il connotato ispiratore legittimamente  riconosciuto,
 abbia una durata superiore all'altro.
    Nessuna  differenza  di  durata  potrebbe  essere giustificata ne'
 dalla natura del servizio, ne' da particolari sue esigenze obiettive,
 trovandosi  esso  a  coincidere  con  il  servizio armato in tutte le
 modalita',  esclusa  soltanto   quella   che   e'   alla   base   del
 riconoscimento dell'obiezione di coscienza.
    Ogni  discorso  -  del  tipo  svolto  negli atti di intervento del
 Presidente del Consiglio  dei  ministri,  peraltro  in  relazione  al
 servizio  sostitutivo  civile  -  sulla  "gravosita'" del servizio di
 leva, sulla sua "severa disciplina", sui suoi  "ferrei  ordinamenti",
 non e' qui proponibile neppure in via di principio, trattandosi degli
 stessi oneri, della stessa disciplina, degli stessi ordinamenti.
    Ne'  vi  potrebbe  essere  posto per una differenza di durata piu'
 breve di quella attuale in rapporto all'esigenza  di  un  particolare
 periodo  di  addestramento:  gli  "incarichi  di carattere logistico,
 tecnico od amministrativo", nei quali viene impiegato l'obiettore  di
 coscienza  che  abbia  optato per il servizio militare non armato (v.
 art. 9, primo comma, d.P.R. 28 novembre 1977, n. 1139), rientrano fra
 gli  incarichi  gia'  previsti  dall'organizzazione  militare  e,  in
 assenza di obiettori, comunemente  svolti  da  militari  di  leva  in
 servizio  armato,  senza  che  gli eventuali corsi di istruzione e di
 specializzazione, cui si richiama il secondo comma dello stesso  art.
 9,  incidano  sulla  durata  del  servizio,  tanto piu' che, nel caso
 dell'obiettore, essi coprirebbero lo  spazio  lasciato  libero  dalla
 mancata partecipazione all'addestramento armato.
    La  previsione di "un tempo superiore di otto mesi" e', quindi, da
 ritenersi costituzionalmente  illegittima  -  prima  ancora  che  per
 ragioni  di  entita'  - per essere comunque superiore alla durata del
 servizio militare armato, con conseguente assorbimento dell'ulteriore
 dubbio  di  legittimita'  prospettato  dal  Tribunale  di Camerino in
 ordine all'art. 21 della Costituzione.
    6.  -  Anche  riguardo  alla parte dell'art. 5, primo comma, della
 legge 15 dicembre 1972, n.  772,  relativa  alla  durata,  pure  essa
 "superiore  di  otto  mesi",  del  servizio  sostitutivo  civile,  le
 ordinanze di rimessione  fanno,  anzitutto,  riferimento  all'art.  3
 della Costituzione.
    Naturalmente,  trattandosi  qui  di un servizio dai "contenuti non
 militari" (v. la sentenza n. 113 del 1986) e,  percio',  ben  diversi
 dai contenuti del servizio militare armato, i termini di comparazione
 non si presentano omogenei come nel caso del raffronto  tra  servizio
 militare  armato e servizio militare non armato, data la mancanza tra
 essi di qualsiasi nucleo di  vita  e  di  attivita'  comuni,  proprio
 perche',  nell'opzione per il servizio sostitutivo civile, al rifiuto
 dell'uso delle armi si accompagna e si sovrappone  il  rifiuto  della
 divisa e della disciplina militari.
    Per   vagliare   la   denuncia   di  irragionevole  disparita'  di
 trattamento mossa alla diversita' di  durata  tra  servizio  militare
 armato e servizio sostitutivo civile occorrerebbe prendere in attenta
 considerazione  i  vari  aspetti  del  servizio  sostitutivo  civile,
 verificando,  anzitutto,  se  le  relative  prestazioni  abbiano  una
 portata "effettivamente equivalente" (v. sentenza n. 164 del 1985)  a
 quella  del  servizio  militare armato, potendo l'equiparazione nella
 durata ritenersi imprescindibile soltanto in presenza  di  condizioni
 di  reale  equivalenza. Ma soltanto un servizio sostitutivo nazionale
 adeguatamente  ed   unitariamente   organizzato   consentirebbe   una
 comparazione   univoca   e  precisa.  Non  la  consente,  invece,  la
 pluralita'  disarticolata  di  "enti,  organizzazioni  o   corpi   di
 assistenza,  di  istruzione,  di  protezione  civile  e  di  tutela e
 incremento del patrimonio forestale" (art. 11, primo comma, d.P.R. 28
 novembre  1977,  n.  1139), presso cui il servizio sostitutivo civile
 continua ad essere prestato, nell'ormai eccessivo  protrarsi  di  una
 situazione  transitoria  dovuta  proprio alla mancata istituzione del
 servizio sostitutivo nazionale, e che accosta, di volta in volta, gli
 obiettori,  quanto  a  disciplina,  orari  e  sedi, ai dipendenti che
 operano presso il singolo ente, organizzazione o  corpo.  D'altronde,
 l'ormai quasi ventennale ritardo nell'istituzione del servizio civile
 nazionale, gia' sollecitata da questa Corte (v. sentenza n.  113  del
 1986),  non  puo'  certo  tradursi  in  un impedimento preclusivo del
 giudizio richiesto a questa Corte, tanto piu' che in  nessun  caso  -
 cioe',  anche  a  ritenere  non effettiva l'equivalenza di condizioni
 operative e di vita con chi presta  servizio  militare  armato  -  la
 durata  superiore  di  "ben"  otto  mesi,  come  sottolinea nella sua
 ordinanza il Giudice istruttore del  Tribunale  di  Rimini,  potrebbe
 essere considerata differenziazione ragionevole.
    Allo  stato, essendo impraticabile ogni sicuro, univoco, raffronto
 in termini di gravosita' del servizio, di organizzazione e di  orari,
 l'unica  giustificazione  per  una  differenziazione, sostanzialmente
 contenuta e non  irrazionale,  della  durata  del  servizio  potrebbe
 rinvenirsi   soltanto   nell'eventuale   necessita',   rimessa   alla
 valutazione  del  legislatore,  di  acquisire,  preliminarmente  allo
 svolgimento  del  servizio  civile sostitutivo, conoscenze teoriche e
 capacita' pratiche necessarie per far fronte alle esigenze  formative
 sottostanti, certo piu' personalizzate che non quelle del servizio di
 truppa. Lo ammettono, sia  pur  per  inciso,  anche  l'ordinanza  del
 Giudice  istruttore  di  Rimini  ed  una delle memorie difensive, non
 disconoscendo che  "una  modesta  diversita'  di  durata...  potrebbe
 forse,  in  astratto, trovare giustificazione in particolari esigenze
 di addestramento degli obiettori ai fini del servizio civile". Al  di
 fuori  di  una  previsione  del  genere  e,  comunque, in caso di una
 maggiorazione avente la consistenza attuale, la differente durata del
 servizio  sostitutivo,  a causa delle limitazioni che comporta per il
 normale sviluppo della vita  civile,  rivestirebbe  chiaramente  quel
 significato  di sanzione nei confronti degli obiettori che gia' si e'
 stigmatizzato, ledendo, altresi', i fondamentali diritti tutelati dal
 primo  comma  dell'art.  3  e  dal  primo  comma  dell'art.  21 della
 Costituzione, in quanto sintomo di una non giustificabile  disparita'
 di  trattamento  per  ragioni  di  fede  religiosa o di convincimento
 politico e, nello stesso tempo, freno alla libera manifestazione  del
 pensiero.