Ricorso della regione Veneto, in persona del presidente pro-tempore della giunta regionale, autorizzato con deliberazione della giunta regionale 29 agosto 1989, n. 4717, rappresentato e difeso dagli avvocati prof. Giorgio Berti e Guido Viola e domiciliato in Roma presso quest'ultimo (via Nicolo' Piccolomini n. 36), contro il Presidente del Consiglio dei Ministri, in persona del Presidente pro-tempore, per la deliberazione di illegittimita' costituzionale della disposizione normativa dettata con l'art. 8 del d.-l. 5 agosto 1989, n. 279, disposizioni urgenti in materia di evasione contributiva, di fiscalizzazione degli oneri sociali, di sgravi contributivi nel Mezzogiorno e di finanziamento dei patronati, disposizione intitolata "assicurazione per gli apprendisti artigiani" (Gazzetta Ufficiale 7 agosto 1989, n. 183). F A T T O L'impugnata disposizione dell'art. 8 del d.-l. 5 agosto 1989, n. 279, dettata per le sole regioni a statuto ordinario, prevede che le regioni comunichino, entro il mese di giugno 1989, ai Ministri del lavoro e della previdenza sociale e del tesoro "la stipula delle convenzioni di cui all'art. 16, terzo comma, della legge 21 dicembre 1978, n. 845". Il secondo comma del citato art. 6 predetermina in parte il contenuto delle convenzioni, le quali dovrebbero stabilire anche "il pagamento in cinque annualita' costanti dei contributi per gli anni 1988 e precedenti"; dette annualita' non dovrebbero superare il limite "per ogni regione e per ciascuno degli anni interessati alla rateizzazione" del 4 per cento della quota del fondo comune di cui all'art. 8 della legge 16 maggio 1970, n. 281, fondo determinato, per l'anno 1989, con l'art. 1 della legge 1ยบ febbraio 1989, n. 40; ove la rateizzazione fosse insufficiente rispetto ai contributi dovuti, dovrebbe automaticamente aumentarsi il numero delle annualita' di contribuzione a carico della regione. Quanto poi al terzo comma dell'art. 6, in esso si prevede che, in caso di mancata stipulazione delle convenzioni da parte delle Regioni, il Ministero del tesoro provveda ad accantonare importi annuali corrispondenti a quelli cui le regioni sarebbero tenute sulla base delle stipulande convenzioni; tali importi dovrebbero essere scomputati dalle erogazioni spettanti alle regioni, per gli anni 1989 e successivi, come quota risultante, dalla ripartizione del fondo comune ex art. 8 della legge n. 281/1970, e quindi direttamente corrisposti agli istituti assicuratori entro il termine di ogni esercizio. Infine, il quarto comma dell'art. 6, sempre per gli anni 1989 e successivi, dispone che comunque, sino alla stipula delle suddette convenzioni, i contributi che si affermano dovuti da ogni regione siano trattenuti sulle quote del fondo comune "sulla base dei crediti annualmente comunicati dal Ministero del lavoro e della previdenza sociale ai fini della successiva erogazione a favore degli istituti assicuratori". L'applicazione della illustrata norma determinerebbe per la regione Veneto le seguenti conseguenze: a) stipulazione delle convenzioni con l'I.N.A.I.L. e con l'I.N.P.S. entro il 30 giugno 1989 (pena la riduzione della quota del fondo comune operata d'ufficio dal Ministro del tesoro ai sensi del terzo comma dell'art. 6); b) pagamento, rateizzato in cinque annualita', delle quote arretrate sino al 1988: da notare che il corrispondente costo presuntivo ammonterebbe per la regione Veneto a circa L. 90.000.000.000, onere del tutto insostenibile nell'ambito complessivo della finanza regionale, a fronte del quale risultano inadeguati sia il numero delle annualita' di rateizzazione (troppo poche), sia la troppo ampia percentuale della quota del fondo comune che si prevede venga impiegata a tale scopo (4%); per tale via verrebbe invero in pratica assorbito l'intero incremento annuo del fondo medesimo; c) iscrizione, gia' insede di assestamento del bilancio preventivo per il 1989 di una spesa di circa L. 18.000.000.000 (prima annualita'), attualmente di assai difficile se non impossibile reperibilita'. Ci si e' soffermati dettagliatamente sulla norma impugnata e su alcune delle conseguenze che in fatto discenderebbero dalla sua applicazione perche' l'uno e l'altro profilo sono necessari per inquadrare compiutamente la vera e propria disamina giuridica della disposizione dell'art. 6 del d.-l. n. 196/1989, e quindi mettere meglio in luce la illegittimita' della norma stessa a confronto con i principi costituzionali sull'ordinamento regionale. D I R I T T O Violazione dei principi contenuti nei seguenti articoli della Costituzione: art. 117, 118, 119 e 125, anche in relazione all'art. 5, nonche' alle norme sul trasferimento delle funzioni amministrative dettate con il d.P.R. 24 luglio 1977, n. 616 (art. 36) e alle norme della legge-quadro in materia di formazione professionale, legge 21 dicembre 1978, n. 845 (artt. 16 e 22, artt. 3, 4 e 5) e di disciplina dell'apprendistato, legge 19 gennaio 1955, n. 25 (art. 21). La norma impugnata, per espressa menzione del suo primo comma, si collega alla legge-quadro sulla formazione professionale n. 845/1978 (in particolare all'art. 16 di tale legge), la quale ha ripartito nella materia, gia' definita con l'art. 36 del d.P.R. n. 616/1977, i poteri e le funzioni tra Stato e regioni. Va subito posto in luce che la disposizione del d.-l. n. 196/1989 non introduce dichiaratamente alcuna modificazione in questo aspetto di poteri, ma si limita a richiamarlo, inserendosi in esso come norma di completamento di un sistema preesistente. O, almeno, cio' e' quanto si ricava dalla lettura del primo comma dell'articolo in esame, giacche' i commi successivi, come vedremo meglio nel prosieguo, introducono invece rilevanti modificazioni del quadro normativo, e cio' fanno in termini surretizi e indiretti, nel tentativo evidentemente di nascondere o mimetizzare i gravi aspetti di illegittimita' costituzionale di dette modificazioni. Secondo le ricordate norme del d.P.R. n. 616/1977 e della legge n. 745/1978, spettano alle regioni le funzioni legislative e le corrispondenti funzioni amministrative nella materia della formazione professionale, da intendersi come complesso di attivita' volta a favorire la crescita morale e professionale del (futuro) lavoratore; trattasi, in termini piu' precisi, di una attivita' pubblicistica o, meglio, come si esprime la legge (art. 2 della legge n. 845/1978), di una serie di iniziative costituenti un servizio di interesse pubblico, rivolte certamente ad un primo inserimento del lavoratore nel mondo della produzione, ma completamente distinte da tutto cio' che attiene al costituirsi e svolgersi del rapporto di lavoro, ivi compresi naturalmente gli aspetti retributivi, contributivi e previdenziali. Il che si ricava con molta chiarezza da numerose disposizioni: l'art. 36 del d.P.R. n. 616/1977, che esplicitamente ribadisce la statualita' della disciplina del rapporto di lavoro degli apprendisti; l'art. 2 della legge n. 845/1978, secondo cui la formazione professionale si concretizza in interventi per la diffusione delle conoscenze tecniche e pratiche; norma specificata dell'art. 16, secondo comma, secondo cui i progetti per la formazione, attuativi dei programmi e dei piani regionali, si articolano in attivita' teoriche, tecniche e pratiche. E' da sottolineare che tale disciplina "materiale" trova piena corrispondenza nella disciplina dei profili "finanziari" delle attivita' formative, quale risulta dall'art. 22 della legge n. 845/1978, ove sono con nettezza distinte le attivita' di formazione professionale promosse dalle regioni, fa finanziarsi "nell'ambito del fondo comune di cui all'art. 8 della legge 16 maggio 1970, n. 281", dalle "attivita' di formazione professionale rientranti nelle competenze dello Stato", le quali trovano invece copertura "in apposito capitolo dello stato di previsione della spesa del Ministero del lavoro e della previdenza sociale"; secondo l'art. 18 della medesima legge, spettano appunto allo Stato i profili della formazione professionale che hanno maggiori connessioni con il rapporto di lavoro vero e proprio (v. in particolare la lettera a) dell'art. 18). E' in questo quadro che deve collocarsi e leggersi la disposizione dell'art. 16, terzo comma, della legge n. 245/1978, richiamata dalla norma impugnata: in base a tale disposizione, "le regioni, per i fini di cui all'art. 21 della legge 19 gennaio 1955, n. 25, stipulano con gli istituti assicuratori convenzioni per il pagamento, a valere sui fondi di cui all'art. 22, primo comma, della presente legge, delle somme occorrenti per le assicurazioni in favore degli apprendisti artigiani". Nel sistema che si e' illustrato, appare chiaro insomma che l'onere contributivo-assicurativo che legittimamente puo' far carico alle regioni e' soltanto quello corrispondente agli interventi per la formazione posti in essere dalle regioni stesse: non quindi l'obbligo a prestazioni contributive inerenti al rapporto di lavoro dell'apprendista, ma quel piu', limitato, ed eventuale, obbligo contributivo che puo' sorgere in occasione delle "attivita' teoriche, tecniche e pratiche" in cui si concretizzano come detto gli interventi regionali nel campo della formazione professionale. E' solo per questa via, tra l'altro, che puo' trovare spiegazione la previsione, ex art. 16, terzo comma, della legge n. 845/1978, dell'utilizzo dello strumento convenzionale per regolare prodursi dell'obbligo contributivo e la sua entita' saranno invero da valutarsi di volta in volta, caso per caso, in relazione al tipo di intervento formativo posto in essere: e la convenzione, data la sua adattabilita' e flessibilita', si rivela allora mezzo adeguato. E' ancora da dire, prima di passare ad una piu' puntuale considerazione della norma impugnata, che il sistema, che si e' brevemente illustrato, dei poteri e delle funzioni regionali ricostruibile sulla base delle citate disposizioni del d.P.R. n. 616/1977 e della legge n. 845/1978, e' coerente e in armonia con il quadro costituzionale del rapporto Stato e regioni, e in particolare con l'attribuzione di materie ex art. 117 della Costituzione; con il principio della corrispondenza tra funzioni legislative e funzioni amministrative (art. 118 della Costituzione); con la fondamentale previsione dell'autonomia finanziaria regionale ex art. 119 della Costitutione. La disposizione impugnata, apparentemente collegandosi, come accennato, a questo quadro, vuole in realta' stravolgerlo: non solo invero si configura, con detta disposizione, un sistema contributivo obbligatorio a carico della regione, ma si cerca altresi' di collegare detto obbligo contributivo al rapporto di lavoro dell'apprendista, quasi che potesse ad un tratto venir meno la netta e precisa distinzione tra servizio di interesse pubblico per la formazione (regionale) rapporto di lavoro dell'apprendista (statale). La dimostrazione piu' evidente di un tale inammissibile capovolgimento la si ha considerando i termini della nuova disciplina dettata con la norma impugnata per le convenzioni tra regione e istituti assicurativi: tali "convenzioni" (ma e' chiaro che l'espressione non corrisponde piu' al significato vero) vengono fatte corrispondere a un comportamento doveroso che le Regioni sono tenute sempre e comunque a porre in essere, indipendentemente dal tipo e dalla quantita' di interventi per la formazione professionale previsti e da realizzarsi nell'ambito dei piani regionali. Si tenta insomma di introdurre e di porre a carico della regione un sistema di assicurazione obbligatoria del rapporto di lavoro degli apprendisti artigiani. E' solo accettando questo presupposto che gli altri profili della "convenzione", come regolati dall'art. 6, possono trovare giustificazione: cosi' e' a dirsi sia per la imposizione del pagamento delle annualita' pregresse (sino al 1988) e dalle modalita' della rateizzazione; sia, soprattutto, per il potere attribuito al Ministro del tesoro di disporre d'ufficio l'accantonamento di somme corrispondenti a dette annualita', sottraendole al fondo comune ex art. 8 della legge n. 281/1970, nella ipotesi di mancata stipulazione delle convenzioni (e cio', si badi, senza distinguere se la convenzione non sia stipulata per fatto dell'istituto assicurativo, piuttosto che per fatto della regione); sia infine, per il potere ministeriale di ritenere o trattenere, in relazione alle annualita' contributive successive al 1989 e fino a che le convenzioni non siano stipulate, i corrispondenti importi sulle quote spettanti a ciascuna regione a titolo di ripartizione del fondo comune. E' appena il caso di sottolineare come pure il risvolto "organizzativo" di un siffatto sistema contributivo sia del tutto illegittimo: la regione non puo' essere invero un ente di mera esecuzione ed erogazione nell'ambito di una struttura che ha il proprio vertice nelle autorita' dello Stato (Ministro del tesoro; Ministro del lavoro). Insieme all'art. 117, viene cosi' violato anche l'art. 118 della Costituzione, sotto il profilo della limitazione delle funzioni amministrative spettanti alle regioni. Alla regione possono essere caricati oneri finanziari per le attivita' che comunque rientrino nella sua competenza e che essa stessa conduca attraverso i propri atti e le proprie strutture, non per attivita' rientranti in competenze altrui. Quanto all'art. 119, e' evidente come di fronte a un congegno come quello costruito dalla disposizione impugnata, non si possa piu', seriamente configurare un'autonomia finanziaria della regione; gravissima e' comunque anche la violazione di un principio costituzionale relativo al sistema finanziario dello Stato (art. 81, ultimo comma, della Costituzione): la disposizione normativa impugnata, pur introducendo un nuovo onere a carico della finanza pubblica (da cui sarebbe troppo comodo pretendere di escludere, solo a questi fini, la regione) non indica i mezzi per farvi fronte, pretendere di far gravare il relativo onere su di un fondo, come quello ex art. 8 della legge n. 281/1970, predeterminato e fissato indipendentemente dalla considerazione degli importi contributivi in questione.