IL TRIBUNALE MILITARE
    Ha  pronunciato  la  seguente  ordinanza nel procedimento penale a
 carico di Bazzano Luca, nato il  19  settembre  1965  a  Torino,  ivi
 residente  in  corso  Principe  Oddone  n. 24, celibe, licenza media,
 muratore, incensurato, d.m. di Torino, matricola n. 174371,  recluta,
 effettivo  al  S.A.R.A.M.  di  Macerata,  imputato di: "mancanza alla
 chiamata" (art. 151 del c.p.m.p.)  perche',  chiamato  alle  armi  ai
 sensi  della circ. 866 in Gazzetta Ufficiale 1987, resa nota mediante
 pubblici manifesti, senza giusto motivo ometteva  di  presentarsi  al
 d.m.  di  Torino  o  ad altra a.m. nei cinque giorni successivi al 27
 agosto 1988, termine ultimo prefissogli, rimanendo assente fino al 18
 gennaio  1989,  data  di  sua  spontanea  presentazione  in  Torino e
 successivo avvio al locale o.m., ove veniva  dimesso,  riformato,  in
 data 28 gennaio 1989.
                             O S S E R V A
    Con  sentenza  n.  409  depositata  il 18 luglio 1989 e pubblicata
 nella Gazzetta Ufficiale del 26 successivo la Corte costituzionale ha
 dichiarato   l'illegittimita'  costituzionale  dell'art.  8,  secondo
 comma, della legge 15 dicembre 1972, n.  772,  "nella  parte  in  cui
 determina  la  pena edittale ivi comminata nella misura minima di due
 anni anziche' in quella di sei mesi e nella misura massima di quattro
 anni anziche' in quella di due anni".
    Evidente  il  contenuto  "legislativo"  della  decisione, espresso
 chiaramente dalla Corte stessa  in  conclusione  di  motivazione:  "A
 seguito  delle  precedenti  considerazioni  la  pena  edittale per il
 delitto di cui al secondo comma dell'art. 8 della legge  n.  772/1972
 va  fissata  tenuto conto della pena edittale comminata dall'art. 151
 del c.p.m.p. nella misura di sei mesi nel minimo e di  due  anni  nel
 massimo".
    La  Corte,  al  fine di non essere vincolata dal divieto contenuto
 nell'art. 28 della legge n. 87/1953, ha affermato che essa  "...  nel
 riferire la sanzione penale di cui al secondo comma dell'art. 8 della
 piu' volte citata legge a quella edittalmente prevista per il delitto
 di  cui  all'art. 151 del c.p.m.p. non fa che vincolatamente attuare,
 anche per il fatto di cui al ricordato secondo comma dell'art. 8,  la
 valutazione  che  il  legislatore  opera in ordine al disvalore dello
 stesso (od analogo) fatto di cui all'art. 151 del c.p.m.p.".
    La  Corte  in  precedenza aveva affermato, in sede di comparazione
 del trattamento sanzionatorio, che il reato di rifiuto ex art. 8 e la
 mancanza  alla  chiamata, "pur subiettivamente diversificati, ledono,
 con modalita' oggettive analoghe, uno stesso interesse, quello ad una
 regolare   incorporazione   degli   obbligati  al  servizio  di  leva
 nell'organizzazione militare (...)  non  puo'  non  sottolinearsi  la
 lesione,  con  analoghe  modalita'  oggettive, da parte di entrambi i
 fatti delittuosi, d'uno stesso  bene  giuridico.  D'altra  parte,  il
 rimprovero  di  colpevolezza  che  si  muove  al  soggetto attivo del
 delitto previsto dal secondo comma dell'art. 8 della legge in  esame,
 non  potendo,  certo, essere quello d'aver addotto, a giustificazione
 (o spiegazione) del delitto commesso, motivi  di  coscienza,  risulta
 identico  (od  almeno  analogo)  a quello mosso al militare che manca
 alla chiamata ex  art.  151  del  c.p.m.p.,  e  cioe'  quello  d'aver
 dolosamente  leso  l'interesse  statale  alla  normale incorporazione
 nell'organizzazione  militare.  Va,  pertanto,   qui   ribadito   che
 l'adduzione  di  motivi  di  coscienza (come, del resto, di qualsiasi
 scelta ideologica) non puo', in nessun caso,  condurre  alla  davvero
 sproporzionata  (rispetto a quella ex art. 151 del c.p.m.p.) sanzione
 penale di cui al secondo comma dell'art. 8 della legge n.  772/1972".
 La  sentenza poi cosi' continua "Si tenga conto che e' il legislatore
 che,  nel  codice  penale  militare  di  pace,   ha   liberamente   e
 discrezionalmente  scelto  la  disciplina  sanzionatoria  adeguata al
 disvalore  del  fatto  di  cui  allo  stesso   articolo;   disciplina
 applicabile  a tutti i soggetti e quali che siano i moventi, i motivi
 dell'azione delittuosa. Non puo' lo stesso legislatore, nell'art.  8,
 secondo  comma,  della legge n. 772/1972, irrazionalmente contraddire
 la valutazione in precedenza  operata  (in  generale  e  senza  tener
 tipicamente  conto  dei  motivi  dell'azione criminosa) e valutare in
 maniera tanto diversa il disvalore dello stesso  (od  analogo)  fatto
 sol  perche'  commesso  adducendo  uno  specifico  motivo:  quello di
 coscienza".
    Il tribunale, alla luce delle interpretazioni della giurisprudenza
 in merito  ai  due  reati  posti  a  raffronto,  deve  escludere  che
 l'interesse  tutelato e la modalita' della lesione dello stesso siano
 nei due casi identiche.
    Infatti   la   mancanza  alla  chiamata,  consistente  nell'omessa
 presentazione alle armi  nei  cinque  giorni  successivi  al  termine
 assegnato, tutela la regolare incorporazione - sotto il profilo delle
 modalita' sia di tempo sia di  luogo  -  dell'arruolato  nel  reparto
 militare  al  quale  e' stato destinato. Le motivazioni del "ritardo"
 possono rilevare solo ai fini della  quantificazione  della  pena  ex
 art.   133  del  c.p.,  salvo  che  il  militare,  cessata  l'assenza
 arbitraria, dichiari che la stessa  era  determinata  da  motivi  "di
 coscienza"  (religiosi, filosofici, morali, di contrarieta' personale
 in ogni circostanza all'uso  delle  armi)  e  affermi  cosi'  il  suo
 rifiuto  globale  e  definitivo  al servizio militare: in tale ultima
 ipotesi la giurisprudenza ha ravvisato un concorso apparente di norme
 e  la  sussistenza del solo reato di rifiuto ex art. 8 della legge n.
 772/1972.
    E'  evidente  che  sia  l'elemento psicologico sia la condotta del
 reato di rifiuto sono ben diversi, investendo non una  modalita'  (la
 ttempestiva  presentazione  alle  armi) bensi' l'obbligo del servizio
 militare globalmente considerato e dello stesso servizio non armato o
 civile sostitutivo, non richiesti o non concessi: ne consegue una ben
 differente  gravita'  della  lesione  e  una   oggettiva   diversita'
 dell'interesse  protetto, ricollegabile anche al piu' generico dovere
 di solidarieta' sociale violato.
    Il   tribunale  ritiene  pertanto  di  dover  sollevare  d'ufficio
 eccezione di legittimita' costituzionale dell'art. 151  del  c.p.m.p.
 in  relazione  all'art.  3 della Costituzione, ravvisandola rilevante
 nel giudizio in  corso  e  non  manifestamente  infondata,  sotto  il
 profilo    della    irragionevole    equiparazione   di   trattamento
 sanzionatorio venutosi a  creare  -  in  conseguenza  dell'intervento
 necessariamente  parziale e settoriale della Corte costituzionale tra
 le pene previste per la mancanza alla chiamata e per il  rifiuto  del
 servizio  di leva, oggi identiche, equiparazione che contrasta con il
 complessivo disvalore  del  fatto  commesso,  nei  due  casi  di  ben
 differente gravita'.
    Infatti,  ben  differente e' la gravita' del reato ex art. 8 della
 legge n. 772/1972, lesivo del servizio  di  leva  nel  suo  complesso
 stante  la  globalita'  e definitivita' del rifiuto, ricavabili dalla
 mera adduzione dei motivi tipici,  rispetto  alla  semplice  mancanza
 alla chiamata, lesiva unicamente del regolare e tempestivo inizio del
 servizio  di  leva:  tuttavia,  in  conseguenza  della  sentenza   n.
 409/1989, ora per entrambe le fattispecie e' irrogabile la reclusione
 militare da sei mesi a due anni.
    Per   la  mancanza  alla  chiamata  sono  applicabili  circostanze
 aggravanti specifiche (artt. 152 e  154,  n.  1,  del  c.p.m.p.)  non
 estensibili al reato di rifiuto ex art. 8 citato.
    Inoltre,  prima  dell'intervento modificativo del solo trattamento
 sanzionatorio da parte della Corte costituzionale il legislatore,  in
 una  visione  globale  d'insieme,  aveva predisposto, a fronte di una
 pena  edittale  piu'   elevata,   meccanismi   per   incentivare   la
 rieducazione  del condannato e comunque per evitare la "spirale delle
 condanne":  tali  accorgimenti  non  sono   invece   applicabili   al
 condannato per mancanza alla chiamata. Ne consegue che ora, a parita'
 di pena edittale, e'  piu'  favorito  colui  che  oppone  un  rifiuto
 globale  del servizio di leva motivandolo - anche se falsamente - con
 i motivi tipici (il quale, dopo un giudizio  direttissimo,  un  breve
 periodo  di detenzione e l'affidamento in prova presso un ente civile
 - ex legge n. 167/1983 - non avra' piu' obblighi di leva,  salvo  che
 si  sia  pentito  chiedendo  di svolgere il servizio, e allora, se la
 domanda sara' stata accettata, il reato commesso sara' estinto  e  la
 detenzione  scomputata  dal  servizio  di  leva) rispetto a colui che
 commetta una mancanza alla chiamata per piu' prosaici ma veri  motivi
 familiari  o  di  lavoro  il  quale, una volta espiata la pena (senza
 possibilita' di pentirsi con gli effetti sopraevidenziati) dovra' poi
 ancora compiere l'intero servizio di leva.