IL PRETORE
    A  scioglimento  della riserva di cui sopra, esaminati gli atti di
 causa e le  richieste  delle  parti,  cosi'  provvede:  nel  presente
 giudizio   e'   in  questione  la  legittimita'  della  ordinanza  di
 disattivazione emessa dal  Circostel  di  Roma  nei  confronti  della
 emittente  ricorrente,  sia  pure  sotto  il profilo della carenza di
 potere  che  legittima   la   giurisdizione   di   questa   autorita'
 giudiziaria.
    Orbene   ritiene   il   giudicante   che   sia   decisamente   non
 manifestamente infondata la questione di legittimita'  costituzionale
 dell'art.  240  del d.P.R. n. 156/1973, che costituisce il fondamento
 normativo della ordinanza suddetta, in rapporto agli artt. 3, 21 e 41
 della  Costituzione.  Come  e' noto l'art. 240 del c.p., inserito nel
 capo   settimo   concernente   la   polizia   e   protezione    delle
 telecomunicazioni   sancisce  che  "fermo  restando  quanto  previsto
 dall'art. 23 del presente decreto  e'  vietato  arrecare  disturbi  o
 causare  interferenze  alle  telecomunicazioni  ed alle opere ad esse
 inerenti.  Nei  confronti  dei   trasgressori   provvedono   in   via
 amministrativa i direttori dei circoli delle costruzioni telegrafiche
 e telefoniche ed i capi degli ispettorati di zona  della  Azienda  di
 Stato  per i servizi telefonici competenti per territorio" (l'art. 23
 richiamato nel testo concerne  l'ipotesi  del  danneggiamento  doloso
 rilevante dal punto di vista penale).
    Tale  norma  si  inserisce  in  una  disciplina caratterizzata dal
 monopolio statale nelle  radiodiffusioni  e  quindi  rappresenta  una
 tutela  di  polizia  a  garanzia  di  servizi di preminente interesse
 nazionale. In relazione a tali poteri di polizia  e  a  fronte  degli
 stessi  fino  alla nota decisione della Corte costituzionale del 1986
 non vi era alcun diritto di radiodiffondere, occorrendo  comunque  un
 provvedimento concessivo riservato alla R.A.I.
    Dopo la decisione suddetta almeno in ambito locale puo' sostenersi
 unitamente alla giurisprudenza  di  merito  e  a  larga  parte  della
 dottrina  che  il  privato  e' titolare di un diritto soggettivo alla
 radiodiffusione che costituisce espressione e trova fondamento  negli
 artt. 21 e 42 della Costituzione.
    E'  evidente che la compressione di tale diritto, anche in assenza
 di una  autorizzazione  di  legge  che  non  e'  configurabile  nella
 fattispecie  a  causa  della tanto lamentata inerzia del legislatore,
 puo'  avvenire  soltanto  in  presenza  di  un  prevalente  interesse
 pubblico  leso  dalla  radiodiffusione  privata (incompatibilita' tra
 attivita' privata e servizio pubblico secondo quanto  e'  chiaramente
 espresso   dalla   legge  n.  10/1985)  e  il  relativo  procedimento
 amministrativo, proprio perche' incide pesantemente e in alcuni  casi
 in  modo  irreversibile  sul  diritto  del  privato, spesso autore di
 investimenti nell'ordine di  miliardi,  non  puo'  non  avvenire  con
 precise  garanzie  e  sulla base di accertati disturbi o interferenze
 che siano tali da impedire il  regolare  concreto  funzionamento  del
 servizio   pubblico.  Il  legislatore  in  presenza  di  un  servizio
 fondamentale quale e' quello della assistenza e  sicurezza  del  volo
 nel  1983,  e  quindi  dieci anni dopo l'entrata in vigore del c.p. e
 quel che piu' conta dopo le note sentenze della Corte  costituzionale
 che  hanno  riconosciuto  il  diritto  alla radiodiffusione in ambito
 locale e comunque dopo  il  piano  di  assegnazione  delle  frequenze
 vigente, ha sancito il principio della necessita' del contraddittorio
 (art. 3 della legge n. 110/1983: "in caso di inosservanza di  cui  al
 divieto   dell'art.   1,   accertata   sentendo   anche  il  titolare
 dell'impianto..."), ha individuato in modo ben piu' preciso di quanto
 faccia  l'art.  240  del  c.p.  il significato delle turbative atte a
 mettere in modo i provvedimenti di polizia ("emissioni, radiazioni  o
 induzioni  tali  da compromettere sia il funzionamento dei servizi di
 radionavigazioni sia la sicurezza dei voli": art. 1) e quel che  piu'
 conta   ben   consapevole   dei   valori  in  gioco  ha  previsto  la
 disattivazione degli impianti quale extrema  ratio  conseguente  alla
 inottemperanza  da  parte  del  privato  di  uno  specifico ordine di
 eliminazione  a  livello  tecnico  delle  cause  delle  interferenze,
 sancendo   quale   sanzione  per  la  turbativa  realizzata  soltanto
 l'applicazione di una pena pecuniaria.
    Tale  disciplina  che  riguarda  un  servizio fondamentale perche'
 attiene anzitutto alla sicurezza  della  vita  dei  passeggeri  degli
 aereomobili  ove  non  venga  ritenuto  applicabile  nei confronti di
 qualsiasi   altro   pubblico   servizio,   genera   sicuramente   una
 ingiustificata   disparita'  di  trattamento  ai  danni  del  privato
 titolare del diritto di radiodiffondere  in  sede  locale  in  quanto
 senza alcuna garanzia di contraddittorio, con una nozione di disturbo
 o  di   interferenza   unilateralmente   accertata   dalla   p.a.   e
 unilateralmente  interpretata  data la genericita' della norma, senza
 alcuna  graduazione  degli  interventi  e  senza  alcun  obbligo   di
 specifica  motivazione della necessita' dello specifico provvedimento
 adottato, si trova a dover interrompere autoritativamente la  propria
 attivita'  imprenditoriale  alla  merce'  dell'uso  e  dell'abuso del
 potere di polizia attribuito agli organi del Ministero  pp.tt.  senza
 alcun   controllo   da  parte  di  chicchessia.  Tale  disparita'  di
 trattamento incide profondamente sulla liberta' di manifestazione del
 pensiero  e  sulla  liberta' di impresa oggi riconosciuta dalla Corte
 costituzionale e da tutti i disegni di legge che  si  occupano  della
 riforma   del   sistema   radio   televisivo   e   non  trova  alcuna
 corrispondenza con poteri di polizia esistenti in altri settori e nei
 confronti di altre autorita' amministrative.
    Pertanto  si  solleva  la questione di legittimita' costituzionale
 dell'art. 240 del c.p. in relazione agli artt. 3, 21 e 41, nonche' in
 relazione  agli  artt. 1 e 3 della legge 8 aprile 1983, n. 110, sulla
 protezione delle radio comunicazioni relative all'assistenza  e  alla
 sicurezza  del  volo  sotto il triplice profilo della omessa garanzia
 del  contraddittorio   nell'accertamento   dei   disturbi   o   delle
 interferenze, della assoluta genericita' della nozione di disturbo od
 interferenza in grado  di  mettere  in  moto  il  potere  di  polizia
 previsto  a  favore  degli organi del Ministero pp.tt. quantomeno nei
 confronti  delle   imprese   di   radiodiffusione,   della   assoluta
 genericita'  e  mancanza  di  graduazione  nell'intervento  di natura
 amministrativa che la p.a. puo' adottare per eliminare  la  turbativa
 al  servizio  di  telecomunicazione,  ed infine in relazione alla ben
 minore sanzione prevista per le interferenze in materia di volo.
    L'art.   240   del   c.p.   risulta   peraltro   di  assai  dubbia
 costituzionalita' anche sotto altro profilo.
    Come e' noto la legge n. 10/1985, dopo aver ribadito la diffusione
 sonora e televisiva sull'intero territorio nazionale a  carattere  di
 preminente  interesse  generale  ed  e' riservata allo Stato mediante
 societa' concessionaria, ha sancito  che  "nell'ordinare  il  sistema
 radiotelevisivo  lo  Stato  si  informa  ai  principi  di liberta' di
 manifestazione  del  pensiero   e   di   pluralismo   dettati   dalla
 Costituzione  per realizzare un sistema misto di emittenza pubblica e
 privata" sulla base di apposito piano nazionale di assegnazione delle
 frequenze,  con il compito di individuare i bacini di utenza idonei a
 consentire la presenza e l'economica gestione entro i  bacini  stessi
 di  un  numero  di  emittenti  private  tale da evitare situazioni di
 monopolio ed oligopolio.
    La  medesima legge con l'art. 3 ha previsto la prosecuzione in via
 temporanea dell'attivita'  delle  singole  emittenti  radiotelevisive
 private  con  gli  impianti  di radiodiffusione gia' in funzione alla
 data del 1ยบ ottobre 1984 "fermo restando il  divieto  di  determinare
 situazioni di incompatibilita' con i pubblici servizi".
    Tale  incompatibilita'  non  e'  concetto  diverso  dal: "arrecare
 disturbi o causare interferenze alle telecomunicazioni ed alle  opere
 ad esse inerenti" di cui all'art. 240, primo comma, del c.p.
    Si  e'  autorevolmente sostenuto (t.a.r. Lombardia, sezione prima,
 19 settembre 1986, n. 646, in causa Radio radicale  contro  Circostel
 di  Milano)  che  le  emittenti private radiofoniche e televisive che
 abbiano effettuato la comunicazione ex art. 4 della legge n. 10/1985,
 in  caso di sopravvenuta incompatibilita' tra la loro attivita' ed il
 pubblico servizio gestito dalla  R.A.I.  (ma  il  principio  riguarda
 tutti  i  pubblici  servizi)  non  possono non ritenersi passivamente
 assoggettate   al   generale   potere    ripristinatorio    spettante
 all'amministrazione  postale  ai  sensi  dell'art.  240 del d.P.R. n.
 156/1973.
    Peraltro  "l'esercizio  di  questo  potere non da' tuttavia, luogo
 (come si e' detto sopra) all'adozione di provvedimenti  di  un  unico
 tipo,  quale  disattivazione  dell'impianto  che abbia determinato la
 situazione di incompatibilita', bensi' all'adozione  di  uno  (quello
 piu'  opportuno)  tra i provvedimenti atti ad ovviare ad una siffatta
 situazione: ad esempio, l'indicazione  di  prescrizioni  idonee  allo
 scopo  con  l'invito al privato di attuarle entro un congruo termine;
 l'eliminazione d'ufficio degli inconvenienti prodotti  dall'emittente
 privata;  lo  spostamento  dell'impianto  privato con assegnazione di
 altra frequenza; il suggellamento o la  rimozione  del  medesimo;  il
 sequestro dei relativi apparecchi; ecc.".
    Da  tali  affermazioni  il  t.a.r. della Lombardia ne ha tratto la
 conclusione che il potere di  cui  sopra  e'  chiaramente  un  potere
 discrezionale  volto  a  restringere la sfera giuridica del privato e
 come tale richiedente una specifica motivazione che dia  conto  della
 valutazione  che  della  insorta situazione di incompatibilita' abbia
 effettuato  l'amministrazione;  della   possibilita'   ovvero   della
 impossibilita'  di  ovviare  a tale situazione attraverso particolari
 situazioni tecniche la cui attuazione  possa  permettere  al  privato
 l'esercizio  della  consentita  attivita'  di  radiodiffusione; della
 conseguente necessita' o convenienza di adottare  una  piuttosto  che
 un'altra  delle possibili misure dirette ad eliminare la turbativa di
 che trattasi.
    Dunque  secondo  tale decisione una corretta interpretazione delle
 norme vigenti gia' richiederebbe un obbligo di motivazione  circa  la
 congruita'  dell'intervento  amministrativo  effettuato rispetto alla
 turbativa arrecata che nella fattispecie non solo non e' presente, ma
 che   semmai   trova  una  particolare  conferma  in  relazione  alla
 possibilita'   tecnica   di   risolvere   il   preteso    stato    di
 incompatibilita',  in  realta'  insussistente, con tutta una serie di
 soluzioni tecniche  idonee.  Ma  la  decisione  in  questione  assume
 particolare  rilevanza per altro profilo: gli artt. 3, primo comma, e
 4, terzo comma, della legge  n.  10/1985  non  prevedono  affatto  la
 disattivazione  degli  impianti  radiotelevisivi  privati  producenti
 interferenze con il pubblico servizio di radio diffusione.
    Infatti il primo comma dell'art. 3 contiene il solo divieto per le
 emittenti private in questa norma contemplate di  arrecare  turbative
 al  detto  pubblico  servizio,  mentre  il  terzo  comma  dell'art. 4
 stabilisce l'irrogabilita' della  suindicata  misura  repressiva  per
 ipotesi  diverse  da  quella  in  discorso  (per  mancanza  o per non
 tempestivita' della comunicazione di cui al primo comma,  ovvero  per
 il   caso   di   diffusione  da  parte  delle  emittenti  private  di
 trasmissioni meramente ripetitive o consistenti in  immagini  fisse).
 Si  deve  dunque  ritenere  che  la legge del 1985 non abbia preso in
 esame la misura piu' repressiva, piu' radicale per la  ipotesi  della
 interferenza,  rinviando  a  quei  diversi  poteri  di intervento che
 l'art. 240 del c.p. correttamente interpretato rimette al Circostel a
 livello  tecnico.  Se  cio'  e'  vero  non c'e' dubbio che gravissima
 sarebbe la  disparita'  di  trattamento  tra  gli  utenti  che  hanno
 effettuato  o,  come  nel  caso  sono  accusati ingiustamente di aver
 effettuato disturbi o interferenze ai danni di  servizi  pubblici  ed
 emittenti  della  stessa  natura  che  abbiano potuto beneficiare del
 trattamento ben  piu'  favorevole  di  cui  alla  legge  n.  10/1985.
 Pertanto  non  puo'  ritenersi  manifestamente  infondata  neppure la
 questione di costituzionalita' dell'art. 240  del  c.p.  in  rapporto
 agli artt. 3, 21 e 41 della Costituzione e con riferimento al sistema
 sanzionatorio che si deduce dagli artt. 3 e 4 della legge n. 10/1985.