ha pronunciato la seguente ORDINANZA nei giudizi di legittimita' costituzionale dell'art. 1, secondo comma, della legge 6 agosto 1984, n. 425 (Disposizioni relative al trattamento economico dei magistrati) e dell'art. 9, secondo comma, della legge 2 aprile 1979, n. 97 (Norme sullo stato giuridico dei magistrati e sul trattamento economico dei magistrati ordinari e amministrativi, dei magistrati della giustizia militare e degli avvocati dello Stato), in relazione all'art. 5, ultimo comma, del d.P.R. 28 dicembre 1970, n. 1080, all'art. 2, lett. d), della legge 16 dicembre 1961, n. 1308, ed all'art. 10, ultimo comma, della legge 20 dicembre 1961, n. 1345, cosi' come interpretati dall'art. 1, secondo comma, della legge 6 agosto 1984, n. 425, promossi con tre ordinanze emesse il 14 dicembre 1988 dal Consiglio di giustizia amministrativa per la Regione siciliana, iscritte rispettivamente ai nn. 300, 301 e 302 del registro ordinanze 1989 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 25, prima serie speciale, dell'anno 1989; Visti gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri; Udito nella camera di consiglio del 25 ottobre 1989 il Giudice relatore Francesco Paolo Casavola; Ritenuto che nel corso di alcuni giudizi in cui gli appellanti, gia' magistrati ordinari, avevano ricorso avverso il mancato riconoscimento, da parte delle sentenze di primo grado, del loro diritto a percepire una serie di emolumenti, il Consiglio di giustizia amministrativa per la Regione siciliana, con tre ordinanze d'identico contenuto emesse in data 14 dicembre 1988, ha sollevato questioni di legittimita' costituzionale: a) dell'art. 1, secondo comma, della legge 6 agosto 1984, n. 425, in riferimento agli artt. 24, 102 e 103 della Costituzione; b) dell'art. 9, secondo comma, della legge 2 aprile 1979, n. 97, in relazione all'art. 5, ultimo comma, del d.P.R. 28 dicembre 1970, n. 1080, all'art. 2, lett. d), della legge 16 dicembre 1961, n. 1308 ed all'art. 10, ultimo comma, della legge 20 dicembre 1961, n. 1345 (cosi' come interpretati dall'art. 1, secondo comma, della legge 6 agosto 1984, n. 425), nonche', per quanto di ragione del medesimo art. 1, secondo comma, della legge 6 agosto 1984, n. 425, in riferimento agli artt. 3 e 36 della Costituzione; che il giudice a quo rileva come il legislatore abbia imposto una soluzione contraria alle pronunce giurisdizionali sino a quel momento intervenute, rilevando inoltre che i ricorrenti, in quanto cessati dal servizio anteriormente al 1 gennaio 1983, hanno subito soltanto gli effetti sfavorevoli e non anche quelli positivi della legge 6 agosto 1984, n. 425; che il giudice rimettente, nel segnalare l'irrazionalita' insita nella differenziazione di trattamento tra le varie categorie di magistrati e, nel richiamare analoghe ordinanze di rimessione del Consiglio di Stato sollecita il riesame, da parte di questa Corte, delle questioni gia' dichiarate infondate con la sentenza n. 413 del 1988; che e' intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura dello Stato, il quale ha chiesto la declaratoria d'infondatezza; Considerato che i giudizi possono essere riuniti e decisi con un'unica ordinanza; che questa Corte, con la sentenza n. 413 del 1988, ha gia' dichiarato l'infondatezza della questione di legittimita' costituzionale dell'art. 1, secondo comma, della legge 6 agosto 1984, n. 425, escludendo, in particolare, la lesione degli artt. 24, 102 e 103 della Costituzione sulla base della ratio della norma impugnata, la quale, oltre ad eliminare incertezze interpretative, e' volta a costituire "l'indispensabile presupposto logico e organizzatorio della ristrutturazione del trattamento economico per tutte le categorie dei magistrati"; che tale principio e' stato altresi' ribadito nelle ordinanze n. 1047 del 1988, n. 48 del 1989 e, soprattutto, n. 1083 del 1988; che in quest'ultima decisione la Corte ha dichiarato manifestamente infondata anche la questione di legittimita' costituzionale concernente l'art. 9, secondo comma, della legge n. 97 del 1979, sollevata dal Consiglio di Stato con le ordinanze richiamate dal giudice a quo; che tale conclusione e' stata raggiunta in quanto nel complesso della normativa si e' ravvisato l'esercizio di discrezionalita' legislativa finalizzata alla realizzazione del principio di eguaglianza o di ragionevolezza; che il rimettente Consiglio non prospetta argomenti ulteriori o diversi rispetto a quelli a suo tempo esaminati, limitandosi in sostanza a richiedere un riesame delle suddette affermazioni; che le questioni sono pertanto manifestamente infondate; Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale;