IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE
   Ha  pronunziato  la seguente ordinanza sul ricorso n. 2238/88 r.g.,
 proposto da Scozzari Giuseppe, rappresentato e difeso dall'avv. Guido
 Di  Stefano,  elettivamente  domiciliato in Palermo, via Resuttana n.
 366, presso l'avv. T. D'Angelo, contro  il  Ministero  della  difesa,
 distretto militare di Agrigento, in persona del Ministro pro-tempore,
 rappresentato e difeso, come per legge, dall'avvocatura  dello  Stato
 del  distretto  di Palermo, domiciliataria, per l'annullamento previa
 sospensione, del provvedimento di chiamata  alle  armi  di  cui  alla
 cartolina  di  precetto  n.  592  del  13  ottobre 1988 del distretto
 militare di Palermo, pervenuta il  successivo  19  ottobre  1988,  in
 forza  della quale e' stata disposta la presentazione del sunnominato
 Scozzari Giuseppe presso il 92º btg. f. "Basilicata" di  Foligno  per
 il giorno 4 novembre 1988;
    Visto  l'atto  di  costituzione  in giudizio dell'avvocatura dello
 Stato per l'amministrazione intimata;
    Visti gli atti depositati dalle parti;
    Visti gli atti tutti della causa;
    Relatore  alla  pubblica  udienza  del  4  luglio  1989,  il primo
 referendario dott. Calogero Ferlisi;
    Uditi  l'avv. G. Di Stefano per il ricorrente e l'avvocatura dello
 Stato per l'amministrazione residente;
    Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue:
                               F A T T O
    Il  sig.  Scozzari Giuseppe ha chiesto ed ottenuto, per vari anni,
 il rinvio del servizio militare perche' studente universitario  (fino
 al 31 dicembre 1987).
    Non  avendo  presentato  entro  tale  termine ulteriore istanza di
 ritardo,  il  giovane,  arruolato,  veniva  chiamato  alle  armi  dal
 distretto  militare  di Agrigento con cartolina n. 592 del 13 ottobre
 1988, in forza della quale ne era disposta la presentazione presso il
 92º btg. f. "Basilicata" di Foligno per il giorno 4 novembre 1988.
    Avverso  tale  provvedimento  l'interessato  ha  proposto  ricorso
 avanti  questo  tribunale  amministrativo,  con  atto  notificato   e
 depositato   il  28  ottobre  1988,  chiedendone  l'annullamento  con
 vittoria  di  spese  e  deducendo  violazione  e  falsa  applicazione
 dell'art. 21, secondo comma, della legge n. 191/1971, nonche' eccesso
 di potere sotto il profilo del travisamento del presupposto  e  della
 ingiustizia manifesta.
    Sostiene,  il  ricorrente,  che,  in base al tenore testuale della
 norma, l'amministrazione abbia l'obbligo, a  pena  di  decadenza,  di
 chiamare  alle  armi i giovani arruolati, gia' ritardatari, non oltre
 il primo  scaglione,  o  al  piu'  il  primo  contingente,  dell'anno
 successivo alla cessazione del titolo del ritardo.
    Ne discenderebbe, percio', la tardivita' e la illegittimita' della
 cartolina precetto adottata - come nel caso  di  specie  -  oltre  il
 predetto termine perentorio.
    Costituitasi   in   giudizio   per  l'amministrazione  resistente,
 l'avvocatura dello Stato non ha depositato difese scritte.
    Con  ordinanza  collegiale n. 357/1988 veniva accolta l'istanza di
 sospensione del  provvedimento  impugnato,  proposta  contestualmente
 all'atto introduttivo.
    Alla  pubblica  udienza  del  4  luglio  1989  il  procuratore del
 ricorrente si e' riportato alle gia' esposte  difese  e  conclusioni,
 mentre  il  rappresentante  dell'avvocatura dello Stato ha chiesto il
 rigetto del  gravame,  ritenendolo  infondato.  La  causa  e'  stata,
 quindi, assunta in decisione dal collegio.
                             D I R I T T O
    1.   -  La  questione  su  cui  la  sezione  e'  oggi  chiamata  a
 pronunziarsi  e'  gia'  stata  dalla  stessa  affrontata  e  risolta,
 conformemente  alla  tesi  prospettata  nel  ricorso  in  esame,  con
 sentenza n. 413 del  31  maggio  1988  (peraltro  non  isolata  nella
 materia  di  che  trattasi:  cfr.  t.a.r. Veneto, n. 5 del 21 gennaio
 1986), resa in fattispecie analoga alla presente.
    Va   rilevato,   tuttavia,   che   il   consiglio   di   giustizia
 amministrativa per la regione  siciliana  in  s.g.,  riesaminando  il
 problema  in  sede  di giudizio di appello della predetta sentenza n.
 413/1988, e' giunto a  conclusioni  difformi,  accogliendo  l'opposto
 principio  che  la  previsione  normativa,  secondo  cui  coloro  che
 fruiscono del rinvio sono tenuti a prestare il servizio militare  con
 il  primo  scaglione  o contingente chiamato alle armi configurerebbe
 solamente un obbligo nei confronti degli arruolati  e  non  anche  un
 obbligo  perentorio  dell'amministrazione  (dec.  n. 110 del 21 marzo
 1989).
    Questo  decidente,  nel  prendere atto della interpretazione della
 norma enunciata dal giudice superiore, in forza  della  quale  l'art.
 21,  secondo comma, della legge n. 191/1971 (che dispone: "cessato il
 titolo al ritardo, coloro che ne fruivano sono tenuti a  prestare  il
 servizio  militare con il primo scaglione o contingente chiamato alle
 armi se dell'Esercito o dell'Aeronautica, ovvero,  se  della  Marina,
 con  uno  degli  scaglioni  della  classe  di leva chiamata alle armi
 nell'anno di cessazione del titolo al ritardo,  o,  al  massimo,  col
 primo     scaglione     della     classe     successiva")    consente
 all'amministrazione militare di chiamare l'arruolato nell'Esercito  o
 nell'Aeronautica, gia' ritardatario, non appena possibile, anche dopo
 il primo scaglione  o  contingente  e,  dunque,  senza  alcun  limite
 temporale perentorio al potere in tal modo esercitato interpretazione
 alla cui stregua le censure prospettate nel  ricorso  oggi  in  esame
 andrebbero disattese, conducendo alla reiezione del gravame - ritiene
 tuttavia di doversi dar carico d'ufficio dell'esame  della  questione
 di   legittimita'   costituzionale   della  norma  di  che  trattasi:
 all'evidenza  rilevante  ai  fini  della  decisione  della   presente
 controversia  in  dipendenza  della ricostruzione ermeneutica operata
 dal c.g.a. nella cennata pronuncia n. 110/1989.
    2.  -  Osserva  a tal proposito il collegio che l'art. 21, secondo
 comma, della legge n. 191/1971, nella interpretazione enunciatane dal
 giudice amministrativo di secondo grado (attraverso la pronuncia resa
 dalla sua articolazione decentrata operante nella Regione siciliana),
 collima  con  fondamentali  principi  costituzionali desumibili degli
 artt. 3, 23, 52 e 97, primo comma, della Costituzione, per  la  parte
 in  cui  non  prevede  che il termine per la chiamata alle armi degli
 arruolati  dell'Esercito  e  dell'Aeronautica,  ivi   disposto,   sia
 perentorio.
    Occorre  premettere  che,  in  base  all'attuale sistema normativo
 relativo alla leva ed al reclutamento  obbligatorio,  ogni  cittadino
 italiano,  di  sesso  maschile,  per  il solo fatto della nascita, e'
 inserito in una "classe di leva" che,  per  l'appunto,  coincide  con
 l'anno di nascita (art. 5 della legge n. 237/1964).
    Poiche'  la  legge  prevede  la  "chiamata delle classi alla leva"
 (art. 2 della legge n. 191/1975 che ha  sostituito  l'art.  44  della
 legge  n.  237/1964),  ogni  cittadino  e'  posto nelle condizioni di
 sapere che sara' chiamato  alla  leva  nell'anno  in  cui  compie  il
 diciottesimo  anno  di  eta';  tale  anno,  altresi',  identifica  la
 cosiddetta "sessione di leva" (art. 13 della legge n. 191/1975),  che
 decorre   dal   1º   gennaio   al  31  dicembre  dell'anno  preso  in
 considerazione.
    Se  le  operazioni  di  leva danno esito positivo, il cittadino e'
 arruolato ed e' inserito nei "ruoli militari"  a  sensi  dell'art.  8
 della legge n. 237/1964. Dopo di che, questi, e', di norma, collocato
 (art.  14,  secondo  comma,  della  legge  n.  191/1975)  in  congedo
 illimitato provvisorio in attesa di essere chiamato alle armi.
    La  "chiamata  alle  armi  ha luogo per ordine del Ministro per la
 difesa,  nell'anno  in  cui   i   giovani   arruolati   compiono   il
 diciannovesimo anno di eta'" (art. 3, primo comma, della citata legge
 n. 191/1975), salva la facolta' concessa  allo  stesso  Ministro,  di
 anticiparla  o  ritardarla  di  un  anno per "speciali circostanze" o
 "contingenze  straordinarie"  (si  veda   la   diversa   formulazione
 dell'art.  540  del  r.d.  3  aprile 1942, n. 133, che, in un diverso
 contesto  costituzionale,  consentiva,  all'allora   Ministro   della
 guerra,  di  chiamare  alle  armi  i  cittadini arruolati senza alcun
 riferimento temporale preciso).
    Dal quadro normativo oggi vigente si evince:
       a)  che  le  operazioni  di  leva  e  reclutamento  poggiano su
 procedimenti   ed   istituti   tipizzati   e   che   di   conseguenza
 l'amministrazione  militare  -  in  conformita' alla riserva di legge
 sancita dall'art. 23 della Costituzione in ordine all'imposizione  di
 prestazioni  personali  -  non  ha alcun margine di discrezionalita',
 fatte salve le espresse e tassative eccezioni sancite  da  specifiche
 disposizioni legislative;
        b)  che  il  cittadino  arruolato - in conformita' ai principi
 desumibili dall'art. 52 della Costituzione - viene posto,  attraverso
 la  predeterminazione  dei procedimenti e la delimitazione dei poteri
 della p.a., nelle condizioni di poter conoscere in anticipo  i  tempi
 ed  i  modi  entro i quali egli sara' assoggettato alla chiamata alle
 armi e, dunque, di svolgere il relativo servizio con il  minor  danno
 possibile per la propria posizione e situazione individuale.
    Dalle  superiori  premesse  deriva,  in  buona  sostanza,  che gli
 aspetti temporali relativi alla chiamata  alle  armi,  come  in  atto
 disciplinata  dalla legge n. 191/1975, e dalla legge n. 237/1964, non
 implicano   spazi   di   discrezionalita'    amministrativa;    cio',
 verosimilmente,  nell'intento,  costituzionalmente  rilevante, di far
 si' che il servizio militare di leva soggiaccia alla riserva di legge
 nei  suoi  aspetti piu' rilevanti e, comunque, non sia di particolare
 pregiudizio per gli interessi del cittadino e, in particolare, per la
 sua posizione di lavoro, attuale o potenziale.
    Tale  regola  trova, peraltro, conferma nelle uniche due eccezioni
 espressamente  previste  dalla  ripetuta  legge   191:   quella   che
 attribuisce  al  Ministro  la  facolta'  di  chiamare  alle  armi gli
 arruolati per contingenti o scaglioni (art. 3, terzo  comma);  ovvero
 quella di anticipare o posticipare - ma di un solo anno - la chiamata
 stessa (art. 3, secondo e quarto comma). A tal fine,  pero',  occorre
 un  apposito  provvedimento  di  carattere  generale, che deve essere
 opportunamente motivato circa le "speciali  circostanze",  ovvero  le
 "contingenze straordinarie" che ne giustifichino l'emanazione.
    Non e' superfluo ricordare che la stessa Corte costituzionale, con
 sentenza n. 164/1985, riconoscendo la natura perentoria  del  termine
 fissato  dall'art. 3, secondo comma, della legge 15 dicembre 1972, n.
 772  (relativa  al  servizio  civile  sostitutivo),  ha  sottolineato
 l'esigenza  di  ordine  costituzionale  di  circoscrivere  al  minimo
 indispensabile i disagi connessi alla prolungata attesa del cittadino
 per la chiamata agli obblighi connessi col servizio militare di leva.
    Senonche'  la  ratio  legis  -  garantista  -  che pure emerge nel
 contesto della legge n. 237/1964 e della legge  n.  191/1975,  appare
 totalmente  capovolta  nell'art.  21, secondo comma, di quest'ultima.
 Qui, infatti, il legislatore avrebbe sancito il sostanziale  arbitrio
 dell'Amministrazione  della  difesa  che,  nel  chiamare  alle armi i
 soggetti  che  hanno  fruito  del  ritardo,  verrebbe   posta   nelle
 condizioni  di  esercitare  il relativo potere quando meglio ritiene,
 senza alcun limite temporale perentorio: ed e' di tutta evidenza come
 una  siffatta  scelta legislativa oltre a non presentare coerenza col
 resto delle norme  esistenti  in  materia,  non  trovi  alcun  valido
 supporto negli artt. 23 e 52 della Costituzione.
    3.   -   Quanto   alla   dedotta   violazione  dell'art.  3  della
 Costituzione, e' palese, ad avviso del  collegio,  la  disparita'  di
 trattamento che la norma denunziata determina tra gli arruolati, gia'
 ritardatari, dell'Esercito e dell'Aeronautica (assoggettati, come  si
 e'  detto,  ad  un  vero e proprio arbitrio circa il tempo della loro
 chiamata alle armi dopo il ritardo) e  quelli  della  Marina,  per  i
 quali, viceversa, e' previsto che la chiamata alle armi deve avvenire
 "... con uno degli scaglioni della classe di leva chiamata alle  armi
 nell'anno  di  cessazione  del  titolo  al ritardo o, al massimo, col
 primo scaglione della classe successiva" (art. 22, secondo comma).
    L'espressione   "al   massimo"  -  la  quale  nel  suo  perentorio
 significato letterale e logico e' di assoluta  evidenza  -  non  era,
 peraltro,  contenuta  nel  previgente art. 87 della legge n. 237/1964
 (questo testualmente disponeva: "cessato il titolo al ritardo, coloro
 che  ne  fruivano  sono tenuti a prestare il servizio militare con il
 primo scaglione o contingente chiamato alle armi se  dell'Esercito  o
 dell'Aeronautica,  ovvero con il primo scaglione della classe di leva
 che sia chiamata alle armi per compiere la ferma, se  della  Marina")
 sicche'  la stessa diversita' letterale tra le disposizioni ricordate
 evidenzia l'intento della disposizione  successiva  di  collegare  il
 potere di chiamare il cittadino alla ferma in Marina a precisi limiti
 temporali; il medesimo intento pero', ingiustificatamente, non  viene
 applicato  anche  per gli arruolati dell'Esercito e dell'Aeronautica,
 presentando la scelta relativa evidenti sintomi del c.d. "eccesso  di
 potere legislativo".
    Ne',  a tal proposito, e' dato cogliere se, ed in che modo, la pur
 differenziata disciplina  della  leva  di  mare  (relativamente  alla
 durata  della  ferma ed al sistema di avviamento alla stessa, attuata
 solamente tramite scaglioni - art. 17  della  legge  n.  191/1975  -)
 possa  giustificarne il diverso, opposto trattamento riservato, sotto
 l'aspetto che qui interessa, alla leva delle altre Armi.
    Un  ulteriore profilo di disparita' di trattamento si coglie, poi,
 nel fatto che gli arruolati  gia'  ritardatari,  contrariamente  agli
 altri  arruolati  (i quali debbono essere chiamati, come si e' visto,
 al diciannovesimo anno, salvo provvedimento generale e  motivato  del
 Ministro  di  anticipo  o proroga di un anno) vengono assoggettati ad
 una incontrollabile alea temporale  che  dipende  solamente  o  dalla
 libera  determinazione  dell'Amministrazione della difesa, o, peggio,
 dalla maggiore o minore capacita' organizzativa della stessa. Non  si
 tratta,  pertanto, di postulare una situazione di privilegio (c.g.a.,
 dec. n. 110/1989, citata)  per  gli  arruolati  gia'  ritardatari  (i
 quali,  ammettendo  la perentorieta' del termine, verrebbero di fatto
 esonerati dallo svolgere il servizio  militare  nell'ipotesi  in  cui
 l'amministrazione  non  osservasse il termine medesimo) rispetto agli
 arruolati  non  ritardatari  (i  quali  sarebbero   assoggettati   al
 principio   di  tassativita'  delle  cause  di  esonero  dell'obbligo
 militare), bensi' di estendere allo status dei primi -  di  arruolati
 in  attesa di ferma di leva - le medesime garanzie di certezza di cui
 godono i secondi; ai quali  ultimi  la  legge  medesima  consente  di
 conoscere  con  certezza  che saranno assoggettati alla ferma di leva
 nell'anno di  compimento  del  diciannovesimo  anno  di  eta',  salvo
 motivato provvedimento ministeriale di anticipo o proroga di un anno.
    Non  e'  inopportuno  rilevare,  inoltre,  come  nulla autorizzi a
 ritenere, stante la formulazione dell'art. 21, secondo  comma,  della
 legge  n.  191/1971,  che l'incertezza sulla chiamata dell'arruolato,
 gia' ritardatario, debba durare un solo anno (quello successivo  alla
 cessazione  del titolo al ritardo) e non possa invece protrarsi anche
 negli anni successivi.
    Invero,  dato che la norma indica un termine, laddove questo debba
 interpretarsi come sollecitatorio anziche' perentorio  (c.g.a.,  dec.
 n.  110/1988,  citata),  nulla  impedisce  che  la chiamata alle armi
 avvenga, per gli arruolati in argomento, anche dopo piu'  anni  dalla
 cessazione del ritardo.
    Una  tale  inevitabile  conseguenza, mentre da un lato finisce con
 l'offrire all'amministrazione, relativamente al tempo della  chiamata
 alle  armi,  un  margine  di  discrezionalita'  che  non  trova alcun
 riscontro nel sistema della legge, dall'altro pone il cittadino  (che
 abbia chiesto il ritardo della ferma di leva) nelle condizioni di non
 poter adeguatamente programmare la propria vita ed i  propri  impegni
 di  lavoro (questi, infatti, non solo non puo' stabilire con certezza
 con quale scaglione o contingente sara' chiamato ai doveri  militari,
 ma,  addirittura,  nemmeno in quale anno), con gravissimo pregiudizio
 dei canoni costituzionali di cui agli artt. 3,  23,  52  e  97  della
 Costituzione, sia singolarmente che unitariamente considerati.
    Si noti, per completezza, che anche gli artt. 650 e 655 del r.d. 3
 aprile 1942, n. 1133, non piu' vigenti, sancivano che alla cessazione
 del  ritardo  l'arruolamento  dovesse essere precettato a presentarsi
 alle armi con la prima classe che veniva chiamata dopo il periodo  di
 ritardo,   senza   alcuna   comminatoria   di   decadenza:  una  tale
 disposizione,  pero',  poteva  giustificarsi  nel  diverso   contesto
 giuridico  e  costituzionale  allora  esistente,  in cui - come si e'
 ricordato - non vi era ne' una copertura costituzionale  della  sfera
 giuridica del cittadino comparabile a quella attuale, ne' una precisa
 collocazione temporale della chiamata alle armi da parte del Ministro
 della guerra (cfr. art. 540 del r.d. 3 aprile 1942, n. 1133).
    E   d'altronde   il  carattere  storicamente  innovativo,  e  piu'
 marcatamente garantista, della  attuale  disciplina  giuridica  della
 materia,  lo  si coglie nel raffronto dell'art. 3 della legge n. 191,
 con il previgente art. 78 del d.P.R.  n.  237/1964.  L'uno,  infatti,
 fissa  un preciso riferimento temporale per la chiamata alle armi (al
 diciannovesimo anno d'eta') - delineando nel contempo le due  precise
 eccezioni   prima  ricordate  -,  l'altro  invece  ignorava  un  tale
 riferimento ed, anzi, disponeva testualmente  che  la  chiamata  alle
 armi   aveva   luogo  per  ordine  del  Ministro  della  difesa  "...
 normalmente nell'anno in cui i giovani compiono il  ventunesimo  anno
 di  eta'...",  cosi'  riconoscendo implicitamente all'amministrazione
 una discrezionalita' di scelta temporale di amplissima portata.
    4.  -  A  rafforzare, poi, il dubbio che la norma in questione non
 sia in armonia con i ricordati principi costituzionali,  soccorre  la
 ulteriore  considerazione  che,  una  volta  ritenuta l'assenza di un
 termine perentorio entro cui esercitare la  chiamata  alle  armi  nel
 periodo  post/ritardo,  l'Amministrazione  della difesa divente "tout
 court" destinataria della facolta' di esercitare il  potere  medesimo
 anche  oltre l'anno successivo a quello in cui e' cessato il ritardo.
    Ancorche', nella specie, il provvedimento impugnato risulti essere
 stato adottato entro l'anno successivo alla cessazione  del  ritardo,
 tuttavia,  in  quanto  l'art.  21,  secondo  comma,  della  legge  n.
 1191/1971  impedisce  al  cittadino  soggetto  alla  ferma  di   leva
 nell'Esercito  o  nell'Aeronautica  (non  a  quello della Marina), di
 prefigurarsi quando potra'  e  dovra'  assolvere  al  proprio  dovere
 militare,    risulta    ulteriormente    avvalorata    la    radicale
 inconciabilita' della norma denunziata con i principi  costituzionali
 di eguaglianza e di riserva di legge in materia, avuto riguardo anche
 alla esigenza,  costituzionalmente  rilevante  ed  evidenziata  dalla
 Corte   (con   la  menzionata  sentenza  n.  164/1985),  secondo  cui
 l'assoggettamento del cittadino alla ferma di leva deve attuarsi  con
 il minor danno possibile, nonche' del buon andamento della p.a.
    5.   -   Ne'   puo'  parimenti  ipotizzarsi  che  la  norma  trovi
 giustificazione nelle difficolta' organizzative dell'Amministrazione,
 connesse  alla  predisposizione della chiamata alle armi dei soggetti
 ritardatari,  giacche'  tale  assunto  collide   oggettivamente   col
 principio  del  buon andamento dell'amministrazione sancito dall'art.
 97 della Costituzione.
    La  ratio  del  precetto  costituzionale,  contenuto nell'art. 97,
 infatti, appare inconciliabile con qualsiasi scelta legislativa  che,
 come  quella in argomento, risulti essere sostanzialmente ispirata al
 principio secondo cui  i  ritardi  ed  i  disguidi  cui  puo'  andare
 incontro  la  p.a. (nella specie quella della Difesa, nel programmare
 l'avviamento alle armi dei soggetti che abbiano fruito  del  ritardo)
 possono    legittimamente   ritorcersi,   senza   alcuna   plausibile
 giustificazione, in danno del cittadino.
    Deve  altresi'  considerarsi che l'art. 656 del r.d. n. 1133/1942,
 mai  abrogato,  ne'  esplicitamente,  ne'  implicitamente,   sancisce
 l'obbligo  dell'amministrazione  militare  di  tenere  aggiornato  un
 apposito elenco  nominativo  contenente  le  variazioni  annuali  dei
 giovani  ammessi al ritardo, di tal che e' la stessa legge che toglie
 rilevanza alla sopra ipotizzata difficolta'  dell'amministrazione  di
 avere  una  tempestiva  informazione  sui  soggetti  che  cessano dal
 ritardo  e,  quindi,  di  pianificare  la  chiamata  degli  arruolati
 ritardatari in tempi legislativamente pre-fissati.
    6.  -  Tanto meno puo' sostenersi, infine, ove la norma disponesse
 un preciso termine  a  carattere  perentorio,  che  i  soggetti  gia'
 ammessi  al  ritardo  verrebbero  ad avere un vantaggio rispetto agli
 arruolati non ritardatari, giacche' dal sistema delle  norme  vigenti
 non  si ricava affatto per questi ultimi la chiamata alle armi possa,
 indiscriminatamente, essere  disposta  in  base  alla  incondizionata
 discrezionalita' dell'amministrazione e dunque in ogni tempo.
    Anzi,  in generale, l'istituto della chiamata alle armi, in quanto
 rivolto ad imporre in concreto all'arruolato la prestazione personale
 del servizio di leva, deve costituire atto dell'Amministrazione della
 difesa, dovuto nei tempi e nelle forme  dettate  dalla  legge,  fatte
 salve  solamente le facolta' (di ritardo o di dispensa) espressamente
 e tassativamente stabilite dalla stessa.
    In  definitiva, sembra al collegio che ogni cittadino debba sapere
 con certezza almeno in quale anno sara' chiamato  alle  armi  e  cio'
 impone che la legge disponga in modo tale che l'amministrazione operi
 la effettuazione della  ferma  di  leva  secondo  procedure  e  tempi
 predeterminati.  Ogni indeterminatezza del relativo regime giuridico,
 che di fatto e di diritto faccia dipendere la chiamata alle  armi  da
 eventi incerti ed aleatori (sia nel caso di arruolati ordinari che in
 quello di arruolati ritardatari) e' tanto poco consono ai  richiamati
 precetti  costituzionali,  quanto  poco  omogeneo  rispetto al quadro
 generale delle norme attualmente vigenti in materia.
    7.   -   In  conclusione,  sulla  scorta  delle  fin  qui  esposte
 considerazioni, sembra necessario rimettere la  questione  al  vaglio
 del  giudice  delle  leggi,  al  fine  di  pervenire ad un definitivo
 autorevole chiarimento del problema.