IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE
   Ha  pronunciato  la  seguente  ordinanza  sul  ricorso  n. 653/1989
 proposyto da Pitino Salvatore, rappresentato e difeso dall'avv. Luigi
 Piccione,  ed elettivamente domiciliato in Catania, via Conte Ruggero
 n. 9, presso lo studio dell'avv. Pietro Paterniti La Via,  contro  il
 Ministero   della   difesa,  in  persona  del  Ministro  pro-tempore,
 rappresentato e difeso dall'avvocatura distrettuale  dello  Stato  di
 Catania,  domiciliataria,  per  l'annullamento,  previa  sospensione,
 della cartolina  precetto  inviatagli  dal  Ministero  della  difesa,
 comando  militare  mittente il distretto di Siracusa con la quale gli
 e' fatto obbligo di presentarsi il giorno  8  marzo  1989  presso  il
 battaglione  fanteria  "Savona"  di  stanza  a Savona per prestare il
 servizio militare di leva;
    Visto il ricorso con i relativi allegati;
    Visto  l'atto  di  costituzione  in  giudizio  del Ministero della
 difesa;
    Visti gli atti tutti della causa;
    Designato relatore per la camera di consiglio del 9 maggio 1989 il
 referendario Vincenzo Salamone;
    Udito l'avv. Luigi Piccione per il ricorrente;
    Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue;
                               F A T T O
    Con  il  gravame  introduttivo  del  giudizio  si  espone  che  al
 ricorrente  in  data  25  febbraio  1989  e'  stata   comunicata   la
 cartolina-precetto, impugnata con la quale si disponeva che lo stesso
 era tenuto a presentarsi il giorno 8 marzo 1989 presso il battaglione
 fanteria "Savona" per adempiere al servizio di leva.
    Il  ricorrente  aveva gia' usufruito del ritardo nella prestazione
 del servizio di leva per motivi di studio sino al 31  dicembre  1987,
 allorquando,  dopo  aver  conseguito il diploma di geometra nell'anno
 scolastico  1986-87,  non  avendo  piu'  titolo,  non  ha   richiesto
 ulteriore rinvio.
    Il  provvedimento  impugnato  sarebbe  illegittimo  per violazione
 dell'art. 21 secondo comma, della legge 31 maggio 1975,  n.  191,  in
 quanto  prevede  che,  cessato  il  titolo del ritardo, coloro che ne
 fruiscono sono tenuti a prestare il servizio militare  con  il  primo
 scaglione  o  contingente  chiamato  alle  armi  se  dell'esercito  o
 dell'aeronautica,   con   la   conseguenza   che   sarebbe    inibito
 all'amministrazione  disporre  la  chiamata  con  ulteriori scaglioni
 senza limiti temporali, come e' avvenuto  nella  fattispecie  oggetto
 del giudizio.
    Il  Ministero  della  difesa,  costituitosi  in  giudizio  con  il
 patrocinio dell'avvocatura distrettuale dello Stato  di  Catania,  ha
 chiesto il rigetto del gravame.
    Nella   camera  di  consiglio  del  9  maggio  1989  il  tribunale
 amministrativo regionale con coeva ordinanza collegiale  n.  377,  in
 accoglimento  temporaneo  della  domanda  cautelare,  ha  disposto la
 sospensione  dell'esecuzione  del  provvedimento  impugnato  con   il
 gravame  di  cui in epigrafe sino alla camera di consiglio successiva
 alla restituzione degli atti da parte della Corte  costituzionale,  a
 seguito   della   decisione   dell'incidente   di  costituzionalita',
 sollevato con la presente ordinanza.
                             D I R I T T O
    1.  - Il collegio ritiene rilevante e non manifestamente infondata
 la questione di costituzionalita' dell'art. 21, secondo comma,  della
 legge 31 maggio 1975, n. 191, per contrasto con gli artt. 3, 23, 52 e
 97, primo comma, della Costituzione.
    Occorre  premettere  a  tal  proposito  che secondo una prevalente
 giurisprudenza dei tribunali amministrativi regionali l'art. 21 della
 legge  31  maggio  1975,  n.  191  - il quale prevede che, cessato il
 titolo al ritardo della chiamata alle armi, coloro che  ne  fruiscono
 sono  tenuti  a  prestare  il servizio militare col primo scaglione o
 contingente successivo - non puo' essere interpretato  nel  senso  di
 generico  riconoscimento  all'amministrazione della difesa del potere
 di disporre la effettiva  chiamata  alle  armi  dell'interessato,  ma
 piuttosto  nel senso di specifica prescrizione dei tempi di esercizio
 di siffatto potere (t.a.r. Veneto  21  gennaio  1986,  n.  5;  t.a.r.
 Friuli-Venezia  Giulia 20 gennaio 1986, n. 5; t.a.r. Sicilia, Palermo
 sezione seconda 31 maggio 1988, n. 413).
    Il  predetto  orientamento  giurisprudenziale  e'  stato condiviso
 dalla sezione staccata di Catania, del t.a.r. della Sicilia, che  con
 numerose  ordinanze  ha  sospeso  provvedimenti di chiamata alle armi
 adottati in violazione del precetto  normativo  di  cui  all'art.  21
 della legge n. 191/1/975, interpretato nel modo predetto.
    Il  giudice  d'appello,  e  segnatamente il consiglio di giustizia
 amministrativa per la regione siciliana, con la decisione  19  aprile
 1989,  n.  110,  ha annullato la sentenza del t.a.r. Sicilia, sede di
 Palermo n. 413/1988, muovendo dal presupposto che il termine  di  cui
 all'art. 21, della legge citata, non puo' avere carattere perentorio,
 per cui "mentre da un lato riafferma  l'obbligo  per  l'arruolato  di
 adempiere   all'obbligo   militare  senza  ulteriori  indugi,  assume
 carattere sollecitatorio nei confronti dell'amministrazione".
    La conseguenza di tale assunto e' che non sussisterebbe un termine
 nel sistema normativo di cui alla legge n. 191/1975 volto a  limitare
 temporalmente il potere di imporre la chiamata alle armi.
    2.  -  La decisione del giudice d'appello, lungi dal costituire un
 precedente vincolante nei confronti dei giudici di primo grado assume
 indubbiamente  rilievo  e cio' soprattutto in relazione alla esigenza
 di assicurare, sempre nei limiti  della  liberta'  di  coscienza  del
 giudice, la certezza del diritto.
    Quanto    mai   dannoso   si   appalesa   infatti   un   contrasto
 giurisprudenziale prolungato nel tempo sia in relazione  alla  azione
 della  pubblica  amministrazione  che  in relazione all'assetto degli
 interessi privati in contestazione.
    Alla  luce  delle  predette  considerazioni  il collegio muove dal
 presupposto che la interpretazione del dato normativo  prescelta  dal
 giudice   d'appello   sia  corretta  per  ritenere  la  questione  di
 costituzionalita' rilevante al fine della decisione del gravame.
    La  violazione  dell'art.  21 della legge n. 191/1975 e', infatti,
 l'unico motivo di gravame;  la  soluzione  esegetica  propugnata  dal
 giudice d'appello, determinerebbe il rigetto del gravame.
    Qualora  invece la norma invocata fosse ritenuta incostituzionale,
 ovvero  qualora  la  Corte  costituzionale  interpretasse   il   dato
 normativo  in  conformita'  con  i  precetti  costituzionali potrebbe
 pervenirsi all'accoglimento del gravame.
    2.   -   Cio'   premesso  il  collegio  ritiene  la  questione  di
 costituzionalita'  dell'art.  21,  secondo  comma,  della  legge   n.
 191/1975  per contrasto con gli artt. 23, 52 e 97, primo comma, della
 Costituzione, non manifestamente infondata.
    In  primo  luogo  e'  opportuno  ricordare  che  assume rilievo di
 principio costituzionale quello per cui nessuna prestazione personale
 possa  essere  imposta  se  non  in  base  alla  legge (art. 23 della
 Costituzione).
    L'art.  52  disciplina  il  servizio militare sia quale dovere del
 cittadino di  difesa  della  Patria  che  quale  obbligo  comportante
 prestazione  personale  che  va  disciplinato  per  legge  sia  nelle
 modalita' che nei limiti.
    Per  quanto riguarda il servizio militare, inoltre, il legislatore
 costituzionale  ha  fatto  assurgere  a  principio  ispiratore  della
 attivita'   legislativa   quello   relativo   alla  esigenza  di  non
 pregiudicare  le  posizioni  lavorative  e  l'esercizio  dei  diritti
 politici.
    Il  legislatore  ha  puntualmente  disciplinato  le modalita' ed i
 limiti (anche temporali) per l'esercizio del  potere  di  imposizione
 del   servizio   di  leva,  in  cio'  dando  concreta  e  sostanziale
 applicazione alla riserva di legge imposta dalla Costituzione.
    La normativa che disciplina, infatti, la chiamata alle armi per il
 servizio di leva  contiene  una  serie  di  norme  volte  a  limitare
 temporalmente il predetto potere ed in particolare prevede:
      all'art.  3  della legge 31 maggio 1975, n. 191, che la chiamata
 alle armi ha luogo nell'anno in cui i giovani arruolati  compiono  il
 diciannovesimo anno di eta', dando facolta' al Ministero della difesa
 di anticipare o ritardare di  un  anno  la  chiamata  stessa,  quando
 speciali circostanze lo esigono;
      all'art.  100,  lett.  b),  del  decreto  del  Presidente  della
 Repubblica 14 febbraio 1964, n. 237 (norma ancora  vigente  ai  sensi
 dell'art.  40  della  legge  n.  191/1975) che e' data la facolta' di
 dispensare dal compiere la ferma di leva agli arruolati eccedenti  il
 fabbisogno   quantitativo   e   qualitativo  per  la  formazione  dei
 contingenti o scaglioni da incorporare.
    Invero  di  discrezionalita'  nel  quid  e  nel  quomodo  non puo'
 parlarsi essendo l'evenienza regolata da rigide norme  sostanziali  e
 procedimentali,   mentre   anche  la  discrezionalita'  nell'  an  e'
 strettamente vincolata  dall'esistenza  o  meno  della  copertura  di
 bilancio,  onde  non  si vede dove possa trovare spazio una qualsiasi
 ponderazione di interessi pubblici da  parte  del  Ministro,  essendo
 l'intera  vicenda o regolamentata da norme procedimentali tassative o
 rigidamente  dipendente  dalla  concreta  contingente  situazione  di
 bilancio.
    La  predetta  procedura  che limita temporalmente la chiamata alle
 armi trova ragione di essere in quanto  quest'ultima  rappresenta  al
 massimo  grado  di evidenza il momento dell'ablazione obbligatoria ed
 ha come immediato effetto quello di rendere operative  le  situazioni
 soggettive  (in  prevalenza  obblighi di prestazione) riferibili allo
 status di militare.
    Le  norme  predette  trovano  ovvia  ratio  sia  nella esigenza di
 disciplinare temporalmente l'imposizione della prestazione personale,
 che  altrimenti  sarebbe  sottratta  alla riserva di legge, sia nella
 esigenza di non pregiudicare la posizione lavorativa del cittadino.
    Quest'ultimo,  infatti,  in  caso di arruolamento, in via di fatto
 subisce un danno derivante dalla soggezione all'obbligo  di  chiamata
 alle  armi,  che molto spesso e' causa ostativa dell'assunzione nelle
 imprese private e situazione che non consente  scelte  programmatiche
 di   studio   post-universitario   o  di  attivita'  professionali  e
 lavorative autonome.
    Il  limite  temporale  della  chiamata alle armi ed il conseguente
 interesse legittimo a conseguire la dispensa ex art. 100,  lett.  b),
 del  decreto  del Presidente della Repubblica n. 237/1964, rispondono
 quindi  a  finalita'  che  trovano  puntuale  affermazione  in  norme
 costituzionali.
    La  stessa  Corte costituzionale ha ritenuto che il termine per la
 chiamata alle armi non ha natura  ordinatoria  in  quanto  posto  per
 assicurare  esigenze  di valenza costituzionale, con la sentenza 6-24
 maggio 1985, n. 164.
    La  Corte con quest'ultima decisione, in relazione alla natura del
 termine di cui all'art. 3, secondo comma,  della  legge  15  dicembre
 1972,  n.  772,  ha  precisato  che  "proprio  perche' il termine ivi
 previsto non puo'  essere  considerato  meramente  ordinatorio  perde
 consistenza  l'asserto  secondo  cui  chi  si  dichiara  obiettore di
 coscienza resterebbe - a differenza degli altri obbligati alla leva -
 per  un  periodo  indeterminabile  alla  merce' dell'amministrazione,
 esposto al rischio di comportamenti vessatori".
    La  stessa  Corte  costituzionale  con  la  sentenza richiamata ha
 rivolto un preciso monito alla  amministrazione  precisando  "che  di
 pari  passo  con  la  ricerca  di soluzioni anche pratiche tendenti a
 realizzare equipollenza di contenuti tra i diversi tipi  di  servizio
 previsti  per gli obbligati alla leva, ci si debba attendere una piu'
 puntuale applicazione dell'art. 3,  secondo  comma,  della  legge  15
 dicembre  1972,  n.  772, onde circoscrivere al minimo indispensabile
 gli  innegabili  disagi  connessi  ad  ogni  prolungata  attesa.   Al
 superamento   degli  inconvenienti,  che  si  sono  verificati  e  si
 verificano  in  concreto,  dovrebbero  dare  sicuramente   contributo
 positivo,  oltre  al  progressivo assestamento delle varie componenti
 dell'istituto, sia l'impiego di  strumenti  organizzativi  fortemente
 acceleratori quali l'informatica mette sempre piu' a disposizione".
    Operate  le  superiori  premesse  il  collegio  rileva  che  se si
 ritenesse l'art. 21, secondo comma, della legge n. 191/1971 norma che
 deroga  al  principio  normativo per cui la chiamata alle armi non va
 disposta entro un termine perentorio,  dovrebbero  ritenersi  violati
 l'art.  3  e l'art. 52 della Costituzione in quanto si determinerebbe
 una disparita' di trattamento rispetto agli  arruolati  i  quali  non
 usufruiscono del diritto al rinvio della chiamata alle armi.
    Questi ultimi infatti per il combinato disposto dell'art. 3, primo
 comma, della legge n. 191/1975 e dell'art. 100, lett. b), del decreto
 del   Presidente   della  Repubblica  n.  237/1/964,  debbono  essere
 depennati  dalla  chiamata  alle  armi  in  caso  di  eccedenza   del
 fabbisogno  dei  contingenti  nell'anno  successivo al compimento del
 diciannovesimo anno di eta'.
    Inoltre  qualora  si ritenesse che l'art. 21, secondo comma, della
 legge n. 191/1985 non contenga un termine perentorio per la  chiamata
 alle  armi  dovrebbero anche ritenersi violati gli art. 52 e 23 della
 Costituzione perche' impone una prestazione  personale  (servizio  di
 leva)  senza  limitazione  temporale  e  quindi senza indicazione del
 limite e delle modalita' la cui disciplina e' coperta da  riserva  di
 legge.
    Infine  l'art.  21,  secondo comma, della legge citata viola lart.
 97, primo comma, della Costituzione in  quanto  profila,  in  materia
 soggetta  a  riserva  di legge, un esercizio delle potesta' pubbliche
 non improntato alla esigenza  costituzionale  del  buon  andamento  e
 della imparzialita'.
    Il  collegio  ritiene,  pertanto,  conclusivamente che ricorrono i
 presupposti  normativi  per  la  rimessione  degli  atti  alla  Corte
 costituzionale.
    Va  pertanto  disposta  la  sospensione del presente giudizio e la
 trasmissione degli atti alla Corte costituzionale per la  risoluzione
 della sopra prospettata questione di costituzionalita'.