ha pronunciato la seguente SENTENZA nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 27, ultimo comma, della legge 9 ottobre 1970 n. 740 (Ordinamento delle categorie di personale sanitario addetto agli istituti di prevenzione e pena non appartenenti ai ruoli organici dell'Amministrazione penitenziaria), promosso con ordinanza emessa il 22 novembre 1988 dal T.A.R. per la Sicilia, sezione staccata di Catania, sul ricorso proposto da Guarnera Francesco contro il Ministero di Grazia e Giustizia, iscritta al n. 332 del registro ordinanze 1989 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 27, prima serie speciale, dell'anno 1989; Visto l'atto di intevento del Presidente del Consiglio dei ministri; Udito nella camera di consiglio del 16 novembre 1989 il Giudice relatore Mauro Ferri; Ritenuto in fatto Il Tribunale amministrativo regionale per la Sicilia - sezione staccata di Catania, ha sollevato questione incidentale di legittimita' costituzionale dell'art. 27, ultimo comma, della legge 9 ottobre 1970, n. 740, che, in caso di sospensione cautelare dal servizio, rende obbligatoria, per i medici incaricati che prestano servizio presso gli istituti di prevenzione e pena, la mancata corresponsione degli assegni alimentari, senza alcuna valutazione del caso concreto, e cio' per preteso contrasto con gli artt. 3 e 36 della Costituzione. Osserva il giudice a quo che nella specie vi sarebbe disparita' di trattamento tra gli impiegati civili dello Stato, cui spetta la corresponsione, in caso di sospensione, di un assegno alimentare in misura non superiore alla meta' dello stipendio, oltre agli assegni per carichi di famiglia (art. 82 del d.P.R. 10 gennaio 1957, n. 3) e i medici incaricati, ai quali si applica l'art. 27 sopra richiamato. Il T.A.R. per la Sicilia ritiene che la disciplina concernente i medici incaricati abbia notevoli analogie con quella propria del pubblico impiego, come evidenzia attraverso il richiamo alle sezioni II e III della legge 9 ottobre 1970, n. 740, sicche' verrebbe in luce una posizione di subordinazione, caratterizzata anche dal fatto che la retribuzione prevista e' strutturata secondo schemi simili a quelli del pubblico impiego in senso stretto. Ad avviso del giudice remittente la legge avrebbe voluto assicurare al medico incaricato una retribuzione, anche se proporzionata alla qualita' e quantita' del suo lavoro, comunque sufficiente ad assicurare a se' ed alla famiglia una esistenza libera e dignitosa, come puo' evincersi dalle componenti (in specie, indennita' integrativa speciale, aggiunta di famiglia e tredicesima mensilita') della retribuzione stessa. Sarebbe percio' irrazionale, ed anche lesiva dell'art. 36 della Costituzione, la disposizione portata dall'impugnato art. 27. Ha spiegato intervento, per il tramite dell'Avvocatura generale dello Stato, il Presidente del Consiglio dei ministri ed ha chiesto che la questione sia dichiarata infondata. Ritiene l'Avvocatura che, trattandosi di una convenzione tra pubbliche Amministrazioni ed operatori professionali, deve escludersi che sussista un rapporto d'impiego e mancherebbe percio' l'identita' delle situazioni poste a raffronto; sarebbe percio' insussistente la lamentata violazione dell'art. 3 della Costituzione, anche in quanto gli specifici obblighi cui il medico incaricato e' soggetto si giustificherebbero in ragione della peculiarita' della situazione in cui viene effettuata la prestazione. Quanto poi all'art. 36 della Costituzione, si assume che l'interessato svolgeva altra attivita' e che pertanto il detto parametro costituzionale non troverebbe applicazione. Considerato in diritto 1. Il T.A.R. della Sicilia, sezione staccata di Catania, dubita della legittimita' costituzionale dell'art. 27 ultimo comma della legge 9 ottobre 1970 n. 740 (Ordinamento delle categorie di personale sanitario addetto agli istituti di prevenzione e pena non appartenenti ai ruoli organici dell'Amministrazione penitenziaria). Tale disposizione prevede che "durante il periodo della sospensione cautelare" - regolata dai precedenti commi dello stesso art. 27 - "al medico incaricato non compete alcun assegno". Essa sarebbe percio' in contrasto con l'art. 3 della Costituzione in quanto darebbe luogo ad una ingiustificata disparita' di trattamento rispetto agli impiegati civili dello Stato, cui l'art. 82 del d.P.R. 10 gennaio 1957 n. 3 concede in caso di sospensione un assegno alimentare, nonche' con l'art. 36 della Costituzione. 2. La questione non e' fondata. A prescindere da ogni valutazione sul complesso della normativa che regola il rapporto dei medici incaricati addetti agli istituti di prevenzione e pena, e' decisiva la lettura dell'art. 2 della legge n. 740 del 1970. La norma, al primo comma, definisce espressamente come "professionali" le prestazioni rese in seguito al conferimento dell'incarico e, conseguentemente, stabilisce al secondo comma che i medici incaricati non sono assoggettati alle norme relative alla incompatibilita' ed al cumulo di impieghi, e che ad essi non si applica alcuna altra norma concernente gli impiegati civili dello Stato. Si tratta quindi di un rapporto regolato dal legislatore in modo specifico ed autonomo e tale scelta non puo' essere ritenuta irragionevole, date le caratteristiche particolari del rapporto stesso. E' sufficiente infatti la considerazione della disciplina diversa ed antitetica in ordine alle incompatibilita' ed al cumulo degli impieghi per rendere le due situazioni assolutamente non comparabili. In particolare, proprio tenendo conto che i medici incaricati possono esercitare liberamente la professione ed assumere altri impieghi o incarichi, la disposizione dell'art. 27 ultimo comma, che esclude la corresponsione di alcun assegno durante la sospensione cautelare, non appare ne' iniqua ne' irragionevole. Le suesposte considerazioni valgono ad escludere parimenti la sussistenza di un contrasto con l'art. 36 della Costituzione in ordine al quale, peraltro, il giudice a quo non ha fornito motivazione autonoma.