ha pronunciato la seguente SENTENZA nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 2120, terzo comma, del codice civile nel testo sostituito dall'art. 1, della legge 29 maggio 1982, n. 297 ("Disciplina del trattamento di fine rapporto e norme in materia pensionistica"), promosso con l'ordinanza emessa il 12 novembre 1988 dal Pretore di Modena nel procedimento civile vertente tra Melotti Maurizio e la Ditta Officine Bindi di Bertocchi Franco, iscritta al n. 205 del registro ordinanze 1989 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 17, prima serie speciale, dell'anno 1989; Udito nella camera di consiglio del 4 ottobre 1989 il Giudice relatore Luigi Mengoni; Ritenuto in fatto 1. - Nel corso di un giudizio promosso da Melotti Maurizio nei confronti della ditta officine Bindi di Bertocchi Franco, per la determinazione del trattamento di fine lavoro, il Pretore di Modena, con ordinanza del 12 novembre 1988 ha sollevato questione di legittimita' costituzionale dell'art. 2120, terzo comma, cod. civ., nel testo sostituito dalla legge 29 maggio 1982, n. 297, nella parte in cui - a differenza di quanto e' stabilito per i periodi di assenza dal lavoro dovuti a una delle cause di cui all'art. 2110 cod. civ., nonche' per il caso di sospensione totale o parziale del lavoro con intervento della Cassa integrazione guadagni - non include il servizio militare di leva tra le cause di sospensione della prestazione di lavoro per le quali deve essere computato nella retribuzione annua, ai fini del calcolo del trattamento di fine rapporto, l'equivalente della retribuzione normale. La questione e' sollevata in riferimento non all'art. 52 Cost. - profilo gia' esaminato dalla Corte con la sentenza n. 802 del 1988 e l'ordinanza n. 36 del 1989 - ma agli artt. 3 e 136, sulla base della premessa che, contrariamente a quanto ritenuto dalla Corte nella sentenza citata, il trattamento di rapporto e', come l'indennita' originariamente prevista dall'art. 2120, un effetto dell'anzianita'. Posta questa premessa, il giudice remittente denuncia: a) ingiustificata disparita' di trattamento rispetto alle ipotesi di sospensione previste dalla norma impugnata, trattandosi anche nell'ipotesi in questione di sospensione dovuta a causa non imputabile al lavoratore; b) in particolare, ingiustificata disparita' di trattamento dei lavoratori, obbligati - essi soltanto - al servizio militare di leva, rispetto al trattamento delle lavoratrici in caso di gravidanza e puerperio. 2. - Secondo il giudice a quo non varrebbe osservare in contrario che solo nelle ipotesi di sospensione previste dalla norma denunciata, e non pure durante il servizio militare di leva, il lavoratore ha diritto alla retribuzione o a una prestazione previdenziale sostitutiva, sia perche' anche chi presta servizio militare ha diritto ad una prestazione pecuniaria erogata dallo Stato, in aggiunta ad altre attribuzioni in natura, sia perche', comunque, nelle dette ipotesi la legge non si riferisce alle somme effettivamente percepite dal lavoratore, ma alla retribuzione che gli sarebbe spettata in caso di normale svolgimento del rapporto di lavoro; c) irrazionale disparita' di trattamento rispetto ai pubblici dipendenti, per i quali, a norma dell'art. 20 della legge 24 dicembre 1986, n. 958, anche il periodo di servizio militare di leva e' calcolato agli effetti del trattamento di fine servizio (indennita' di buonuscita, premio di fine servizio ecc.); d) violazione dell'art. 136, primo comma, Cost., avendo il legislatore del 1982 reintrodotto surrettiziamente una norma (l'art. 1, secondo comma, del d.leg.C.p.S. 13 settembre 1946, n. 303, che escludeva il servizio militare dal computo ai fini del calcolo dell'indennita' di anzianita') gia' espunta dall'ordinamento dalla sentenza di questa Corte n. 8 del 1963. Considerato in diritto 1. - La legittimita' costituzionale dell'art. 2120, terzo comma, cod.civ., modificato dalla legge n. 297 del 1982, nella parte in cui non prevede il servizio militare di leva tra i periodi di sospensione della prestazione di lavoro computabili nel calcolo del trattamento di fine rapporto, gia' riconosciuta da questa Corte con la sentenza n. 802 del 1988 in riferimento all'art. 52 della Costituzione, e' rimessa in discussione dal Pretore di Modena in riferimento ad altri parametri costituzionali, e precisamente agli artt. 3 e 136. 2. - La questione non e' fondata. Secondo la premessa di fondo assunta dal giudice a quo, dalla quale dipende tutta la motivazione dell'ordinanza, il trattamento di fine rapporto non ha natura diversa dall'indennita' di anzianita' originariamente prevista dall'art. 2120. Contrariamente alla dottrina accolta dalla citata sentenza n. 802 del 1988, il diritto del lavoratore previsto dal nuovo testo della norma sarebbe sempre un "effetto dell'anzianita'" e la differenza rispetto alla precedente indennita' di anzianita' consisterebbe soltanto "nel diverso criterio di calcolo del loro ammontare". Questa valutazione riduttiva non avverte che il criterio di calcolo e' necessariamente connesso con la natura dell'indennita', di guisa che la radicale modificazione di quello non puo' non comportare una radicale trasformazione di questa. Il rilievo che "il trattamento di fine rapporto, non diversamente dall'indennita' di anzianita', sara' di entita' tanto maggiore quanti piu' sono gli anni di servizio" non coglie il significato specifico e tecnico della regola di "proporzionalita' agli anni di servizio" che qualificava l'indennita' di anzianita' come un effetto dell'anzianita'. Tale proporzione significa che quanto maggiore e' il numero degli anni di servizio prestato tanto piu' elevata e' la base di computo dell'indennita', costituita dall'ultima retribuzione o, nel caso di retribuzione costituita in tutto o in parte da compensi variabili, dalla media degli emolumenti percepiti negli ultimi tre anni. L'indennita' non era una retribuzione accantonata, correlata alle retribuzioni guadagnate durante il rapporto di lavoro, ma era un corrispettivo distinto, collegato all'anzianita' per se stessa, la quale entrava direttamente nel calcolo in funzione di moltiplicatore. Dopo la legge del 1982 l'anzianita' non e' piu' un fattore di calcolo, e in questo senso il trattamento di fine rapporto non e' un effetto dell'anzianita'. Esso e' formato dalla somma di accantonamenti annuali calcolati sul coacervo delle retribuzioni percepite in ciascun anno e rivalutati annualmente a partire dall'anno successivo. Ne consegue che, ceteris paribus, il frazionamento dell'anzianita' di servizio conseguente a passaggi del lavoratore da un'azienda all'altra non incide sull'ammontare complessivo del trattamento di fine rapporto. Una delle ragioni della ristrutturazione dell'istituto, oltre alla riduzione del costo del lavoro, e' stata l'esigenza di favorire la mobilita' del lavoro, fortemente penalizzata dalla disciplina precedente a causa appunto della proporzione diretta all'anzianita' di servizio, che caratterizzava l'indennita' come premio di fedelta' all'azienda. L'anzianita' conserva solo una rilevanza indiretta in ragione degli incrementi automatici di retribuzione ad essa collegati ("scatti di anzianita'", notevolmente ridotti dalla recente contrattazione collettiva, e passaggi automatici di qualifica, limitati ai livelli piu' bassi). Ma cio' significa che la progressione dell'anzianita' influisce, attraverso i connessi automatismi salariali, sull'entita' delle quote annuali di accantonamento, non gia' che il trattamento di fine rapporto e' proporzionale all'anzianita'. 3. - La correlazione del trattamento di fine rapporto alle retribuzioni effettivamente percepite esclude la computabilita' dei periodi di sospensione della prestazione di lavoro durante i quali il lavoratore non conserva la retribuzione, ne' direttamente, ne' in forme equivalenti di previdenza. Tale e' il periodo del servizio militare di leva secondo la disciplina del d.lgs. C.p.S. n. 303 del 1946, in base alla quale si giustifica, in relazione all'art. 3 Cost., la discriminazione operata dalla norma impugnata rispetto ai periodi di assenza dal lavoro considerati dall'art. 2110 cod. civ. La ratio dell'art. 2120, terzo comma, non e', come ritiene il giudice a quo, la non imputabilita' al lavoratore dell'impedimento sopravvenuto (non tutte e non sempre le sopravvenienze previste dall'art. 2110 sono indipendenti dalla volonta' del prestatore di lavoro), bensi' il diritto di conservare la retribuzione in deroga al principio di sinallagmaticita' delle prestazioni. Il riferimento della legge alla retribuzione normale non fornisce argomento per sostenere che le ipotesi in essa richiamate sono trattate come periodi di retribuzione figurativa (cioe' fittizia) indipendentemente dalla conservazione della retribuzione a norma dell'art. 2110 cod. civ., cosi' che la mancanza di analoga tutela nel caso del servizio militare di leva non giustificherebbe l'esclusione di questo periodo dal calcolo degli accantonamenti di cui al primo comma. La dipendenza logica della norma dell'art. 2120, terzo comma, dal presupposto della conservazione della retribuzione e' confermata dall'equiparazione alle ipotesi di cui all'art. 2110 dei soli periodi di sospensione del lavoro assistiti dall'intervento della Cassa integrazione guadagni. Cio' significa che il riferimento alla retribuzione normale ha soltanto una funzione di arrotondamento (nei casi di conservazione della retribuzione limitata a una aliquota percentuale) analoga a quella della norma del primo comma circa il computo delle frazioni di mese uguali o superiori a quindici giorni. Nemmeno vale obiettare che "anche chi presta servizio militare ha diritto a una elargizione pecuniaria erogata dallo Stato e integrata da attribuzioni ulteriori in natura". Tali prestazioni, corrisposte a tutti i militari, non sono "forme equivalenti di previdenza" sostitutive dell'obbligazione retributiva del datore di lavoro, la quale in questa ipotesi resta sospesa al pari dell'obbligazione di lavoro. Manifestamente inconsistente e' poi l'estrapolazione dalle ipotesi contemplate dall'art. 2120, terzo comma, del caso di gravidanza e puerperio per metterlo a confronto col caso del lavoratore chiamato ad adempiere il dovere civico del servizio militare di leva e trarne argomento di violazione dell'art. 3 Cost. sotto lo specifico profilo del principio di parita' dei sessi. Non e' producente nemmeno il confronto con la disciplina legislativa del trattamento di fine servizio dei dipendenti pubblici, fatta salva dall'art. 4, sesto comma, della legge n. 297 del 1982. Che il periodo del servizio di leva si computi ai fini di questo trattamento si spiega perche' l'indennita' di buonuscita per il personale statale, l'indennita' di anzianita' per i dipendenti degli enti parastatali e l'indennita' premio di servizio per i dipendenti degli enti locali, la cui disciplina il legislatore ha ritenuto, almeno per il momento, di non modificare, hanno natura analoga a quella dell'indennita' di anzianita' originariamente prevista dal codice civile per i rapporti di lavoro privato, cioe' sono corrispettive all'anzianita' come tale, nella quale, giusta la sentenza n. 8 del 1963 di questa Corte, deve essere computato anche il tempo trascorso in servizio militare di leva. 4. - Non sussiste infine la pretesa violazione dell'art. 136 Cost. La sentenza appena citata ha dichiarato l'illegittimita' costituzionale dell'art. 1, secondo comma, del d.lgs. C.p.S. 13 settembre 1946, n. 303, il quale escludeva, salva diversa disposizione del contratto collettivo, che il periodo trascorso in servizio militare di leva dovesse essere computato "agli effetti dell'anzianita'". Questa norma non e' stata ripristinata dall'art. 2120, terzo comma, nel nuovo testo dettato dalla legge n. 297 del 1982. Il periodo del servizio di leva continua ad essere computato nell'anzianita' di servizio a tutti i suoi effetti: scatti periodici di anzianita' (cfr. Cass. n. 6166 del 1988), durata del preavviso, delle ferie annuali e del comporto per malattia, passaggi automatici di qualifica. Ma tra questi effetti non v'e' piu' il diritto all'indennita' di anzianita', al quale la legge del 1982 ha sostituito un trattamento di natura diversa.