IL PRETORE Ha pronunciato la seguente ordinanza nel procedimento civile promosso dall'avv. Filippo Berselli, in proprio, contro Rubini Claudia. Oggetto: "Ricorso per decreto ingiuntivo". F A T T O L'avv. Filippo Berselli, premesso di aver inviato in data 20 giugno 1989 alla dott.ssa Claudia Rubini di Bologna, sua commercialista, l'importo di L. 1.060.000 affinche' provvedesse a versarlo entro il 31 luglio 1989 quale pagamento dell'imposta denominata I.C.I.A.P. per il proprio studio di via Garibaldi n. 1 di Bologna, sottolineando pero' che la medesima dott.ssa Rubini gli avrebbe dovuto restituire la suddetta somma qualora non fosse dovuta; che, in data 26 giugno 1989 la dott.ssa Rubini aveva dato ricevuta dell'anzidetto importo assicurandogli che esso sarebbe stato restituito, a semplice richiesta, qualora non dovuto; che successivamente, essendosi egli convinto che la legge istitutiva della I.C.I.A.P. fosse costituzionalmente illegittima, aveva invitato la dott.ssa Rubini a restituirgli il suddetto importo; che in data 6 luglio 1989 la dott.ssa Rubini aveva respinto tale richiesta sul presupposto che la legge istituzionale dell'I.C.I.A.P. non era stata dichiarata incostituzionale, tutto quanto come sopra premesso, nel richiedere nel merito decreto ingiuntivo di condanna della dott.ssa Claudia Rubini al versamento in suo favore della somma di L. 1.060.000, con vittoria di spese, competenze ed onorario richiedeva, altresi' in via preliminare, che venisse ritenuta non manifestatamente infondata la questione di legittimita' costituzionale degli artt. dall'1 al 6 del d.-l. 2 marzo 1989, n. 66, coordinato dalla legge di conversione n. 144 del 24 aprile 1989 in riferimento, tra gli altri, agli artt. 3 e 53 della Costituzione con conseguente sospensione della decisione nel merito e rimessione degli atti alla Corte costituzionale. Dopo aver premesso che il diritto da parte sua di esigere il credito dipendeva strettamente dalla soluzione della questione di legittimita' costituzionale della citata legge e che nessun dubbio poteva sussistere inoltre circa l'ammissibilita' di un'eccezione di incostituzionalita' nel contesto di un ricorso per decreto ingiuntivo, essendosi in tal senso gia' pronunciata la stessa Corte costituzionale con sentenza n. 497 del 21 aprile-27 aprile 1988, sottolineava il ricorrente come, a suo avviso, la I.C.I.A.P. fosse in effetti incostituzionale. Ravvisava, in particolare, la violazione da parte della legge citata degli artt. 3 e 53 della Costituzione "in primo luogo perche' si commisura un'imposta non gia' alla capacita' contributiva e, quindi, alla redditivita' delle arti, professioni e mestieri, ma alla superficie occupata secondo il settore di attivita'. In seccondo luogo, perche' si viola il principio generale della doppia tassazione, nel senso che vengono tassati due volte i contribuenti interessati una prima volta con la gia' esistente tassa di concessione comunale per la maggior parte di attivita' previste, una seconda volta con l'I.R.P.E.F. ed una terza volta appunto con l'I.C.I.A.P., violandosi cosi' il principio del ne bis in idem che non consente la doppia tassazione sullo stesso imponibile. in terzo luogo e' del tutto illegittimo commisurare l'effettiva capacita' contributiva alle superfici utilizzate dalle attivita' produttive. In quarto luogo l'imposta e' dovuta anche per attivita' che non occupano alcuna superficie. In quinto luogo la specificazione dei vari settori di attivita' risulta cosi' generica da costituire fonte di ulteriori e arbitrarie tassazioni tra i soggetti passivi, nell'ambito dei settori stesso. Infine: la legge n. 144/1989 determina un identico prelievo a parita' di superficie e settore, sia che l'attivita' venga esercitata in una metropoli sia che la stessa venga esercitata, ad esempio, in un piccolo comune di montagna". Concludeva, pertanto, il ricorrente specificando che la violazione dell'art. 53 della Costituzione consisteva nel fatto che la I.C.I.A.P. non prendeva in considerazione il reddito ma la superficie occupata e alle volte nemmeno quella, come risultava dall'art. 1, settimo comma, ed, inoltre, al fatto che nella specie, la progressivita' prevista dalla norma citata non esisteva assolutamente; quanto, poi, alla violazione dell'art. 3 della Costituzione essa doveva ravvisarsi nella macroscopica discriminazione tra quanti esercitano arti e professioni e tutti gli altri cittadini e nella discriminazione attuata anche nel contesto di chi esercita arti e professioni in riferimento anche al fatto che si lasciava ai comuni la facolta' (o l'arbitrio) di applicare l'aliquota con alto tasso di discrezionalita'". D I R I T T O Preliminarmente si osserva che non puo' sussistere difetto di giurisdizione essendo stata la questione di legittimita' costituzionale proposta in via incidentale in un ordinario procedimento civile davanti al giudice naturale. Nessun dubbio puo' sussistere altresi' circa l'esperibilita' di un'eccezione di incostituzionalita' nel contesto di un procedimento monitorio essendosi in tal senso - come sopra ricordato - gia' pronunciata la stessa Corte costituzionale con sentenza n. 497 del 21 aprile-27 aprile 1988. Evidente, e', poi la rilevanza della eccezione di incostituzionalita' sollevata, dipendendo dalla decisione della Corte costituzionale l'esito del giudizio civile promosso dal ricorrente; la richiesta di restituzione della somma versata, e' stata avanzata infatti dal ricorrente esclusivamente sul presupposto che la legge istitutiva dello I.C.I.A.P. sia da ritenersi costituzionalmente illegittima. Cio' premesso, si ritiene che le argomentazioni proposte dal ricorrente che devono qui ritenersi integralmente richiamate, siano meritevoli, quantomeno, di essere sottoposte al vaglio della Corte costituzionale dovendosi ritenere, pertanto, non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale sollevata relativamente alla legge di cui trattasi con riferimento in particolare agli artt. 53 e 3 della Costituzione. Rifiutandosi la coscienza di accettare il principio che una legge sia da ritenersi conforme alla Costituzione anche allorquando essa, pur discostandosi dal dettato costituzionale, realizzi comunque un fine socialmente e politicamente "utile" e, cio' tanto piu' come nel caso di specie, allorquando detto fine "utile" possa essere realizzato ugualmente facendo ricorso a criteri di maggiore equita' fiscale e nel rigoroso rispetto della Carta costituzionale, sembra evidente come la legge che qui si impugna contenga palesi incongruenze, contraddizioni e discriminazioni. Il commissurare ad esempio, la capacita' contributiva alla disponibilita' di una certa superficie e' una mera presunzione del legislatore non confortata da alcuna certezza. Se, infatti, sul piano logico ed astratto, la disponibilita' di una maggiore superficie puo' denotare una maggiore capacita' contributiva, nella realta' spesso avviene il contrario. Se cio' risponde a verita', non puo' consentirsi che l'apprezzamento discrezionale del legislatore possa giungere al punto tale da provocare situazioni di palese iniquita' sol perche' vi e' un "risultato" da raggiungere a qualunque costo. Senza voler contare poi la circostanza che il legislatore, sul punto, sembra anche contraddirsi allorquando, dimentico del criterio seguito "maggiore superficie = maggiore capacita' contributiva = maggiore imposta", assoggetta ad imposta anche coloro che non dispongono di alcuna superficie ed assoggetta altresi' le aree eccedenti i 10.000 mq per ogni 10.000 mq, ad una misura di imposta del tutto insufficiente rispetto alla presumibile capacita' contributiva che dovrebbe desumersi - secondo il criterio dal medesimo seguito - dalla disponibilita' di aree di rilevante estensione. Analogamente appare incongruente sotto il profilo della capacita' contributiva anche il fatto che la legge n. 114/1989 consenta la possibilita' di un identico prelievo, a parita' di settore e superficie, sia che l'attivita' venga esercitata in una metropoli, sia che la stessa venga esercitata in un piccolo comune. Non meno importanti sono le censure che possono muoversi alla legge sopra considerata sotto il profilo della violazione del diritto di uguaglianza. La considerazione che le categorie interessate dall'I.C.I.A.P. siano notoriamente quelle a maggior reddito e quindi a maggior capacita' contributiva o che tra di esse si annidi o possa annidarsi la maggior fascia di evasione, non giustifica l'applicazione di nuove imposte solo a carico delle medesime e la discriminazione tra le stesse e tutti gli altri cittadini ma semmai deve indurre lo Stato ad una piu' rigorosa lotta all'evasione fiscale. Va da ultimo rilevato come l'anzidetta normativa oltre ad altre incongruenze attui anche una palese e talvolta ingiustificata discriminazione nello stesso contesto di coloro che esercitino arti e professioni, lasciando, inoltre, ai comuni la facolta' di applicare l'aliquota con alto tasso di discrezionalita'.