Ricorso del Presidente del Consiglio dei Ministri, rappresentato e difeso dall'avvocatura generale dello Stato presso i cui uffici in Roma, via dei Portoghesi, 12, e' domiciliato, contro il Presidente della giunta della regione Umbria, per la dichiarazione dell'illegittimita' costituzionale della legge regionale, riapprovata il 6 novembre 1989, recante norme in tema di "Diritti di segreteria sui contratti e sugli altri atti rogati o ricevuti in forma pubblica amministrativa o a mezzo di scrittura privata", in relazione agli artt. 117 e 119 della Costituzione. 1. - Con provvedimento del 25 agosto 1989 il Governo rinviava a nuovo esame del consiglio regionale dell'Umbria il disegno legislativo in epigrafe il quale, dopo aver autorizzato la giunta ad applicare sugli atti rogati in forma pubblica amministrativa e su quelli formati con scrittura privata i diritti di segreteria di cui alla legge n. 604/1962 e successive modificazioni, prevedeva (al terzo comma dello stesso art. 1) l'attribuzione all'ufficiale rogante della regione di una quota dei proventi riscossi per il predetto titolo. A motivo del disposto rinvio, il Governo osservava che per la parte relativa all'istituzione dei diritti di segreteria la norma si poneva in contrasto con l'art. 119 della Costituzione e con l'ivi previsto contenimento dell'autonomia finanziaria delle regioni nelle forme e nei limiti dettati dalle leggi statali. Rilevava, ancora, il Governo che la prevista devoluzione di una quota dei diritti stessi al funzionario della Regione investito dei compiti di ufficiale rogante confliggeva col principio di omnicomprensivita' di cui ai contratti di categoria oltre che con l'art. 11 della legge-quadro sul pubblico impiego (n. 93/1983). 2. - In data 10 novembre 1989 e' pervenuta al commissario del Governo comunicazione dell'avvenuta riapprovazione della legge in parola che, giusta delibera del Consiglio dei Ministri depositata con gli altri documenti, viene qui dedotta ad oggetto del presente ricorso alla Corte. Soppressa, in sede di riapprovazione, la disposizione relativa all'attribuzione di quota dei diritti di segreteria all'Ufficiale rogante (per risultare recepite, sul punto, le osservazioni formulate col gia' citato provvedimento di rinvio), la denuncia d'illegittimita' costituzionale resta - in questa sede - circoscritta al primo comma dell'art. 1 della legge regionale in questione, che autorizza la giunta all'applicazione, sugli atti considerati, dei diritti di segreteria previsti dalla legge n. 604/1962 e per gli ammontari modificati col decreto-legge n. 55/1983. In proposito, non appare seriamente contestabile la natura fiscale dei diritti in quesione, la cui riconducibilita' nell'ampia categoria delle tasse linearmente scaturisce dalla natura di prestazione patrimoniale imposta in connessione con un "servizio" divisibile che la p.a. fornisce, iuri imperii, al singolo, versante in condizioni di non poter rinunciare alla domanda del servizio stesso. Da un lato la predeterminazione legale dell'importo da riscuotere (a volte parametrato su criteri di progressivita', come nel caso di cui al n. 4 della tab. D allegata alla citata legge n. 604/1962) senza riferimento alcuno al "costo" della prestazione resa e, dall'altro, la coatta utilizzazione del servizio da parte del soggetto che si trovi a contrattare con l'ente pubblico ovvero a richiedere l'esercizio di poteri amministrativi (certificativi, concessori, autorizzatori e simili) sono connotazioni tipiche ed inequivoche agli effetti dell'accennata qualificazione giuridica dei diritti di segreteria. Alla stregua di siffatta premessa risulta, allora, evidente il contrasto dell'impugnata disposizione col precetto di cui all'art. 119 della Costituzione e con le norme della legge 16 maggio 1970, n. 281, che, nell'ambito assegnato all'autonomia finanziaria delle regioni, hanno predeterminato in maniera analitica e tassativa le entrate tributarie di tali enti cui non spetta - percio' - di istituirne di nuove sia pure modellate (come nel caso in esame) su "tipi" gia' noti all'ordinamento statale. La facolta' d'imporre prestazioni patrimoniali e', in altri termini, rigidamente disciplinata dall'ordinamento statale che, in particolare, ha provveduto ad individuare presupposti, tipi, procedure d'accertamento e di riscossione dei tributi "propri" delle regioni (artt. 1 a 6 della citata legge n. 281/1970) cosi' dando attuazione al primo e secondo comma dell'art. 119 della Costituzione che, appunto, pongono una riserva di legge dello Stato per tutto quanto attiene alle forme ed ai limiti dell'autonomia finanziaria delle regioni ed a fronte dei quali - come pure accennato - non gioverebbe alla legge impugnata l'aver strutturato i diritti in parola sulla falsariga degli omonimi proventi disciplinati dalla legislazione statale (evocata dal legislatore umbro subito dopo la singolare, e significativa, formula della "autorizzazione", alla Giunta, "ad applicare" i diritti di segreteria negli stessi casi e in ammontare identico a quelli previsti dalla piu' volte ripetuta legge n. 604/1962). E per vero, il richiamo in tal modo operato delle norme statali non toglie che di queste verrebbe a farsi "applicazione" in situazioni (omologhe ma, almeno soggettivamente) diverse e non previste tra quelle che contrassegnano l'area delle entrate tributarie regionali: dunque, oltre i limiti fissati ai "presupposti" che legittimano un prelievo fiscale da parte della regione.