Ricorso del Presidente del Consiglio dei Ministri, rappresentato e difeso dall'avvocatura generale dello Stato, nei confronti della regione Emilia-Romagna, in persona del Presidente della giunta regionale, per la dichiarazione dell'illegittimita' costituzionale della delibera legislativa, riapprovata dal consiglio regionale nella seduta del 9 novembre 1989 e recante "credito agrario di conduzione con provvista in valuta estera", delibera comunicata il 14 novembre 1989 al commissario del Governo nella regione. Con telegramma 11 luglio 1989 e' stato disposto il rinvio ex art. 127, terzo comma, della Costituzione di delibera regionale approvata dal consiglio regionale nella seduta dell'8 giugno 1989. La delibera oggi sub judice ha riapprovato un testo identico al precedente oggetto di rinvio. La delibera regionale prevede la concessione di contributi "a garanzia del rischio di cambio" assunto dagli istituti esercenti il credito agrario per effetto di "provvista in valuta estera" di somme poi "erogate" da detti istituti per "prestiti di conduzione" ad imprenditori agricoli singoli o associate o a cooperative agricole. I contributi regionali in questione palesemente incentiverebbero l'indebitamento all'estero in valuta di alcuni operatori del credito (o di intermediari ulteriori) rendendo meno conveniente l'alternativa dell'indebitamento all'interno in moneta nazionale. Questo risultato economico gia' di per se' rende evidente la non compatibilita' con l'art. 117 della Costituzione della delibera legislativa impugnata: eccede dalla competenza delle regioni qualsiasi intervento diretto o indiretto sui flussi finanziari da e per l'estero, intervento che in misura minore o maggiore influirebbe sul valore esterno della moneta nazionale (ossia sui cambi). Ne' puo' addursi che, rispetto agli ingenti volumi di risorse finanziarie manovrabili da operatori privati, ben modesta si rileverebbe l'incidenza della misura economica prevista dalla delibera regionale (peraltro senza una quantificazione del temuto onere). Anzitutto, l'intervento ipotizzato impegna il pubblico danaro (seppur soltanto per una garanzia) e si svolge quindi fuori dall'ambito privatistico. Ed inoltre dati meramente quantitativi non possono essere assunti a crinale per la delimitazione delle competenze regionali. Nell'atto di rinvio ex art. 127 terzo comma, della Costituzione, il Governo ha rammentato - oltre che (implicitamente ma evidentemente) l'art. 117 della Costituzione - l'art. 109 del d.P.R. n. 616/1977. Detto articolo non pone esplicitamente una regola generale: esso pero' ambisce attuare all'art. 117 della Costituzione, e questo parametro costituzionale ne costituisce il fondamento. Ora l'art. 117 della Costituzione non comprende ne' la moneta ed il credito, ne' men che mai - la "provvista" all'estero (non rileva se diretta o tramite intermediari) di risorse finanziarie, nell'elenco tassativo delle "materie" di competenza regionale. Sicche' nell'ambito di che trattasi, deve ritenersi: che di regola le "funzioni sono rimaste allo Stato, e ad esso in via esclusiva, senza che neppur occorra configurare questa o quella funzione come "residuale" che tassative e non estensibili sono le funzioni attribuite alle regioni dall'art. 109 citato (e in precedenza dall'art. 1, lett. m) del d.P.R. n. 11/1972). Del resto queste ultime sono dallo stesso art. 109 descritte come univocamente "applicative": infatti, nel comma primo e' ribadito "nei limiti massimi stabiliti in base a legge dello Stato" e nel comma quarto e' precisato che le Regioni possono determinare "criteri applicativi" allorquando lo Stato esercita la sua competenza - che e' rimasta generale - in tema di agevolazioni "dell'accesso al credito". Cio' si osserva solo al fine di sistematica, posto che i contributi "a garanzia" dei rischi assunti a livello di "provvista" da alcuni operatori creditizi in realta' neppur sono qualificabili come "interventi per agevolare l'accesso al credito". L'atto di rinvio ex art. 127, terzo comma, della Costituzione menziona altresi' l'art. 13 dela legge 22 dicembre 1984, n. 887 (legge finanziaria 1985). Ora detto art. 13, commi terzo e seguenti, prevede una "garanzia dello Stato per il rischio di cambio" in favore di alcuni istituti di credito, ma pone limiti che non sono stati osservati dalla delibera legislativa ora sub judice: quella normativa statale "aiuta" gli operatori creditizi solo per il "credito agrario di miglioramento" (ossia per investimenti fissi), solo "per le variazioni eccedenti il 2 per cento" (e quindi non anche per le minori oscillazioni nei cambi), solo per la parte della "provvista" in valuta destinata ad operazioni di durata ultraquinquennale, e solo fino ad un controvalore massimo in linea capitale predeterminato nello stesso articolo. La delibera legislativa in esame non prevede alcuno di questi limiti, e pone unicamente un limite (del 2% o del 4%) alla variazione coperta da garanzia, limite che non esclude le variazioni minori (ad esempio, del 2% esatto) e che inoltre e' in gran parte vanificato dalle parole "in ragione d'anno". Per di piu', la delibera legislativa neppur opererebbe in modo automatico. All'art. 2 di essa si prevedono "convenzioni" in assenza delle quali nessuna garanzia e' data; e la scelta degli istituti da "convenzionare" rimane sostanzialmente affidata a libere determinazioni degli amministratori regionali (e potrebbe essere prossima una generale riforma del credito agrario). Il che puo' dar luogo a concrete ingerenze nell' "ordinamento creditizio"; oltretutto, tali ingerenze potrebbero essere amplificate per cio' che le "convenzioni" andrebbero a saldarsi con gli "accordi" di cui all'art. 2, comma uno. Analogo discorso potrebbe ovviamente farsi per le assegnazioni, gli accrediti e le "suddivisioni" previsti dall'art. 2, comma due e dall'art. 3, comma due, della delibera. E' appena il caso di segnalare, da ultimo, il comma quattro dell'art. 1, ove la parola di "beneficiario" in modo tutt'altro che chiaro, con possibili riflessi sulla disciplina dei rapporti interprivati.