ha pronunciato la seguente SENTENZA nel giudizio di legittimita' costituzionale degli artt. 8, comma dodicesimo, e 23, comma terzo, della legge 6 marzo 1987, n. 74 (Nuove norme sulla disciplina dei casi di scioglimento di matrimonio), promosso con ordinanza emessa il 15 novembre 1988 dalla Corte d'appello di Trento nel procedimento civile vertente tra Pirhofer Karl e Janser Siglinde Elisabeth in Pirhofer, iscritta al n. 186 del registro ordinanze 1989 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 15, prima serie speciale, dell'anno 1989; Visto l'atto di costituzione di Pirhofer Karl nonche' l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri; Udito nella camera di consiglio del 5 luglio 1989 il Giudice relatore Vincenzo Caianiello; Ritenuto in fatto 1. - Nel corso di un giudizio di separazione personale fra coniugi, la Corte d'appello di Trento, con ordinanza in data 15 novembre 1988 (r.o. n. 186 del 1989), ha sollevato questione di legittimita' costituzionale dell'art. 4, comma dodicesimo, della legge 1 dicembre 1970, n. 898 (Disciplina dei casi di scioglimento del matrimonio), come sostituito dall'art. 8 della legge 6 marzo 1987, n. 74 (Nuove norme sulla disciplina dei casi di scioglimento di matrimonio), nonche' dell'art. 23, comma terzo, di quest'ultima legge, nella parte in cui prevedono che l'appello avverso le sentenze di separazione personale, pubblicate dopo l'entrata in vigore della nuova normativa, e' deciso in camera di consiglio. Ad avviso del giudice a quo, l'introduzione del rito camerale, che non consente di utilizzare quel complesso di norme che, nel rito contenzioso ordinario, rappresentano altrettante garanzie processuali a tutela del diritto di difesa costituzionalmente garantito, potrebbe giustificarsi solo in presenza di effettive e superiori ragioni di giustizia. Tale ragioni, tuttavia, non sussisterebbero nella fattispecie normativa in esame, in quanto l'esigenza di imprimere al giudizio di appello una maggiore celerita' ben poteva essere egualmente soddisfatta, nell'ambito delle scelte discrezionali spettanti al legislatore, mediante l'introduzione di una disciplina analoga a quella prevista per le cause di lavoro. Sotto tale profilo, pertanto, le norme impugnate violerebbero il diritto di difesa sancito dall'art. 24 della Costituzione dal momento che la deroga alle generali norme processuali poste a tutela del predetto principio, dovrebbe essere consentita solo in casi di "assoluta eccezionalita'", nella fattispecie insussistenti. Per altro verso, le disposizioni denunciate si porrebbero in contrasto, in assenza di valide ragioni giustificatrici, anche con il generale principio della pubblicita' delle udienze (art. 101 della Costituzione), strumento di controllo della regolarita' processuale e, quindi, componente essenziale dello stesso diritto di difesa. Un'ulteriore ed ultima censura viene poi formulata in relazione all'art. 3 della Costituzione, sostenendosi che l'introduzione del rito camerale in una fase processuale delicata ed importante, quale quella che rende definitivo l'apprezzamento di merito, violerebbe il principio di ragionevolezza, determinando, altresi', un'illogica discriminazione rispetto al giudizio di primo grado e di cassazione che, nella stessa materia, si svolgono con il rito ordinario. 2. - Delle parti private, una sola si e' costituita peraltro fuori termine, mentre, l'Avvocatura generale dello Stato, intervenuta tempestivamente, ha preliminarmente osservato che le norme impugnate prevederebbero la camera di consiglio per la sola "fase decisoria", donde l'impossibilita' di ledere il diritto di difesa delle parti con la semplice esclusione dell'udienza collegiale e delle eventuali comparse conclusionali. La questione, poi, risulterebbe comunque infondata, in quanto, ad avviso dell'interveniente, l'introduzione del rito camerale anche non limitatamente alla fase decisoria, non sarebbe, di per se', in contrasto con l'art. 24 della Costituzione, come, del resto, questa Corte avrebbe gia' ritenuto in relazione a fattispecie analoghe. Considerato in diritto 1. - E' stata sollevata questione di legittimita' costituzionale dell'art. 4, comma dodicesimo, della legge 1 dicembre 1970, n. 898, come sostituito dall'art. 8 della legge 6 marzo 1987, n. 74, nonche' dell'art. 23, comma terzo, di quest'ultima legge, nella parte in cui prevedono che l'appello avverso le sentenze di separazione personale, pubblicate dopo l'entrata in vigore della nuova normativa, e' deciso in camera di consiglio. Si sostiene nell'ordinanza di rimessione che il rito camerale non consentirebbe di utilizzare quel complesso di norme che, nel rito contenzioso ordinario, rappresentano altrettante garanzie processuali a tutela del diritto di difesa costituzionalmente garantito e, quindi, la loro attenuazione potrebbe essere giustificata solo in presenza di effettive e superiori ragioni di giustizia. Mancando queste ragioni dovrebbe ravvisarsi il contrasto delle norme denunciate con l'art. 24 della Costituzione, mentre altro contrasto sussisterebbe anche in riferimento agli artt. 3 e 101 della Costituzione, non apparendo ragionevole l'introduzione del rito camerale in una fase processuale delicata ed importante, con riguardo alla quale si verrebbe a determinare una illogica discriminazione rispetto al giudizio di primo grado ed a quello di cassazione che si svolgono con il rito ordinario. 2. - La questione non e' fondata. In relazione al rilievo formulato dalla Avvocatura Generale dello Stato secondo cui le norme denunciate prevederebbero la camera di consiglio per la sola fase decisoria, onde verrebbero meno i profili di illegittimita' costituzionale denunciati, va preliminarmente precisato che, ad avviso di questa Corte, il rito camerale riguarda invece l'intero giudizio di appello, altrimenti non potrebbero ritenersi soddisfatte quelle esigenze, enunciate nella relazione che accompagna la legge 6 marzo 1987, n. 74, di celerita' processuale che il rito contenzioso ordinario non sarebbe in grado di assicurare. Pur ritenendo esteso il carattere camerale alla intera fase del giudizio di appello, non possono tuttavia condividersi le censure di illegittimita' costituzionale prospettate dal giudice a quo. Secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, il procedimento camerale non e' di per se' in contrasto con il diritto di difesa, in quanto l'esercizio di quest'ultimo e' variamente configurabile dalla legge, in relazione alle peculiari esigenze dei vari processi "purche' ne vengano assicurati lo scopo e la funzione", cioe' la garanzia del contraddittorio, in modo che sia escluso ogni ostacolo a far valere le ragioni delle parti (ordinanza n. 748 del 1988, sentenze nn. 103 del 1985, 202 del 1975, 119 del 1974, 126 del 1971, 16 del 1970, 122 del 1966, 5 del 1965, 46 del 1957). L'adozione della procedura camerale, anche nei casi in cui si e' in presenza di elementi della giurisdizione contenziosa, risponde dunque a criteri di politica legislativa, inerenti alla valutazione che il legislatore compie circa l'opportunita' di adottare determinate forme processuali in relazione alla natura degli interessi da regolare ed, in quanto tale, sfugge quindi al sindacato di questa Corte "nei limiti in cui, ovviamente, non si risolve nella violazione di specifici precetti costituzionali e non sia viziata da irragionevolezza" (ordinanza n. 748 del 1988 e sentenza n. 142 del 1970). Nella specie il procedimento camerale, caratterizzato, come e' noto, da una fase istruttoria solo eventuale e comunque piu' rapida, in quanto non formale - purche', quando si tratta di giurisdizione contenziosa, siano osservati i principi sulla prova propri di essa - appare previsto in ragione delle esigenze di celerita' che il legislatore ha dichiarato di voler perseguire in un grado processuale in cui, in determinate materie, l'istruttoria e' certamente semplice e al massimo avente carattere integrativo di quella gia' esperita in primo grado. Aspetto questo che e' stato tenuto presente dal legislatore, risultando (Relazione al Senato della 2a Commissione in sede referente) che la scelta e' stata sorretta dalla considerazione che "l'esperienza ha permesso infatti di constatare che i giudizi in appello sono, nell'attuale sistema, i piu' lunghi, pur non modificando mai gli elementi di fatto acquisiti nell'istruttoria di primo grado". Cio' comunque non senza tenere conto che, non avendo il doppio grado di giudizio garanzia costituzionale (sentenze nn. 80 del 1988, 78 del 1984 e 186 del 1980) e, quindi, potendo essere addirittura soppresso quello di appello, a maggior ragione non appare in contrasto con il diritto alla difesa ne' irragionevole che, pur addivenendosi per determinate controversie, al mantenimento del secondo grado, si scelga un rito semplificato rispetto a quello di primo grado nel quale le parti hanno gia' avuto possibilita' di esplicare nel modo piu' completo la propria attivita' difensiva. In proposito va sottolineato che, in ogni caso, secondo la richiamata giurisprudenza, e' da escludere che ogni rito processuale diverso da quello ordinario possa, di per se', essere considerato in contrasto con l'art. 24 della Costituzione, e cio' perche' quest'ultimo rito non costituisce, come sembrerebbe invece ravvisarsi nella prospettazione del giudice a quo, l'unico ed esclusivo strumento di attuazione della garanzia costituzionale. Una volta percio' verificato che il procedimento speciale e la specifica disciplina di volta in volta presa in considerazione non contrastano di per se' con lo scopo e la funzione del processo, la disciplina del rito ordinario non puo' assumere il carattere di normativa interposta. 3.1. - Sulla base delle considerazioni di carattere generale che precedono, la scelta alternativa rispetto al procedimento ordinario, specificamente considerata, non appare in contrasto con la garanzia costituzionale del diritto alla difesa dal momento che risulta assicurato il principio del contraddittorio, sia per la generale applicabilita' dell'art. 101 del codice di procedura civile, sia perche', in grado di appello, il relativo giudizio non potrebbe non svolgersi che nei confronti dei medesimi soggetti che sono gia' stati parti nel giudizio di primo grado. Quanto ai termini per la proposizione dell'appello non si manifesta alcuna deroga ai principi del rito ordinario che possa ritenersi lesiva del diritto ad appellare. Difatti, come ritiene la prevalente giurisprudenza anche piu' recente, la mancanza di ogni previsione in ordine ad essi, fa si che debbano osservarsi quelli propri delle impugnazioni delle sentenze. Tale orientamento trova ulteriore conforto nel rilievo che, nella specie, si e' in presenza di una sentenza emessa in un giudizio contenzioso ordinario, mentre la circostanza che l'appello debba seguire il rito camerale attiene alla forma da seguire, senza incidere - in difetto di espresse disposizioni derogative - sui termini da osservare. Neppure puo' ritenersi violato il diritto di prova, perche', a parte il considerare che esso ha gia' avuto modo di esplicarsi compiutamente nel giudizio di primo grado, va rilevato che anche nel rito camerale in appello e' possibile acquisire ogni specie di prova precostituita e procedere alla formazione di qualsiasi prova costituenda, purche' il relativo modo di assunzione - comunque non formale nonche' atipico - risulti, da un lato, sempre compatibile con la natura camerale del procedimento, e, d'altro lato, non violi il principio generale della idoneita' degli atti processuali al raggiungimento del loro scopo (sentenza n. 238 del 1976). Inoltre va osservato che in un sistema istruttorio nel quale alla limitazione dell'iniziativa probatoria della parte corrisponde un piu' incisivo potere ufficioso del giudice, rimane egualmente assicurata la possibilita' di accertamento dei fatti controversi. E' da ritenersi poi pienamente garantita l'assistenza del difensore, in quanto "e' nel sistema, anche a proposito dei procedimenti speciali, che la parte si possa far rappresentare o comunque assistere da un difensore. Onde, in mancanza di una norma che vieti detta assistenza, questa si deve ritenere implicitamente ammessa e consentita" (sentenza n. 111 del 1972), il che implica la possibilita' che, qualora lo richieda, il difensore possa essere sentito anche in modo non formale, comunque osservate le regole del contraddittorio. 3.2. - Il giudice a quo sostiene poi che la carenza di tutela offerta dal rito camerale, rispetto a quello ordinario, sarebbe fra l'altro dimostrata dalla mancanza di norme che prevedano le impugnative incidentali e la specificita' dei motivi di impugnazione. Al riguardo e' sufficiente osservare che la locuzione usata dal legislatore, nell'art. 8, comma dodicesimo, della legge n. 74 del 1987, secondo cui "l'appello e' deciso in camera di consiglio", se, da un canto, richiama il procedimento di cui all'art. 737 e ss. del codice di procedura civile, d'altro canto non esclude l'applicabilita' di quelle norme che disciplinano l'appello nel processo ordinario, come ad esempio quelle sull'appello incidentale e sulla specificita' dei motivi di appello, perche' esse non sono incompatibili con il rito camerale, ne' incidono sulla celerita' del giudizio. Quest'ultima esigenza il legislatore ha inteso perseguire con una disciplina diretta essenzialmente alla fase istruttoria, che la specialita' del rito camerale consente di svolgere in modo non formale e con i poteri ufficiosi propri di esso. 4. - Per quel che concerne infine il profilo di illegittimita' costituzionale prospettato con riferimento agli artt. 3 e 101 della Costituzione, va rilevato che l'esigenza perseguita dal legislatore di rendere piu' celere il grado di appello con una fase istruttoria semplificata - e cio' nella constatazione, desumibile dalla esperienza, di una sua sostanziale inutilita' in relazione alla materia da giudicare - giustifica pienamente il diverso trattamento normativo che il legislatore ha voluto introdurre rispetto agli altri gradi di giudizio, in particolare per quel che riguarda il regime della pubblicita' delle udienze. Per questo aspetto, la Corte ha piu' volte ribadito (sentenze nn. 212 del 1986, 12 del 1971, 25 del 1965) che quello della pubblicita' e' un principio che non puo' considerarsi assoluto, ma puo' subire eccezioni, e cio' vale soprattutto in questo caso, in cui si intende perseguire un migliore e piu' rapido funzionamento del processo.