IL TRIBUNALE
    Ha  pronunciato  la seguente ordinanza nella causa contro De Felip
 Fabio, nato il 28 febbraio  1963  a  Olten  (Svizzera),  residente  a
 Vazzola  (Treviso) in piazza Vittorio Emanuele n. 74, celibe, licenza
 media, in attesa occupazione, impossidente, incensurato, recluta  nel
 distretto   militare  principale  in  Treviso,  libero,  imputato  di
 mancanza alla chiamata aggravata (artt. 151, primo comma, e  154,  n.
 1,  del  c.p.m.p.)  perche',  rientrato  definivamente in patria il 5
 febbraio 1983 e tenuto a rispondere alla  prima  chiamata  alle  armi
 successiva  al  suo  rientro  disposta  con pubblico manifesto avente
 valore di precetto personale, ai sensi della circ. 844  in  c.u.  del
 1982,  n.  3069,  ometteva  senza  giusto  motivo  di  presentarsi al
 distretto militare di  appartenenza  il  giorno  12  settembre  1983,
 rimanendo assente arbitrariamente nei cinque giorni successivi e fino
 al giorno 12 settembre 1988, data in cui si presentava  al  distretto
 militare di Treviso.
                            FATTO E DIRITTO
    Il  giovane  De  Felip  Fabio,  confermando discolpe gia' rese nel
 corso dell'interrogatorio dinanzi al pubblico ministero, nell'odierno
 dibattimento  ha dichiarato che la sua non ottemperanza alla chiamata
 alle armi del secondo contingente 1983, e la conseguente sua  assenza
 dal servizio, erano state determinate da ignoranza della normativa in
 tema di presentazione alle  armi  per  lo  svolgimento  del  servizio
 militare  di ferma. Piu' particolarmente, egli, trasferitosi nel 1979
 con il padre a Berlino ovest per svolgervi l'attivita'  di  gelataio,
 era  rimasto  nella detta citta' (salvo qualche temporaneo rientro in
 Italia) sino al febbraio 1983, quando, a  causa  del  non  favorevole
 andamento  della  piccola azienda, assieme al padre aveva programmato
 di rientrare definitivamente in Italia.
    Per istruzioni sull'obbligo militare, dal quale era dispensato sin
 quando non fosse  cessata  la  sua  residenza  all'estero,  si  erano
 rivolti   al  consolato  d'Italia  in  Berlino  ovest,  autorita'  in
 precedenza  adita  anche  per  altre  pratiche  militari,  quale   la
 concessione,  in occasione del periodo annuale di ferie, del permesso
 di temporaneo rimpatrio (art. 104, del d.P.R. 14  febbraio  1964,  n.
 237).  Il  funzionario  preposto alle informazioni di questo tipo gli
 aveva detto che, al suo definitivo  rientro  in  Italia,  l'autorita'
 militare,   cui   questo   cambiamento  di  residenza  sarebbe  stato
 comunicato, avrebbe provveduto a convocarlo  individualmente  per  la
 presentazione del servizio militare.
    A  seguito di questo suo contatto con il consolato d'Italia, aveva
 ritenuto di non essere tenuto al servizio  militare  sin  quando  non
 fosse  intervenuta  la precettazione individuale, ed ignorato che, al
 contrario, sarebbe stato suo dovere rispondere alla chiamata cui  era
 interessato  sulla  base  del  relativo pubblico manifesto. Avendo da
 sempre ignorato addirittura l'esistenza  dei  pubblici  manifesti  di
 chiamata alle armi, sulla base delle informazioni avute non si era di
 certo attivato per sapere se esistessero atti generali del genere  e,
 tanto   meno,  per  prendere  visione  del  loro  concreto  contenuto
 precettivo.
    Questa  situazione di ignoranza del De Felip riguarda, ancor prima
 che la concreta disposizione (di  presentarsi  entro  un  determinato
 termine  ad  una  determinato  reparto militare) promanante dall'atto
 amministrativo di chiamata alle armi, la norma,  contenuta  nell'art.
 543  del  reg.  es.  r.d.  24  febbraio  1938, n. 329, secodo cui "Le
 reclute  che  non  ricevessero  la   cartolina   precetto...   devono
 ugualmente  presentarsi  nei  giorni  stabiliti dal manifesto, la cui
 pubblicazione vale per essi come precetto personale". E'  l'ignoranza
 di  tale  norma  che  ha  generato  nel  De  Felip  la successiva non
 conoscenza  del  precetto  derivante  dall'atto   amministrativo   di
 chiamata del secondo contingente 1983.
    In  ordine alla relazione tra la citata disposizione regolamentare
 ed il precetto penale dell'art.  151  del  c.p.m.p.,  comunemente  si
 ritiene  che  essa  valga  ad  integrarlo. Pertanto, all'ignoranza in
 discorso dovrebbe essere riconosciuto,  o  negato,  rilievo  scusante
 alla  stregua dei criteri posti dall'art. 5 del c.p., come modificato
 dalla sentenza della Corte costituzionale n. 364/1988.
    Tuttavia,  quest'applicabilita'  dei  principi  comuni e' preclusa
 dalla disposizione speciale dell'art. 39 del  c.p.m.p.,  secondo  cui
 "Il militare non puo' invocare a propria scusa l'ignoranza dei doveri
 inerenti al suo stato militare". Si  tratta,  come  ha  affermato  la
 stessa  Corte costituzionale, si' di "doveri in astratto", ma non per
 cio'  cosi'  generici  da  prescindere  dalle  norme  legislative   e
 regolamentari  che  in  astratto  li  configurano  in  un certo modo,
 piuttosto che in un altro. Per cui, prendendo ad esempio la normativa
 qui  in  esame,  costituisce  inescusabile ignoranza dei doveri dello
 stato militare la non conoscenza della disposizione del  citato  art.
 543,  che impone la presentazione alle armi sulla base del manifesto,
 anche in mancanza del precetto personale (v. per tutte t.s.m. 9 marzo
 1965,  Cavalieri, in giust. pen. 1965, II, 702, 73). E di conseguenza
 l'art. 39, che sino alla sentenza costituzionale n. 364/1988  era  in
 linea  con l'art. 5 del c.p., ora per i reati dei militari stabilisce
 una disciplina ad esso derogatoria.
     Il  De  Felip,  dopo un periodo di assenza dall'Italia e prima di
 rientrarvi definitivamente, si e' con diligenza dato cura di assumere
 sui   suoi   doveri   militari   le  necessarie  informazioni  presso
 l'autorita' a cio' abilitata, il  consolato  d'Italia.  Era,  questa,
 l'autorita'  cui  piu' volte in precedenza si era affidato, e proprio
 per quei permessi di temporaneo rimpatrio, che non aveva  mancato  di
 fargli   conseguire  il  legittimo  risultato  di  mantenere  la  sua
 esenzione dal servizio militare. Di conseguenza, dal momento  che  si
 tratta  -  alla  stregua delle discolpe dell'imputato -, di ignoranza
 determinata   da   erronee   informazioni   fornite   dall'autorita',
 l'indagine  di  questo  tribunale  viene  a  riguardare  una concreta
 fattispecie  in  cui  l'ignoranza  medesima  potrebbe  effettivamente
 presentarsi    con    i    tratti    della    non    evitabilita'   e
 dell'incolpevolezza, secondo i parametri  costituzionali  individuati
 con  la  gia'  citata  sentenza  n. 364/1988. Pur senza anticipare il
 giuudizio  di   merito,   in   ragione   delle   descritte   discolpe
 dell'imputato,    che    non   si   presentano   con   il   carattere
 dell'inverosimiglianza, per l'indagine affidata a questo  giudice  di
 certo  non  e'  indifferente  che l'ignoranza dei doveri militari sia
 comunque inescusabile, o che pittosto eccezionalmente  sia  scusabile
 analogamente a quanto ora previsto nell'art. 5 del c.p.
    Pertanto,  questo  tribunale  ritiene  di  dover  ancora sollevare
 questione di legittimita' dell'art. 39 del  c.p.m.p.  in  riferimento
 all'art.  5  del c.p., considerandola non manifestamente infondata in
 relazione a plurime disposizioni della Costituzione.
    Con la recente sentenza, interpretativa di rigetto, n. 325/1989 la
 Corte ha dichiarato non fondata  la  questione  di  costituzionalita'
 dell'art.  39  in  riferimento  all'art.  47  del  c.p.,  in tal modo
 definitivamente  negando   legittimita'   all'interpretazione,   pure
 corrispondente  alla  mens  legislatoris  e seguita da notevole parte
 della  giurisprudenza  militare,  secondo  cui  inescusabile   doveva
 considerarsi,   appunto   in  deroga  all'art.  47  del  c.p.,  anche
 l'ignoranza dei "fatti" che rendono operanti  i  doveri  in  astratto
 disciplinati  dalla  norma giuridica, e particolarmente del manifesto
 di chiamata alle armi. Ma la Corte non e' ancora entrata  nel  merito
 della  questione di legittimita' dell'art. 39 in riferimento all'art.
 5 del c.p., rilevante nel presente giudizio.
    Non  si  vede,  innanzitutto, quali valide giustificazioni possano
 prospettarsi a sostegno dell'attuale disciplina,  che,  mentre  ormai
 prevede  l'acennata  eccezione  al principio dell'inescusabilita' nel
 caso di ignoranza della legge penale e  della  legge  extrapenale  in
 genere che ad essa dia integrazione, ancora contempla un'inderogabile
 ed intransigente inescusabilita' quando si tratti di legge fondante i
 doveri  militari,  e  che nel contempo, come nella specie, alla legge
 penale dia integrazione. La diversita' di trattamento,  che  opera  a
 danno  del  militare,  di  certo non potrebbe trovare giustificazione
 nella   considerazione   che   con    l'art.    39    il    principio
 dell'inescusabilita' viene a riguardare una normativa che, per essere
 quella  del  proprio  status  comunque  non  puo'   essere   ignorata
 incolpevolmente. Questa considerazione puo' forse applicarsi a status
 personali e professionali acquisiti per libera scelta e il piu' volte
 dopo  lunga  e  specifica  preparazione,  ma  non alla situazione del
 militare che tale qualita' assume automaticamente per il sol fatto di
 essere  chiamato alle armi, e senza che sia necessaria una preventiva
 istruzione e nemmeno, come e' avvenuto per il De  Felip,  l'effettiva
 presentazione alle armi (art. 3, primo comma, n. 2, del c.p.m.p.).
    Si  tratta, dunque, di una violazione del principio costituzionale
 di  uguaglianza  (art.  3  della  Costituzione).  Ma  e'  altrettanto
 evidente che, come a suo tempo l'art. 5 del c.p., cosi' l'art. 39 del
 c.p.m.p., che consente l'affermazione di penale responsabilita' sulla
 base  di  un  dolo in parte fittiziamente determinato ed anche quando
 non  sia  stato  trasgredito  il  dovere  strumentale   di   prendere
 conoscenza  dei doveri dello stato militare, non puo' non apparire in
 contraddizione con l'art. 27, primo comma, e, come  taluno  mette  in
 rilievo, con lo stesso art. 25, secondo comma, della Costituzione, in
 ragione di un particolare corollario del principio di legalita',  che
 riafferma  quella  stessa  esigenza  che  sta alla base del principio
 dell'art. 27, primo comma.
    Il  militare,  per lintensita' dei suoi doveri politici (artt. 52,
 primo e secondo comma, e  54,  secondo  comma,  della  Costituzione),
 appare  strettamente  collegato  all'ordinamento  giuridico  ed  alle
 istituzioni, piu' di quanto non avvenga per il  cittadino  qualsiasi.
 Ma  cio',  evidentemente,  non  puo'  legittimare una responsabilita'
 penale sui generis, quale ora si configura per la  vigenza  dell'art.
 39  del  c.p.m.p. Anzi, non vi e' dubbio che sotto questo profilo non
 possano subire particolari deroghe i  suoi  fondamentali  diritti  di
 liberta' (artt. 2 e 13 della Costituzione), del resto posti alla base
 dello stesso  ordinamento  militare  (art.  52,  terzo  comma,  della
 Costituzione).
    In  definitiva, questo tribunale solleva questione di legittimita'
 dell'art. 39 del c.p.m.p. in riferimento  all'art.  5  del  c.p.,  in
 relazione  agli artt. 2, 3, 13, 25, secondo comma, 27, primo comma, e
 52, terzo comma, della Costituzione.