IL PRETORE
    Esaminata  la  questione  di legittimita' costituzionale dell'art.
 247 della disp. att.  del  c.p.p.,  in  relazione  all'art.  3  della
 Costituzione sollevata dalla difesa di Brignano Goggia Luisella;
                              R I L E V A
    1.  -  Brignano  Goggia  Luisella e Galimi Antonino con decreto di
 citazione dell'11 luglio  1988  sono  stati  tratti  a  giudizio  per
 rispondere  delle  contravvenzioni  di  cui  all'art. 20, lettera c),
 della legge 28 febbraio 1985, n. 47, e 1-sexies della legge 8  agosto
 1985,  n.  431.  Il  dibattimento  e' stato aperto all'udienza del 18
 ottobre 1988.
    All'udienza  del  24  ottobre  1989  la  Brignano  ha  chiesto  la
 definizione del processo con il rito abbreviato di cui  all'art.  438
 del c.p.p. La difesa si e' associata alla richiesta della Brignano ed
 ha sollevato questione di legittimita' costituzionale  dell'art.  247
 delle  disp.  att.  del  c.p.p. nella parte in cui - relativamente ai
 procedimenti in corso alla data di entrata i vigore del nuovo  codice
 di  procedura  penale - in contrasto con l'art. 3 della Costituzione,
 limita l'ammissibilita' del rito abbreviato ai procedimenti nei quali
 non  siano  state  ancora  compiute  le  formalita'  di  apertura del
 dibattimento. Il pubblico  ministero  ha  ritenuto  rilevante  e  non
 manifestamente  infondata l'eccezione d'illegittimita' costituzionale
 dell'art. 247 delle disp. att. del c.p.p.
    2.  -  Per  valutare la fondatezza della questione di legittimita'
 costituzionale sollevata dalla  difesa,  e'  necessario  innanzitutto
 esaminare  la natura giuridica dei procedimenti speciali previsti dal
 libro VI del nuovo codice di procedura  penale  e,  precisamente,  se
 essi hanno natura processuale o sostanziale.
    Il  giudizio  abbreviato  e l'applicazione della pena su richiesta
 delle parti prevedono da un lato una diversa e piu' rapida  procedura
 di  definizione  del  processo,  dall'altro una rilevante diminuzione
 della pena ed altre conseguenze giuridiche piu' favorevoli al reo (v.
 art.  445,  relativamente  all'esclusione  dell'applicazione  di pene
 accessorie e di misure di sicurezza e  della  condanna  al  pagamento
 delle spese processuali nonche' all'estinzione del reato).
    Qualunque  definizione  si accolga della norma processuale penale,
 e' indubbio che i c.d. riti speciali introdotti dal nuovo  codice  di
 procedura,   poiche'   non   si   limitano  soltanto  a  disciplinare
 l'accertamento della notitia  criminis,  le  attivita'  esperite  nel
 processo  dai soggetti processuali e le forme degli atti processuali,
 ma  incidano   direttamente   sulla   quantificazione   della   pena,
 sull'applicabilita'  di pene accessorie e misura di sicurezza e sulla
 estinzione del reato, hanno natura penale sostanziale.
    Il  problema non e' nuovo nel nostro ordinamento poiche' tali riti
 hanno natura giuridica identica ed altri  istituti  ben  noti,  quali
 l'oblazione  e  l'applicazione  di  sanzioni  sostitutive su rchiesta
 dell'imputato prevista dall'art. 77 della legge 24 novembre 1981,  n.
 689. Nessuno ha mai posto in dubbio che gli istituti dell'oblazione o
 del c.d. "patteggiamento" ex art. 77 della legge n. 689/1981, abbiano
 natura  penale  sostanziale,  anche  se  le  forme e le modalita' per
 esservi ammessi sono disciplinate da norme processuali. Alle medesime
 conclusioni  deve  pervenirsi per i procedimenti previsti dagli artt.
 438 e 444 del c.p.p. La riduzione della pena e gli altri benefici che
 da  essi  conseguono  hanno natura sostanziale. Le norme, invece, che
 disciplinano le forme in cui  devono  essere  esperiti  hanno  natura
 processuale.
    3.  -  L'art.  2,  terzo  comma,  del c.p. stabilisce il principio
 generale che nel caso di successioni di leggi penali deve  applicarsi
 "quella  le  cui  disposizioni sono piu' favorevoli al reo, salvo che
 sia stata pronunciata sentenza irrevocabile".
    La  migliore  dottrina,  che questo Pretore condivide, ha posto in
 risalto che dalla lettura congiunta dei primi tre commi  dell'art.  2
 del  c.p.  si evince che nel nostro sistema penale non accoglie, come
 comunemente si ripete, il principio della irretroattivita', bensi' il
 principio  superiore  che  al  reo  e' assicurato il trattamento piu'
 favorevole  tra  quelli  stabiliti  dalla  legge  a   partire   dalla
 commissione  del  fatto  e  sino  alla  sentenza  irrevocabile.  Tale
 principio superiore, ispirato al favor libertatis, si  specifica  poi
 in  quello  della  irretroattivita'  nel primo comma, in quello della
 retroattivita' (anche oltre la  sentenza  irrevocabile)  nel  secondo
 comma in quello della legge piu' favorevole nel terzo comma.
    Alcuni   Autori,   dalla  degradazione  della  irretroattivita'  a
 semplice corollario di  un  principio  superiore,  argomento  che  il
 legislatore  costituzionale  nel momento in cui nell'art. 25, secondo
 comma - recependo una lunga e consolidata  tradizione  storica  degli
 stati  liberali (v. art. 8 della "Dichiarazione dei diritti dell'uomo
 e  del  cittadino"  del  1789  -  ha  accolto  il   principio   della
 irretroattivita'  della  legge  penale,  ha necessariamente, sia pure
 implicitamente, recepito anche il principio piu' generale che ne'  e'
 il  fondamento. Da cio' si e' dedotto che le disposizioni dell'art. 2
 del c.p.  costituiscono  disposizioni  materialmente,  anche  se  non
 formalmente,  costituzionali, con la conseguenza che la loro modifica
 o  deroga  comporterebbe  il  procedimento  aggravato  di   revisione
 costituzionale.
    Anche  se  la  conseguenza  a  cui  questi Autori pervengono in un
 sistema di costituzione rigida non appare condivisibile, e' certo che
 il  principio  dell'applicabilita' della legge piu' favorevole, posto
 dai tre commi dell'art. 2 del c.p., incidendo sullo status libertatis
 e sui diritti fondamentali del cittadino, ha rilevanza costituzionale
 per cui la sua eventuale deroga deve essere giustificata  da  ragioni
 aventi pari rilevanza costituzionale.
    4. - Stabilito che i riti speciali di cui agli artt. 438 e 444 del
 c.p.p., costituiscono disposizioni penali sostanziali piu' favorevoli
 all'imputato, ne deriva che - ai sensi dell'art. 2 del c.p. - la loro
 applicabilita' non puo'  essere  limitata  ai  procedimenti  iniziati
 successivamente  al  24  ottobre 1989, data in cui il nuovo codice e'
 entrato in vigore, ma dovrebbe essere estesa a tutti  i  procedimenti
 pendenti in tale data.
    Il  principio  dell'applicabilita' del trattamento piu' favorevole
 al reo e'  stato  accolto  soltanto  parzialmente  del  nuovo  codice
 processuale.  Gli  artt.  247 e 248 delle disposizioni di attuazione,
 infatti, da un lato estendono i  riti  speciali  ai  procedimenti  in
 corso, dall'altro ne limitano l'ammissibilita' a quelli nei quali non
 sono  state  ancora  compiute   le   formalita'   di   apertura   del
 dibattimento.  Il problema di costituzionalita' riguarda appunto tale
 limitazione.  La  difesa  ha  sostenuto  che   essa   determina   una
 ingiustificata  disparita' di trattamento tra gli imputati, a seconda
 se - per un fatto del tutto accidentale ed  indipendente  dalla  loro
 volonta'  -  le  formalita'  di  apertuta  siano  o  non  siano state
 compiute.
    5.  -  Per  giungere  ad  una  corretta  soluzione  e'  necessario
 analizzare se la limitazione introdotta negli  artt.  247  e  248  e'
 ragionevole  e  se  e'  posta  a  tutela  di un interesse avente pari
 rilevanza costituzionale di quello  dell'applicabilita'  della  legge
 piu' favorevole.
    Si  assume  che  poiche' nel nuovo sistema processuale il giudizio
 abbreviato e l'applicazione della pena a richiesta delle parti  hanno
 la  funzione  di  giungere  alla rapida definizione dei processi e la
 riduzione della pena costituisce solo  un  incentivo  per  l'imputato
 affinche'  chieda  tali  riti, ingiustificato sarebbe stato estendere
 l'ammissibilita'  ai  procedimenti  pendenti,  il  cui  iter  -   con
 l'apertura  del dibattimento - sia giunto ad un punto tale da rendere
 non piu' apprezzabile il beneficio di una loro rapida definizione.
    Che il nuovo sistema processuale abbia attribuito ai riti speciali
 la funzione di rendere piu' rapida la  definizione  dei  processi  ed
 alla  riduzione  della pena la funzione di incentivarne la richiesta,
 e' certamente vero. Che tutto cio, sia stato previsto allo  scopo  di
 assicurare,  mediante  la  definizione  rapida del maggiore numero di
 processi in camera di consiglio, la celebrazione dei dibattimenti con
 il  rito accusatorio e' ugualmente vero. Cio' nulla toglie, pero' che
 tali istituti hanno attribuito all'imputato un vero e proprio diritto
 soggettivo  di  chiedere  tali  riti  e di ottenere la conseguenziale
 riduzione della pena indipendentemente dalla  loro  adozione.  L'art.
 448  prevede,  in  caso  di  dissenso del p.m. che il giudice ritenga
 ingiustificato, che la riduzione  della  pena  puo'  essere  concessa
 anche  nel  giudizio d'impugnazione. Cio' prova che anche nel caso in
 cui il sistema processuale non abbia tratto alcun beneficio dal  rito
 speciale,  in  quanto si e' gia' celebrato interamente il giudizio di
 primo grado  e  l'appello,  ugualmente  l'imputato  conserva  il  suo
 diritto di ottenere la riduzione della pena e l'esclusione delle pene
 accessorie  e  delle  misure  di  sicurezza.  Questa  conseguenza  e'
 giustificata  dalla  considerazione che i riti speciali, se esaminati
 dal lato del sistema processuale costituiscono un mezzo per  giungere
 alla  rapida  definizione  dei processi, visti dal lato dell'imputato
 costituiscono un vero e proprio diritto soggettivo  per  ottenere  la
 riduzione   della   pena.   Non   appare  ragionevole,  pertanto,  la
 giustificazione secondo cui gli artt. 247 e  248  avrebbero  limitato
 l'ammissibilita'  ai  procedimenti  pendenti  in  cui non siano state
 ancora compiute le formalita' di apertura per la considerazione che -
 oltre  questo  termine - il sistema processuale non ne avrebbe tratto
 alcun beneficio. Questa giustificazione, oltre ad  essere  infondata,
 non tiene conto che il principio dell'applicabilita' della legge piu'
 favorevole al reo, stabilito dall'art. 2 del  c.p.,  incidendo  sullo
 status libertatis e sui diritti fondamentali del cittadino ed essendo
 stato recepito dall'art. 25, secondo  comma  della  Costituzione,  ha
 rilevanza costituzionale.
    Si  deve  concludere  che  gli  artt.  247  e  248 determinano una
 ingiustificata disparita' di trattamento tra gli imputati  a  seconda
 se  nei  loro  procedimenti  siano  o  non  siano  state  compiute le
 formalita'  di  apertura  del  dibattimento.  Conseguenzialmente   va
 dichiarata  non manifestamente infondata la questione di legittimita'
 costituzionale, sollevata dalla difesa,  dell'art.  247  delle  disp.
 att. del c.p.p. in relazione all'art. 3 della Costituzione.
    6.   -  La  questione  sollevata  dalla  difesa,  incidendo  sulla
 quantificazione della pena, e' certamente rilevante.
    Maggiormente  rilevante e' in questo processo in considerazine che
 la Brignano e' imputata delle contravvenzioni di cui agli  artt.  20,
 lett. c) della legge n. 47/1985 e 1-sexies della legge n. 431/1985 le
 cui pene edittali, anche applicate nel minimo e previo riconoscimento
 delle  generiche,  non  permettono la concessione del beneficio della
 sospensione  condizionale  della  pena.  Detta  sospensione   sarebbe
 concedibile,  invece,  nel  caso in cui la prevenuta fosse ammessa al
 giudizio abbreviato. Cio' prova non solo la rilevanza della questione
 ma  anche  l'ingiustificata  disparita'  di  trattamento  determinata
 dall'art. 247, in quanto, la Brignano, nonostante l'entrata in vigore
 di  una  legge a lei piu' favorevole che le permetterebbe di ottenere
 il beneficio  della  sospensione  condizionale  della  pena,  sarebbe
 costretta  a scontarla per la sola ragione che il suo dibattimento e'
 stato aperto in epoca anteriore al 24 ottobre 1989.
    7.  -  Dei  due  imputati  solo  la  Brignano ha chiesto di essere
 ammessa al giudizio abbreviato.
    Ai  sensi  dell'art. 247, quinto comma delle disp. att. del c.p.p.
 va ordinata la separazione dei  procedimenti,  la  formazione  di  un
 nuovo  fascicolo  processuale per il coimputato e la prosecuzione del
 dibattimento nei confronti di Galimi Antonino.