IL PRETORE Ha pronunciato la seguente ordinanza; PREMESSO IN FATTO Con rapporto del 31 maggio 1988 i carabinieri della stazione di Galliera Veneta riferivano al pretore di Cittadella che a seguito della concessione edilizia n. 58/1985 rilasciata dall'assessore delegato all'edilizia dal sindaco di Tombolo ai sensi della l.r. Veneto n. 1/1982 la S.c.n. Setificio di Tombolo aveva provveduto in zona agricola alla costruzione di un manufatto ad uso industriale terminato nel 1987 e precisavano che pur avendo formalmente ad oggetto la rilasciata concessione l'ampliamento di un preesistente manufatto (e pur essendo l'opera realizzata conforme a quella assentita dall'autorita' comunale come dimensioni ed ubicazione), in realta' tra le due costruzioni vi era circa un chilometro di distanza. Nel corso di ulteriori indagini si appurava che: la concessione edilizia richiesta, tra l'altro, con l'assicurazione del mantenimento del livello occupazionale, mentre i titolari della S.n.c. Setificio di Tombolo, costruito il nuovo manufatto, avevano licenziato tutti i dipendenti con il prestesto della cessazione di attivita' (pur continuando in realta' l'attivita' nel nuovo capannone senza lavoratori subordinati) ed avevano locato a terzi il vecchio fabbricato che si sarebbe dovuto "ampliare"; le "documentate esigenze" richieste dalla legge per consentire il rilascio della concessione consistevano in una semplice relazione a firma del progettista e direttore dei lavori; la concessione prevedeva la parziale demolizione del vecchio fabbricato (al fine di consentire la costruzione del nuovo capannone con le dimensioni richieste); proprio tale parte del fabbricato era stata nel dicembre 1987 (quando cioe' il nuovo capannone era stato ormai ultimato) interessata da un incendio accidentale coperto da assicurazione contro i danni e poco dopo tutti i dipendenti erano stati licenziati. Il pretore, accertate le modalita' con le quali era stata rilasciata la concessione ed esaminati i documenti posti a supporto della stessa, spediva comunicazione giudiziaria a carico dei soggetti interessati all'attivita' edificatoria (committenti, direttore ed assuntore dei lavori), di coloro che avevano rilasciato dichiarazioni poste a sostegno della domanda di concessione e dei pubblici amministratori che avevano favorito il rilascio della concessione edilizia n. 58/1985, nonche' (come persone offese) a tutti gli ex-dipendenti della S.n.c. Setificio di Tombolo licenziati. Tuttavia, prima di procedere al compimento di atti istruttori, deve il pretore prendere atto del contenuto della l.r. Veneto n. 1/1982 e successive modifiche ed integrazioni e delle sue concrete applicazioni tenendo conto (almeno in base all'esame dei fascicoli pendenti presso questa pretura) che il caso di specie non e' isolato, ma evidenzia una dei molteplici espedienti che sono stati posti in essere in attuazione della citata normativa e rappresenta quindi soltando uno dei numerosissimi esempi delle modalita' di gestione del territorio da parte delle autorita' regionali e comunali. CONSIDERATO IN DIRITTO Ritiene il pretore che debba essere sollevata di ufficio questione di legittimita' costituzionale degli artt. 1 e 2 della l.r. Veneto 12 gennaio 1982, n. 1, dell'art. 1 della l.r. Veneto 15 gennaio 1985, n. 7, dell'articolo unico della l.r. Veneto 5 marzo 1987, n. 11 e dell'art. 2 della l.r. Veneto 30 marzo 1988, n. 17, per contrasto con gli artt. 3, 9, 41 e 117 della Costituzione. Come doverosa premessa legislativa, va chiarito che: l'art. 1 della l.r. Veneto n. 1/1982 suona: "E' consentito l'ampliamento di fabbricati adibiti ad attivita' di produzione artigianale e industriale, nonche ad attivita' commerciali, anche ricadenti, alla data del 3 gennaio 1979, in zone non destinate dagli strumenti urbanistici a insediamenti produttivi o commerciali, per documentate esigenze relative a: riqualificazione, riconversione e ristrutturazione produttiva o aziendale; aumento del numero degli addetti; igiene ambientale e sicurezza del lavoro; applicazione delle leggi vigenti"; l'art. 2 recita: "La concessione per l'ampliamento, nei casi di cui all'art. 1, e' rilasciata sulla base della convenzione di cui al successivo art. 4 e ai sensi della legge 28 gennaio 1977, n. 10, e della legge regionale 2 maggio 1980, n. 40, fino al 31 dicembre 1984"; gli artt. 1 della l.r. 15 gennaio 1985, n. 7 e 1 della l.r. 5 marzo 1987, n. 11, prorogano il termine di cui all'art. 2 dapprima al 30 giugno 1986, poi al 31 dicembre 1987; da ultimo, l'art. 2 della l.r. Veneto 30 marzo 1988, n. 17, consente il rilascio della concessione di cui all'art. 1 della l.r. Veneto n. 1/1982 fino al 31 ottobre 1988, purche' la domanda sia stata presentata entro il 31 dicembre 1987: non e' dato, allo stato, di sapere se ulteriori proroghe stiano per essere concesse. Si impone, previamente, la lettura della legge denunciata; essa autorizza l'ampliamento degli insediamenti produttivi anche in contrasto con la destinazione urbanistica di zona purche', alla data del 3 gennaio 1979 (e, ora, alla data del 1 ottobre 1983) ex articolo unico della l.r. Veneto 5 marzo 1987, n. 11, terzo e ultimo comma: a) esista un fabbricato adibito "di fatto" ad attivita' artigianale, industriale o commerciale; b) l'azienda occupi di fatto un'area con qualsiasi destinazione urbanistica (purche' non destinata a pubblici servizi art. 3, sesto comma); c) sussista almeno una delle esigenze elencate all'art. 1. Su queste premesse, il legislatore regionale consente un ampliamento fino al 60% della superficie esistente sull'area di pertinenza, con alcune minime limitazioni e sempre che i comuni abbiano deciso di avvalersi della facolta' loro riconosciuta dal successivo art. 6 di individuare le aree dove applicare le agevolazioni (non e' un mistero che pressoche' tutti i comuni abbiano utilizzato la l.r. n. 1/1982 estendendone l'applicazione all'intero territorio comunale: nel caso di specie, in particolare, il comune di Tombolo). In sede interpretativa, poi, la giunta regionale ha emanato la circ. n. 25 del 29 giugno 1982 (in B.U.R. n. 31/1982), nella quale ha precisato che: 1) pur ammettendo che "la legge regionale non costituisce peraltro una sanatoria generale per tutti i fabbricati adibiti ad attivita' produttiva o commerciale e che la legge regionale (o la conseguente deliberazione di consiglio comunale) non trasforma in aree produttive o commerciali le aree su cui insistono le attivita' corrispondenti, in quanto tale volonta' non e' espressa dalla legge, che del resto ha efficacia temporalmente limitata", si afferma anche che "comunque, in presenza di una legge regionale che incentiva l'ampliamento dei fabbricati esistenti, si ritiene piu' conseguente l'emissione di provvedimenti diretti a mantenere piuttosto che a sacrificare l'esistente, attraverso l'applicazione in via amministrativa di una sanzione pecuniaria, sempre che, beninteso, si tratti di costruzioni realizzate prima dell'entrata in vigore della legge 28 gennaio 1977, n. 10"; e che "la legge regionale n. 1/1982 puo' essere utilizzata a sanatoria di situazioni illegittime, nei limiti in cui diventa possibile il rilascio di una concessione edilizia, in relazione alle combinate disposizioni degli strumenti urbanistici vigenti e della legge in argomento", (punto 3 della citata circolare: accertamenti della legittimita' di fabbricati esistenti); 2) "il concetto di ampliamento va riferito all'attivita' svolta e non al volume esistente; pertanto il volume aggiuntivo realizzando puo' venire costruito in aderenza, ma ben puo' costituire un fabbricato a se' stante", (punto 4: esame dell'articolato, sub art. 1). In presenza di siffatta normativa il sindaco di Tombolo ha rilasciato la concessione n. 58/1985 per ampliamento fabbricato industriale ai sensi della l.r. n. 1/1982 con la quale il titolare della concessione ha eretto un manufatto distante circa un chilometro da quello asseritamente "ampliato", sul solo presupposto di una pertinenza del terreno con la preesistente attivita' produttiva (peraltro approfittando della nuova costruzione per iniziare una piu' ridotta attivita', licenziare tutti i dipendenti che operavano nel vecchio capannone ed affittare questo a terzi). A parere del pretore la l.r. Veneto n. 1/1982 suscita fondati dubbi di legittimita' costituzionale, e tali dubbi si rafforzano se a quella normativa viene data la lettura che ha indotto il sindaco di Tombolo al rilascio della concessione: perlatro, trattandosi di interpretazione basata su una circolare ufficiale della g.r. Veneto, essa si presta ad una peculiare considerazione - e non da parte della a.g. che gode del potere di disapplicazione - da parte dei pubblici amministratori. Sicche' non pare che la perplessita' possa essere risolta in via interpretativa. In assoluto, comunque, e quindi a prescindere dalla lettura che alle norme viene data, gli artt. 1 e 2 della l.r. Veneto n. 1/1982 e succ. mod. pare in contrasto con gli artt. 3, 9, 41 e 117 della Costituzione. Questa norma, infatti, introduce, sostanzialmente, uno strumento di ulteriore degrado del territorio, consentendo in spregio agli strumenti urbanistici la smisurata crescita di attivita' produttive sul mero presupposto della preesistenza al 3 gennaio 1979 (e, con la l.r. n. 11/1987, addirittura la data della preesistenza viene spostata al 1 ottobre 1983). Il contrasto con l'art. 3 della Costituzione si presenta sotto un duplice profilo; il primo concerne il trattamento chiaramente disegualitario - ed immotivatamente tale - tra chi era titolare di attivita' artigianale, commerciale o industriale alla data del 3 gennaio 1979 che puo' ampliarle dovunque esse si trovino, ed anche in contrasto con gli strumenti urbanistici, e chi invece possiede i requisiti prescritti (esistenza del fabbricato, destinato ad attivita' produttiva e fondo di pertinenza), dopo quella data, il quale e' soggetto al rispetto del fabbricato, destinato ad attivita' produttiva e fondo di pertinenza), dopo quella data, il quale e' soggetto al rispetto degli strumenti urbanistici ove intenda ampliare la propria attivita'; sotto altro e piu' importante profilo l'art. 3 della Costituzione e' violato per il difetto di ragionevolezza della normativa: nata come disciplina eccezionale e, per questo, temporalmente limitata, il continuo slittamento dei termini ha finito per consentire di realizzare in pratica per un decennio (non va trascurato infatti che la l.r. n. 1/1982 sostituisce la analoga l.r. n. 73/1978) l'ingiustificato stravolgimento degli strumenti urbanistici. L'art. 9 della Costituzione pare violato per lo spregio al paesaggio: l'intera disciplina urbanistica ha la funzione di garantire l'ordinato sviluppo della edificazione sul territorio, diviso in zone omogenee; e' vero che la regione Veneto si e' sempre preoccupata soltanto a parole della tutela dell'ambiente, tradendo clamorosamente nei fatti le affermazioni di principio (basti pensare alla l.r. Veneto n. 44/1982 sull'attivita' di cava, alla l.r. n. 33/1985 intitolata "Norme a tutela dell'ambiente", alla l.r. n. 61/1985 intitolata "Norme per l'assetto e l'uso del territorio" che favoriscono con molteplici espedienti gli aggressori del territorio), ma la citata l.r. Veneto n. 1/1982, riconoscendo una indiscriminata facolta' di ampliamento sulla sola base di semplici promesse (si badi bene al fatto che non sono previste sanzioni amministrative per chi, realizzato l'ampliamento, non rispetti la finalita' in forza della quale aveva presentato domanda di concessione) in contrasto con gli strumenti urbanistici si pone in aperto contrasto con il dettato costituzionale, favorendo un ulteriore degrado del territorio. Cio' introduce anche il profilo del contrasto con l'art. 41, secondo comma, della Costituzione perche' l'ampliamento (almeno se motivato con fini di riqualificazione, riconversione e ristrutturazione produttiva e/o di aumento del numero degli addetti) ha di mira esclusivamente utilita' economiche la cui espansione viene favorita a prescindere da ogni considerazione dell'utilita' sociale: il concetto di utilita' sociale, infatti, a parere di questo pretore, non va inteso con esclusivo riferimento ai rapporti di lavoro, ma va altresi' esteso, in particolare per la mutata coscienza sociale, alla salvaguardia di tutti quei beni della vita - materiali ed immateriali - e di tutte quelle esigenze primarie destinate a soddisfare la collettivita', e dinanzi alle quali l'interesse del singolo imprenditore e' inevitabilmente destinato a cedere. Tra questi beni e tra queste esigenze possono e debono essere comprese anche le legittime aspettative a fruire di un ambiente ordinato e dignitoso dove poter svolgere la propria vita ed attivita'. Consentire l'indiscriminato ampliamento di attivita' produttive anche in zone residenziali o in zone agricole con il loro carico di rumore, polveri, aggravio urbanistico, degrado estetico pare in deciso contrasto con la finalita' avuta di mira dal costituente. E non si trascuri, da ultimo, lo stravolgimento ecologico e personologico di un territorio, tra i piu' fertili d'Italia e di una popolazione tra le piu' laboriosamente dedite all'agricoltura di fatto forzosamente trasformate (in base a scelte economiche provenienti dall'alto) in industriali, senza preparazione ambientale e culturale alcuna: cio' che - sotto il profilo individuale - pone delicati profili di conflitto anche con l'art. 2 della Costituzione. L'art. 117 della Costituzione pare violato con riferimento alle lesioni dei principi fondamentali stabiliti dallo Stato con la legge-quadro n. 47/1985. Infatti l'art. 1, primo comma, della legge n. 47/1985 emblematicamente rubricato "legge-quadro" contempla il rispetto dei principi definiti nei capi I, II e III del testo legislativo: tra questi principi vi e', indubbiamente, la necessita' che le concessioni ad edificare legittimino interventi conformi agli strumenti urbanistici, come puo' evincersi dall'art. 4, primo comma ("Il sindaco esercita la vigilanza sull'attivita' urbanistico-edilizia nel territorio comunale per assicurare la rispondenza alle norme di legge e di regolamento, alle prescrizioni degli strumenti urbanistici ed alle modalita' esecutive fissate nella concessione o nell'autorizzazione"), dall'art. 6, dalla disciplina della sanatoria per abusi cosi' detti "formali" di cui agli artt. 13 e 22, dalla particolare procedura dettata dal titolo III per il recupero urbanistico di insediamenti abusivi, soggetta a limitazioni e finalita' particolari. Tali principi - desumibili anche dalla legge n. 10/1977 in vigore al momento dell'approvazione della l.r. Veneto n. 1/1982 - sono stati palesemente calpestati dal legislatore regionale, ammettendo il rilascio di concessioni per ampliamenti anche "in zone non destinate dagli strumenti urbanistici a insediamenti produttivi o commerciali" e prorogando per circa un decennio questa ingiusta normativa. La lettura, poi, che e' stata data dalla regione Veneto alla legge con la citata circolare introduce ulteriori profili di legittimita' costituzionale: l'art. 3 della Costituzione e' violato sotto il profilo della ragionevolezza perche', stravolgendo la lettera della legge che parla inequivocabilmente di "ampliamento di fabbricati", si giunge a riferire la potenzialita' edificatoria "all'attivita' svolta e non al volume esistente", legittimando la erezione di manufatti non solo in aderenza all'esistente, ma anche "a se' stanti"; con la conseguenza di legittimare concessioni quale quella rilasciata dal sindaco di Tombolo, dandosi rilevanza esclusivamente alla esistenza di un fondo di pertinenza, dovunque esso si trovi e, al limite, anche ubicato in un altro comune. In questo modo si fanno realizzare (in zone agricole o residenziali, si badi bene) fabbricati del tutto avulsi da quello che si afferma di voler ampliare, stravolgendosi il senso della norma e l'assetto del territorio. L'art. 3 della Costituzione e' ancora violato, sempre sotto il profilo della ragionevolezza perche' la interpretazione offerta nella circolare g.r. Veneto contrasta immotivatamente con gli altri passi della legge dai quali chiaramente si evince che il termine "ampliamento" e' riferito al fabbricato e non all'attivita'; in particolare l'art. 3, quinto comma, della l.r. Veneto n. 1/1982 prevede che "L'ampliamento, nei casi di cui all'art. 1, degli edifici ricadenti sulle fascie di rispetto da strade o da corsi d'acqua e' consentito se l'edificio ampliato non sopravanza verso il fronte da cui il rispetto viene calcolato. Il rilascio della concessione e' soggetto a un preventivo atto di sottomissione con il comune, registrato e trascritto, con il quale il proprietario, in caso di esproprio, rinuncia a qualsiasi indennizzo per le nuove opere autorizzate"; e l'art. 3, sesto comma, della l.r. Veneto n. 1/1982 prevede che "gli ampliamenti previsti dalla presente legge non sono ammessi nelle zone destinate a pubblici servizi dagli strumenti urbanistici": si noti bene che anche la circolare, nel commentare tale norma, precisa che "non puo' darsi luogo all'ampliamento quando l'esistente ricada in zone destinate a pubblici servizi"; ed e' chiaro che cio' suppone che sia proprio l'esistente a dover essere ampliato materialmente, e non invece che l'ampliamento debba realizzarsi con l'erezione di autonomo manufatto in zona diversa e, al limite, con altra destinazione. L'art. 117 della Costituzione e' inoltre violato perche', di fatto, la facolta' di ampliamento cosi' intesa da' luogo ad una sanatoria per abuso futuro, consentendo il rilascio di concessioni illegittime che, di fatto rendono lecita sia la potenziale situazione abusiva esistente (cfr. la gia' citata circ. g.r. Veneto 29 giugno 1982, n. 25, punto 3, sesto capoverso: "La l.r. n. 1/1982 puo' anche essere utilizzata a sanatoria di situazioni illegittime. . .", sia, soprattutto, gli abusi sostanziali (perche' in contrasto con gli strumenti urbanistici) che il privato realizzera' sulla loro base; ed e' appena il caso di ricordare come codesta Corte abbia a suo tempo "salvato" la l.r. Sicilia n. 7/1980 (emanata, si badi bene, da una regione a statuto speciale) di sanatoria edilizia solo sul presupposto che essa non producesse effetti retroattivi, ma avesse natura retrospettiva, limitandosi a regolare per il futuro fatti sorti per il passato. (Corte costituzionale, sentenza n. 13 del 15 febbraio 1980). Ma, anzitutto, quella impostazione andrebbe rivista alla luce della sopravvenuta legge n. 47/1985 e, soprattutto, la r. Veneto ha finito per introdurre una sanatoria per abusi presenti e futuri per le gia' esposte ragioni. Che si tratti di sostanziale sanatoria e' provato anche dalle acrobazie dialettiche della circolare g.r. Veneto n. 25 del 29 giugno 1982 dalle quali si ricava una inequivoca volonta' di mantenere in essere quelle costruzioni, al di la' delle apparenti dichiarazioni di principio: e cio', alla luce delle deroghe temporali offerte dalla l.r. nn. 7/1985, 11/1987 e 17/1988 si pone in insanabile contrasto con il capo IV della legge n. 47/1985, legge-quadro in materia urbanistica. Ne' puo' sorgere un problema di successione temporale della legge-quadro statale alla legge regionale, perche' le reiterate proroghe della efficacia della l.r. Veneto n. 1/1982 consentono questa valutazione. Va ora affrontato il profilo della rilevanza nel presente giudizio, anche se lo scempio territoriale al quale la legge denunciata ha dato luogo in ogni sua applicazione, corretta e scorretta (e ben puo' dirlo chi quasi quotidianamente ha modo di leggere gli esposti - sterili - di contadini che vedono improvvisamente erigere in terreni limitrofi destinati a zona agricola enormi capannoni industriali - si ricordi che l'art. 3 della l.r. Veneto n. 1/1982 consente "ampliamenti" fino a m(Elevato al Quadrato) 2.000 (duemila) -, e di cittadini abitanti in zone residenziali che vedono altrettanto improvvisamente investiti i propri giardini, le proprie case, le proprie persone dalle usuali molestie - rumori, smog - di nuovi o ingranditi insediamenti produttivi) potrebbe supplire alla mancanza di questa. In realta', pero' vi e' anche una giuridica rilevanza: sotto il profilo amministrativo, anzitutto, la declaratoria di illegittimita' costituzionale della legge determinerebbe la necessita' di annullare le concessioni rilasciate per la conseguente illegittimita' (con evidente sollievo per l'ambiente finalmente difeso) e, soprattutto, impedirebbe al legislatore regionale, di apportare nuove proroghe o di approvare nuove analoghe normative (delle quali si parla con sempre maggiore insistenza: se si esamina l'articolo unico l.r. n. 11/1987, si puo' vedere che il legislatore regionale veneto ha addirittura previsto la possibilita' di adottare varianti allo strumento urbanistico generale dei comuni per insediamenti preesistenti "localizzati in difformita' dalle destinazioni di piano o che abbiano raggiunto i limiti massimi degli indici di edificabilita' della zona", cioe', in pratica, una variante ad hoc che tenga conto dei singoli interessi privati e non degli interessi collettivi valutabili nella stesura dei piani regolatori e che consenta di ampliare senza limiti di sorta singoli edifici in contrasto con la destinazione di zona: in sostanza, di perpetrare abusi coperti dal manto della legalita' formale); sotto il profilo penale, invece, la illegittimita' della concessione renderebbe il manufatto abusivo, o comunque in contrasto con gli strumenti urbanistici, al di la' dei profili accusatori prospettabili allo stato e da verificare nel corso della istruttoria ancora in embrione. E' vero, infatti, che la ipotesi accusatoria muove dalla ipotetica inesistenza della concessione per la commissione di reati da parte dei pubblici amministratori e per la indicazione di dati inesatti, ma e' pur vero che trattasi ancora da verificare compiutamente e che potrebbero sfumare nel prosieguo del giudizio. Viceversa, la eventuale eliminazione delle norme regionali impugnate rimuoverebbe immediatamente ogni perplessita' o dubbio sulla illegittimita' dell'opera edilizia, caducando il presupposto indefettibile sulla base del quale fu rilasciata la concessione e provocando altresi' il venir meno di questa. La stessa Corte di cassazione ha dichiarato che la concessione illegittima, pur non integrando gli estremi dell'art. 20, lett. b), puo' comunque far residuare i presupposti di cui all'art. 20, lett. a) (Cass. sez. un., 31 gennaio 1987, Giordano). E' indubbio che nel caso di specie la costruzione industriale insista su terreno destinato a zona agricola e contrasti quanto meno con l'art. 20, lett. a), della legge n. 47/1985 (salvo la considerazione del dolo e della colpa), sempre che la rilasciata concessione venga travolta in conseguenza della declaratoria di illegittimita' costituzionale). Ne' puo' ritenersi che la rilevanza venga meno sotto il profilo del favor rei, finendo la declaratoria di illegittimita' costituzionale per "costruire" un reato in capo all'imputato: infatti questi ha realizzato la condotta lesiva dell'interesse protetto, violando le previsioni urbanistiche di zona; ne' va dimenticato che codesta Corte ha gia' avuto modo di affermare che siffatte pronunce di illegittimita' costituzionale divengano comunque rilevanti quanto meno per i casi futuri.