IL GIUDICE ISTRUTTORE Letti gli atti del procedimento penale contro Maccio' Corrado, nato a Cagliari il 9 agosto 1965; imputato come in rubrica. Con rapporto del 10 ottobre 1988 la squadra mobile della questura di Cagliari denuncio' in stato di arresto Maccio' Corrado, colto nella flagranza dei delitti specificati in rubrica. Interrogato l'imputato, il p.m. ne convalido' l'arresto ai sensi dell'art. 6 della legge 5 agosto 1988, n. 330. Successivamente, lo stesso p.m., nel trasmettere gli atti a questo g.i., propose eccezione di sospetta illegittimita' costituzionale dell'art. 7 della legge n. 330/1988 per contrasto con le disposizioni degli artt. 13, secondo e terzo comma, 102, primo comma, e 112 della Costituzione. L'eccezione, certamente rilevante, pare non manifestamente infondata. Premesso che l'art. 7 della legge n. 330/1988 dispone che la convalida dell'arresto dichiarata dal p.m. e' soggetta - pena la sua inefficacia - a conferma del g.i. e rilevato che la norma concorre a realizzare, in stretta connessione con quelle degli artt. 393, primo comma, e 251, terzo comma, del c.p.p. un sistema di penetranti controlli del g.i. sugli atti di limitazione della liberta' personale del p.m. legittimato ad incidervi solo in casi di "necessita' ed urgenza", in sostituzione del giudice effettivo titolare del potere di "cattura" (cio' persino quando il p.m. ritenga di procedere con rito sommario), deve domandarsi se una simile radicale riforma, operata a livello di legislazione ordinaria, sia compatibile col vigente sistema costituzionale. E' opinione di chi scrive che la disposizione dell'art. 7 della legge n. 330/1988 (come del resto tutto il sistema dei controlli sugli atti restrittivi del p.m. attribuito dalla legge al giudice, peraltro non censurabile in questa sede) confligge con disposto degli artt. 13, secondo e terzo comma, 102, primo comma, e 112 della Costituzione. A sostegno di tale affermata illegittimita' sembrano decisive le seguenti argomentazioni: 1) nell'attuale assetto costituzionale il p.m. e', al pari del giudice, organo del potere giudiziario ed esercita peculiari funzioni di natura "giurisdizionali". In tal senso si e' pronunziata piu' volte la Corte costituzionale (sentenze n. 190/1970 e n. 96/1975) cosi' motivando: il pubblico ministero anche se non e' investito di potere decisorio onde non puo' qualificarsi giudice in senso stretto - e', comunque, anch'egli un magistrato, come dimostra la collocazione degli articoli della Costituzione che lo riguardano (in particolare 104-107) nel titolo sesto de "La Magistratura" e financo nella sezione I de "L'Ordinamento giurisdizionale". L'esattezza dell'inquadramento del p.m. tra gli "Organi della giurisdizione" in senso lato e' ribadita nella sentenza n. 190/1970 che ha testualmente definito la posizione del p.m. "come quella, appunto, di un magistrato appartenente all'ordine giudiziario collocato in posizione di istituzionale indipendenza rispetto ad ogni altro potere, che non fa valere interessi particolari ma agisce esclusivamente a tutela dell'interesse generale all'osservanza della legge, perseguendo fini di giustizia". Da cio' deriva che nel concetto di "Giurisdizione" - quale contemplato nell'art. 102 - deve intendersi compresa non solo l'attivita' decisoria, che e' peculiare e propria del giudice ma anche l'attivita' di esercizio dell'azione penale, che con la prima si coordina in rapporto di compenetrazione organica ai fini di giustizia e che l'art. 112 della Costituzione, appunto, attribuisce al pubblico ministero; 2) nell'esplicazione di tale potesta' di iniziativa rientrano, non solo tutte le attivita' istruttorie e d'impulso processuale, che la legge ordinaria attribuisce al p.m. (atti di istruzione sommaria e di richiesta al giudice), ma anche gli atti di limitazione della liberta' personale, del domicilio e delle comunicazioni, nonche' quelli di sequestro di stampati, che gli artt. 13, 14, 15 e 21 della Carta fondamentale attribuiscono all'autorita' giudiziaria. A parere di chi scrive, dunque, la titolarita' del potere "coercitivo" non e' esclusiva del giudice ma spetta anche al p.m., che, al pari del giudice e' autorita' giudiziaria. La Costituzione, infatti, assegna ai due organi della "Giurisdizione" la funzione oggettiva e neutrale di "garanti" dei diritti fondamentali (fra questi quelli di "liberta'"); e cio' sia nel momento decisorio (assegnato al giudice), ma anche nel momento di esercizio dell'azione penale (attribuito al p.m.). Il concetto merita qualche approfondimento. Col dichiarare obbligatorio l'esercizio dell'azione penale, il costituente ha mostrato di fare una significativa scelta di campo. La regola per cui "nessun comportamento trasgressivo ritenuto penalmente rilevante dalla legge ordinaria, puo' essere sottratto in via di principio, alla cognizione del giudice penale, e' stata elevata a precetto costituzionale. La scelta si armonizza, anzitutto, con il fondamentale principio dell'art. 2 della Costituzione - e' evidente, infatti, che la garanzia delle peculiari posizioni soggettive, di cui la norma fa riferimento, non puo' essere attuata soltanto prevedendo strumenti di promozione (pure doverosi); e' sembrato invece, necessario apprestare collaterali cautele repressive verso i comportamenti lesivi di quei fondamentali diritti, - si coordina, poi, col principio di eguaglianza previsto all'art. 3 della Costituzione; che proclama "tutti i cittadini uguali di fronte alla legge". Per rendere effettiva l'attuazione della legge penale si e', anzitutto, prevista l'autonomia ed indipendenza degli organi del giudizio degli altri poteri dello Stato. Ma cio' non e' parso sufficiente. Infatti, solo attribuendo anche all'organo di impulso poteri giurisdizionali, poteva dirsi attuato il dettaglio costituzionale, secondo cui la legge penale deve essere applicata, in via di principio, a tutti i trasgressori. Ma, l'obbligo di esercizio dell'azione penale (che sostanzia la funzione giurisdizionale propria ed esclusiva del p.m.) non puo' ritenersi limitato al solo aspetto della "doverosa proposizione della pretesa punitiva verso il giudice", ma riguarda l'altrettanto doveroso accertamento dei presupposti che, nel caso concreto, rendono attuale quell'obbligo. E' questa la ragione per cui il Costituente ha voluto - lasciando pero' al legislatore ordinario l'individuazione dei casi e modi di attuazione - conferire al p.m. un potere autonomo in tema di "limitazione della liberta' personale"; potere strumentale rispetto a quello di "doveroso" esercizio dell'azione penale. Se fosse riconosciuta la correttezza delle argomentazioni svolte dovrebbe arguirsene che la legge ordinaria non puo' disconoscere al p.m. l'autonomo potere-dovere di provvedere in materia di liberta' personale; potere questo, accessorio-strumentale rispetto all'obbligo enunciato all'art. 112 della Costituzione. La tesi non e', pero', condivisa dai piu'. Infatti, e' nettamente prevalente l'opinione di chi nega qualunque rapporto tra "potere di cattura" e "obbligatorieta' dell'azione penale". Certo non puo' disconoscersi che una simile impostazione finisce col restringere la portata sostanziale (di effettivita') dell'art. 112 della Costituzione; in piu' di un caso infatti (specialmente quando gli eventi richiedono un tempestivo intervento repressivo per assicurare la genuinita' delle fonti di prova), quell'obbligo privo di qualificanti poteri strumentali si riduce a poco piu' di un flatus vocis. Tuttavia, pur prescindendo da questa riserva e riconosciuta, in ipotesi, la fondatezza dell'opinione prevalente, non sembra costituzionalmente ineccepibile che il legislatore ordinario - attribuiti in via esclusiva al giudice i poteri di cattura - doti il p.m. di potesta' coercitiva semplicemente provvisoria e meramente sostitutiva di quella del giudice, abilitato a sindacarla mediante forme di controllo tali da dar dubitare della sua natura giurisdizionale. La legge n. 330/1988 ha elevato al sistema un tal tipo di sindacato. Non puo' sfuggire - cio' e' palese specialmente nella previsione dell'art. 7 della legge citata - che tale forma di controllo e' del tutto simile (addirittura speculare) rispetto a quella che il terzo comma dell'art. 13 della Costituzione prevede per gli atti di limitazione della liberta' personale adottati in via d'urgenza, dall'autorita' di p.g. Poiche' non e' la denominazione o l'inquadramento istituzionale dell'organo che lo emana ma e', invece, la natura sostanziale del potere esercitato a qualificare l'atto che lo esprime, deve convenirsi che, in materia di liberta' personale, la legge, ormai, attribuisce al p.m. prerogative simili (per presupposti e sistema di controlli) a quelle dell'autorira' di p.g.; come tali non piu' riconducibili nell'ambito della giurisdizione. Peraltro, cio' non si armonizza col secondo comma dell'art. 13 della Costituzione, che, certo, non ha inteso indulgere al "nominalismo giuridico" quando ha attribuito all'"autorita' giudiziaria" (di cui il p.m. e' organo) l'autonomo potere di "limitare la liberta' personale". Solo negando al p.m. natura di organo della giurisdizione (specialmente in tema di liberta' personale) e attribuendogli, invece, quella di organo amministrativo, assimilato alla p.g. potra' ammettersi che con legge ordinaria si preveda un sindacato repressivo sugli atti coercitivi del p.m., legittimato ad incidere sulla liberta' personale in sostituzione del giudice (effettivo titolare del potere) e nei soli casi di "necessita' e urgenza". Tuttavia, finche' il p.m. sara' inserito in un quadro costituzionale come quello attuale - che gli impone di ispirarsi nell'esplicare le sue funzioni, a canoni di legalita', obiettivita' e neutralita', che connotano, almeno in uno stato di diritto, l'attivita' giurisdizionale - dovra' riconoscersi che non e' consentito istituzionalizzare ipotesi di sindacato repressivo, del tipo previsto nell'art. 7 della legge n. 330/1988, sugli atti giurisdizionali del p.m.