IL TRIBUNALE Ha pronunciato la seguente ordinanza nella causa civile in grado di appello iscritta al Ruolo generale n. 75/87, pendente fra Clementina Bulgheroni, con gli avvocati Biagio Giancola e Bruno M. Giordano, appellantee, e l'I.N.P.S., con l'avv. Pietropoli, appellata. OSSERVA IN FATTO Clementina Bulgheroni, con ricorso al pretore di Como giudice del lavoro, in data 28 gennaio 1986 esponeva di aver lavorato sino al 31 dicembre 1971 in qualita' di impiegata; di avere ripreso la contribuzione all'I.N.P.S. con versamenti volontari dal 1973 al 30 giugno 1979; di avere richiesto la pensione nel marzo 1980, che le era stata liquidata a far tempo dal 1 aprile 1980 in misura di L. 142.950 (dunque da integrarsi a un minimo). Aggiungeva che con legge 29 maggio 1982, n. 297, era stato stabilito un nuovo sistema di calcolo della pensione, rivalutando le basi contributive di ciascun anno anteriore, e cosi' finalmente recependo un'istanza correttiva di una iniquita' del sistema precedente collegata con una forte inflazione. Tuttavia tale nuovo sistema di calcolo era stato previsto a partire dalle pensioni liquidate posteriormente al 30 giugno 1982, perdurando dunque per lei il trattamento applicato con i criteri, molto angusti, della legge del 1975. Deduceva l'illegittimita' costituzionale della norma citata e chiedeva nel merito la riliquidazione della sua pensione. L'I.N.P.S. si opponeva alla domanda, affermando di avere applicato esattamente la legge 3 giugno 1975, n. 160. Con sentenza 21 aprile 1987 il pretore respingeva la domanda. Contro la sentenza ha proposto appello la Bulgheroni, riproducendo le medesime argomentazioni. L'I.N.P.S. ha resistito. OSSERVA IN DIRITTO 1. - La questione e' rilevante. Infatti se fosse fondata la censura di illegittimita' dell'art. 3 della legge n. 297/1982, spetterebbe all'attrice, a decorrere dall'entrata in vigore di tale legge, una pensione di ammontare superiore a quello attualmente riscosso. Il punto non e' controverso, e peraltro la sensibile diversita' dei risultati dei conteggi e' documentata ampiamente in atti. 2. - La questione non e' manifestamente infondata. La situazione che scaturisce dalla norma denunciata, la quale disponendo un nuovo criterio di calcolo per l'ammontare della pensione (in sostituzione del vecchio criterio in vigore dal 1975) ha conservato ultrattivita' al vecchio criterio per le pensioni gia' liquidate, ha finito sostanzialmente per instaurare un sistema di doppio binario, riservando il trattamento reputato equo ai "nuovi" pensionati e lasciando sul binario morto i "gia'" pensionati. Per un'esatta intuizione della prospettiva entro la quale questo tribunale ritiene di dover inquadrare la questione, giova premettere un rilievo di metodo: non e' dal confronto fra due sistemi (di calcolo) previdenziali, in se', che muove il dubbio di questo giudice, si che esso possa semplicisticamente sciogliersi nell'assioma che in tempi diversi vigono legittimamente leggi diverse, o che la soggezione ad un regime piuttosto che ad un altro, secondo il tempo in cui e' maturato il diritto alle prestazioni rispettivamente previste rende "non comparabili" le posizioni giuridiche soggettive, o che il sistema pensionistico segue riforme graduali, eccetera. Il punto focale del dubbio di legittimita' costituzionale della norma e' il fatto che i "nuovi" pensionati e i "gia'" pensionati, sono tutti "attuali pensionati". E' ben vero che la legge dispone per l'avvenire, e non e' in discussione il trattamento "passato" dei gia' pensionati; ma non si puo' intendere che in tema di un diritto "durevole" com'e' il diritto a pensione, proiettato sull'avvenire, il trattamento che per l'avvenire si riserva ad alcuni sia smisuratamente diverso dal trattamento che si riserva ad altri, solo perche' per i primi si era gia' cominciato a provvedere con una determinata misura, che per gli altri (i nuovi) si ritiene insufficiente e iniquia. L'avvenire e' simultaneo e contestuale, per gli uni e per gli altri. Il fondamento del diritto sta nelle medesime esigenze vitali: quelle indicate nell'art. 38 della Costituzione, il cui soddisfacimento puo' essere modulato in relazione alla quantita' e qualita' del lavoro prestato (fermo il vincolo della sufficienza a condurre una vita libera e dignitosa). In altre parole, il diritto e' "la pensione" (prestazione tipicamente di durata) e non "il pensionamento". Anche piu' agevole e' cogliere l'origine del dubbio se fa conto che il passato lavorativo e contributivo puo' essere persino pressoche' identico (si ponga mente a chi va in pensione il 30 giugno 1982 rispetto a chi va in pensione il 1 luglio 1982, entrambi dopo una vita di lavoro); ma il nocciolo resta la simultaneita' e durevolezza del diritto dimensionato dalla Costituzione; e si dovrebbe supporre che la Costituzione si ispiri a principi egualitari, se si collega l'art. 38 all'art. 3. Cosicche', la disparita' di trattamento, a parita' di diritti soggettivi e di condizione giuridica (perche' proprio questo si presuppone: che l'elemento differenziatore sia soltanto la mutata formula aritmetica di calcolo, applicato o non applicato - per sempre - secondo che il pensionamento sia iniziato prima o dopo il 30 giugno 1982), appare stridente. E si dovrebbe dunque trovare una giustificazione razionale alla disparita', cosi' punitiva nei confronti di persone che, per avere patito le insufficienze del trattamento pensionistico vecchio (e aver fornito cosi' un'immagine vivente di un'ingiustizia da correggere, al punto che il legislatore si e' dato proprio a correggerla con la nuova legge, aggiustando la formula di calcolo), vengono mantenuti in quella insufficienza, ed esclusi proprio da quel risultato di realizzazione del diritto, la cui coscienza era affiorata vedendone la precedente compressione. L'analisi dei rilievi precedenti puo' essere approfondita alla luce dell'insegnamento della stessa Corte costituzionale: a) sul carattere retributivo delle pensioni, sul corollario per cui il trattamento di quiescenza deve essere proporzionale alla qualita' e alla durata del servizio prestato, sulla funzione sostentativa della pensione, che deve assicurare al pensionato e alla sua famiglia un'esistenza libera e dignitosa, sono illuminanti le sentenze nn. 26/1980, 349/1985 e 501/1988; b) sulla variabilita' della disciplina pensionistica attuata dal legislatore "storico", con evoluzione graduale e per tappe, non senza incertezze e passi falsi (si rammenti la sentenza n. 349/1985 della Corte costituzionale, che mando' esente da censura una disciplina che pur non rispondeva "a criteri di ragionevolezza e proporzionalita'", perche' duro' poco e il legislatore poi la corresse), questo tribunale non ignora che i criteri per la determinazione della pensione possono essere in astratto diversi. Non si sostiene, infatti, che la formula di calcolo seguito dalla legge 3 giugno 1975, n. 160, art. 26, debba essere censurata in termini assoluti. (Essa, come e' noto, prende come criterio di riferimento le retribuzioni del decennio precedente (520 settimane) scegliendo i tre gruppi annui piu' favorevoli). Non c'era nulla di irrazionale. Ma e' la prospettiva storica che spiega il perche' della sua correzione da parte del legislatore: scatenatasi la tempesta di un'inflazione senza precedenti, il peso specifico delle somme relative a periodi pregressi e lontani (dieci anni) scemava fortemente; e senza un coefficiente equalizzatore degli elementi valutari, secondo il tempo di riferimento, si potevano verificare forti squilibri. Il legislatore dunque corresse la formula, non perche' la formula era nata cattiva, ma perche' gli eventi esterni, e imprevedibili, l'avevano fatta diventare inadeguata. Il rimedio disposto dalla legge n. 297/1982 fu appunto nel senso che la base di calcolo della retribuzione pensionabile fosse quella dell'ultimo quinquennio (260 settimane), eppero' "rivalutando" la retribuzione media settimanale secondo gli indici Istat (art. 3, undicesimo comma). Cio' ha portato ad una sostanziale omogenizzazione delle retribuzioni dei vari anni. A questi parametri dunque e' stata fissata la determinazione della pensione, a partire dal 1 luglio 1982. Con sostanziale giustizia resa ai pensionati la cui liquidazione sia avvenuta dopo il 30 giugno 1982. Ma nulla e' stato detto circa il livello delle pensioni liquidate in precedenza, a favore di lavoratori che avevano magari la stessa anzianita' contributiva e la stessa base retributiva, ma collocati in pensione qualche giorno (o qualche tempo) prima. E per i quali l'inflazione aveva provocato i medesimi effetti che per gli altri, e che l'indomani avrebbero ancora dovuto sostentarsi con la pensione, durevolmente. E' ben vero che la Corte ha piu' volte detto che l'aggiustamento delle leggi e' progressivo, e le riforme sono graduali. Tuttavia il problema non e' quello di portare "a ritroso" il nuovo criterio di calcolo a favore dei pensionati che hanno gia' avuta la liquidazione pregressa, quasi lamentando di non aver avuto "a suo tempo" quel che vien dato come giusto agli altri "nuovi" pensionati; il problema e' di verificare se sia conforme ai precetti costituzionali che "d'ora in poi" vi sia ragione di trattare diversamente situazioni giuridiche che "nell'attualita'" sono uguali; uguali sia per il curriculum lavorativo pregresso, sia per il bisogno di sostentamento. Non mancano, nella passata giurisprudenza della Corte costituzionale, sentenze che hanno dichiarato l'illegittima violazione del principio di eguaglianza in casi che hanno qualche analogia con la presente fattispecie: vedi la sentenza n. 101/1981 circa il d.P.R. 27 aprile 1968, n. 488, e la data discriminante del 30 aprile-1 maggio 1968; vedi la sentenza n. 37/1977 in tema di illegittimita' dell'art. 9 della legge 30 aprile 1969, n. 153 (discriminante la data del 31 dicembre 1968-1 gennaio 1969). Rammentando quel che affermo' la Corte nella sentenza citata n. 349/1985, sulle iniquita' "temporanee" delle leggi, si potrebbe ben dire che l'aver tardato il legislatore sino al 1982 a correggere gli effetti distorsivi dell'inflazione sulle pensioni liquidate nell'intervallo a partire dal 1975 sfugge a censura. Ma a censura non dovrebbe sfuggire il fatto che a tutti coloro che ne avevano sofferto dal 1975 al 1982, e' stata fatta con l'art. 3 undicesimo comma, della legge n. 297/1982 una perpetuatio iniuriae per tutto l'avvenire, proprio mentre si salvaguardavano gli altri, i nuovi, da tale iniuria. Non si tratta dunque di ridare ai vecchi pensionati quel che la sopraggiunta e progrediente inadeguatezza della vecchia formula di calcolo gli ha sottratto in passato; ma almeno senza piu' condannarli all'esclusione, per il futuro, da quello che si tien giusto dare agli altri. 3. - Per completezza, si puo' annotare ancora che anche sotto il profilo dell'art. 36 della Costituzione, letto in chiave egualitaria in relazione all'art. 3, si coglie un altro profilo di dubbia legittimita': se si accorda al sistema della nuova formula di calcolo "equalizzato" della legge n. 297/1982 un giudizio positivo sul rispetto del parametro dell'esistenza "libera e dignitosa", ci si accorge che la perpetuatio del vecchio livello per i gia' pensionati li puo' condurre (come accade nella fattispecie di causa) a una cifra inferiore al minimo, si' da richiedere l'integrazione. Ma ognun vede che, rispetto al principio di eguaglianza, altra cosa e' la pensione che il legislatore ritiene oggi conforme al precetto di sufficienza, altra cosa e' il rimedio estremo di un'integrazione senza la quale manca persino il sostentamento. Non si capisce quale rispetto del principio di eguaglianza correlato a quello di adeguatezza vi sia nel disporre oggi una pensione "adeguata", continuando pero' ad erogare ai cittadini gia' pensionati una misura che risulta tautologicamente "non adeguata" secondo il criterio della adeguatezza che oggi ha il legislatore. 4. - Si puo' far cenno, per quanto rileva, che la Corte ha gia' avuto modo di pronunciarsi sulla illegittimita' dell'art. 3, ottavo comma, della legge n. 297/1982, con la sentenza n. 822 del 14 luglio 1988, seppure in ipotesi differente. Conclusivamente, per metafora si potrebbe sintetizzare cosi' il dubbio di questo tribunale: un tempo il legislatore pensava che alla vita del pensionato bastasse un pane; e nessuno lo censura. Poi si avvide che, da un certo tempo in poi, occorrevano due pani, e stabili' di attribuirli; ma a quelli che all'inizio avevano avuto un solo pane, decise che un solo pane continuasse a bastare.