LA COMMISSIONE TRIBUTARIA DI PRIMO GRADO
    Ha  pronunciato  la  seguente  ordinanza  sul  ricorso prodotto da
 Girardello Antonio, residente  in  Milano,  via  De  Sanctis  n.  74,
 avverso l'uffico imposte dirette di Arona;
    Letti gli atti;
    Sentito  il  dott. Francesco Pinzino per l'ufficio imposte dirette
 di Arona;
    Udito il relatore Mario Piscitello;
                             RITENUTO IN FATTO
    Girardello  Antonio,  residente  in Milano, via De Sanctis, 74, in
 data 9 febbraio 1989 proponeva ricorso contro le iscrizioni a ruolo -
 relative  alla  dichiarazione  integrativa di cui alla legge 7 agosto
 1982, n. 516 (condono) dallo stesso presentata al centro di  servizio
 delle  imposte  dirette  di  Milano  in  data  16  novembre 1982 - di
 complessive L. 246.558.000 per Irpef ed Ilor 1979 e 1980, di cui alla
 cartella  esattoriale  n.  9005143, notificatagli in data 1ยบ febbraio
 1989.
    Il  riccorrente  eccepiva l'esistenza di un errore materiale nella
 liquidazione delle imposte da lui dovute e la  violazione  di  alcuni
 articoli del d.-l. n. 429/1982, convertito nella legge 7 agosto 1982,
 n. 516, e chiedeva, in via principale, l'annullamento delle anzidette
 iscrizioni  a ruolo e, in via subordinata, la trasmissione degli atti
 al centro di servizio di  Milano  per  la  riliquidazione  della  sua
 domanda di condono.
    L'ufficio  imposte  dirette  di  Arona  non  presentava  deduzioni
 scritte.
    La  decisione  del  presente ricorso, a parere di questo collegio,
 deve  essere  preceduta  dalla  soluzione   di   una   questione   di
 leggittimita'   costituzionale,  gaia'  sollevata  da  questa  stessa
 commissione tributaria,  e  per  la  quale  la  Corte  costituzionale
 (ordinanza n. 146/1989) ha disposto la restituzione degli atti per un
 riesame della questione alla stregua di nuove norme (art. 16, secondo
 e  terzo  comma, della legge 13 aprile 1988, n. 117 "Risarcimento dei
 danni  cagionati  nell'esercizio   delle   funzioni   giudiziarie   e
 responsabilita' civile dei magistrati").
    Con l'ordinanza emessa il 21 marzo 1988 (pubblicata nella Gazzetta
 Ufficiale della Repubblica n. 31/1988) questa commissione  tributaria
 di   primo   grado   aveva   sollevato   questione   di  legittimita'
 costituzionale degli artt. 20, terzo comma, e 28,  primo  comma,  del
 d.P.R.  26  ottobre  1972,  n.  636, nel testo novellato dal d.P.R. 3
 novembre 1981, n. 739,  nella  parte  in  cui  non  prevedono  per  i
 componenti  delle  commissioni tributarie l'obbligo del segreto sulla
 camera di consiglio, ed in particolare, sul  processo  di  formazione
 della  decisione  del  collegio, in riferimento all'art. 108, secondo
 comma, e all'art. 3,  primo  comma,  della  Costituzione,  in  quanto
 risulterebbe  leso  il  principio dell'indipendenza dei giudici delle
 giurisdizioni speciali e si verificherebbe disparita' di  trattamento
 nei confronti di tutti gli altri giudici per i quali vige il rispetto
 del segreto della camera di consiglio.
    Questo  collegio,  accogliendo  l'invito  ad  un nuovo esame della
 questione  alla  stregua  delle  nuove  norme,  deve  preliminarmente
 ripetere quanto e' stato affermato nella ordinanza del 21 marzo 1988.
    A  tutti  i  giudici,  ma  non  anche  ai  giudici  tributari,  e'
 espressamente imposto il dovere di mantenere il segreto sulla  camera
 di  consiglio  ed,  in  particolare, sul processo di formazione della
 decisione del collegio.
    Per  il  giudice  penale  l'art. 473 del c.p.p. stabilisce che "la
 deliberazione e' sempre segreta..." e per il  giudice  civile  l'art.
 276  del  c.p.c.  afferma  che "la decisione e' deliberata in segreto
 nella camera di consiglio". E disposizioni analoghe sono previste per
 gli altri giudici.
    Per  quanto  riguarda,  invece,  i  giudici tributari le norme sul
 contenzioso tributario prevedono soltanto che  le  decisioni  debbano
 essere  adottate  in  camera di consiglio (e quindi non nella sala di
 udienza), ma non vi e' alcuna norma che imponga ai  suddetti  giudici
 di  mantenere il segreto su quanto e' avvenuto in camera di consiglio
 e quindi sui voti espressi dai componenti il collegio (art. 20, terzo
 comma;  art.  28,  primo  comma,  del  d.P.R.  n. 636/1972, nel testo
 novellato dal d.P.R. n. 739/1981).
    E'  pur  vero  che  l'art.  39  del  d.P.R.  n.  636/1972 dichiara
 applicabili ai procedimenti che si svolgono davanti alle  commissioni
 tributarie  quasi tutti le norme contenute nel libro primo del codice
 di procedura civile, ma il  citato  art.  276  e'  compreso  tra  gli
 articoli del libro secondo del suddetto codice.
    Pertanto,  in  base  alle  anzidette  norme,  ancora in vigore per
 quanto risulta a questo collegio, il giudice tributario che rimanesse
 in  minoranza  potrebbe  pubblicamente manifestare la sua opinione di
 dissenso dalla  decisione  adottata  dal  collegio,  senza  con  cio'
 incorrere  nel  reato previsto dall'art. 326 del c.p. (rivelazione di
 segreti di ufficio) ne' in sanzioni disciplinari.  E  dovrebbe  anche
 ritenersi   lecita  -  in  quanto  non  vietata  da  alcuna  norma  -
 l'indicazione in calce al provvedimento, che la  decisione  e'  stata
 adottata  dalla commissione tributaria all'unanimita' o a maggioranza
 con la menzione, in questa seconda ipotesi, dei giudici favorevoli  e
 dei giudici contrari.
    E'   pur   vero   -  come  ha  rilevato  la  Corte  costituzionale
 nell'ordinanza  n.  146/1989  -  che  anche  i  provvedimenti   delle
 commissioni  tributarie,  in  base  la terzo comma dell'art. 16 della
 legge n. 117/1988, si applicano le norme  di  cui  al  secondo  comma
 dell'articolo  anzidetto,  il  quale  prevede  che "Dei provvedimenti
 collegiali puo', se uno  dei  componenti  dell'organo  collegiale  lo
 richiede,  essere  compilato sommario processo verbale, il quale deve
 contenere la menzione dell'unanimita' della decisione o del dissenso,
 succintamente  motivato  che qualcuno dei componenti del collegio, da
 indicare nominativamentee, abbia eventualmente espresso  su  ciascuna
 delle  questioni  decise.  Il  verbale...  sottoscritto  da  tutti  i
 componenti del collegio stesso, e' conservato a cura  del  presidente
 in plico sigillato presso la cancelleria dell'ufficio".
    Queste  norme,  a  parere  di  questo collegio, non solo non hanno
 abrogato, neppure tacitamente, le disposizioni sopra citate (art. 473
 del c.p.p.; art. 276 del c.p.c.; art. 20, terzo comma, art. 28, primo
 comma, del d.P.R. n. 636/1972, nel testo novellato con il  d.P.R.  n.
 739/1981)  e  quindi non disciplinato ex novo la camera di consiglio,
 ma non impongono ai componenti il collegio l'obbligo della segretezza
 sulla  camera  di  consiglio  ed,  in  particolare,  sul  processo di
 formazione della decisione  ne'  vietano  di  indicare  in  calce  al
 provvedimento  che  la decisione e' stata adottata all'unanimita' o a
 maggioranza con la menzione, in questa seconda ipotesi,  dei  giudici
 favorevoli e dei giudici contrari.
    La  norma  di  cui  all'art.  16,  secondo  comma,  della legge n.
 117/1988, a parere di questo  collegio,  prevede  soltanto,  ai  fini
 dell'eventuale  responsabilita'  civile  dei  magistrati,  che  venga
 redatto un sommario processo verbale  -  e  non  sempre  ma  soltanto
 quando almeno uno dei componenti dell'organo collegiale lo richieda -
 il quale dovra' contenere la menzione dell'unanimita' della decisione
 o  del dissenso succintamente motivato. Il verbale, dopo essere stato
 sottoscritto da  tutti  i  componenti  del  collegio,  dovra'  essere
 conservato in un plico sigillato.
    Questo e non altro, a parere di questo collegio, e' il significato
 dell'art. 16, secondo comma, della legge n. 117/1988.
    Le  norme sul contenzionso tributario (art. 20, terzo comma, e 28,
 primo comma, del d.P.R. n. 636/1972, nel testo novellato  dal  d.P.R.
 n.  739/1981),  in quanto non prevedono la segretezza della camera di
 consiglio - se  la  segretezza  della  camera  di  consiglio  e'  una
 condizione  di  indipendenza  del  giudice - come e' stato scritto da
 questa commissione tributaria nell'ordinanza emessa il 21 marzo 1988,
 potrebbero  essere  in contrasto con l'art. 108, secondo comma, della
 Costituzione.
    Questo  collegio,  pero',  conosce  il  recente insegnamento della
 Corte costituzionale (sentenza n. 18/1989) secondo la quale  "nessuna
 norma  costituzionale stabilisce il segreto delle deliberazioni degli
 organi giudiziari quale garanzia della loro indipendenza; ne'  a  tal
 fine  impone  il  segreto  sull'esistenza  di  opinioni  dissenzienti
 all'interno del  collegio...  Tale  segreto  costituisce  materia  di
 scelta   legislativa  e  nulla  ha  a  che  vedere  con  la  garanzia
 dell'indipendenza dei giudici.  E'  da  ribadire,  al  riguardo,  che
 l'indipendenza  e'  un valore morale, che si realizza in tutta la sua
 pienezza,  proprio  quando   si   esplica   nella   trasparenza   del
 comportamento".
    La  presente  questione  di legittimita' costituzionale, pertanto,
 almeno in relazione all'art. 108, secondo comma, della  Costituzione,
 potrebbe   essere   ritenuta  infondata,  ma  questo  collegio,  data
 l'importanza della questione, ritiene di doverla riproporre.
    Sussiste,  pero',  il  dubbio  che le citate norme sul contenzioso
 tributario possano essere illegittime in relazione all'art  3,  primo
 comma, della Costituzione, in quanto vi e' disparita' di trattamento,
 senza  alcuna  razionale  giustificazione,  tra  i  componenti  delle
 commissioni  tributarie  e  tutti gli altri giudici per i quali vige,
 invece, il dovere del segreto sulla camera di consiglio.
    Questa  disparita'  di  trattamento  potrebbe  e  dovrebbe  essere
 rimossa, o introducendo anche per i giudici tributari il  dovere  del
 segreto  sulla  camera  di  consiglio  o estendendo a tutti gli altri
 giudici il principio che la stessa  Corte  ha  suggerito  secondo  il
 quale  "l'indipendenza e' un valore morale, che si reallizza in tutta
 la sua pienezza, proprio quando  si  esplica  nella  trasparenza  del
 comportamento" (sentenza n. 18/1989).
    Le  suddette  questioni  di  legittimita'  costituzionale,  per le
 argomentazioni esposte,  sono,  a  parere  di  questo  collegio  "non
 manifestamente infondate" ed anche "rilevanti".