IL PRETORE Ha pronunciato la seguente ordinanza nella causa penale n. 1097/1987 contro De Stefano Salvatore. Il giudicante rileva che all'imputato e' stato contestato il reato di cui all'art. 116 del r.d. n. 1736/1933, in relazione anche all'art. 139 della legge n. 689/1981, con l'aggravante dell'importo rilevante, per avere emesso alcuni assegni per molti dei quali va applicata l'amnistia, sicche' la sua responsabilita' penale rimane da accertare in relazione a soli due assegni dell'importo complessivo di L. 11.470.000. Le dianzi citate norme dispongono che, per i delitti dalla prima di esse tipizzati, "nei casi piu' gravi" la pena della multa sia accompagnata anche da quella della reclusione e dalle sanzioni accessorie della pubblicazione della sentenza di condanna e del divieto di emettere assegni bancari o postali per un periodo da uno a tre anni. Le norme pero' omettono di specificare e tipizzare i casi piu' gravi. La Corte costituzionale con sentenza 3 luglio 1970, n. 131, ha ritenuto infondata la questione di costituzionalita' del solo art. 116 del r.d. n. 1736/1933 (non era ancora entrata in vigore l'altra norma) ritenendo che la formula "nei casi piu' gravi" vada interpretata tenendosi particolarmente conto degli elementi previsti dall'art. 133, primo e secondo comma, del cod. pen., cioe' considerandosi se le modalita' del fatto, la gravita' del danno, i precedenti del reo, il suo comportamento antecedente, contemporaneo o susseguente al reato, i motivi a delinquere ecc., consiglino di infliggere sia la pena della multa sia quella della reclusione. Appare subito evidente che l'esame della Corte in quella occasione si e' incentrato esclusivamente sull'alternativa fra l'irrogazione di una pena solo pecuniaria e quella della doppia pena (pecuniaria e detentiva). Oggi la questione assume un ulteriore e piu' grave profilo, giacche' l'art. 139 della legge n. 689/1981 prevede anche la comminazione delle sanzioni accessorie gia' dette, che per altro rimangono ferme ed indipendenti anche dall'applicazione dell'art. 69 del codice penale. Non e' azzardato dunque richiedere alla Corte un riesame della questione, alla luce della sopravvenuta norma e soprattutto considerando i rilievi mossi in dottrina alla fattispecie legislativa. E' oramai opinione concorde che le disposizioni legislative, le quali comminano l'applicazione di pene di specie diversa "nei casi piu' gravi", configurano vere e proprie circostanze aggravanti e non un semplice ampliamento dei poteri discrezionali del giudice nell'applicazione della pena. Non si vede come possa richiamarsi l'art. 133 del cod. pen., che attiene alla valutazione della gravita' del reato ai fini della determinazione della pena nei limiti edittali e quindi ad una operazione che il giudice deve compiere prima di applicare le circostanze aggravanti (o attenuanti). Ma al di la' di tale considerazione, si deve sottolineare come la formulazione ad opera delle c.d. aggravanti indefinite (cfr. Bricola "Le aggravanti infefinite. Legalita' e discrezionalita' in tema di circostanza del reato", in Riv. it. dir. proc. pen., 1964, 1013) appaia censurabile alla stregua dell'art. 25, secondo comma, della Costituzione. Esempi di circostanze indeterminate o indefinite, infatti, si riscontrano tanto nel campo delle attenuanti quanto in quello delle aggravanti (basti ricordare le circostanze generiche prevedute dall'art. 62- bis del cod. pen.) con la differenza, pero', che, mentre le attenuanti indefinite risultano compatibili con l'art. 25, secondo comma, nella Costituzione, lo stesso non puo' dirsi per le aggravanti che devono soggiacere al principio di tassativita', il quale viene in rilievo ogni qualvolta si tratta di restringere la liberta' del reo e non anche, come nel caso delle attenuanti, quando l'effetto giuridico va a suo beneficio (cfr. Fiandaca-Musco, "Diritto penale" parte generale, 1985, pag. 206). Pertanto, il giudicante ritiene di dover sollevare, perche' non manifestamente infondata, questione di costituzionalita' degli artt. 116 del r.d. 21 dicembre 1933, n. 1736 e 139 della legge 24 novembre 1981, n. 689, nella parte in cui prevedono circostanze aggravanti dei delitti tipizzati dalla prima norma, lasciandole indefinite e rimettendole alla discrezionalita' del giudice, per contrasto con l'art. 25, secondo comma, della Costituzione. La questione e' rilevante giacche' nel presente processo all'imputato e' stata contestata l'aggravante ed in mancanza di un criterio fornito dalla legge per stabilire se la fattispecie concreta ricada nell'ipotesi semplice od in quella aggravata (non potendosi nemmeno utilizzare il criterio di valutazione della gravita' del reato di cui all'art. 133 del cod. pen. che, per come gia' rilevato, attiene alla determinazione della pena nei limiti edittali prima della valutazione e dell'applicazione delle circostanze), non e' possibile nemmeno procedere alla derubricazione del titolo del reato per come aveva richiesto il p.m.. Ne' la comminazione delle sanzioni accessorie puo' essere evitata applicando l'art. 69 del codice penale.