Ricorso   per   la   regione  Umbria,  in  persona  del  presidente
 pro-tempore della giunta regionale Francesco Mandarini, rappresentata
 e  difesa  per  procura a margine del presente atto dall'avv. Alberto
 Predieri e presso il suo studio elettivamente  domiciliata  in  Roma,
 via  Nazionale,  230, giusta deliberazione g.r. n. 6131 del 30 agosto
 1989,  contro  il  Presidente  del  Consiglio   dei   Ministri,   per
 l'annullamento dell'art. 8 del d.-l. 5 agosto 1989, n. 279.
    1.  -  Il  d.-l.  n.  279/1989  reitera il decreto n. 196/1989 che
 reiterava il d.-l. 28 marzo 1989,  n.  110,  il  quale  a  sua  volta
 reiterava  il d.-l. 30 dicembre 1988, n. 548. Siamo al quarto decreto
 con una norma, quella impugnata, ripetuta pari pari, quella dell'art.
 6   del   d.-l.  n.  110/1989,  la  quale  a  sua  volta  riproduceva
 integralmente quella dell'art. 11 del d.-l.  n. 548/1988. Il secondo,
 terzo e quarto comma dell'art. 6 del d.-l.  n. 196/1989 sono identici
 ai corrispondenti commi dell'art. 6 del d.-l. n. 110/1989, i quali  a
 loro  volta  erano di poco diversi dai corrispondenti commi dell'art.
 11  del  d.-l.  n.  548/1988.  Si  modifica   solo   la   numerazione
 dell'articolo  che  nell'ultima  versione  da 6 diventa 8 e facendosi
 slittare il termine previsto per il giugno al mese di agosto. Il  che
 e'  nuova  testimonianza  della  assoluta inesistenza del presupposto
 della urgenza  richiesto  dalla  costituzine,  asserito  senza  alcun
 ragguaglio  ne'  indicazione nella motivazione addotta nel preambolo,
 nella continuazione di una prassi da tutti  ritenuta  illeggittima  e
 distorsiva ma che persiste.
    L'identita'  di  disposizioni  rende  invisibile la ripetizione di
 argomentazioni gia' esposte nel precedente ricorso, anche  se  talune
 nuove considerazioni vengono sottoposte alla Corte.
    2.  -  Non si puo' tacere che lo strumento adoperato per sottrarre
 illegittimamente la  competenza  alle  regioni,  cioe'  il  d.-l.  n.
 196/1989,  e'  illegittimo  nella  sua  struttura,  oltre che nel suo
 contenuto invasivo della sfera regionale, sotto piu' profili, i quali
 tutti   concorrono   a   manifestare  l'illegittimita'  e  rafforzano
 l'illegittimita' della spoliazione che  la  regione  Umbria  denuncia
 alla Corte.
    La  piaga dell'abuso o dell'uso disinvolto (per usare le parole di
 un giurista autorevole gia' presidente della Corte) dei decreti-legge
 e'  aggravata  quando  all'impiego  del  decreto-legge fuori dei casi
 straordinari previsti dalla Costituzione, si aggiunge la  prassi  del
 tutto  incostituzionale  delle  reiterazioni  a  catena  dello stesso
 decreto  che,  non  convertito,  viene  ritirato  e   contestualmente
 ripresentato via via.
    Un  decreto-legge  reiterato non e' solo illegittimo: e' anche una
 manifestazione, divenuta purtroppo istituzionale,  delle  istituzioni
 "materiali"   contrarie  alla  Costituzione,  all'unica  Costituzione
 normativa, e di discredito del diritto e della funzione  legislativa.
 Esso  sancisce,  visivamente  e simbolicamente, l'inadeguatezza di un
 congegno che non  produce  diritto,  cioe'  certezza,  ma  incertezza
 continuata,  con  una  sovrapposizione di precetti decaduti, talvolta
 poi  fatti  rivivere  in  qualche  modo,  oppure  mantenuti  in  vita
 sincronizzando   decadenze  e  riedizioni  del  decreto,  sempre  con
 stravolgimento delle norme costituzionali. Alla funzione  legislativa
 esercitata  dal  Parlamento viene sostituita una funzione legislativa
 esercitata  indebitamente  e  illegittimamente   dal   Governo,   con
 reiterazioni  che  assicurano  la continuita' della normativa stessa,
 sconvolgendo  i   termini   di   decadenza   posti   dall'ordinamento
 costituzionale.  Nel  nostro  caso  il termine posto oggi dall'art. 8
 continua ad essere prorogato; ma in realta'  non  si  tratta  di  una
 proroga  vera  e  propria,  sibbene  del  mantenimento  in  vita  con
 decreto-legge  degli  effetti  di  un  decreto-legge   decaduto   con
 violazione dell'ultimo comma dell'art. 77 della Costituzione.
    La  reiterazione  del decreto-legge comporta sempre una violazione
 che rovescia il ruolo costituzionale del  Governo  nell'ambito  della
 ripartizione  dei  poteri  che  vede il Governo operatore principale,
 nella fase dell'iniziativa legislativa. Mentre nella decretazione  di
 urgenza  il  Governo  diviene legislatore che aggrega la domanda e ad
 essa risponde con una legislazione frammentaria, confusa,  episodica.
 La   reiterazione   produce,   di   fatto,   una  convalidazione  dei
 comportamenti che la decadenza dei decreti avrebbe reso contra  legem
 in  quanto  le  disposizioni  contenute  nel  decreto  non convertito
 perdono  di  efficacia  giuridica  completamente,  tanto  da   essere
 considerato  tantum  non  esset.  Come  bene  e'  stato scritto da un
 autorevole presidente della Corte "i  decreti-legge  sono  gli  unici
 atti   normativi,   previsti  dal  nostro  sistema,  suscettibili  di
 trasformarsi - nel caso non vengano tempestivamente convertiti  -  da
 fonti  di  diritto in fonti di illecito, lasciando del tutto privi di
 fondamento i rapporti instauratisi ai sensi delle loro  prescrizioni.
 Di  piu':  nell'ipotesi  scolastica,  ma  non  irrealizzabile, di una
 sentenza non piu' impugnabile che sia stata emessa in applicazione di
 un  decreto-legge destinato a decadere, ne deriva la possibilita' che
 venga meno la stessa autorita' della 'cosa giudicata',  al  di  fuori
 dei   casi  tassativamente  previsti  dalle  norme  processuali"  (L.
 Paladin, Lezioni di diritto costituzionale, Padova, 1977, 165).  Cfm.
 in  giurisprudenza: "le disposizioni dei decreti-legge non convertiti
 ovvero sostituite o  modificate  in  senso  sostanziale  in  sede  di
 conversione  perdono  ex  tunc  la  loro efficacia con la conseguente
 illegittimita' degli atti e dei rapporti giuridici sorti in base alle
 norme  non convertite e sostituite" (Cass., 17 febbraio 1978, n. 781,
 in Giust. civ., 1978, I, 869).
    3.  -  Sul  punto  la  Corte si e' pronunciata con chiarezza nella
 sentenza n. 307/1983 della Corte costituzionale, punto 7.
    Ma  tutto  cio' viene nullificato dal decretatore, che continua ad
 applicare un qualche cosa che norma non  e';  che  anzi,  secondo  la
 dottrina  piu' autorevole, e' solo una fonte di illecito che di fatto
 regola la materia, come se non esistesse  l'ordine  delle  competenze
 sancito  dalla  Costituzione; che sta in piedi perche', pur dopo ogni
 manifestazione  di  volonta'   del   Parlamento,   viene   perpetuato
 autoriproducendosi,  in violazione di norme e principi. Cosicche', ad
 esempio, il termine per le comunicazioni, ampiamente scaduto ma anche
 rispettato,  viene artificiosamente prorogato solo per fingere che vi
 sia una norma da emanare mentre, in realta', c'e' solo da salvare gli
 effetti  del  precedente  decreto  dedaduto.  Il che e' consentito al
 legislatore, ma vietato, addirittura esplicitamente, al  decretatore.
    4.  -  Ancora  va  detto  che  il  d.-l.  n.  279/1989 e' privo di
 motivazione.  Essa,  per  questo  genere  di   atti   normativi,   e'
 indispensabile:  e  sarebbe  stata  tanto piu' necessaria, perche' il
 testo  della  disposizione  illegittima  mancava   nelle   precedenti
 versioni  ne'  corrisponde  al  titolo  del  decreto  e  abbisognava,
 percio',  di  una  autonoma  motivazione  che  desse  ragione   della
 esistenza  di  quel caso straordinario di necessita' e di urgenza che
 l'art. 77 della Costituzione esige come presupposto  per  l'esercizio
 del potere di decretazione.
    La  motivazione addotta (e che e' sempre la stessa in ogni decreto
 anche se il contenuto  cambia  e  si  introducono  norme  su  materie
 diverse) e' pura tautologia.
    In  altre parole, la motivazione della straordinaria necessita' ed
 urgenza e' data dal dire che  c'e'  la  straordinaria  necessita'  ed
 urgenza. Questa e' una non-motivazione o, peggio, una irrisione.
    5.  -  La  regione Umbria deve rilevare che l'illegittimita' della
 reiterazione e' rilevante sotto il profilo della  lesione  delle  sue
 competenze,  perche'  si ha l'esercizio di un potere illegittimamemte
 esercitato da un  organo  diverso  da  quello  a  cui  e'  attribuito
 costituzionalmente,  cioe' il Parlamento, il cui atto legislativo nel
 sistema e' posto in posizione di supremazia nei confronti degli  atti
 legislativi  regionali,  se  emanato  nel  rispetto delle competenze:
 mentre la formazione di un atto di altro organo, di per se',  con  la
 sua  produzione,  indebita ed illegittima, invade la competenza della
 regione, statuendo su materie di  interesse  regionale,  sulle  quali
 nessuna  statuizione e' posibile se non nel rispetto delle competenze
 costituzionali (sentenze nn. 154/1967; 191/1976).
    6.  -  Non si puo' tacere che e' piu' che dubbio che nella materia
 di competenza regionale, in cui al legislatore statale  e'  riservato
 il  livello,  o  la  submateria,  dei principi, che si impongono come
 limite alla legislazione regionale, possano  emanarsi  decreti  legge
 immediatamente operativi.
    Essi pretendono di abrogare, prima ancora della conversione, leggi
 regionali, e, per di piu' leggi regionali emanate  in  attuazione  di
 una  norma  interposta rispetto al precetto costituzionale. Se anche,
 pero', si ammettesse questo intervento del decreto legge  ad  effetti
 necessariamente  precari o intermittenti e istituzionalmente caduchi,
 che opera una abrogazione anch'essa precaria (o una sospensione,  non
 prevista   da   alcuna   norma)   della  legislazione  regionale,  il
 superamento dei limiti di tempo imposti  dalla  Costituzione  ad  una
 normazione straordinaria, basata su presupposti di straordinarieta' e
 di urgenza, perpetuando senza fine gli effetti del decreto  decaduto,
 urta  contro  norme  tassative  e  contro i principi che connotano il
 sistema parlamentare e le relazioni fra regioni e Stato,  fra  organi
 costituzionali e Parlamento, Governo, regioni.
    7.  -  Il decreto-legge reiterato pretende di porre norme; ma esse
 non sono norme, a ben vedere.  La  reiterazione  comporta  che  nella
 sostanza  e'  sempre la stessa disposizione che viene riprodotta pari
 pari: ma mentre la prima aveva forza e valore di legge, le altre sono
 disposizioni  o  sequenze  di  parole, prive di effetti normativi. La
 norma  del  primo  decreto  legge  della  catena  non  convertita  e'
 decaduta.  "La  mancata  conversione  del  decreto-legge  produce  la
 cessazione  dei  suoi  effetti  -  per   necessaria   ed   automatica
 conseguenza dell'inerzia del Parlamento - come non mai esistito quale
 fonte  di  diritto  a  livello  legislativo":   cosi'   le   testuali
 espressioni  della  sentenza  n. 307/1983 della Corte costituzionale,
 punto 7). Ne  deriva  che  "le  disposizioni  dei  decreti-legge  non
 convertite  ovvero  sostituite  o  modificate in senso sostanziale in
 sede di  conversione  perdono  ex  tunc  la  loro  efficacia  con  la
 conseguente  illegittimita' degli atti e dei rapporti giuridici sorti
 in base alle norme non convertite e sostituite" (Cass.,  17  febbraio
 1978 n. 781, in Giust. civ. 1978, I, 869).
    La  reiterazione della identica disposizione decaduta altro non e'
 se non una conversione sostanziale illegittima, perche'  pretende  di
 avere  ed  ha,  di  fatto,  gli  stessi  effetti  che  avrebbe ove la
 conversione non fosse stata rifiutata e avesse avuto luogo.  Infatti,
 conversione  significa  dare,  in  via  definitiva, forza e valore di
 legge  a  disposizioni  che  tale  forza  e  valore  avevano  in  via
 transitoria,  a  tempo determinato, decorso il quale o la conversione
 attribuiva la forza e il valore ricordato o la  disposizione  perdeva
 ogni  effetto  normativo  e  giuridico,  se  non quello produttivo di
 illeciti.
    Orbene  la  norma successiva al decreto decaduto che, riproducendo
 il  testo  delle  sue  disposizioni  divenute  "mai   esistite",   ne
 costituisce una reale conversione prodotta da un organo non abilitato
 (e cioe' il governo che si sostituisce al Parlamento  solo  abilitato
 alla  conversione), e' illegittima, anzi inesistente. Il Governo puo'
 produrre norme con i presupposti che la costituzione circoscrive, con
 forza e con valore di legge nelle forme e nei modi previsti dall'art.
 77,  con  gli  effetti  limitati  nel  tempo  e   condizionati   alla
 conversione.  Ma  il Governo non puo' procedere alla conversione. Che
 tale conversione avvenga in modo  palese  o  in  modo  coperto  (come
 avviene  nei  nostri  quattro casi) la sostanza non cambia. Una norma
 che in difetto di  conversione  e'  stata  espunta  come  inesistente
 dall'ordinamento  (salvo  il  salvataggio  deciso  dal Parlamento non
 della norma ne' dell'atto ma di taluni suoi effetti  fattuali)  resta
 inesistente  e  improduttiva  di  effetti,  anche  se la disposizione
 illegittimamente viene riprodotta  in  un  contenitore,  qual  e'  il
 decreto-legge, che potra' anche contenere norme aventi forza e valore
 di  legge,  purche'  nuove  e  non  reiterate,  ma  che  per   quelle
 disposizioni  identiche  a  quelle decadute (a loro volta identiche a
 quelle del precedente decreto e cosi' via via percorrendo  a  ritroso
 questa  genesi  perversa)  non  e'  abilitato  a dare ad esse forza e
 valore di legge.
    8.  -  Invero,  non  ogni  atto  normativo  o  norma di produzione
 governativa ha forza e valore di legge: lo hanno  solo  quelle  norme
 che  sono contenute in un atto-fonte e che, di per se', possono avere
 forza e valore di legge.  In  altre  parole,  per  una  disposizione,
 l'essere  contenuta  in  un  contenitore  o  atto  fonte  elencato  o
 abilitato, qual e' il decreto-legge)  non  comporta  di  per  se'  il
 costituire   norma  avente  forza  e  valore  di  legge,  se  mancano
 presupposti e condizioni che, secondo la Costituzione,  consentono  a
 quella disposizione di acquistare quella forza e quel valore.
    Disposizione  (o struttura semantica o sequenza di parole), norma,
 atto o contenitore, anno ciascuna una loro identita' e  diversita'  e
 un   loro   ruolo,   interconnesso,  ma  non  per  questo  confuso  o
 intercambiabile. Proprio la materia dei decreti-legge  ha  dimostrato
 (nelle controversie sulla data di entrata in vigore degli emendamenti
 aggiuntivi, integrativi o sostitutivi apportati al disegno  di  legge
 nel  provvedimento  di  convenzione)  la scissione fra disposizioni e
 norme e atto, con la diversita' efficacia ex nunc ed ex tunc  su  cui
 la giurisprudenza si e' soffermata e consolidata.
    In  conclusione,  non  solo  una  disposizione puo' contenere piu'
 disposizioni e norme; ma un atto puo' contenere piu' norme, un atto o
 un  insieme di disposizioni puo' contenere norme di effetti diversi o
 addirittura non norme, disposizioni insuscettibili di produrre norme.
    Questo  e'  il nostro caso. Quando la disposizione ha prodotto una
 norma decaduta non puo' piu' produrre  effetti,  perche'  l'atto  con
 forza   e   valore  di  legge  non  puo'  essere  reiterato,  ne'  la
 disposizione puo' essere utilmente inserita in un atto che  non  puo'
 produrre  effetti normativi, perche' non e' piu' abilitata a produrre
 una nuova norma.
    Se  a  quel determinato contenuto sostanziale si vuol dare forza e
 valore di legge, c'e' un  solo  metodo  se  si  vuol  rimanere  nella
 Costituzione:  la presentazione di un disegno o di progetto di legge,
 come atto di impulso di  un  procedimento  legislativo  il  cui  atto
 terminale  produca  l'atto  e la norma legislativa, nei modi statuiti
 dalla legge e dai regolamenti parlamentari.
    I  quali  - possiamo aggiungere - non consentono la riproposizione
 di disposizioni o strutture  semantiche  gia'  inseriti  in  progetti
 presentati e non accolti se non dopo un determinato periodo.
    Le  ricordate  norme dei regolamenti parlamentari costituiscono un
 parametro che testimonia  l'estraneita'  al  nostro  sistema  di  una
 reiterazione.
    Resta  fermo peraltro che altro e' la reiterazione illegittima per
 i regolamenti parlamentari e altro e' quella illegittima per le norme
 costituzionali;  l'illegittimita' nei confronti di queste e il chiaro
 inequivocabile precetto dell'art. 77 e  dell'interpretazione  che  la
 Corte  ne  ha  dato,  rendono  superfluo  passare ad esaminare se, in
 ipotesi, la reiterazione dei decreti decaduti urti  contro  le  norme
 dei regolamenti parlamentari.
    9. - Una disposizione o struttura semantica che e' stata dotata di
 effetti normativi e ha prodotto una norma ed effetti normativi e  che
 non  li  puo'  piu' produrre se non viene incanalata nel procedimento
 legislativo ordinario, come abbiamo detto, non e' una norma,  perche'
 la  norma e' divenuta "non esistente" e non puo' essere richiamata in
 vita.
    Se  il  ragionamento  dev'essere portato alle conseguenze estreme,
 l'avvocatura potrebbe dire che una invasione di  competenza  con  una
 non   norma  e'  un'invasione  impossibile  (modellandola  sul  reato
 impossibile). Se - proseguendo nella  sequenza  -  da  questo  se  ne
 dovesse trarre la conclusione che il ricorso e' inammissibile perche'
 l'art. 6 del d.-l. n. 196/1989 e' sprovvisto in  forza  e  valore  di
 legge,    la    regionae   dovrebbe   concordare   con   l'avvocatura
 sull'inammissibilita' del suo ricorso.
    Il  cercare  di  dire  che  la  regione non puo' far valere queste
 illegittimita' perche'  essa  puo'  far  valere  solo  le  violazioni
 dell'ordinne delle competenze a lei attribuite, non e' persuasivo.
    Innanzi  tutto,  la  norma  illegittima  in tanto invade in quanto
 posta con un decreto-legge, atto che acquista  effetti  immediati;  e
 contro  questi  effetti  se vi e' invasione di competenza, la regione
 deve difendersi, evitando la  invasione,  difendendo  la  sua  sfera;
 cosicche'  se  la  difesa  della sfera di competenza si attua facendo
 valere  l'illegittimita'  costituzionale  del  mezzo  usato,   questo
 rientra nelle competenze e nella legittimazione regionale.
    Il  ricorso  alla Corte e' dato per evitare invasioni illegittime:
 se, in radice, viene fatta valere l'illegittimita' dell'atto che  pur
 produce  effetti fattuali illegittimi si ma concretamente esistenti e
 alteranti  l'ordine  delle  competenze  regionali,  non  puo'  essere
 applicata quella giurisprudenza che in altri casi puo' avere limitato
 il  petitum  delle  regioni  alle  invasioni  di   competenza   senza
 consentire  alle  regioni  medesime  di far valere vizi della legge o
 degli atti aventi forza e valore di legge di per se'; e resta  sempre
 fondamentale  la  considerazione che la Corte e' giudice a quo e come
 tale  puo'  essa  sollevare  e  decidere   qualunque   questione   di
 legittimita' relativa all'atto che la Corte deve giudicare.
    10.   -  Indipendentemente  dai  vizi  ora  denunciati,  la  norma
 dell'art. 8 del d.-l. n. 279/1989 "Disposizioni urgenti in materia di
 evasione  contributiva,  di  fiscalizzazione  degli oneri sociali, di
 sgravi contributivi nel Mezzogiorno e di finanziamento dei patronati"
 (il  solo  titolo  denuncia  subito la violazione dell'art. 15, terzo
 comma, della legge n. 400/1988) introduce un meccanismo a piu' titoli
 lesivo  della  competenza  regionale,  perche' impone alle regioni un
 comportamento, statuento, che esse  debbono  provvedere  a  stipulare
 convenzioni,  e  qualora  tali  convenzioni non vengano stipulate, il
 Ministero del tesoro disponga delle somme pari al  contributo  dovuto
 per  l'anno precedente, bloccandole prima nel fondo di cui all'art. 8
 della legge n. 291/1970 e pagandole poi agli istituti  previdenziali.
    Viene  introdotto un congegno sanzionatorio ai danni delle regioni
 alla cui disponibilita' vengono sottratte le somme ricordate anche se
 la  convenzione  non  venisse  stipulata per fatto o colpa degli enti
 previdenziali,  con  manifesta  irragionevolezza  e  violazione   dei
 principi  di  eguaglianza e di autonomia e delle competenze garantite
 dagli artt. 117 e 118.
    Per  di piu', si realizza un controllo anomalo, non previsto dalla
 Costituzione,  affidandolo  ad  un  organo  centrale,   violando   il
 combinato  degli  artt.  117, 118, 119 e 125, e violando il principio
 dell'autonomia posto  dall'art.  119,  in  quanto  il  fondo  di  cui
 all'art.  8  della  legge  n. 291/1970, costituito allo scopo di dare
 attuazione alla norma di autonomia, viene posto  a  disposizione  del
 Ministro  del  tesoro  che  puo'  disporre di somme in esso affluite,
 distrarle e  impiegarle  per  pagamenti  a  terzi  che  esso  decide,
 disponendo  in modo autoritativo del fondo destinato nella intenzione
 del legislatore a garantire l'esplicazine dell'autonomia  finanziaria
 regionale.
    11. - Puo' darsi che il Presidente del Consiglio obiettera' che le
 regioni non hanno alcuna competenza in materia, perche' la  "materia"
 della  previdenza  ed  assistenza sociale obbligatoria (assicurazione
 contro gli infortuni sul lavoro, contro le malattie, l'invalidita'  e
 vecchiaia,  etc.)  non  e'  contemplata  fra  quelle  demandate  alla
 potesta' legislativa concorrente delle regioni  dall'art.  117  della
 Costituzione   e  perche'  la  materia  non  puo'  essere  ricompresa
 nell'ambito della "istruzione artigiana e professionale e  assistenza
 scolastica",  ovvero  nell'ambito dell'"artigianato" in quanto l'art.
 35 del d.P.R. n. 616/1977 ha assegnato alle regioni solo "i servizi e
 le  attivita'  destinate  alla  formazione,  al perfezionamento, alla
 riqualificazione ed  all'orientamento  professionale,  per  qualsiasi
 attivita'  professionale  e  per  qualsiasi  finalita',  compresa  la
 formazione continua, permanente, ricorrente a  quella  conseguente  a
 riconversione  di  attivita'  produttive,  ad  esclusione  di  quelle
 dirette al  conseguimento  di  un  titolo  di  studio  o  diploma  di
 istruzione  secondaria superiore, universitaria o post-universitaria;
 la  vigilanza  sull'attivita'  privata  di  istruzione  artigiana   e
 professionale",  con  un  quadro  confermato  dalla  legge-quadro  in
 materia di formazione professionale 21 dicembre 1978, n. 845,  i  cui
 artt.  2 e 3 forniscono un quadro degli spazi di intervento riservati
 alle regioni, ed in cui non vi  e'  alcun  cenno  alle  assicurazioni
 sociali degli apprendisti artigiani.
    Tutto  cio'  e'  non  fondato;  ed  e'  contraddetto  dalla stessa
 legge-quadro 21 dicembre 1978, n. 845, il cui art. 16  e'  richiamato
 dal primo comma dell'art. 8 denunciato. Detto art. 16 prevede, fra le
 competenze proprie delle regioni  per  la  formazione  professionale,
 quelle  relative alla formazione degli apprendisti, nei cui quadro lo
 stesso art. 16 prevede, a carico delle regioni, obblighi dipendenti e
 connessi  all'esercizio  dei  poteri-doveri ad esse attribuiti per la
 formazione professionale.
    Nelle   competenze   delle   regioni  si  inquadrano,  dunque,  le
 previsioni legislative; e quelle competenze in materia di  formazione
 professionale  che  debbono essere esercitate nell'ambito delle norme
 costituzionali sull'autonoma regionale poste dagli artt. 117,  118  e
 119, sono invase dall'art. 8 del d.-l. n. 279/1989.
    Ne'  puo' sostenersi che si tratti di funzioni delegate, in quanto
 una tal delega sarebbe ravvisabile,  nel  terzo  comma  dell'art.  16
 della legge n. 845/1978. Il tentativo di sottrarsi al controllo della
 Corte non puo' essere spinto sino al punto di affermare che lo  Stato
 ha  delegato  alle  regioni la facolta' di stipulare contratti al cui
 pagamento deve provvedere il fondo delle regioni. Lo Stato, in  altre
 parole, delegherebbe le regioni a pagare con i loro fondi.
    12. - L'art. 8 nel terzo comma, come gia' l'art. 6 terzo comma dei
 dd.-ll. nn. 110 e 196 del 1989 e l'art. 11  del  d.-l.  n.  548/1988,
 introduce   un   controllo   anomalo  che  viola  l'art.  125,  della
 Costituzione.
    Dire  che  si tratta di controllo sostitutivo in materia delegata,
 innanzi tutto urta contro la  considerazione  che  non  v'e'  nessuna
 delega;  ma,  comunque,  urta  contro  gli  insegnamenti  della Corte
 sanciti dalla sentenza,  n.  177/1988.  Il  potere  sostitutivo  puo'
 essere esercitato solo dal Governo nello specifico senso dell'art. 92
 della  Costituzione  con  le  garanzie  sostanziali  e   procedurali,
 comprese  l'esigenza  del rispetto della regola di proporzionalita' e
 con esclusione di attribuzione di controllo ad un organo che,  sempre
 per  insegnamento  della  Corte  costituzionale, non si identifica in
 nessuno degli organi che l'art. 92 comprende nel concetto di Governo.
    La  Corte  ha  statuito  "che forme di controllo sostitutivo siano
 imputabili  dalla  legge   soltanto   ad   organi   che   per   poter
 legittimamente   adottare   indirizzi  od  esercitare  controlli  nei
 confronti dell'amministrazione regionale e della relativa istanza  di
 vertice (la giunta) non possono essere che organi di Governo.
    E'  solo  su  questo piano, infatti che operano organi in grado di
 vigilare sull'unitarieta' e  sul  buon  andamento  della  complessiva
 amministrazione  pubblica  e che possono intervenire nei confronti di
 autonomie costituzionalmente tutelate  con  poteri  cosi'  penetranti
 come  quelli  sostitutivi  nel  rispetto  delle garanzie fondamentali
 proprie del nostro sistema costituzionale, prima fra tutte quella  di
 doverne rispondere al Parlamento nazionale".
    Questi  canoni  son  stati  ribaditi nella materia sanitaria della
 sentenza n. 338/1989 che ha ribadito che: "Questa Corte, infatti,  ha
 gia' avuto modo di affermare (v. sentenza n. 177/1988) che le ipotesi
 in cui puo' esser esercitato un potere sostitutivo  dello  Stato  nei
 confronti delle regioni (o delle province autonome) e le modalita' di
 esercizio dello stesso debbono essere previste da un atto fornito  di
 valore   di   legge,   che  le  determini  in  via  generale  (com'e'
 nell'ipotesi dell'art. 5, quarto comma, della legge  n.  833/1978)  o
 caso per caso. E cio', come e' stato precisato dalla stessa sentenza,
 dipende dal fatto che il potere  di  sostituzione  di  un  organo  di
 Governo  verso  enti  che  godono  di  autonomia  costituzionale deve
 considerarsi un evento eccezionale, in quanto l'esercizio del  potere
 comporta, se pure in un'ipotesi puntuale e in presenza di un evidente
 pericolo di  grave  pregiudizio  ad  interessi  unitari  dovuto  alla
 persistente   inerzia  regionale  il  superamento  della  separazione
 costituzionale delle competenze  fra  Stato  e  regioni  (o  province
 autonome)".
    L'art.  8  prevede invece che "il Ministero del tesoro provvede ad
 accantonare, a valere sulle erogazioni spettanti alle regioni per gli
 anni  1989  e  successivi,  ai sensi dell'art. 8 della legge 16 maggo
 1970, n. 281, importi annuali corrispondenti a quelli dovuti in forza
 del  secondo comma. Le somme accantonate vengono calcolate sulla base
 dei crediti comunicati al Ministero del tesoro, entro  il  31  luglio
 1989,  dal  Ministero del lavoro e della previdenza sociale e vengono
 corrisposte agli istituti  assicuratori  entro  il  termine  di  ogni
 esercizio.
    Fino  all'intervenuta  stipula  delle  convenzioni,  i  contributi
 dovuti da ogni regione  per  gli  anni  1989  e  successivi  verranno
 trattenuti  sulle  quote spettanti a titolo di ripartizione del fondo
 comune sulla base dei crediti annualmente comunnicato  dal  Ministero
 del  lavoro  e  della  previdenza  sociale  ai  fini della successiva
 erogazione a favore degli istituti assicuratori".
    Si  tratta  di  un  controllo  sostitutivo  affidato  ad  un  solo
 Ministro,   che   agisce   inaudita   altera   parte   corrispondendo
 direttamente con un altro Ministro e sostituendosi nella erogazione a
 terzo soggetti privati,  in  violazione  dei  principi  di  autonomia
 contrattuale  riconosciuti  dall'art.  41  della Costituzione ad ogni
 soggetto pubblico o privato, e che a maggior ragione  debbono  essere
 garantiti  alle  regioni  a norma degli artt. 5, 117, 118 e 119 della
 Costituzione. Queste invece,  da  organi  costituzionali  quali  sono
 configurati,  vengono  ridotte  al  rango  di  incapaci  i cui atti e
 rapporti vengono sostituiti da interventi di organi statali.