LA CORTE MILITARE D'APPELLO Ha pronunciato la seguente ordinanza nella causa contro Barbagli Massimo, nato il 1º ottobre 1969 ad Arezzo, imputato del reato di "rifiuto del servizio militare di leva" (art. 8, seconda comma, della legge 15 dicembre 1972), perche' chiamato alle armi e presentatosi il 9 marzo 1989 al 72º btg. ftr. in Albenga, il 10 marzo 1989 rifiutava il servizio militare di leva, prima di assumerlo, adducendo motivi di coscienza e di contrarieta' all'uso delle armi, basati sulla professione del credo dei testimoni di Geova; Sentito il p.g. militare ed il difensore nelle rispettive conclusioni; O S S E R V A Come e' noto, l'art. 8, secondo comma, della legge 15 dicembre 1972, n. 772, prevedeva per il reato in narrativa la pena della reclusione da due a quattro anni. La Corte costituzionale, con sentenza 6 luglio 1989 ha dichiarato la illegittimita' costituzionale della citata disposizione di legge, (come sostituita dall'art. 2 della legge 24 dicembre 1974, n. 695), assumendo che la pena edittale per la medesima ipotesi criminosa dev'essere fissata nella misura di sei mesi nel minimo e di due anni nel massimo. A tale conclusione e' pervenuto il giudice delle leggi, tenendo presente la pena edittale comminata dall'art. 151 del c.p.m.p. (che e' la reclusione militare da sei mesi a due anni) per il reato di mancanza alla chiamata che, secondo la Corte, lederebbe un interesse identico "con modalita' oggettive analoghe". Tale soluzione se da un lato trova conforto nella necessita' di elidere la cospicua diversita' di trattamento sanzionatorio tra il soggetto che rifiuta il servizio militare per motivi di coscienza ed il mancante alla chiamata; dall'altro mantiene immutata la sproporzione della pena tra il delitto di rifiuto del servizio militare ed il reato di disobbedienza (art. 173, primo comma, del c.p.m.p.) punito con la reclusione da un mese ad un anno. Il problema e' rilevante perche' anche il rifiuto del servizio militare puo' essere realizzato, oltre che mediante una condotta omissiva conforme nei suoi elementi oggettivi e soggettivi alla fattispecie descritta dall'art. 151 del c.p.m.p., attraverso il rifiuto di obbedire all'ordine di indossare l'uniforme impartitogli da un superiore al Corpo, accompagnati dall'adduzione del movente; rifiuto compiutamente corrispondente al precetto dettato dall'art. 173 dello stesso codice penale militare. E' questa la modalita' esecutiva del reato prescelta dalla maggioranza degli obiettori di coscienza, tra cui il prevenuto odierno. Conseguentemente, preso alla lettera, il dispositivo della decisione in esame, ove lo si ritenga vincolante per il giudice penale con efficacia equiparata a quella della legge ordinaria, sotto il profilo esaminato, crea nuovo contrasto fra l'art. 3, primo comma, della Costituzione, ed il reato previsto dall'art. 8, secondo comma della legge n. 772/1972, cosi' come integrato, per la sproporzione fra la pena della reclusione (o reclusione militare) da sei mesi a due anni ora comminata e quella da un mese ad un anno prevista per il reato di disobbedienza, che e' modalita' alternativa oggettiva analoga al rifiuto del servizio militare, allorche' la relativa condotta, come nelle specie in esame, ne assuma la fisionomia morfologica. Senonche' l'art. 8 della legge n. 772/1972, cosi' come modificato, ad avviso di questo giudice, confliggerebbe col principio di stretta legalita' (art. 1 del c.p. e 25, secondo comma, della Costituzione), secondo cui rientra nella discrezionalita' del legislatore statuire la misura e la qualita' della pena, e non in quella di altri poteri dello Stato. La questione e' rilevante, perche' in caso di conferma della sentenza impugnata, oggetto del giudizio di appello, questa Corte dovrebbe applicare al Barbagli per un comportamento conforme al modello legale del reato di disobbedienza, la maggior pena prevista per il reato di mancanza alla chiamata ed estesa dalla Corte costituzionale al delitto di rifiuto del servizio militare.