Ricorso della regione Lombardia, in persona del presidente della giunta regionale pro-tempore ing. Giuseppe Giovenzana, autorizzato con delibera n. 48025 del 6 novembre 1989, rappresentato e difeso dagli avvocati prof. Valerio Onida e Gualtiero Rueca, e presso quest'ultimo elettivamente domiciliato in Roma, largo della Gancia, 1, come da mandato a margine del presente atto, contro il Presidente del Consiglio del Ministri pro-tempore, per la dichiarazione di illegittimita' costituzionale dell'art. 8 del d.-l. 9 ottobre 1989, n. 338, recante "Disposizioni urgenti in materia di evasione contributiva, di fiscalizzazione degli oneri sociali e di sgravi contributivi nel mezzogiorno e di finanziamento dei patronati" Gazzetta Ufficiale 10 ottobre 1989. F A T T O La legge 19 gennaio 1955, n. 25, recante "Disciplina dell'apprendistato", prevede per gli apprendisti, all'art. 21, l'assistenza sociale obbligatoria per gli infortuni sul lavoro, le malattie, l'invalidita' e vecchiaia, la TBC. I contributi dovuti per tali assicurazioni dovevano essere versati (art. 22) tramite acquisto di un'apposita marca settimanale. Al pagamento dei contributi in favore degli apprendisti artigiani provvedeva "senza onere e formalita' alcuna per gli imprenditori", il Fondo per l'addestramento professionale dei lavoratori (F.A.P.L.), istituito dall'art. 62 della legge 29 aprile 1949, n. 264 (art. 28); l'erogazione della somme avveniva con decreto del Ministro del lavoro e della previdenza sociale, secondo contratti da stipularsi tra il fondo e gli istituti previdenziali. Nel quadro della riforma della formazione professionale, attuata con la legge 21 dicembre 1978, n. 845, e della attribuzione alle regioni di competenze legislative e amministrative nella materia, l'art. 16 della stessa legge n. 845/1978 stabili' che "la regione, per i fini di cui all'art. 21 della legge 19 gennaio 1955, n. 25, stipulano con gli istituti assicuratori convenzioni per il pagamento, a valere sui fondi di cui all'art. 22, primo comma" della medesima legge "delle somme occorrenti per le assicurazioni in favore degli apprendisti artigiani". A sua volta l'art. 22 della legge n. 845/1978 prevede che le attivita' promosse dalle regioni sono finanziate "nell'ambito del fondo comune di cui all'art. 8 della legge 16 maggio 1970, n. 281", al quale sono conferiti gli stanziamenti statali gia' attinenti alle attivita' trasferite nonche' la disponibilita' del F.A.P.L. per l'anno 1979. Nella stessa legge si prevede la soppressione del Fondo addestramento professionale lavoratori, la soppressione di tutti i contributi a carico di enti diversi previsti a favore del F.A.P.L. (art. 23), e l'abrogazione degli artt. 20 e 28 della legge n. 25/1955 (art. 16, ultimo comma). L'onere per il pagamento dei contributi a carico della regione scatta dunque, secondo il chiaro tenore dell'art. 16, solo con la stipulazione delle convenzioni, in base e nei limiti delle stesse. A tali convenzioni tra regioni e istituti assicurativi non si e' finora potuti addivenire sia per le pretese eccessive degli enti assicurativi (le stesse cifre sugli apprendisti artigiani fornite dall'I.N.P.S. non sono mai state univoche, essendosi talvolta scambiato il numero degli apprendisti artigiani con quello - chiaramente maggiore - di tutti gli apprendisti), sia per la sordita' del Governo di fronte all'esigenza di trovare soluzioni ragionevoli alla vicenda. Le ragionevoli richieste regionali sono cosi' sintetizzabili: a) una convenzione-tipo valida per tutte le regioni, da determinarsi negli stessi termini in cui vigeva il rapporto tra enti e Stato; b) un criterio, riconosciuto valido da tutte le parti, di certezza statistica sul numero degli apprendisti artigiani; c) una definizione univoca delle tariffe; d) procedure atte a garantire una semplificazione dei sistemi di conteggio. Tali richieste non sono mai state ascoltate, e si e' lasciato che il problema diventasse incandescente, specie tenendo conto che il fondo comune regionale, in cui confluirono le disponibilita' del F.A.P.L. per il 1979, e' andato col tempo decrescendo in termini reali, e talora addirittura e' stato decurtato in termini nominali (art. 2, primo comma, del d.-l. n. 677/1981), e che quindi le risorse a disposizione della regione sono andate in sostanza diminuendo nel tempo. Per tutta risposta il Governo ha iniziato ad utilizzare l'arma impropria della decretazione di urgenza: dopo un primo tentativo effettuato con il d.-l. 20 novembre 1985, n. 649 (art. 3), il Governo e' tornato alla carica con il "decretone" del 31 dicembre 1988, n. 548 (art. 11), poi i dd.-ll. nn. 110, 196 e 279 del 1989 gia' impugnati, e infine, adesso - nonostante le contestazioni regionali - con il d.-l. n. 338/1989 il cui art. 8 recita: "1. - Le regioni a statuto ordinario comunicano, entro il 20 ottobre 1989, ai Ministri del lavoro e della previdenza sociale e del tesoro la stipula delle convenzioni di cui all'art. 16, terzo comma, della legge 21 dicembre 1978, n. 845. 2. - Le convenzioni di cui al primo comma stabiliscono anche il pagamento in cinque annualita' costanti dei contributi per gli anni 1988 e precedenti, senza gravami di interessi ed oneri accessori per i contributi e la rateizzazione. Il limite massimo di dette annualita' e' fissato, per ogni regione e per ciascuno degli anni interessati alla rateizzazione, al 2% della quota del fondo comune ad essa spettante, per l'anno 1989, ai sensi dell'art. 1 della legge 1º febbraio 1989, n. 40, al netto delle somme di cui all'art. 9 della legge 10 aprile 1981, n. 151, a carico delle singole regioni. In caso di insufficienza della rateizzazione rispetto ai contributi dovuti, il numero delle annualita' e', con i suddetti criteri, automaticamente aumentato. 3. - In mancanza della stipula delle convenzioni il Ministero del tesoro provvede ad accantonare, a valere sulle erogazioni spettanti alle regioni per gli anni 1990 e successivi, ai sensi dell'art. 8 della legge 16 maggio 1970, n. 281, importi annuali corrispondenti a quelli dovuti in forza del secondo comma. Le somme accantonate vengono calcolate sulla base dei crediti comunicati al Ministero del tesoro, entro il 15 novembre 1989, dal Ministero del lavoro e della previdenza sociale e vengono corrisposte agli istituti assicuratori entro il termine di ogni esercizio. 4. - Fino all'intervenuta stipula delle convenzioni, i contributi dovuti da ogni regione per gli anni 1989 e successivi verranno trattenuti sulle quote spettanti a titolo di ripartizione del fondo comune afferente all'anno successivo a quello di competenza dei contributi, sulla base dei crediti annualmente comunicati al Ministero del lavoro e della previdenza sociale ai fini della successiva erogazione a favore degli istituti assicuratori". Cosi' facendo, il Governo ha inopinatamente abbracciato le tesi degli istituti assicuratori, facendo proprie incondizionatamente le pretese da essi sostenute circa l' an ed il quantum delle somme richieste alle regioni, e scaricando su queste ultime oneri insopportabili (ad esempio per la Lombardia si parla di oltre 150 miliardi, per le Marche di oltre 30 miliardi), a cui non corrisponde nessun contributo statale, e per di piu' oneri attinenti a materia (la previdenza sociale) in cui non vi e' nessuna competenza regionale; anticipando altresi' e anzi sostituendo con il decreto-legge le soluzioni giudiziarie che l'I.N.P.S. e l'I.N.A.I.L. avevano piu' volte prospettato di voler promuovere. L'art. 8 del d.-l. n. 338/1989 e' peraltro gravemente illegittimo e lesivo dell'autonomia regionale per le seguenti ragioni di D I R I T T O 1. - Violazione dell'at. 77 della Costituzione. Come si e' ricordato, la vicenda relativa ai contributi assicurativi per gli apprendisti artigiani si trascina dal 1979: gia' si era tentato di intervenire nel dicembre 1988; l'urgenza dell'intervento normativo e' dunque totalmente assente, e difettano i presupposti costituzionali per il ricorso al decreto-legge. Di fronte al problema dell' an e del quantum dei contributi per gli apprendisti artigiani, sarebbe stato, a dir poco, piu' corretto che l'intervento seguisse l'ordinario procedimento legislativo, nell'ambito del quale, fra l'altro, le regioni avrebbero potuto esporre compiutamente le proprie ragioni. Sotto altro profilo, non si puo' non sottolineare come il d.-l. impugnato difetti, in contrasto con l'art. 15 della legge n. 400/1988 e quindi con l'art. 77 della Costituzione, di un contenuto specifico, omogeneo, e corrispondente al titolo. Queste violazioni dell'art. 77, come risultera' anche da quanto si esporra' in seguito, si riverberano immediatamente in una lesione delle competenze regionali. 2. - Violazione degli artt. 117 e 119 della Costituzione. L'art. 8 del d.-l. n. 338/1989 accolla alle regioni oneri previdenziali ed assicurativi la cui corresponsione le regioni stesse hanno sempre contestato, non corrispondendo tale obbligo ad alcuna competenza regionale in materia, e traducendosi in una fiscalizzazione di oneri sociali operata in danno delle finanze regionali, con palese violazione degli artt. 117 e 119 della Costituzione. Alle regioni infatti non spetta alcuna competenza in materia previdenziale e tanto meno spettano competenze in ordine alla fissazione della misura dei contributi, che rimane affidata, ai sensi della legge n. 160/1975, a decreti del Ministro del lavoro: ora, la fiscalizzazione degli oneri sociali per gli apprendisti artigiani e' sicuramente misura legittima e ammissibile, ma deve essere sopportata dalla collettivita' generale (e non a caso la misura degli oneri e' determinata a livello centrale), non certo dalle regioni (che peraltro hanno solo limitate competenze in materia di finanza, e nessuna in materia previdenziale). 3. - Violazione degli artt. 81, quarto comma, e 119 della Costituzione. La giurisprudenza della Corte costituzionale ha sempre ritenuto che l'art. 81, quarto comma, trovi applicazione anche per le leggi che pongono nuove spese a carico di enti pubblici diversi dallo Stato, e in particolare delle regioni: (giur. costante da Corte costituzionale, sentenza n. 1/1966; v. da ultimo sentenze nn. 92/1981 e 307/1983): una legge non puo' accollare nuovi oneri alle regioni, senza fornire ad esse gli strumenti finanziari per farvi fronte. Cio' invece e' quanto succede con il d.-l. n. 338/1989, che accolla ex lege alle finanze regionali contributi assicurativi e previdenziali, il cui pagamento - comunque contestato nell' an e nel quantum avrebbe dovuto essere disciplinato da apposite convenzioni (si noti che cio' avrebbe consentito fra l'altro alle regioni di poter quantificare e programmare il numero delle persone interessate e le modalita' di erogazione delle somme). Da una situazione in cui l'obbligo del versamento e la sua misura dipendevano dalla stipula di apposite convenzioni tra regioni ed enti assicuratori, e quindi dalla libera volonta' contrattuale delle parti, si pretende di passare ad una imposizione ex lege dell'obbligo di pagamento, in misura unilateralmente determinata dagli istituti assicuratori, addebitando direttamente alle regioni le quote comunicate dal Ministero del lavoro. A tale obbligo di pagamento, precedentemente non esistente, sia perche' contestato nell' an e nel quantum, sia perche' derivante eventualmente solo dalle convenzioni, non fa riscontro alcuna corresponsione di mezzi a parte dello Stato: alle regioni viene imposto, per un numero di anni indeterminato, di rinunziare al 2% della propria quota del fondo comune per coprire l'onere dei contributi presuntivamente dovuti per gli anni passati, oltre che ad una ulteriore quota percentuale del fondo, totalmente sconosciuta perche' l'I.N.P.S. e l'I.N.A.I.L. non sono in grado di calcolarla, per i contributi futuri. La disposizione cosi' congegnata comporta per la regione un onere cospicuo e non esattamente quantificabile (se non a posteriori), di fronte al quale non sussiste un adeguato trasferimento di risorse per il passato, ne' una garanzia di accrescimento del fondo comune per gli esercizi futuri. In ogni caso, sarebbe stato corretto, quanto meno, prima determinare l'entita' dell'onere addossato alla regione e confrontarlo con le somme trasferite dallo Stato per la formazione professionale. E' vero che, ai sensi dell'art. 22 della legge n. 845/1978, al fondo comune fu conferito "l'importo corrispondente alla disponibilita' del fondo addestramento professionale lavoratori per l'anno 1979": ma tale somma gia' nel 1979 era assolutamente insufficiente a coprire i contributi che ogni regione avrebbe dovuto pagare, e inoltre - soppresso il fondo e soppressi i contributi a favore di esso - essa non e' stata in seguito accresciuta. Su questo punto fondamentale della controversia, sulla congruita', cioe', delle risorse assegnate alle regioni e con le quali esse dovrebbero far fronte ai pagamenti dei contributi per gli apprendisti artigiani, ben potrebbe la Corte, se del caso, utilizzare - senza che cio' significhi sconfinare in valutazioni di merito - lo strumento dell'ordinanza istruttoria, al fine di ottenere dalle competenti amministrazioni statali e regionali dati certi e attendibili su cui fondare le successive valutazioni. E' comunque certo, come si e' accennato, che l'entita' delle somme confluite nel fondo a seguito della soppressione del F.A.P.L. non e' mai stata rivalutata dopo il 1979. Le previsioni di spesa del F.A.P.L. tra il 1972-73 e il 1977-78 (cioe' tra l'anno di passaggio delle competenze per la formazione professionale alle regioni e la soppressione del F.A.P.L. stesso) sono state: 1972-73 .................................... L. 134.483.545.378 1973-74 ..................................... " 157.186.872.743 1974-75 ..................................... " 157.955.805.209 1975-76 ..................................... " 131.502.838.735 1976-77 ..................................... " 105.407.000.000 1977-78 ..................................... " 117.355.000.000 Nella composizione del fondo comune di cui all'art. 8 della legge n. 281/1970, la componente costituita dai trasferimenti previsti dall'art. 23 della legge n. 845/1978 e' tenuta evidenziata ed e' inalterata dal 1979: non subisce cioe' nessuna rivalutazione. Una fortissima rivalutazione hanno invece subito i contributi da versare all'I.N.P.S. per gli apprendisti, che non sono piu' determinati dalle aliquote previste dall'art. 22 della legge 19 gennaio 1955, n. 25, ma sono fissati annualmente mediante un decreto del Ministro del lavoro ai sensi della legge 3 giugno 1975, n. 160. I contributi sono cosi' passati dalle 920 lire settimanali (comprensive dell'I.N.A.I.L.) del 1976 alle 1271 del 1979 fino alle 3800 lire del 1988. Si e' venuta cosi' a determinare una situazione per cui il Ministro del lavoro con proprio decreto rincara annualmente delle spese considerate obbligatorie per le regioni, ma non viene incrementata quella aliquota di dotazione finanziaria destinate a farvi fronte. E - si noti - il numero degli apprendisti e' aumentato, ed e' destinato ad aumentare in ragione della convenienza che hanno le imprese a servirsi di questo tipo di forza-lavoro. Dell'intero contributo I.N.P.S. per gli apprendisti gravano sugli imprenditori solo 32 lire: e tale cifra e' rimasta invece invariata dal 1976. L'accollo del contributo I.N.P.S. per gli apprendisti artigiani sulle finanze pubbliche e' una classica misura di fiscalizzazione di oneri sociali: ma se tale e' la sua natura, a sopportarne l'onere deve essere tutta la collettivita' e non la regione (e il suo bilancio). Il d.-l. n. 338/1989 viola dunque gli artt. 81, quarto comma, e 119 (che impone alla legge di coordinare la finanza statale con quella regionale) della Costituzione nella misura in cui accolla autoritativamente (e non in seguito a convenzioni) il peso di una fiscalizzazione di oneri sociali sul bilancio di enti esponenziali di collettivita' parziali, quali le regioni. Alla regione, dunque, tocca pagare cifre relative a oneri fiscalizzati, il cui ammontare e' deciso da un soggetto terzo, ed e' aumentato di circa tre volte dal 1979, senza che il fondo relativo a tali pagamenti sia mai stato rivalutato³ La violazione dell'art. 81, quarto comma, si sostanzia nell'accollo alle regioni di spese il cui ammontare non solo e' nel tempo assolutamente indeterminato, ma cresce in relazione a due fattori (aumento degli apprendisti; aumento dei contributi) assolutamente non controllabili dalla regione: uno dei due fattori, anzi, e' determinato direttamente dallo Stato (su evidente pressione degli istituti assicuratori). Cio' che stupisce comunque, e' che il Governo abbia sposato in pieno il punto di vista degli enti assicuratori: di fronte alla contestazione regionale sull' an e soprattutto sul quantum del dovuto, lo Stato ha deciso che le somme dovute dalle regioni sono "calcolate sulla base dei crediti comunicati al Ministero del tesoro, entro il 15 novembre 1989, dal Ministero del lavoro e della previdenza sociale....."³ Si tratta di una tecnica singolare: contestandosi un credito, nella sua esistenza e nella sua quantita', invece che perseguire le normali vie giudiziarie, si e' ritenuto miglior partito (piu' rapido e sicuro) quello di ottenere dal Governo un decreto-legge col quale si impone che le somme contestate siano in via autoritativa trattenute nella misura vantata dal presunto creditore, sulle somme spettanti al presunto debitore³ 4. - Violazione degli artt. 24, 101 e 113 della Costituzione. Come si e' accennato, la disposizione impugnata viene in sostanza a regolare autoritativamente un rapporto fra regioni e istituti assicurativi, definendone il contenuto in conformita' alle pretese di questi ultimi e a danno delle regioni. Ora, se si riconosce - come deve riconoscersi - che l'obbligo corrispondente alle somme che oggi si vorrebbero trattenere alle regioni in precedenza non sussisteva, almeno nella misura oggi imposta, e' inevitabile constatare la violazione degli artt. 81, quarto comma, e 119, della Costituzione. Ma se, in denegata ipotesi, dovesse ritenersi che tale obbligo, benche' contestato, gia' sussistesse, egualmente la disposizione impugnata sarebbe illegittima, in quanto essa avrebbe la portata e l'effetto di sostituire unilateralmente e autoritativamente una determinazione legislativa ad un accertamento, effettuato nella competente sede giurisdizionale e sulla base di una corretta ricognizione dei presupposti, dell'esistenza e dell'entita' del presunto obbligo. In tal modo l'art. 8 del d.-l. n. 338/1989 verrebbe a violare palesemente gli artt. 24, 101 e 113 della Costituzione, traducendosi in una indebita interferenza nelle funzioni dell'autorita' giudiziaria nonche' in una illegittima compressione del diritto, spettante alle regioni, alla tutela giudiziaria nei confronti delle pretese degli istituti assicurativi.