LA CORTE DI CASSAZIONE Ha pronunciato la seguente ordinanza sul ricorso proposto da Trovero Adriano avverso l'ordinznza del tribunale di Napoli del 14 marzo 1989; Sentita la relazione fatta dal Consigliere Amedeo Postiglione; Lette le conclusioni del p.m. con le quali chiede dichiararsi manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 2 della legge n. 22/1989 e rigettarsi il ricorso nel resto. O S S E R V A Contro la sentenza di condanna del 21 febbraio 1989 del tribunale di Napoli, emessa nei confronti del contumace Adriano Trovero, ha proposto appello il difensore d'ufficio avv. Nazareno Di Mario, non munito dello "specifico mandato" richiesto dall'art. 192, terzo comma del c.p.p., nella nuova formulazione introdotta dall'art. 2 della legge 23 gennaio 1989, n. 22. Contestaulmente alla dichiarazione d'appello, il difensore ha sollevato la questione di legittimita' costituzionale del citato art. 2 nella parte in cui nega al difensore la possibilita' di impugnare la sentenza contumaciale se non "munito di specifico mandato": norma che, ad avviso dell'impugnante, contrasta sia con il principio di uguaglianza di fronte alla legge (art. 3 della Costituzione); sia con il principio di inviolabilita' del diritto di difesa in ogni stato e grado del procedimento (art. 24 della Costituzione); sia con l'art. 6 della convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali (resa esecutiva in Italia con legge 4 agosto 1955, n. 848), che garantisce a tutti gli accusati il diritto ad un equo processo e, piu' specificatamente (n. 3, lett. c), il diritto a difendesi da se' ovvero con l'assistenza di un difensore di propria scelta o d'ufficio. Con ordinanza 14 marzo 1989 il tribunale di Napoli ha dichiarato manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 2 della legge n. 22/1989, e, ai sensi della medesima norma, ha dichiarato inammissibile l'appello. Contro tale ordinanza il difensore ricorre per cassazione con due motivi principali e un motivo aggiunto. Con il primo motivo principale denuncia l'"assoluto difetto di motivazione in ordine alla eccezione di illegittimita' costituzionale proposta coevamente alla impugnativa della sentenza, essendo quella espressa dal tribunale illogica ed antigiuridica e quindi solo apparente". Con il secondo motivo principale e il motivo aggiunto (quest'ultimo inteso a illustrare e svolgere l'altro) viene riproposta la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 2 della legge 23 gennaio 1989, n. 22, in ralazione agli artt. 3 e 24 della Costituzione e 6 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo. La prima censura non ha concreta rilevanza. Il mancato esame della questione di legittimita' costituzionale da parte del giudice a quo non costituisce motivo di annullamento del procedimento impugnato, poiche' la questione puo' essere riproposta davanti al giudice ad quem, e sollevata d'ufficio da quest'ultimo (sempre che incida su uno dei punti investiti dall'impugnazione). A maggior ragione, non comporta la nullita' del provvedimento impugnato la declaratoria di manifesta infondatezza che non sia sostenuta da adeguata motivazione. Quanto alla riproposta questione di legittimita' costituzionale, si deve subito dire che le diffuse e analitiche considerazioni del ricorrente sono, dal punto di vista intrinseco, veramente e singolarmente pregevoli: esse evidenziano le ragioni di non manifesta infondatezza, perche' sussiste un ragionevole dubbio che la scelta fatta dal legislatore vada oltre i confini delle garanzie costituzionali. E questo e' sufficiente per rimettere la questione alla Corte costituzionale. Occorre premettere che, con la legge 23 gennaio 1989, n. 22, si sono anticipate uguali disposizioni del nuovo codice di procedura penale (artt. 175 e 571), e che le ragioni che hanno determinato l'attuale formulazione dell'art. 192, terzo comma del c.p.p. sono enunciate dalla relazione ministeriale al progetto preliminare del nuovo codice, nella quale si legge (pag. 284): "Innovativa e', invece, la disciplina che regola la legittimazione del difensore a proporre impugnazione avverso una sentenza contumaciale: si e' previsto, infatti, che in tal caso il difensore deve essere munito di specifico mandato, rilasciato con l'atto di nomina o anche successivamente. La ragione d'essere di tale previsione risiede nel fatto che l'impugnazione proposta dal difensore esaurisce per l'imputato la possibilita' di ottenere, se contumace, la restituzione in termini, istituto, quest'ultimo, che ha ricevuto una disciplina particolarmente ampia nell'art. 175 (corrispondente all'attuale art. 183-bis del c.p.p., nel testo sostituito dall'art. 1 della legge n. 22/1989). Conseguentemente e' sembrato necessario limitare la legittimazione del difensore nel caso di sentenza contumaciale, allo scopo di impedire gli effetti preclusivi che scaturirebbero da una impugnazione proposta frettolosamente da un difensore il quale, sia esso legato o meno da un rapporto fiduciario, e' ben possibile che abbia potuto prendere contatto con l'imputato nel breve termine previsto per la proposizione del gravame. La previsione di uno specifico mandato consente, invece, di presumere che l'imputato abbia effettuato una preventiva valutazione circa le conseguenze dell'attivita' che il difensore potra' compiere nel suo interesse, ivi compreso, quindi, l'eventuale effetto preclusivo di cui prima si e' detto". In tal contesto, la necessita' dello "specifico mandato" costituirebbe una logica e inevitabile conseguenza della nuova disciplina della contumacia e della restituzione in termini, introdotta dalla legge n. 22/1989. Questi argomenti, a giudizio di questa Corte, non sono convincenti. La norma denunciata, esaminata con riferimento ai giudizi contumaciali a carico di irreperibili (come nel caso di specie) pone seri probblemi di limitazione del dirtto di difesa. L'imputato Trovero, al momento irreperibile, non ha operato alcuna scelta, e percio' non si e' autorizzati a ritenere il silenzio come sintomatico di una volonta' di non impugnare. Il difensore d'ufficio, nel caso della irreperibilita' ma potrebbe avere la specifico mandato richesto dalla legge per la impugnativa e l'imputato si vedrebbe riconosciuto il diverso minor diritto a chiedere la restituzione in termini, sicche' una menomazione della sostanza o contenuto del diritto di difesa potrebbe configurarsi (con riguardo al difensore e con riguardo allo stesso imputato). La questione e', peraltro, anche rilevante, sotto il profilo pratico, nel caso di specie, perche' l'imputato e' contumace ed irreperibile e risulta difeso da avvocato d'ufficio. Ritiene la Corte che ai sensi dell'art. 24 della Costituzione, il diritto di difesa e' irrinunciabile, sicche' attraverso la obbligatorieta' della difesa tecnica e la nomima eventuale di un difensore d'ufficio, si assicura un equo processo ed una contrapposizione equilibrata tra le parti. Ogni qual volta manchi di fatto la possibilita' di esprimersi alla difesa personale, la legge processuale riconosce alla difesa tecnica poteri di sostituzione in virtu' dei quali si realizza quella integrazione con l'altra parte tanto da soddisfare i princi'pi costituzionali. Soprattutto nei momenti piu' delicati del processo la difesa tecnica e' importante per garantire equilibrio fra le parti. Questo spiega perche' la legge garantisce al contumace gli stessi diritti che competono al presente, attraverso la difesa tecnica imposta ex lege. Il difensore esplica una attivita' non in funzione dei soli interessi contingenti ed individuali dell'imputato, ma di quelli immanenti e collettivi della societa'. Nei casi estremi di irreperibilita', la eliminazione del potere autonomo di impugantiva del difensore estromette di fatto dal processo la difesa tecnica atto a contrastare subito eventuali illegittimita' della decisione e non si puo' dire che cio' sia conforme al principio costituzionale dell'art. 24 che dichiara la difesa "inviolabile" in ogni stato e grado del giudizio. Dubbi di legittimita' della norma sorgono anche con riferimento all'art. 6 della convenzione europea dei diritti dell'uomo, che garantisce ad ogni accusato il diritto a difendersi da se' o ad avere l'assistenza di un difensore per assicurare l'equita' del processo, ossia un equilibrio di autodeterminazione dell'imputato in un quadro di garanzie tecniche che hanno rilevanza anche oggettiva per l'intera societa'. Che una sentenza sia giusta e' interesse non solo dell'incolpato, ma della societa'. Il cittadino sottoposto a procedimento penale ha bisogno di difensore tecnico tanto piu' se e' contumace, se e' latitante, se e' all'estero, se e' irreperibile. La restituzione in termini puo' arrivare, quando ne ricorrano i presupposti, allorche' gravi danni si siano gia' verificati per effetto del passaggio in giudicato della sentenza e dell'inizio della esecuzione della pena detentiva, sicche' il rimedio successivo si risolve in una minore garanzia rispetto a quella assicurata dall'autonomo potere di impugnativa del difensore. Un imputato assente, un imputato cioe' ha disertato il dibattimento per espressa volonta' (l'esempio classico e' quello del detenuto rinunciante), poice' non e' contuuumace, per espresso dettato della norma denunciata, anche senza che abbia dato specifico mandato ad impugnare, e' validamente rappresentato del difensore che nella qualita' e' legittimato a proporre impugnativa secondo le regole generali. Induce a perplessita', quanto a disparita' di trattamento, la stessa posizione di presente che e' ancora una volta a differenza del contumace, maggiormente garantita da un difensore che puo', senza bisogno di specifico mandato, autonomamente impugnare. Perche' il legislatore abilita la difesa dell'assente e del presente ad impugnare senza bisogno di specifico mandato? Quale ratio legis giustificherebbe la disparita' di trattamento con il caso dell'imputato contumace? Con riferimento alla particolare posizione degli imputati irreperibili (ipotesi non considerata dalla norma denunciata per sospetta incostituzionalita') giova ricordare che e' stato ripetutamente ritenuta inapplicabile la procedura del decreto penale contro gli irreperibili essendo i decreti opponibili solo dagli interessati e non anche da difensori (Corte costituzionale sent. 6-18/6 1963; Cassazione sez. IV 21 dicembre 1965 in mass. cass. pen. 1966, p. 577, n. 919). In questo caso si e' riconosciuto implicitamente che all'irreperibile deve garantirsi comunque una reppresentanza che si esplichi atttraverso un difensore tecnico. In conclusione, ad avviso di questa Corte, le nuove norme sulla restituzione in termini (che salvaguardano il diritto ad impugnare attraverso un diverso e minor diritto) non giustificano ne' legittimano una sospetta violazione di princi'pi costituzionali come sopra richiamati. Non solo, ma creano una frattura pericolosa tra difesa tecnica e difesa diretta, essa stessa inammissibile per dettato costituzionale. La difesa deve sempre e comunque potersi esprimere in fatto e in dirittto, quanto meno con riferimento alla realta' processuale.