IL TRIBUNALE
    Ha  pronunciato  la  seguente  ordinanza  nel  procedimento civile
 iscritto al n. 4500 r.g/1983 promosso  da  Losio  Francesco,  attore,
 avv.  S. Marino contro il Ministero del Tesoro, convenuto, avvocatura
 dello Stato e il Comune di Genova, convenuto, avv. Napoli;
                        SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
    Con  atto  di  citazione notificato il 14 aprile 1983 Fraco Losio,
 titolare dell'omonima ditta esercente  il  commercio  di  porcellana,
 cristallerie  e  posaterie,  premesso  che  aveva  fornito  all'Opera
 nazionale pensionati di Italia (O.N.P.I.) materiale  per  complessive
 L.   765.054   senza   che   l'ente   acquirente  avesse  versato  il
 corrispettivo; che l'opera era stata soppressa con legge  21  ottobre
 1978,  n.  641,  e  le operazioni di liquidazione erano state assunte
 dall'ufficio liquidazioni  O.N.P.I.  presso  la  ragioneria  centrale
 dello   Stato;  che  l'ufficio  anzidetto  aveva  ingiustificatamente
 contestato   una   parte   del   credito   peraltro   ampiamente    e
 documentalmente  provato;  che responsabile del mancato si appalesava
 pertanto il Ministero del tesoro quale responsabile delle  operazioni
 di  liquidazione  dell'ente soppresso ai sensi della legge 4 dicembre
 1956, n. 1404, in alternativa con il comune di  Genova,  destinatario
 dei beni mobili ed immobili - e, quindi, del materiale fornito - gia'
 di  proprieta'  del  soppresso  O.N.P.I.;  tanto  premesso  conveniva
 entrambi   in  giudizio  dinanzi  a  questo  tribunale  per  sentirli
 dichiarare  tenuti  in  via  alternativa  al  pagamento  della  somma
 anzidetta,  interessi  e  rivalutazione  monetaria;  produceva  ampia
 documentazione e comprova del proprio assunto.
    Si  costituiva  in giudizio il Ministero del tesoro contestando le
 opposte pretese delle quali chiedeva il rigetto.
    Osservava che la maggior parte del credito avversariamente vantato
 (per un ammontare pari a L. 715.350) era irrimediabilmente colpita da
 decadenza   non   avendo   l'attore   provveduto   ad   impugnare  il
 provvedimento di  reiezione  adottato  dal  convenuto  Ministero  nel
 perentorio  termine  (trenta  giorni  dalla data di ricevimento della
 raccomandata reiettiva del 21 settembre 1982)  previsto  dall'art.  9
 della  legge  21  settembre  1956, n. 1404, regolante la procedura di
 liquidazione dell'ente soppresso.
    Quanto  al residuo credito (pari a L. 49.704) eccepiva che tuttora
 erano in corso accertamenti sulla effettiva resa della merce fornita;
 e   poiche'   non  era  stato  ancora  adottato  alcun  provvedimento
 definitivo al riguardo, l'azione avversariamente intentata  risultava
 improponibile  pendente il procedimento amministrativo previsto della
 citata Legge n. 1404/1956 al di  fuori  del  quale  era  preclusa  al
 creditore ogni possibilita' di esporre il proprio credito.
    Il  comune di Genova, per sua parte, eccepiva in via principale il
 proprio difetto di legittimazione passiva rilevando che, se vero  era
 che  ad  esso erano stati attribuiti alcuni beni gia' appartenenti al
 soppresso  O.N.P.I.,  non  per  cio'  solo  egli   poteva   ritenersi
 successore  del  disciolto  ente  e  come  tale chiamato a rilevare i
 debiti da questi contratti.
    Osservava  che  legittimo  contraddittore della pretesa creditoria
 attrice doveva ritenersi l'ufficio liquidazioni  O.N.P.I.  presso  la
 ragioneria  centrale dello Stato gravato "delle eventuali passivita'"
 del disciolto ente, ai sensi dell'art. 1-sub novies  della  legge  21
 ottobre 1978, n. 641.
    In  via  subordinata  chiedeva rigettarsi la domanda; produceva la
 deliberazione della giunta municipale autorizzativa  a  resistere  in
 giudizio.
    Trattenuta  la  causa in decisione questo tribunale, osservato che
 la legge 4 dicembre 1956, n. 1404 (articoli 8  e  9)  indicata  dalla
 difesa erariale (la quale prevede che i creditori degli enti pubblici
 soppressi, incorporati in altri enti o posti in  liquidazione  devono
 presentare al Ministero del tesoro nel termine perentorio di sessanta
 giorni  dalla  pubblicazione  del  provvedimento   di   soppressione,
 incorporazione  o  liquidazione  le istanze per il riconoscimento dei
 crediti vantati, potendo  adire  l'autorita'  giudiziaria  solo  dopo
 l'espletamento  del  procedimento  amministrativo entro trenta giorni
 dalla comunicazione  di  accoglimento  o  del  rigetto  dell'istanza)
 sembrava  in contrasto con l'art. 3 della Costituzione poiche' creava
 una  disparita'  di   trattamento   tra   debitori   e   debitori   e
 conseguentemente  tra  creditori  di  un  ente  privato  o di un ente
 pubblico per  rapporti  regolati  in  entrambi  i  casi  dal  diritto
 privato,  sollevava,  con  ordinanza  collegiale  29  settembre 1986,
 questione di legittimita' costituzionale  rimettendo  gli  atti  alla
 Corte costituzionale e sospendendo il giudizio in corso.
    Con  sentenza  9  giugno  1988  la Corte dichiarava non fondata la
 sollevata questione sul rilievo che la prevalente giurisprudenza  sia
 della  Corte di cassazione che del giudice amministrativo escludevano
 che  l'instaurazione  del  procedimento  liquidatorio  ex   lege   n.
 1404/1956  importasse  la  perdita neppure temporanea del diritto del
 creditore ad azioni giudiziarie individuali.
    Con  ricorso  depositato il 27 settembre 1988 il Losio chiedeva ed
 otteneva che il processo sospeso  venisse  proseguito;  e  la  causa,
 sulle  conclusioni  come  sopra  trascritte,  e'  stata trattenuta la
 decisione all'odierna udienza collegiale.
                         MOTIVI DELLA DECISIONE
    Successivamente  alla  sentenza  9 giugno 1988 sopra richiamata la
 Corte costituzionale, con ordinanza  22  giugno-7  luglio  1988,  nel
 dichiarare  la manifesta infondatezza della questione di legittimita'
 costituzionale dei medesimi  articoli  della  stessa  normativa  gia'
 denunciata da questo tribunale, sollevata in quel caso dal pretore di
 Pisa con riferimento all'art. 24  della  Costituzione,  ha  affermato
 che,  seppur  vero era che lo speciale procedimento amministrativo di
 riconoscimento dei crediti da far valere nei confronti degli enti  in
 liquidazione non impediva al creditore di proporre azione giudiziaria
 senza avvalersi di detto procedimento ovvero  anche  prima  che  esso
 fosse  concluso,  allorquando  egli  si  fosse avvalso per sua libera
 scelta del detto procedimento ed avesse atteso la sua conclusione era
 allora  obbligato  a  proporre  ricorso all'autorita' giudiziaria nel
 perentorio termine di decadenza di trenta giorni dalla  comunicazione
 della  decisione  conclusiva,  ai  sensi  dell'art.  9 della legge n.
 1404/1956, senza che cio' comportasse violazione dell'art.  24  della
 Costituzione.
    La precedente decisione della Corte (9 giugno 1988) resa in questo
 giudizio, ha dichiarato non fondata "nei sensi di cui in motivazione"
 la  questione  di  legittimita'  costituzionale  sollevata  da questo
 tribunale con riferimento all'art. 3  della  Costituzione  osservando
 che  "la  giurisprudenza prevalente sia della Corte di cassazione che
 del  giudice  amministrativo  ritengono   che   l'instaurazione   del
 procedimento  liquidatorio di cui alla legge n. 1404/1956 non importi
 la perdita, neppure temporanea, del diritto del creditore  ad  azioni
 giudiziarie  individuali,  in  quanto  tale  procedimento consente di
 conseguire - oltre che in via  giudiziaria  -  la  soddisfazione  dei
 crediti in via amministrativa".
    Trattasi,   ad   avviso   del   collgio,   di  una  sentenza  c.d.
 "interpretativa" o  "condizionata"  che  ricollega  la  pronuncia  di
 infondatezza  della  questione  all'accoglimento  di  una determinata
 interpretazione di essa lasciando intendere,  comunque,  che  diversa
 dovrebbe  essere la decisione ove venisse accolta una interpretazione
 difforme da quella privilegiata (c.d.  interpratazione  adeguatrice);
 intenzione  fatta palese dalla formula inserita nel dispositivo ("nei
 sensi di cui in motivazione") mediante la quale viene  stabilito  uno
 stretto rapporto tra dichiarazione di infondatezza della questione ed
 interpretazione della legge sottoposta al controllo  di  legittimita'
 costituzionale.
    Con  tale  decisione  la Corte ha infatti inteso privilegiare quel
 filone giurisprudenziale secondo il quale la soppressione di un  ente
 pubblico    e    l'instaurazione    della    procedura   liquidatoria
 soprarichiamata non importano la  perdita  seppure  temporanea  della
 potesta'   giurisdizionale   dell'a.g.o.   o  comunque  delle  azioni
 individuali gia' proposte  o  sopravvenute  contro  quell'ente  (cfr.
 Cass.  11  luglio 1984, n. 4070); orientamento in difforme avviso del
 quale non sono  mancate  pronuncie  di  opposta  valenza  e  di  pari
 autorevolezza  (cfr.  Cass.  7  giugno 1966, n. 1485, che ha ritenuto
 decaduto dal diritto  di  credito  verso  l'ente  pubblico  posto  in
 liquidazione  chi  non abbia presentato domanda di riconoscimento nel
 termine  di  sessanta  giorni  dal  provvedimento   di   liquidazione
 all'apposito ufficio liquidazioni presso il Ministero del tesoro).
    Cio'  premesso  questo  tribunale, applicando al caso di specie la
 sentenza e l'ordinanza della Corte costituzionale anzidette, non puo'
 che ricavare la conseguenza che il Losio, il quale ha sperimentato il
 procedimento amministrativo liquidatorio anzidetto ed  ha  atteso  la
 decisione  amministrativa  reiettiva  del Ministero del tesoro seppur
 relativa ad  una  parte  (comunque  la  piu'  cospicua)  del  proprio
 credito,  dovrebbe  vedersi  disattendere la propria domanda per aver
 trascurato  di  impugnare   nei   trenta   giorni   successivi   alla
 comunicazione  la  decisione  anzidetta dinanzi a questo tribunale; e
 cio' pur essendo titolare di un diritto di credito sorto in  base  al
 diritto  comune  e  che  il  diritto  comune  non  espone  ai  rischi
 decadenziali siffatti,  in  difformita'  della  normativa  anzidetta,
 violatrice ad avviso del collegio dell'art. 3 della Costituzione.
    Pare  al  collegio  che  le  medesime  considerazioni svolte nella
 propria precedente ordinanza rimessiva,  denunciativa  del  ravvisato
 contrasto  costituzionale, abbiano ancora attualita' e debbano essere
 risottoposte all'esame della Corte costituzionale.
    A  cio'  non  e' di ostacolo il rilievo che la stessa questione e'
 gia' stata decisa dalla Corte  perche'  essa  intese  risolverla  con
 riferimento  ad una interpretazione, delle possibili, che il collegio
 non intende condividere, in quanto porterebbe ad una compressione del
 diritto  di credito del suo titolare assolutamente ingiustificata; ed
 e' noto che l'interpretazione accolta nella  sentenza  interpretativa
 di  rigetto  della  Corte costituzionale non vincola giuridicamente i
 giudici comuni.
    Ne',  poi,  sarebbe di ulteriore ostacolo il rilievo che, ai sensi
 dell'art. 24 della legge 11 marzo 1953, n.  87,  la  riproponibilita'
 dell'eccezione  di  incostituzionalita' e' consentita solo all'inizio
 di ogni grado ulteriore del processo, ma non  gia'  nel  corso  dello
 stesso grado nel quale la questione e' stata senza fortuna sollevata.
    Come e' noto la disposizione anzidetta prevede che l'ordinanza che
 respinge l'eccezione di illegittimita' costituzionale  per  manifesta
 irrilevanza  o infondatezza deve essere adeguatamente motivata; e che
 l'eccezione puo' essere riproposta all'inizio di ogni grado ulteriore
 del processo.
    Nel  caso  di  specie,  comunque,  la  reiezione  fu  adottata con
 sentenza e non gia' con  ordinanza;  ed  inoltre  venne  adottata  la
 formula  della  "non  fondatezza"  (per  giunta  "nei sensi di cui in
 motivazione") e non gia' della "manifesta infondatezza"; per cui pare
 al  collegio  che  la  differenza seppur formale delle due situazioni
 giuridiche escluda l'applicabilita' nel caso concreto della norma  di
 sbarramento anzidetta.
    E  comunque,  anche a voler superare tali rilievi, che il collegio
 ritiene fondati seppur indubbiamente formali, sarebbe  lecito  allora
 dubitare della costituzionalita' di tale disposizione perche', ove si
 ritenesse ormai preclusa al giudice di prime cure  ogni  possibilita'
 di   riproporre   la   questione,   consentita   invece   al  giudice
 sovraordinato, sarebbe evidente la violazione del diritto alla tutela
 giurisdizionale  ed  alla  difesa consentiti a tutti "in ogni stato e
 grado del processo" dall'art. 24 della Costituzione.
    La   questione,   subordinatamente   sollevata   in   ipotesi   di
 riconoscimento del totale effetto  preclusivo  della  sentenza  della
 Corte  costituzionale  anzidetta,  si appalesa rilevante (la legge 11
 marzo  1954,  n.  87,  cui  appartiente  la   norma   denunciata   e'
 assoggettabile al controllo di legittimita' costituzionale non avendo
 alcuna forza particolare rispetto alle leggi  ordinarie;  cfr.  Corte
 costituzionale  29  dicembre  1966, n. 127) poiche' tale disposizione
 costituirebbe l'unico ostacolo alla riproposizione della questione di
 legittimita'   costituzionale   gia'   denunciata   e   di  cui  piu'
 diffusamente infra (a sua volta rilevante nel giudizio in corso); ne'
 appare  manifestamente  infodata  perche'  varrebbe  a precludere una
 parte della tutela giurisdizionale attuabile anche  nel  giudizio  di
 costituzionalita' quanto meno in un grado di giudizio.
    Tanto  premesso  al collegio non resta che riproporre di seguito i
 motivi in base ai quali a proprio avviso e' ravvisabile il  contrasto
 costituzionale,  richiamando  il  contenuto  della  propria ordinanza
 collegiale in data 29 settembre 1986.
    Va  subito  rilevato  che  la  questione di appalesa rilevante nel
 giudizio  in  corso  avendo   le   parti   espressamente   richiamato
 l'applicabilita'  della  legge  4 dicembe 1956, n. 1404: il Ministero
 per paralizzare la domanda  attrice  ed  il  Losio  per  chiedere  il
 riconoscimento  del  proprio buon diritto (in conclusionale ha mosso,
 in via subordinata, dubbi circa la costituzionalita' della legge come
 interpretata dal ministero convenuto) mentre il comune di Genova, nei
 cui confronti e' stata proposta dall'attore domanda "alternativa" col
 Ministero,     ha    invocato    la    disciplina    sospettata    di
 incostituzionalita' per trarre argomenti  a  sostegno  della  propria
 estraneita' dall'oggetto della lite.
    La  questione non pare, poi, ad avviso del collegio manifestamente
 infondata per quanto in appresso.
    Come e' noto l'art. 8 della legge n. 1404/1956 impone a coloro che
 hanno diritti da far valere nei  confronti  degli  enti  pubblici  la
 liquidazione  dei  quali  e'  affidata  -  come  nella  specie - allo
 speciale ufficio liquidazioni istituito  con  l'art.  1  della  legge
 presso  il Ministero del tesoro, l'obbligo di presentare al ministero
 domanda di riconoscimento di crediti e le istanze per  rivendicazioni
 o  restituzioni  di  cose  entro il: termine di sessanta giorni dalla
 data in cui e'  stato  adottato  il  provvedimento  di  soppressione,
 liquidazione ed incorporazione dell'ente.
    L'art.  9  della legge stabilisce, poi, che l'ufficio liquidazioni
 forma, entro novanta giorni dalla  data  di  presa  in  consegna  del
 patrimonio  dell'ente,  l'elenco  dei creditori ammessi o non ammessi
 dandone comunicazione  agli  interessati  i  quali  possono  proporre
 ricorso all'a.g.o. entro trenta giorni dalla comunicazione.
    La  conservazione  del diritto di credito e' quindi subordinata al
 preventivo esperimento della menzionata procedura pre-contenziosa  la
 quale  ha inizio con la presentazione della domanda di riconoscimento
 dei crediti nel termine di  sessanta  giorni,  la  perentorieta'  del
 quale,  anche se non dichiarata espressamente dalla legge, emerge dal
 fatto che trattasi di termine per compiere  un  atto  destinato  alla
 conservazione di un diritto gia' esistente, con conseguente decadenza
 del diritto stesso in caso di sua mancata osservanza.
    Perentorio,  per espressa dizione legislativa, e' anche il termine
 di trenta giorni,  decorrente  dalla  comunicazione  delle  decisioni
 ministeriali  per  proporre ricorso all'autorita' giudiziaria; mentre
 una parte della giurisprudenza dei giudici  di  merito  (T.  Roma  27
 ottobre  1981,  n.  1368;  ma  contra  Cass. 11 luglio 1963, n. 4070)
 ritiene che non sia ipotizzabile per il creditore azionare il proprio
 credito  al  di  fuori  del  procedimento liquidatorio gestito in via
 amministrativa   dal   Ministero   del   tesoro   sia   nella    fase
 dell'accertamento  del  diritto  vantato,  sia  nella  fase  del  suo
 soddisfacimento,   con    conseguente    perdita    della    potesta'
 giurisdizionale   dell'a.g.o.  nella  soggetta  materia  e  la  grave
 compromissione del  diritto  del  creditore  assoggettato  al  previo
 esperimento  di  una  via amministrativa priva delle garanzie proprie
 del procedimento giurisdizionale e, per giunta, destinata a durare un
 tempo  indefinito  attesa la natura meramente ordinatoria del termine
 entro il quale il Ministero e' chiamato a provvedere.
    Si  tratta,  pertanto, di una serie di decadenze o condizionamenti
 creati dal legislatore -  anche  nella  versione  indubbiamente  piu'
 mitigata    quale   offerta   dalle   interpretazioni   della   Corte
 costituzionale - che si frappongono alla realizzazione di un  diritto
 di  credito  di  un  cittadino  sorto  sulla base del diritto comune,
 incidenti  pesantemente  sulla  sua  realizzazione  e   determinativi
 financo  della  sua  estinzione  (in  caso di mancata impugnativa nei
 brevi termini anzidetti del provvedimento  di  rigetto  ministeriale)
 che   non  puo'  non  essere  riguardata  con  estremo  sospetto  per
 quell'evidente  alterazione  al   regime   giuridico   comune   delle
 obbligazioni,   proprio   di   tutti  i  consociati  che  vengono  ad
 intrattenere tra loro relazioni e che in detto regime  confidano  per
 la regolamentazione del proprio rapporto.
    Va  infatti  rilevato  che il credito del Losio, ancorche' vantato
 nei  confronti  di  un  ente  pubblico,  non  percio'  perde  la  sua
 connotazione  di  credito  regolato  dal  diritto  privato,  pacifico
 essendo  che  l'O.N.P.I.  ha  agito  nei  confronti  dell'attore,  al
 riguardo della fornitura di merci di che trattasi, jure privatorum.
    Un  tale  rapporto,  invece,  per il solo fatto che lo Stato abbia
 deciso di sopprimere l'ente debitore  e  si  sia  assunte  a  proprio
 carico  le  di  lui  passivita'  viene  alterato  nella sua struttura
 genetica a danno del creditore  sino  a  porre  a  carico  di  questi
 pesanti  oneri,  decadenze  e  comunque  ritardi  per consentirgli il
 soddisfacimento del proprio buon diritto.
    In altri termini il successore di un ente pubblico, debitore verso
 un privato, pel solo fatto di rivestire  detta  particolare  qualita'
 soggettiva,  impone  autoritativamente,  e senza il necessario previo
 consenso  del  proprio   creditore,   comportamenti   penalizzati   e
 vincolanti   per   la  realizzazione  del  credito,  dettando  sempre
 unilateralmente norme che prevedono in caso di mancato adempimento al
 modello comportamentale che deve essere seguito dal creditore financo
 la propria liberazione dall'obbligazione senza adempimento.
    Tutto cio, sembra al collegio inaccettabile ed in palese contrasto
 con l'art. 3 della Costituzione poiche' il sistema  dianzi  esaminato
 crea una disparita' di trattamento tra debitori e debitori alcuni dei
 quali, pel solo fatto - del  tutto  irrilevante  -  di  rivestire  la
 qualita'  di  ente  pubblico  o  di organo statale ad esso subentrato
 possono, a  differenza  di  altri,  godere  di  un  trattamento  piu'
 favorevole   nei   rapporti   con  i  propri  creditori;  cosi'  come
 analogamente, e  con  ben  maggiore  gravita'  sulla  violazione  del
 precetto costituzionale dianzi richiamato, alcuni creditori, pel solo
 fatto della qualita' soggettiva del proprio debitore, e per un evento
 a  loro  assolutamente non imputabile quale la soppressione dell'ente
 col quale hanno contrattato, vedono compromessa la propria  posizione
 creditoria a differenza di altri che hanno stipulato obbligazioni con
 diversi soggetti pur avendo entrambe le  categorie  posto  in  essere
 rapporti  sorti  e  regolati,  secondo  la  loro comune volonta', dal
 diritto privato.
    Per   questi   motivi   ritiene   il   collegio  rilevante  e  non
 manifestamente infondata  la  questione  di  costituzionalita'  della
 legge  4  dicembre 1956, n. 1404, artt. 8 e 9 nella parte in cui essi
 prevedono che i creditori degli enti pubblici soppressi,  incorporati
 in  altri enti o posti in liquidazione devono presentare al Ministero
 del  tesoro  nel  termine  perentorio  di   sessanta   giorni   dalla
 pubblicazione  del  provvedimento  di  soppressione, incorporazione o
 liquidazione, le istanze per il riconoscimento dei crediti vantati  e
 possono  adire  l'autorita'  giudiziaria solo dopo l'espletamento del
 procedimento amministrativo entro trenta giorni  dalla  comunicazione
 dell'accoglimento o del rigetto dell'istanza.
    Gli   atti   vanno,   pertanto,   nuovamente  rimessi  alla  Corte
 costituzionale per il seguito  di  competenza;  con  sospensione  del
 presente  giudizio  sino  all'esito  della  decisione sulla questione
 sollevata.